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Autore: Aya_Fui    10/06/2018    8 recensioni
Non essere presi di mira dai compagni di scuola non è affatto semplice, quando indossi degli occhiali spessi come fondi di bottiglia. Mousse l'ha imparato a sue spese quando, durante una lezione di cinese, ha deciso di rispondere correttamente all'insegnante, mettendo in cattiva luce la reginetta indiscussa di tutta la classe, Shan-pu. Tra incomprensioni, rancori e nuovi amori... nascerà mai l'amicizia tra i due?
[Fanfiction scritta per il contest "Sfida a catena - gara a coppie" indetto dal gruppo su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia"]
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Collant Taro, Mousse, Rouge, Shan-pu
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note delle autrici: Ciao a tutti! Siamo due autrici che amano il favoloso mondo di Rumiko Takahashi e che, per questo motivo, hanno deciso di unire le loro idee per scrivere una oneshot insieme. In realtà, stiamo partecipando ad un concorso, ma dettagli. Il punto di vista di Shan-pu è stato scritto da Fui Hygge, mentre quello di Mousse da ayamehana. Detto questo, vi auguriamo una buona lettura!

Siamo state sfidate da: Stella & Veronica.
Abbiamo sfidato: Giulia & Lucy.

 

TI AMO, TI ODIO, TI ROVINO

«Non v'è nulla al mondo dolce come l'amore;
e dopo l'amore, la cosa più dolce è l'odio



  Il sole brillante rifletteva i suoi placidi raggi sulle pareti bianche della classe, creando ancora più luce di quanta già non ce ne fosse. Il caldo, iniziava timidamente a farsi strada nell’aria ancora fresca dell’inverno, e tutto ciò non faceva altro che aumentare la sua sonnolenza.
  Erano le otto del mattino e i suoi muscoli, ancora intorpiditi dal sonno, non ne volevano sapere di lasciar andare quella fastidiosa sensazione. Poi si stava annoiando, eccome se si stava annoiando; le lezioni di scrittura cinese non le erano mai piaciute abbastanza da degnarsi di prestare attenzione alla professoressa, che blaterava a vanvera, con quella sua vocetta stridula.
  Il suo viso si strinse in una smorfia seccata, doveva trovare qualcosa da fare.
  Si mise a riflettere, mentre tamburellava le dita paffute sul banco e faceva vagare a vuoto lo sguardo nell’aula, in cerca d’ispirazione.
  D’un tratto, come colta da un’illuminazione, staccò un foglio a quadri dal suo quaderno, per poi iniziare a strapparlo in piccoli pezzettini, che arrotolò con le dita leggermente bagnate di saliva.
  Dopo aver collezionato una quantità di palline che le pareva sufficiente, si acquattò sul banco, prese la mira e ne lanciò intanto una, verso il suo compagno di classe che le sedeva di fronte.
  Una risatina abbandonò la sua bocca, quando notò che quella sfera umida si era perfettamente appiccicata  ai lunghi capelli d’ebano del bambino.
  Si sporse un po’ fuori dal suo banco, per controllare se la professoressa avesse notato il suo comportamento, ma la vide piuttosto concentrata a svolgere il suo lavoro. Quindi, continuò decisa con la sua opera. Sedersi all’ultima fila non si era mai rivelata un’idea fantastica come quel giorno.
  Prese un altro pezzettino di carta e lo lanciò, poi un altro e un altro ancora, qualcuno cadeva, ma altri, con sua grande soddisfazione, restarono ancorati a dove aveva mirato.
  Volse il viso rotondetto alla sua destra, dove si trovava Lan-Lan e cercò di attirare la sua attenzione:
  «Pst!»
  Niente. Ritentò, alzando un po’ il tono di voce.
  «Pst!»
  Lan-Lan la guardò incuriosita e, appena la sua interlocutrice indicò con lo sguardo il suo compagno di classe, riuscì appena a soffocare una risata.
  «Che cosa avete da ridacchiare voi due, in ultima fila?»
  Shan-pu si irrigidì, era convinta di non aver dato nell’occhio.
  «Niente, Signora Feng».
  «Immagino, quindi, che stavate ascoltando».
  «Certamente» mentì con spudorata sfacciataggine.
  «Molto bene, allora, perché non ripeti, a tutta la classe, qual è l’ordine corretto che bisogna utilizzare per scrivere i caratteri?»
  Ma perché non sapeva stare zitta?
  Iniziò a boccheggiare, intanto che un senso di disagio iniziava a farsi strada in lei. Si ricordava qualcosa dalla lezione precedente, ma non sarebbe di certo bastato.
  «Ci sono otto regole da seguire: bisogna fare prima il tratto orizzontale, poi il tratto discendente a sinistra prima del tratto discendente a destra...»
  Se la stava cavando bene, in fondo, ma ne elencò solo altre tre, visto che le sue conoscenze non andavano oltre.
  «Sì, Shan-pu, queste sono le regole che abbiamo studiato la lezione scorsa, io volevo sapere quelle di oggi, però» specificò con fastidio sempre più crescente, tanto quante le ottave della sua voce.
  La bambina dai capelli lilla si sentì ancora più insicura, la sensazione di disagio sempre più pressante. Non amava quando le persone la mettevano in difficoltà, per altro davanti ad altre persone. Le sue mani misero a torturarsi tra di loro, Shan-pu sperò in un qualche colpo di genio per uscire da quella situazione.
  «Le ultime tre sono… sono...»
  «Qualcun altro è in grado di elencarmele, di grazia? O non solo lei era disattenta?» la interruppe, scivolando di peso sulla sedia dietro alla cattedra.
  Gestire una classe di quaranta bambini stava diventando estenuante.
La bambina tutto a un tratto avvertì la tensione venire meno, nessuno dei suoi compagni di classe avrebbe mai avuto l’ardire di rispondere, mettendola così in cattiva luce.
Sapevano esattamente di che cos’era capace Shan-pu, se, secondo lei, veniva ridicolizzata.
  «I tratti esterni prima di quelli interni, poi quello orizzontale che chiude, senza tagliare, il carattere e, infine, bisogna completare i tratti interni prima di tracciare il tratto di chiusura.
  «Ottima risposta, Mousse, sei stato molto bravo. Shan-pu, vedi di prendere esempio da lui, la prossima volta».
  La bambina si sentì gelatina sciolta al sole, mentre tutta la classe prese a ridacchiare della sua figura appena fatta.
  Lei? Prendere esempio da Mousse? Da quella talpa, alla quale, poi, aveva appena finito di imbrattare i capelli con palline di carta? Inammissibile che lui venisse trattato come se fosse superiore a lei.
  Tanto è vero che, semmai, era il contrario, e avrebbe trovato il modo di farlo restare ben in mente a Mousse.
  Infine borbottò, infastidita, scimmiottando mentalmente l’insegnante.

 
Le lezioni finirono e tutti gli alunni iniziarono a scemare verso il cortile all’entrata della scuola.
Qualcuno si stava ancora cambiando le scarpe, qualcuno si trovava ancora tra i corridoi esterni, affacciati alle finestre attendendo che la maggior parte delle persone se ne andasse e, molti di loro, si fermava a parlare nella zona cementata all’ingresso.
Shan-pu se ne stava lì, circondata da tantissimi bambini, in attesa di riconoscere Mousse, tra quella massa di divise scolastiche tutte uguali.
Appena lo vide, iniziò ad avvicinarsi pericolosamente a lui, nascondendo qualcosa dietro alla schiena.
  «Mousse, te la cavi bene con i caratteri cinesi».
  Notò che la sua vicinanza lo fece sussultare, e che la guardava, quasi spaventato, da dietro quei terribili fondi di bottiglia.
  «Beh, sì… direi di sì...» iniziò ad agitarsi notevolmente, e Shan-pu sentì il suo ego aumentare.
  Non era mai stata carina con lui, forse non si erano mai nemmeno parlati, se non quando gli lanciava qualche commento poco lusinghiero.
  “Femminuccia!”
  “Talpa”
  “Quattrocchi spara pidocchi!”
  Lei, assieme alla sua classe, aveva inventato una vera e propria malattia: la Mouss-ite, che contagiava chiunque venisse a contatto con lui.
  Avanzò di un passo nella sua direzione, guardandolo dall’alto in basso, con un sorriso che non raccomandava niente di buono, dipinto sul viso.
  «E invece con il nuoto? Come te la cavi?»
  Godendosi lo sguardo confuso del bambino impaurito che la fronteggiava, decise di agire.
  Con uno scatto veloce, mosse da dietro la sua schiena il secchio d’acqua fredda, spostandolo in avanti, per far sì che tutta l’acqua al suo interno andasse a schiantarsi contro il petto e la faccia del povero mal capitato.
  Il mondo tutto intorno a loro si arrestò all’improvviso, per qualche secondo, prima di scoppiare in un’ilarità generale.
  Tutti ridevano, ridevano e basta. E la bambina capì di aver avuto la sua rivincita.
  Mousse l’aveva umiliata davanti a tutta la classe e lei, lo aveva umiliato davanti a tutta la scuola.
  Nonostante ciò, non si sentiva ancora del tutto soddisfatta.
  Le venne un’illuminazione quando lo vide togliersi gli occhiali, nel vano tentativo di asciugarli.
  Glieli strappò di mano e, con un gesto violento, li lanciò a terra, facendo rompere una lente.
  «Così ti impari a fare il gradasso per farmi fare brutte figure!»
  Mousse tremava visibilmente, Shan-pu non sapeva se lo facesse per il freddo o per qualsiasi altro motivo e, nemmeno le interessava.
  «Ma qua-qua-quando avrei fa-fatto i-il gradasso?» la voce tremante del bambino non fece altro che aumentare il senso di forza che la stava invadendo.
  «Oh santo cielo, avete sentito? “Qua-qua-quando”, Mousse, cosa sei? Un papero?»
  «No che non sono un papero!»
  Lin-Lin, che fiancheggiava Shan-pu, tornò a ridere come poco prima, forse addirittura di più, finendo imitata da chiunque avesse sentito quelle frasi.
  «Sei proprio stupido Mousse! Uno stupido papero!» infierì ancora.
  Il bambino puntò lo sguardo colmo di lacrime negli occhi di Shan-pu, per poi raccattare gli occhiali e andarsene via.
 

  Le giornate scorsero veloci, e per Shan-pu, era tutto tornato alla normalità. Si era quasi dimenticata di aver compiuto quel gesto, la sua vita procedeva come prima.
  Ma c’era qualcosa che non andava.
  Non sapeva esattamente che cosa fosse, ma qualcosa non le tornata.
  Gli occhi di Mousse, che la guardavano con un misto di rimprovero, tristezza e rabbia, le erano rimasti impressi nella mente.
  Era disturbante e scomoda, la sensazione che le era rimasta appiccicata.
  Continuava a torturare Mousse con i suoi soliti dispetti, ma non si divertiva più come prima. Lui non reagiva più in alcun modo, la ignorava.
  Non si ribellava nemmeno quando lo spingeva a terra durante gli esercizi mattutini, cosa che aveva sempre sortito uno spirito di rappresaglia in lui, facendolo ribattere, anche solo a parole.
  All’inizio non ci fece caso, ma man mano che i mesi passavano, si era scoperta a studiarlo.
  Durante le lezioni lui era sempre stato molto partecipe, commentava e sapeva rispondere sempre perfettamente a qualsiasi domanda da parte di qualsiasi docente, ma, da quel giorno, sembrava quasi assente.
  Notò che se ne stava sempre da solo, anche durante la pausa pranzo.
  Che fosse una persona emarginata non era una novità per lei, ma si scoprì dispiaciuta per lui.
  E questa era una novità.
 

  «Shan-pu!»
  Si svegliò di soprassalto, per la violenza con la quale era stato pronunciato il suo nome.
  Alzando lo sguardo, si accorse che la sua insegnante la stava lanciando delle occhiatacce poco rassicuranti.
  «Addormentarti all’ultima ora dell’anno scolastico non ti fa onore. Mi chiedo come tu abbia fatto a superare gli esami. Ci vediamo l’anno prossimo».
  L’ultima frase suonò come una velata -nemmeno troppo- minaccia.
Insopportabile.
  Fece vagare lo sguardo per tutta la classe, constatando che era rimasta sola, eccezion fatta per Mousse, che se ne stava chinato al pavimento.
  Che sta facendo?
  Si avvicinò a passo felpato alle sue spalle, quando notò che a terra era stato riversato tutto il contenuto della cartella scolastica di lui. Qualche suo compagno di classe doveva essersi divertito, poco prima.
  Penne, matite, fogli stracciati, quaderni e libri, erano sparpagliati tutto attorno al banco del bambino.
  Senza pensarci troppo, prese a dargli una mano. Chissà, magari quel peso sullo stomaco le si sarebbe alleggerito.
  «Che cosa stai facendo?» il tono sorpreso di Mousse la indispettì un po’. La infastidiva pensare che qualcuno non la credesse capace di atti cortesi.
  «Che c’è? Non ci vedi più con gli occhiali?»
  «Per qualche giorno ci ho visto malissimo con gli occhiali. Non so se ti ricordi».
  Shan-pu ignorò volontariamente l’ironia della sua frase, decidendo che non era affatto importante ciò che aveva appena sentito.
  «Se ti da’ fastidio me ne posso anche andare, sai?»
  «Nessuno ti ha chiesto niente».
  «Ma quanto sei noioso!» bofonchiò, continuando col suo lavoro.
  Per una volta che sono gentile.
  «Non sei mai stata gentile con me, tu».
  «Beh, adesso lo sono».
  «È il tuo modo di chiedere scusa?»
  La bambina restò colpita di come, per quanto poco si conoscessero, Mousse avesse intuito le sue intenzioni.
  «Non lo faccio per te, ma per me. Comunque, non ti ci abituare».
  Non era brava con le esternazioni di scuse e quant’altro, le sembrava un comportamento tipico dei deboli e, lei, come sosteneva con ostentata fierezza la sua adorata bisnonna, non lo era affatto.
  Gli passò goffamente gli oggetti raccattati e, nel compiere il gesto, sfiorò accidentalmente il suo braccio.
  «Adesso avrai la Mouss-ite» commentò aspramente.
  «Nah, ho toccato la divisa. In ogni caso, non esiste più questa malattia».
  «E chi lo dice?»
  «Io. l’ho deciso in questo momento».
  E Shan-pu assistette a una cosa che non vedeva da mesi: il sorriso di Mousse.

 
  Erano all’uscita della scuola, quando si separarono.
  «A Settembre, Shan-pu».
  «A Settembre, papero» lo salutò, prima di dargli le spalle e procedere verso la strada di casa.
  “Non ti ci abituare”.
 
 
  «Mousse, che ne dici di aiutarmi con matematica?»
  Se ne stava seduta sul banco del suo interlocutore, con le gambe a penzoloni, nel contempo cercava di convincerlo, sfoderando uno sguardo da donzella in difficoltà.
  «Shan-pu, che dici studiare da sola?»
  Gli anni erano passati in fretta e l’ultimo anno scolastico delle elementari arrivò in un lampo.
  L’ultimo semestre era il più impegnativo, gli esami di ammissione alle scuole medie erano fondamentali.
  Come era fondamentale riuscire in matematica per Shan-pu.
  «E che ti costa?»
  «Niente, ma dovresti smetterla di sfruttarmi per i tuoi comodi».
  Erano cresciuti, ma avere dodici anni non li rendeva di certo maturi.
  Questo valeva soprattutto per lei.
  «Che noia che sei, Mousse, sempre quello dici».
  «Chissà perché. E chissà perché mi rivolgi la parola solo per prendermi in giro o chiedermi favori».
  Il tono stanco con il quale rispose Mousse, le fece ben intendere che stava iniziando a cedere.
  Trovava uno spasso, far fare agli altri ciò che più la aggradava.
  «Mi correggo, sei molto più che noioso».
  «E va bene, va bene. Vieni da me dopo scuola».
  La vittoria fece capolino sul suo volto, dando vita a uno splendido sorriso.
 

  «Shan-pu, guarda chi sta venendo dalla nostra parte!»
  Lan-Lan strattonò la ragazzina per un braccio, per farle notare meglio il soggetto del suo entusiasmo.
  Taro, il ragazzo più carino di tutta la scuola, stava venendo proprio dalla loro parte.
  «Mamma mia, guarda che occhi!» il commento della sorella Lin-Lin non tardò ad arrivare.
  Tutte avevano una cotta per lui, c’era chi lo mostrava palesemente e chi no, ma nessuna ne era esente. Dal canto suo, Mousse, che si trovava in mezzo a tre ragazzine che sembravano aver perso ogni contatto con la realtà, alzò gli occhi al cielo.
  Quando Shan-pu si accorse che solo una piccola striscia di prato erboso li divideva, il suo cuore fece un piccolo salto.
  «Ciao ragazze, che ne dite di partecipare alla festa che darò per il mio compleanno, oggi, dopo la scuola?»
  Risolini isterici e lusingati si sparsero nell’aria.
  «Volentieri!» la risposta all’unisono delle gemelle.
  «Non mancherò» l’affermazione di Shan-pu.
  «Ehi, tu questo pomeriggio devi venire a casa mia» il commento seccato di Mousse.
  Taro sgranò gli occhi, incredulo, mentre alla ragazzina cominciò a vacillare l’autocontrollo.
  Perché quel papero non sapeva tenere la bocca chiusa?
  «Cosa? Tu frequenti questo… questo coso?»
  Shan-Pu notò con imbarazzo il disgusto che si faceva largo sul volto di Taro.
  «Assolutamente no! Non ascoltarlo, non sa cosa dice» gesticolava con concitazione, si vergognava al pensiero che qualcuno alludesse a lei e a Mousse, in qualsiasi modo.
  Sperò di salvare la situazione e, se non quella, almeno la faccia.
  «Io so esattamente di che cosa sto parlando, tu, dopo scuola, dovevi venire da me».
  Questo era troppo. Gli aveva dato un’opportunità per tenere chiuso il becco, ma, evidentemente, non aveva afferrato.
  «Senti, non so quale strana idea tu ti sia messo in testa, ma io sicuramente non frequento gente sfigata come te» asserì con convinzione, mentre si spostava una ciocca di capelli dietro alla spalla, quasi a volerlo schiaffeggiare con quest’ultima.
  Alle gemelle e al ragazzino che avevano difronte scappò una risatina derisoria e Shan-pu si sentì sollevata.
  «Molto bene, allora ci vediamo dopo, Shan-pu»
  «Ci vediamo dopo, Taro».
  Si salutarono con un cenno della mano e, appena uscì dalla loro visuale, le tre ragazze si lasciarono andare a comportamenti da ragazzine alla prima cotta qual erano.
  Di Mousse, nessuna traccia.
 

  «Mousse, tra un mese ci saranno gli esami, quando mi aiuti con matematica?»
  «Come, scusa?»
  «Sei pure sordo, adesso? Ti ho chiesto quando mi darai una mano a studiare».
  «Ah, quello dici? Beh, direi che ti puoi arrangiare da sola» rispose atono, mentre puliva il banco dai rimasugli del pranzo. La classe era vuota.
  «Che cosa? Ma cosa stai dicendo, ne ho bisogno e lo sai bene».
  «Puoi chiedere aiuto a Taro, perché, in fondo, tu non frequenti gente come me».
  Shan-pu sbatté con foga le mani sul banco in un impeto di rabbia. Che diavolo gli stava frullando, in quel cervello?
  «Non puoi farmi questo Mousse! Sei un’egoista!»
  «E tu, una ragazzina viziata che non ha vergogna a chiedere favori alle persone che ritieni sfigate, ma ne ha per ammettere di riceverne da loro».
  La ragazzina si lasciò andare a un risolino nervoso, doveva tenere i nervi saldi ma, non accettava simili accuse.
  «Non dire stupidaggini Mousse, semplicemente non volevo fare brutta figura!»
  «E ti pare una cosa bella che secondo te, io ti faccia fare brutta figura?»
  «Suvvia, non fare il melodrammatico, non ti tratto più male come una volta, o no?» volle tentare di liquidare con un annoiato gesto della mano l’intera faccenda, ma lui non ne volle sapere e, tornò all’attacco.
  «Guardati attorno, mi rivolgi la parola solo quando nessun altro può vederlo, eccezion fatta per Lin-Lin e Lan-Lan. Non ti rendi conto che mi tratti da schifo?»
  La compagna di classe fece per rispondere, ma appena notò che qualcuno stava rientrando nell’aula, scattò a sedersi al suo banco, non rendendosi conto che, così facendo, stando dando ragione a Mousse.
 

  Non lo capiva, non lo capiva per niente.
  In tutti quegli anni non si era mai lamentato di come si comportava con lui e, ora, piazzava una scenata del genere?
  Forse nemmeno le importava davvero capirlo, le bastava che le desse una mano e, per quel che le riguardava, poteva pensare di lei ciò che più gli piaceva.
  Ma ogni volta che gli si avvicinava, lui le sfuggiva, ignorandola.
  La faceva impazzire, nessuno l’aveva mai trattata così, si sentiva invisibile.
  Un giorno gli cucinò addirittura dei biscotti. Ci aveva messo ore, impegno, una buona dose di pazienza e anche aiuto della bisnonna.
  Li aveva confezionati con cura e scritto un bigliettino. In realtà non ci aveva scritto niente, l’aveva semplicemente firmato, così che lui sapesse chi fosse il mittente.
  Anche perché, chi altro si sarebbe preso la briga di fare un tale lavoraccio per lui?
  Arrivò prima a scuola e posizionò il pacchetto nel sottobanco di lui.
  Attese l’ora di pranzo, lo spiò dalla sua posizione, pregustandosi il momento in cui li avrebbe mangiati, per poi correre da lei a chiedere scusa per il suo comportamento da pazzo.
  Ma non accadde nulla di tutto ciò.
  Mousse tirò fuori il suo pranzo, lo mangiò con religiosa calma e ripose il contenitore da dove lo aveva preso. Niente biscotti, li snobbò completamente e, se possibile, Shan-pu si infuriò ancora di più.
 

  I giorni passarono e Mousse continuò a comportarsi come se lei non esistesse.
  Decise quindi di prendere la situazione in mano, andando da lui a pretendere le sue scuse.
  Lo accostò alla finestra, dove lui si trovava a fissare il cielo particolarmente sereno.
  «Si può sapere perché mi ignori?» sbraitò, noncurante che qualcuno, al di fuori della classe, potesse sentirla.
  «Non capisco di che cosa tu stia parlando».
  «Lo sai benissimo! È da settimane che mi ignori».
  «Ripeto, non capisco di che cosa tu stia parlando. Oh, guarda, sta entrando qualcuno. Vado a sedermi al mio posto» e così fece, insieme agli altri compagni appena tornati nell’aula.
  Shan-pu, si sentì esplodere.
  Loro due non erano mai stati amici, ma, da un certo punto di vista, lei quasi lo stimava. Era sempre gentile, a tratti appiccicoso ma ligio ai sui doveri di studente. Non aveva mai preso un voto basso lui, al contrario suo e, la costanza e l’attenzione che ci metteva nello studiare, la avevano sempre fatta sentire come più piccola, in confronto a Mousse. Le veniva voglia di prenderlo a esempio, ma ora, era diverso. Sentiva una gran ira montarle nel petto ogni volta che lo vedeva o che gli passava raso. Qualcosa simile all’odio scavava nei meandri della sua mente, per il semplice fatto che lui, l’aveva abbandonata. Aveva bisogno del suo aiuto e si era dato alla macchia, lasciandola in balia di se stessa. Il fatto che la ignorasse deliberatamente, poi, non agevolava affatto la sua posizione.
 

  Gli ultimi mesi scivolarono via come acqua, e quello era l’ultimo giorno di lezione delle elementari.
  Si sentiva estremamente elettrizzata, non vedeva l’ora di frequentare la nuova scuola.
  Aveva dato dei buoni esami, tutto sommato.
  Si era dovuta impegnare molto e, in ogni caso, non era ai livelli che avrebbe potuto raggiungere con l’aiuto di Mousse ma, si sentiva comunque compiaciuta di se stessa, se ignorava quella morsa che le attanagliava lo stomaco.
  Già, Mousse. Quello stupido papero, doveva ancora capire che cosa gli era passato per la testa.
  «Certo che le divise della scuola dove andremo sono veramente carine, vero Lan-Lan?»
  «Sì, sono le mie preferite. Tu che ne dici, Shan-pu?»
  Sentendosi chiamare, dovette costringersi a prestare attenzione alle sue amiche.
  «Come? Oh, sì. Le divise sono veramente belle».
  Tornò a fissare le chiome verde smeraldo dell’albero che le sovrastava, mentre se ne stava seduta sul prato al perimetro dell’istituto.
  «Noi torniamo in classe, vieni anche tu, Shan-pu?»
  «No, arrivo tra un attimo, non mi va ancora di rientrare».
  «Va bene, noi andiamo, ma mi raccomando non fare tardi».
  Sbuffò sonoramente, come poteva togliersi da quell’impiccio?
  Odiava sentirsi in questo modo, come se avesse torto, in qualche modo.
  Ma qual era stato il suo errore?
  Dire davanti a Taro che mai avrebbe frequentato uno come Mousse?
  Nah, impossibile.
  «Come sono andati gli esami?»
  Non dovette nemmeno girarsi per capire di chi era quella voce e arricciò il naso, offesa.
  Come? Dopo averla lasciata nei guai e dopo averla evitata come la peste per mesi, se ne usciva così?
  «Come se ti importasse davvero».
  «Smettila di fare l’offesa, Shan-pu».
  «Parla quello che mi ignora senza un valido motivo».
  Questo scambio di battute iniziava già a scocciarla.
  «Se mi rispondi così, sembra che tu ci sia addirittura rimasta male».
  Stupido papero, perché deve sempre capire tutto?
  Punta sul vivo e rossa d’imbarazzo, fece ciò che le riusciva meglio, sviare e mentire.
  «Non dire stupidaggini, Mousse».
  E lui sorrise.
  «Ho notato che andremo nella stessa scuola».
  «Come buona parte dei nostri compagni, con ciò?»
  «Niente, volevo solo avere la certezza che avrò i tuoi capelli lilla sbattuti in faccia ancora per un po’».
  E questo sapeva tanto di “mi sei mancata”.
  «Ah, comunque, i biscotti erano terribili».
  E lei, rise.
 
***
 
  Il freddo pungente di metà febbraio gli penetrava nelle ossa, anche attraverso il maglione di lana dell’uniforme. Seduto a gambe incrociate sull’erba umida del cortile della scuola, Mousse osservava con attenzione un piccolo amichevole di pallavolo tra alcune delle sue compagne di classe. Gli piaceva il modo in cui quelle ragazze si muovevano in campo, ostentando sicurezza da tutti i pori… ma, cosa ben più importante, adorava guardare Shan-pu mentre giocava con loro. Quella cinesina era un vero e proprio portento: riusciva a far pendere tutti dalle sue labbra.
  Mousse la conosceva dalla prima elementare e, da allora, non era stato più in grado di toglierle gli occhi di dosso. L’aveva osservata sempre da lontano, ammirando la sua innata abilità nel fare amicizia con tutti; e, poi, l’aveva amata – e odiata- da vicino, quando si era trovato costretto a dover imparare a memoria tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Sapeva, ad esempio, che, sotto quella corazza da ‘ragazzina vissuta’, Shan-pu celava un lato tenero e vulnerabile che non voleva mostrare a nessuno… e lui se n’era sempre chiesto il perché.
  Mousse sospirò, estraendo un blocco di fogli dalla sua cartella. Non gli dispiaceva disegnare, anche se, in realtà, era la matematica ad essere il suo forte… tanto che, all’inizio delle scuole medie, aveva deciso di inscriversi al club apposito. ‘Farai sicuramente carriera, se continuerai così’, continuavano a ripetergli i professori, con quell’eccitazione mista a orgoglio tipica degli adulti.
  La sua mano si mosse leggera sul foglio bianco, tracciando una semplice linea curva. Aveva deciso: avrebbe realizzato un ritratto perfetto di Shan-pu… e, poi, forse gliel’avrebbe regalato. Sapeva già che cosa gli avrebbe detto la cinesina, nel vedere il disegno: ‘Ma davvero credi che mi somigli? Io sono molto più bella, paperotto!’
  Mousse rise e continuò ad abbozzare la nuvola di capelli lilla della sua compagna di classe. Li trovava, a dir poco, meravigliosi… senza contare che profumavano perennemente di primavera e di fiori da campo…
  «Che cosa stai disegnando?»
  Quella voce lo fece saltare letteralmente sul posto. Oh, no, non lei, pensò, accatastando i fogli alla rinfusa per nascondere il suo capolavoro dagli occhi indiscreti di Rouge. «Ah, niente, stavo scarabocchiando qualcosa… giusto per ammazzare il tempo», borbottò, infilando il tutto nella cartella. «Comunque, ciao, Rouge.»
  La ragazza piegò la testa di lato, squadrandolo con le palpebre socchiuse. Era una giovane intelligente e molto carina, anche se, a tratti, aveva degli atteggiamenti parecchio… strani e tipici di una stalker di prima categoria. Era la vicepresidentessa del club di matematica e non faceva altro se non girargli intorno in continuazione… Mousse non si sarebbe stupito se, un giorno o l’altro, l’avesse seguito persino nel bagno dei maschi!
  «Non sapevo che ti piacesse disegnare», borbottò Rouge, gonfiando le guance come una bambina stizzita. «Non mi dici mai nulla, Mou Mou!» 
  Il ragazzo roteò gli occhi al cielo e, nel farlo, gli occhiali gli scivolarono sul naso. «Ti ripeto che non si tratta di niente di che… Stavo solo cercando di far passare più velocemente quest’ora buca.»
  «Bah, tu non me la racconti giusta, mio caro! Scommetto che, un giorno, riuscirò a strapparti un disegno dalle mani!»
  Mousse sollevò un sopracciglio, prima di scoppiare a ridere per la buffa espressione stampata sul viso della compagna. Già, al di là del suo comportamento da stalker, Rouge non era una persona malvagia… e lui non poteva certo negare di apprezzarne la compagnia. Le fece cenno di sedersi al suo fianco, prima di lanciare una fugace occhiata alla partita quasi conclusa di pallavolo. In quel momento, Shan-pu stava saltando per compiere una schiacciata che, probabilmente, avrebbe segnato la vittoria della sua squadra. «Non hai lezione?» domandò, rivolgendosi di nuovo alla ragazza al suo fianco.
  Quest’ultima allargò le labbra in un sorriso compiaciuto. «No, perché manca l’insegnante dell’ultima ora! Me ne stavo giusto andando a casa, quando ti ho visto qui, tutto solo soletto… e, così, ho deciso di farti un po’ di compagnia. Spero che non ti dispiaccia.»
  Mousse la guardò in tralice e, senza volerlo, un angolo della sua bocca guizzò all’insù. Nonostante il suo cuore accelerasse solamente quando era vicino a Shan-pu, doveva ammettere che nemmeno Rouge era male, anzi. Quella giovane era di una bellezza talmente innocente che, se solo ci avesse provato, avrebbe fatto cadere ai suoi piedi dozzine di suoi compagni di scuola. I capelli lisci, di uno splendido blu metallico, arrivavano a lambirle la vita; mentre gli occhi color acquamarina si sposavano bene con i lineamenti delicati del suo viso. Era graziosa, sì… ma non era lei, la ragazza per cui lui aveva una cotta. Mousse arrossì e distolse lo sguardo, posandolo nuovamente sulla fonte dei suoi pensieri. Come previsto, il colpo di Shan-pu era andato a segno e, ora, le sue compagne di classe stavano esultando per la vittoria appena conquistata. «Non hai attività del club di cui occuparti?»
  Rouge sporse il labbro inferiore, in una delle sue tante espressioni buffe. «Sì, ma… non ne ho assolutamente voglia! E tu, Mou Mou? Che cosa ci fai qui fuori? Non devi studiare matematica, oggi?» lo rimbeccò, punzecchiandogli il braccio.
  «Dovrei, però… ho promesso a un’amica che l’avrei aiutata a fare i compiti, questo pomeriggio… e quindi, eccomi qui.» 
  La giovane al suo fianco parve accorgersi solo allora della partita che aveva avuto luogo proprio di fronte ai loro occhi. Mousse la vide irrigidirsi, mentre un’ombra indecifrabile le oscurava il volto. Che cosa le era preso, tutto d’un colpo? Glielo stava per domandare, quando Rouge sospirò e tornò allegra come al solito. «Caspita, potevi dirmi subito che stavi aspettando una tua compagna di classe! Ho pensato che… sì, insomma, fossi da solo e avessi bisogno di compagnia; sono proprio sciocca, perdonami! Comunque, credo che la tua amica abbia appena finito di giocare, quindi, se non ti dispiace, io tolgo il disturbo!»
  Mousse la guardò con aria interrogativa: perché così d’improvviso Rouge aveva cominciato a parlare in quel modo, come se averla vicina gli desse fastidio? «Ehi, aspetta», esclamò lui, ma lei gli aveva già voltato le spalle ed era corsa via. Certo che quella tipa è proprio strana…
  «Chi era quella ragazza?»
  Non ebbe bisogno di girarsi per capire chi gli aveva appena rivolto la parola; avrebbe riconosciuto la sua voce anche a distanza, dopotutto. Ma che cos’era, invece, quel tono stizzito – e quasi disgustato- con il quale Shan-pu aveva pronunciato quella domanda? Mousse ruotò su se stesso e specchiò i propri occhi in quelli scarlatti dell’amica d’infanzia. Notò subito che si era cambiata d’abito, decidendo di sostituire gli stretti pantaloncini da ginnastica con la larga gonna a scacchi dell’uniforme scolastica. Quei vestiti le calzavano piuttosto bene, eccezion fatta, forse, della camicetta, che tirava leggermente in prossimità del seno ancora acerbo. Si accorse di essere arrossito, solo quando sentì il calore familiare del sangue sulle guance. «Ehi», borbottò, sviando lo sguardo altrove. Ma che diamine, possibile che quella ragazza non possedesse un minimo di decenza?
  Shan-pu emise un suono molto simile a uno sbuffo e lo afferrò, senza troppa premura, per una ciocca di capelli. «Te l’hanno mai detto, paperotto, che sei proprio un maleducato? Innanzitutto, vorrei che mi guardassi negli occhi, mentre mi parli… e, poi, non hai risposto alla mia domanda: chi era quella ragazza?»
  «Ehi, lasciami andare, finirai per strapparmi i capelli, se li tiri in quel modo!» si lamentò lui, cercando nel frattempo di divincolarsi dalla presa della cinesina. «E, comunque, se ci tieni a saperlo, non era nessuno in particolare… solo la vicepresidentessa del club di matematica.»
  «Tu dici? Parevate parecchio in confidenza per essere dei semplici compagni...»
  Mousse si irrigidì, come se qualcuno gli avesse appena tirato un calcio negli stinchi. Se solo lei avesse saputo… «Da come ne parli, sembra quasi che tu sia gelosa.»
  Punta sul vivo, Shan-pu sussultò e si mordicchiò il labbro inferiore. Quegli occhi rossicci che lui tanto conosceva, lo scrutarono a lungo, per poi piegarsi all’ingiù, quando sul volto della ragazza apparve una smorfia derisoria. Mousse non seppe dire se gli fece più male quella, oppure la battuta che ne seguì: «Io, gelosa di te? Sei caduto e hai sbattuto la testa, per caso? No, mi dispiace distruggere i tuoi sogni ad occhi aperti, ma non sono gelosa… Volevo solo congratularmi con te, perché tu e quella tipa formate davvero una bella coppia.»
  Quelle parole velenose lo colpirono come una cascata d’acqua gelida, tant’è che Mousse dovette sforzarsi di ingoiare un insulto e di trattenere le lacrime. Quella stupida poteva ferirlo quanto voleva, ma lui non le avrebbe più dato la soddisfazione di vederlo piangere… «Già, hai ragione… ma ti assicuro che tra me e Rouge non c’è assolutamente nulla… Siamo solo buoni amici.»
  Shan-pu sventolò le dita, come per scacciare una mosca fastidiosa. «Va beh, tutto quello che vuoi. Comunque, se non ti dà troppo fastidio, vorrei posticipare i nostri ripassi a domani... così, oggi pomeriggio, posso andare in centro con le gemelle. Dicono che vogliono comprarmi un regalo con i fiocchi, visto che la prossima settimana sarà il mio compleanno.»
  Quella scema sprizzava felicità da tutti i pori… e, con quel suo caratteraccio, era capace di far ribaltare completamente l’umore di Mousse, che si ritrovò a sorriderle, suo malgrado. «Quelle due sono davvero delle ottime amiche, non c’è che dire.»
  «Già, concordo assolutamente con te!» cinguettò Shan-pu, prima di scaricargli la cartella sulle braccia. «Tornando a casa, potresti per favore fare una piccola deviazione e portare la mia borsa alla bisnonna? A quest’ora, sarà occupata con il ristorante e mi starà aspettando per le consegne… però, dille pure che oggi non posso aiutarla.»
  Mousse sgranò gli occhi come un pesce lesso. «Ma io…» iniziò, per poi inciampare sulla frase che stava per pronunciare, quando la ragazza gli rivolse uno sguardo che non ammetteva repliche.
  «Vedi tu che scusa inventarti con la mia nei nai; confido in te, paperotto!» esclamò la cinesina, prima di dileguarsi in tutta fretta.
  Il giovane rimase a fissare il punto dal quale Shan-pu era sparita, dopodiché sospirò. Quell’antipatica era riuscita ad approfittare di nuovo di lui e della sua gentilezza… ma, presto, la ruota sarebbe girata e avrebbe donato un po’ di fortuna anche a lui, ne era convinto.
 

  «Non ti sta stretta tutta questa situazione?»
  Mousse, che in quel momento stava risolvendo un’equazione piuttosto complessa, ruppe accidentalmente la punta della matita. Quel pomeriggio, aveva legato i capelli in una coda di cavallo e, quando sollevò la testa per puntare lo sguardo sulla sua compagna di club, una ciocca ribelle gli ricadde sugli occhi. «Che vuoi dire?» borbottò, prima di mettersi a frugare nell’astuccio per recuperare il temperino.
  Rouge si stiracchiò pigramente sulla sedia, allungando le braccia dietro allo schienale. «Parlo di quella ragazza, quella… che stavi aspettando ieri in cortile. Scusami, ma non ho potuto fare a meno di ascoltarvi… ero troppo curiosa di sapere chi fosse.»
  «Ma dico, Rouge», sbottò Mousse, chiudendo il quaderno e picchiando una mano sulla superficie del banco, «ti hanno mai insegnato a rispettare la privacy altrui? Insomma, questa volta hai superato davvero il limite.»
  «E dai, Mou Mou… Non arrabbiarti con me! Sai bene come sono fatta e…» La giovane richiuse di scatto la bocca, quando lui le rivolse un’occhiata tagliente. Le aveva ripetuto fino allo sfinimento che non poteva soffrire quei suoi atteggiamenti da stalker psicopatica, eppure lei… lei continuava a comportarsi in quel modo, non curandosi minimamente delle conseguenze. Sapere che poi, quell’impertinente era arrivata persino ad ascoltare la sua conversazione con Shan-pu, gli fece stridere il sangue nelle orecchie. Non bastava l’umiliazione di essere stato trattato come una bestia dalla ragazza di cui era infatuato… ora si metteva anche Rouge a fargli la predica su tutta quella situazione. Come se lui non se ne rendesse affatto conto…
  Mousse si alzò in piedi e cominciò a racimolare le sue cose sul tavolo. Stranamente, gli era passata anche la voglia di studiare… Non vedeva l’ora di tornare a casa e di tuffarsi sotto il getto freddo e ristoratore della doccia. «Non mi va di parlarne, o perlomeno, non con te.»
  Stava per girare sui tacchi per andarsene, quando Rouge lo afferrò per il polso. «Ti prego, perdonami, Mou Mou! Io… non pensavo che questo argomento ti sconvolgesse tanto… Giuro che non era nelle mie intenzioni ferirti… Se non ti va di confidarti con me, non farlo, non voglio costringerti.»
  Mousse inspirò bruscamente dal naso e si morse il labbro inferiore per impedirgli di tremare. Sapeva bene che la vicepresidentessa del club non c’entrava nulla e che non era giusto prendersela con lei, però… non era riuscito proprio a trattenersi; quella discussione era un vero tabù per lui. «Mi dispiace, non avrei dovuto perdere la calma», mormorò in un soffio e Rouge allentò la pressione sul suo braccio fino a lasciarlo andare. «Se devo essere sincero, non vado affatto fiero della relazione che ho con quella ragazza, Shan-pu… ma la conosco da anni, e so per certo che le cose, tra noi, non cambieranno mai.»
  Rouge lo fissò per un lungo istante, con le trecce basse che le penzolavano ai lati del volto. Quella pettinatura le donava, nonostante la facesse sembrare più piccola del dovuto. «Tu provi qualcosa per lei, non è vero?»
  Quella domanda, seppur innocente, lo fece trasalire: possibile che fosse evidente a tutti, fuorché alla diretta interessata? Oppure… era Shan-pu a far finta di non vedere pur di non accettare che il suo adorato paperotto nutrisse dell’affetto nei suoi confronti? In fin dei conti, lei era stata chiara sin dal principio, con quell’assurda convinzione di volergli parlare solamente quando non vi era qualcun altro nei paraggi… Io sicuramente non frequento gente sfigata come te, quelle parole echeggiarono vivide nelle sue orecchie, e Mousse scosse la testa pur di segregarle nuovamente in un angolo dimenticato del proprio cuore. Shan-pu non lo pensava davvero e aveva anche avuto occasione di dimostrarglielo, durante l’ultimo anno delle elementari.
  «L’ho capito da come le parlavi», mormorò Rouge, interrompendo bruscamente il flusso dei suoi pensieri. «Pendevi completamente dalle sue labbra, come se non esistesse persona più affascinante di lei… e, poi, quando le hai sorriso, mi si è sciolto il cuore. Nessuno mi ha mai sorriso in quel modo, con quella bellissima luce in fondo agli occhi.»
  Mousse aveva smesso di pensare e, ora, vedeva solo Rouge, con quelle stupide trecce e il petto che si sollevava e si abbassava frenetico, come se stesse sopportando un peso troppo grande da reggere. Riuscì a cogliere un lieve rossore sulle guance della compagna, prima che questa si girasse per dargli le spalle. «Vorrei tanto che lasciassi perdere.»
  «C-Come?» Mousse si morse le labbra, quando la ragazza si irrigidì. Era chiaro dal suo tono di voce che non volesse essere udita, ma quella parola gli era uscita di bocca prima che lui riuscisse, in qualche modo, a frenarla.
  L’imbarazzo scivolò piano tra loro, facendo sentire Mousse un emerito idiota. Come poteva avere la presunzione di lamentarsi nei confronti della cecità di Shan-pu, se nemmeno lui era capace di vedere oltre una spanna dal proprio naso? Ti prego, di’ qualcosa… pensò, mentre una forza invisibile si serrava intorno al suo stomaco, torcendolo dolorosamente. Fu in quel momento che Rouge ruotò su se stessa, rivolgendogli un sorriso troppo tirato per essere vero.
  «Ah, no, nulla, stavo solo pensando ad alta voce! Comunque, Mou Mou, hai sentito che hanno aperto una nuova pasticceria a tre isolati da qui? Pare che vendano i Long Xu Su più buoni di tutta Joketsuzoku! Ti va di aiutarmi a finire questi maledetti compiti e di fare un salto lì con me dopo la scuola?»
  Il giovane sollevò un sopracciglio, attonito. Quella ragazza aveva la straordinaria capacità di celare in continuazione il suo reale stato d’animo, soffocando la tristezza con una contagiante allegria. Ma quanto avrebbe durato ancora, quella maschera, prima di iniziare a incrinarsi? Uno sbuffo divertito gli fuggì, suo malgrado, dalle labbra. «Ma se sei più brava di me in matematica…»
  Rouge roteò gli occhi al cielo e prese nuovamente posto sul suo lato della scrivania. «Ti stupirai, mio caro, ma la bravura è solo questione di punti di vista.»
 

  Il paese di Joketsuzoku sorgeva in una tranquilla località montana nel cuore della Cina meridionale. Il tempio principale si trovava in cima ad una bassa altura, nei pressi di un rigagnolo di acqua cristallina. Era proprio lì che, ogni anno, si teneva la tradizionale festa delle lanterne, con i suoi esemplari giochi di prestigio e le tipiche danze orientali.
  Mousse lanciò un’occhiata furtiva a Shan-pu, una figura che emanava luce propria nel bel mezzo di quel bellissimo tripudio di suoni e colori. Era semplicemente stupenda nel suo cheongsam verde acqua che le fasciava morbidamente le gambe fino alle caviglie, mettendole inevitabilmente in risalto il colore particolare dei capelli. Lan-Lan li aveva acconciati sapientemente per l’occasione, intrecciandoli con dei fiori finti in un elaborato chignon.
  «Di chi è stata la geniale idea di organizzare il mio compleanno durante il capodanno?» stava chiedendo in quel momento la cinesina alla piccola comitiva al suo seguito, mentre insieme si incamminavano lungo il sentiero che portava sulla sommità della collina. 
  Lin-Lin strizzò l’occhio a Mousse; era stata lei ad aiutarlo ad allestire il tutto, lasciando alla sorella l’arduo compito di distrarre la festeggiata dai preparativi. «Credo proprio che la tua sorpresa le sia piaciuta», gli sussurrò, con un sorriso affabile stampato sulle labbra. Con il passare del tempo, le gemelle si erano abituate alla presenza costante di Mousse nella loro vita e, durante il primo anno delle medie, si erano affezionate a lui, finendo con il considerarlo al pari di un fratello.
  Il ragazzo arrossì e abbassò lo sguardo sulla lanterna che reggeva tra le mani. Era già accesa e un vivace fuocherello scoppiettava al suo interno, ricreando un magico gioco di luci ed ombre contro la carta biancastra. «T-Tu dici?»
  «Certo che sì! Non vedi com’è felice la nostra Shan-pu? Dai retta a me, Mousse, sono convinta che entro questa sera, riuscirai a farla cadere tra le tue braccia!»
  Mousse sobbalzò, sentendo il sangue affluirgli lentamente all’attaccatura dei capelli. ‘Fidanzata’, quell’appellativo suonava strano accostato al nome della sua prima cotta; il solo pensarci gli faceva fremere anche la punta dei piedi.
  «E poi… nel caso tutto questo non funzioni, ti ricordo che abbiamo escogitato anche un piano B», esclamò Lin-Lin, gioviale, trotterellando al suo fianco.
  Già, il piano B, pensò lui. Consisteva in una semplice lettera tra le cui righe Mousse aveva esplicato i suoi sentimenti a Shan-pu, aprendole completamente il cuore. Si vergognava a tenerla dentro una tasca del changshan, come un bambino che cercava di nascondere invano una marachella. Una parte di lui, sperava davvero di non dover esser costretto a ricorrere a quella per parlare alla ragazza della sua infatuazione. Voleva dirglielo di persona, guardandola dritta in quegli occhi rossastri che tanto adorava e… Sospirò. «Vorrei che fosse più semplice.»
  Lin-Lin gli rivolse uno sguardo obliquo, carico di apprensione. «Sei tu che ci stai facendo una questione di Stato, tesoro.» 
  «Bah, se lo dici tu… Piuttosto, mi vuoi spiegare che diamine ci fa lui qui?» brontolò Mousse, gettandosi un’occhiata alle spalle. Taro stava camminando proprio dietro di loro, con quella sua perenne espressione strafottente stampata in faccia, e i pollici ben ficcati nei passanti dei jeans a vita bassa. Indossava una semplice camicia blu scuro, i cui bottoni si aprivano sul davanti, lasciando scoperta una piccola porzione di torace diafano. Se voleva atteggiarsi da divo del cinema, pensò Mousse con una punta di ironia, di certo aveva scelto il posto sbagliato… senza contare che quell’abbigliamento lo faceva sembrare ancora più idiota di quello che in realtà era.
  Al suo fianco, Lin-Lin emise un suono non consono a una ragazzina perbene. Delle sorelle Chen, era sempre stata lei la meno aggraziata… e, con il passare degli anni, quel suo lato caratteriale aveva finito inevitabilmente con l’acuirsi. «Non chiedermelo nemmeno, perché non ne voglio sentire parlare… Shan-pu deve essere proprio scema per non rendersi conto di quanto pomposo e imbecille possa essere quel ragazzo!»
  «Su questo non posso darti torto, però… non eri tu quella che aveva un’enorme cotta per lui?»
  «Sì, ma si trattava solo di una semplice sbandata… non di una vera e propria cotta come la definisci tu! Mi pento solo di aver lasciato il mio primo bacio a quella sottospecie di babbuino.»
  Mousse trasalì e Lin-Lin lo osservò con espressione instupidita. «T-Tu… che cosa?! Quando è successo? E perché non me lo hai mai raccontato? Pensavo fossimo amici, io e te... e, invece, sei solo una traditrice!»
  La ragazza si massaggiò le tempie con la punta delle dita, mentre le sue guance assumevano la stessa tonalità delle mele mature. «Ecco che ricominci a esagerare come al tuo solito, Mousse!» lo rimproverò, arricciando le labbra in una smorfia. «E poi, se ci tieni tanto a saperlo, non ti ho detto nulla perché non l’ho ritenuto importante. Mi ha fatto talmente schifo, che il solo ripensarci mi mette ancora i brividi!»
  Vedendo l’amica così in difficoltà, Mousse trattenne a stento una risata. Erano arrivati in prossimità della cima della collina e, a qualche metro da loro, Lan-Lan si era fermata per aiutare la festeggiata ad accendere una lanterna. Anche Taro li aveva superati per raggiungere quelle due e, ora, la vivace fiamma di una candela gli scoppiettava tra le mani, disegnandogli degli spigoli rossastri sugli zigomi alti. Mousse distolse lo sguardo per posarlo nuovamente su Lin-Lin, che stava osservando la scena con espressione pensierosa. «Come mai non ti è piaciuto?» si azzardò a chiederle.
  A quella domanda, la giovane sbuffò. «Perché… quel tipo non è affatto capace di baciare come si deve! Non ci ha pensato nemmeno un secondo, prima di ficcarmi la lingua in bocca; sembrava un cane bavoso e allupato!» sbottò, prima di girarsi verso di lui. I suoi occhi azzurri parevano quasi neri sotto la luce della luna, due pozze scure ricolme di tristezza. «Ma il peggio è stato quando ho scoperto che quell’imbecille mi ha baciata solamente per presunzione e non perché gli piacessi realmente.»
  «Che… Che intendi dire?»
  Lin-Lin rimase in silenzio, con le mani strette a pugno lungo i fianchi; dopodiché si sciolse in un sospiro. «Che, dopo avermi baciata, l’ho sentito dire in giro di aver superato il record di venti ragazze cadute ai suoi piedi nel giro di pochi mesi. Per lui, sono stata solamente un cavolo di numero, nulla di più. Adesso capisci perché vorrei che Shan-pu aprisse gli occhi e si accorgesse di te? Le voglio molto bene e non mi piace che quell’idiota le ronzi intorno in quel modo. Lei è… sempre così allegra, non merita di avere il cuore spezzato come me.»
  Mousse si morse il labbro inferiore con rabbia. Un giorno o l’altro, l’avrebbe fatta pagare cara a quel tipo per aver fatto soffrire una sua preziosa amica. Non sapendo che altro dire, però, si limitò ad appoggiare una mano sulla spalla di Lin-Lin e a stringerla con affetto. «Nemmeno tu meriti di star male, anzi… Non pensare a quello stupido, perché non vale la pena versare delle lacrime per uno come lui. Adesso che ne dici se andiamo a divertirci insieme agli altri?» 
 

  Mousse inspirò profondamente, stringendo la lanterna tra le mani. Al suo interno, il fuocherello crepitava ancora vivacemente, scaldandogli le dita intirizzite dal freddo pungente di fine febbraio. «Vi prego», mormorò, sollevando il naso verso il cielo punteggiato di migliaia di stelle splendenti. Era una notte serena, priva di nuvole, di quelle che susseguono un brutto acquazzone invernale; ma al contempo, l’aria fredda gli riempiva i polmoni, facendogli sentire il ghiaccio sin dentro le ossa. «Almeno per questa sera, datemi la forza di dirle quello che provo…» 
  Le parole gli uscirono di bocca in una soffice condensa gelata, che si disperse quando la lanterna scivolò via dalle sue mani, prendendo lentamente il volo. Mousse rimase a osservarla incantato, rivolgendo, nel mentre, una silenziosa preghiera agli astri. Era giunto finalmente il momento; doveva raccogliere tutto il coraggio che aveva in corpo per…
  «Non è che hai visto Shan-pu, per caso?» gli domandò improvvisamente Lan-Lan, parandosi di fronte a lui con le mani premute lungo i fianchi. Era uno scricciolo di un metro e sessantacinque, ma con le zeppe alte, arrivava quasi a sovrastarlo di qualche centimetro. Una ciocca di capelli color magenta le era sfuggita da uno degli stretti odango che le ornavano la nuca, e ora, le ricadeva disordinata su un lato del volto. Lan-Lan la scostò con impazienza e gli rivolse un’occhiata altrettanto irrequieta. «L’ho cercata dappertutto, ma non riesco proprio a trovarla!»
  Mousse si sistemò gli occhiali sul naso, per celare con le dita il rossore che gli stava lentamente imporporando le guance. Che avesse sentito tutto quello che aveva detto…? Certo, le gemelle erano ben a conoscenza dei suoi sentimenti per Shan-pu, però… «C-Che cosa ti fa pensare che io… sì, insomma, che io sappia… dove possa essersi cacciata quella stupida?»
  «Beh, visto che tu la tieni costantemente sott’occhio, ho creduto che... va beh, lascia perdere! Perché non la smetti di comportarti da papero balbuziente e non mi aiuti a cercarla, piuttosto?» 
  Papero balbuziente, Mousse odiava quel soprannome, eppure Lan-Lan non aveva esitato a chiamarlo in quel modo, incurante che quelle parole potessero ferirlo o meno. Era questa la caratteristica che più la contraddistingueva dalla sorella. Se, infatti, da una parte, Lin-Lin era tutta gentilezza e nobiltà d’animo; dall’altra, la gemella era un tripudio di acidità e frasi sarcastiche.
  Il ragazzo trattenne a stento una parolaccia, sforzandosi, nel mentre, di ricacciare indietro la rabbia che gli stava montando nelle vene. «Ma, insomma, Lan-Lan, non era con te fino a qualche minuto fa?»
  «Sì, però, poi ha voluto allontanarsi con Taro e… diamine, se non la troviamo in fretta, si perderà lo spettacolo pirotecnico che abbiamo organizzato in suo onore!»
  Mousse udì a malapena le ultime parole pronunciate dall’amica; il suo cervello si era inceppato al nome di quell’imbecille. Perché Shan-pu avrebbe dovuto allontanarsi proprio con un tipo come lui? Che fosse perché… Quel pensiero lo fece scattare come una molla.
  Liquidò alla svelta Lan-Lan che stava continuando a berciare come un’oca starnazzante, e si lanciò alla disperata ricerca della festeggiata. Non era possibile… lui aveva organizzato quella serata nei minimi dettagli solo per riuscire a conquistarla… Non poteva assolutamente farsela soffiare da sotto il naso, non in quel modo!
  «Shan-pu!» urlò, svuotando completamente i polmoni da tutta l’aria che aveva in corpo. Alcuni dei passanti si voltarono a fissarlo con aria scocciata; cert’altri, invece, si limitarono a scansarsi per lasciarlo passare, borbottando frasi sconnesse e ricolme di stizza… La festeggiata, però, pareva essersi completamente volatilizzata insieme a quel damerino da quattro soldi. Mousse si fermò, raccogliendosi la testa tra le mani. Non doveva farsi prendere dal panico, non…
  «Mi vuoi spiegare perché diavolo stai strillando in quel modo?!»
  Il cuore gli si arrestò per un attimo in gola… salvo poi ricominciare a battergli con furia nel petto. Un giorno o l’altro, quella ragazza l’avrebbe fatto crepare di arresto cardiaco, Mousse ne era più che certo. Tirò un sospiro di sollievo e si asciugò furtivamente le lacrime che avevano cominciato a imperlargli le ciglia, prima di girarsi e… rimanere pietrificato sul posto.
  Le mani di Shan-pu erano completamente avvinghiate al braccio muscoloso di Taro che, in quel momento, gli stava sorridendo con aria di superiorità. Mousse si soffermò a osservare i segni evidenti di quello che probabilmente era successo tra i due. Il lucidalabbra color fragola della cinesina, ad esempio, parlava piuttosto chiaro e pareva volerlo schiaffeggiare con parole crudeli: ‘Sciocco, non vedi com’è sbavato? E quella macchia sulla camicia di quell’imbecille? Non dirmi che non ci arrivi, non sei mica nato ieri!’
  «I-Io… ti stavo cercando perché Lan-Lan non era in grado di trovarti… e, sì, ci tenevamo che non perdessi… insomma… che non perdessi lo spettacolo pirotecnico che abbiamo organizzato in tuo onore e…»
  Fu in quell’istante che Taro lo interruppe, sbuffando una risata. «Ma l’hai sentito, Shan-pu? Il tuo amichetto balbetta peggio di un’anatra strozzata! Sei sicura che la Mouss-ite gli sia passata del tutto?»    
  «Io non…» iniziò Mousse, ma le parole gli si incastrarono dolorosamente in gola, quando la ragazza si portò una mano alla bocca per nascondere un sorriso. Cercava di non darlo a vedere, ma anche lei, come quel cretino, si stava facendo beffe di lui! Dopo tutto quello che aveva fatto per renderla felice, dopo tutti i momenti che avevano passato insieme… Mousse singhiozzò e, in quel momento, seppe che qualcosa dentro di lui… qualcosa di veramente profondo, aveva cominciato irrimediabilmente a incrinarsi. Gli sembrava di avere una lama impiantata nel petto e di dover fare forza su se stesso pur di non urlare per il dolore. Qualcosa, però, era certo: non ci sarebbe stata nessuna dichiarazione d’amore quella sera… né a parole né su lettere chilometriche.
  «Lascialo stare, Taro», cinguettò Shan-pu… e, per la prima volta dopo tanto tempo, la sua voce gli giunse alle orecchie distante, un suono insopportabile persino da ascoltare. «Pensiamo piuttosto ad andare a divertirci; la serata non è ancora terminata e tu ci hai messo tanto impegno per organizzarla…»
  Bugiardo! Mousse si morse il labbro inferiore talmente forte da sentire il sapore ferroso del sangue in bocca. Gli veniva da vomitare… e non solo per la bile amarognola che gli stava appestando la gola. Era proprio vero quando, nelle favole, ti raccontavano che il cattivo ragazzo aveva sempre la meglio su quello sfigato. Nessuno si interessava mai al personaggio dal cuore buono, un po’ bruttino e con due fondi di bottiglia sul naso. Nessuno…
  «Ehi, paperotto, che ci fai lì impalato? Non vieni?»
  A quella domanda, Mousse sollevò lo sguardo su Shan-pu… e capì che la vera cecità, a volte, non era quella che contaminava gli occhi, bensì il cuore. Era come avere davanti un frutto proibito: bellissimo dall’esterno, avvizzito e marcio dall’interno. Come aveva potuto solo credere che lei potesse essere diversa dalle stupide ragazzine della loro età? «No, non mi sento tanto bene; penso proprio di tornarmene a casa, se non ti dispiace.» 
 

  Dopo tanti anni di silenzio, Mousse si era finalmente sciolto in un pianto liberatorio. Aveva singhiozzato per ore, con la faccia premuta nel cuscino ormai zuppo; fino a quando non era sprofondato in un sonno agitato e tempestato di incubi. Shan-pu era apparsa nei suoi sogni, e in tutti, si faceva beffe di lui, urlandogli insulti di qualsiasi genere. La odiava; come aveva potuto prendere una cotta per una persona tanto orribile?
  Mousse ingoiò a fatica il nodo che gli si era formato in gola e si mise seduto sul letto. Era ormai mattina inoltrata ma, nonostante ciò, non aveva alcuna forza per alzarsi e stamparsi in faccia un sorriso di cortesia per affrontare al meglio la giornata. Per non contare, poi, che doveva avere sicuramente un aspetto terribile; cosa avrebbe raccontato a sua madre, quando gli avrebbe chiesto com’era andata la serata? Aveva, forse, il coraggio di mentirle per farle credere che fosse tutto apposto, mentre in realtà, il mondo gli stava crollando letteralmente addosso? Mousse sospirò e si lasciò cadere nuovamente sul materasso. Cosa sarebbe successo se, al posto di essere uno stupido quattrocchi, avesse avuto l’aspetto da fighetto di Taro? Avrebbe, forse, avuto più fortuna con le belle ragazze?
  Un rumore alla porta lo strappò violentemente dai suoi pensieri, e lui si limitò a girare la testa sul cuscino. Non aveva voglia di vedere nessuno; non era forse chiaro, visto che aveva la porta chiusa? «Mamma, sto bene, se è questo che ti preoccupa», borbottò, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli. «Se, invece, sei Lin-Lin… sei pregata di lasciarmi in pace, non sono dell’umore per…»
  «Non sono né tua madre né Lin-Lin.»
  Mousse si sentì ghiacciare il sangue nelle vene; cosa ci faceva quella stronza in camera sua? Chi le aveva dato il permesso di entrare e di invadere il suo spazio personale, dopo tutto quello che gli aveva fatto? Credeva, forse, che fosse un burattino senza cuore nel petto, pronto a perdonarla come se nulla fosse successo? No, non era più un bambino; non sarebbero bastati un faccino triste e un paio di biscotti bruciacchiati a fargli cambiare idea sul suo conto. 
  «Vattene via.» Quelle parole gli scapparono di bocca, prima che lui riuscisse, in qualche modo, a rendersene conto. Si ritrovò, quindi, a stringere i denti e ad affondare con forza la faccia nel cuscino. Vattene, vattene, per l’amor di tutti gli dei, vattene via…!
  Shan-pu, però, non si lasciò intimorire dal suo tono ostile e rimase esattamente lì dov’era. Fin da piccola, era sempre stata una testa calda, orgogliosa sino al midollo e incapace di ascoltare altri, se non la propria coscienza. Mousse non la sopportava anche per questo. «Lin-Lin mi ha raccontato tutto; di come… avete organizzato la mia festa di compleanno nei minimi dettagli. Taro non ha mosso un dito in tutto questo, non è vero?»
  «Già, ma che importanza ha, ormai? Tu vedi solo quello che vuoi vedere; non stai a sentire le persone che ti circondano… e finisci inevitabilmente con il ferirle. Vuoi sapere perché sono ridotto in questo stato? Vuoi saperlo, maledizione?»
  Shan-pu rimase in religioso silenzio, e fu in quell’istante che Mousse perse la pazienza. Scattò a sedere sul letto e fece saettare lo sguardo in direzione dell’amica d’infanzia. Ci vedeva abbastanza da notare che aveva la mascella contratta, i muscoli rigidi come stecchini, e un’espressione più contrariata che afflitta. Il ragazzo sentì le labbra piegarsi in un ghigno amaro; anche nelle situazioni più disperate, quella scema non riusciva a scrollarsi di dosso quel suo stupidissimo orgoglio. «Per tutto questo tempo, ho creduto fortemente che in te ci fosse qualcosa di buono…» mormorò, suo malgrado; e la voce gli si spezzò proprio nell’ultima parola. Non stava raccontando fandonie; aveva sperato davvero nella bontà di Shan-pu… vi si era aggrappato con più forza di quanto avesse voluto. «Ieri sera, però, sei riuscita a farmi ricredere con quel tuo comportamento da idiota. In te non c’è affatto spazio per sentimenti come la gentilezza, perché sei talmente cruda ed egoista da non riuscire a pensare ad altri, se non a te stessa e alla tua dannatissima reputazione.»
  Shan-pu strinse forte i pugni finché le nocche non le diventarono quasi bianche. «Ma non è vero, io…!» Sono molto più di questo? Non sono così superficiale? Mousse sollevò un sopracciglio, al che lei si zittì e arricciò il labbro, chiaramente infastidita dalle sue parole. Forse perché, in fondo al cuore, anche lei era conscia che quella fosse l’amara verità?
  «Ma brava, vedo che hai anche il coraggio di offenderti! Che te lo dico a fare, poi… Parlare con te è come chiacchierare con un muro, inutile e improduttivo. E io che ti avevo anche scritto una lettera per parlarti dei miei sentimenti… Quanto sono stato cieco davanti all’evidenza…»
  «C-Che cosa…?»
  Il ragazzo le indicò, con un cenno delle dita, la busta chiusa che aveva lasciato sulla scrivania. Aveva l’aria un po’ sgualcita, ma era stato solo un caso se Mousse non l’aveva ancora ridotta a brandelli per poi gettarla nella pattumiera. Che valore poteva avere, in fin dei conti, una lettera in cui vi erano descritti sentimenti che ormai non provava più? «Tienila, buttala o dalle fuoco… non mi interessa. L’importante ora è che tu prenda le tue cose e te ne esca dalla mia stanza.»
  «Ma paperotto…»
  Il giovane sbuffò una risata che suonò, al contempo, divertita e amara alle proprie orecchie. Da quando aveva smesso di piacergli quel soprannome? «Non chiamarmi in quel modo, per piacere… anzi, non chiamarmi mai più», esclamò, cercando di mantenere un tono glaciale, definitivo. Si accoccolò, quindi, sulle lenzuola stropicciate e ascoltò la porta richiudersi con un tonfo, nell’esatto momento in cui Shan-pu uscì dalla sua camera… e dalla sua vita. Fu in quell’istante che si concesse di piangere nuovamente; che cos’aveva fatto di male per sbagliare tutto in quel modo? 
 
***
 
  Rigirò ancora, tra le dita affusolate, quel foglio ormai incartapecorito, sul quale, in modo del tutto inaspettato, aveva versato lacrime.
  Era passato poco più di un mese dal suo compleanno e, agli occhi di tutti, Shan-pu era sempre la solita; ignari di quello che la sua mente stava in realtà elaborando.
  Non poteva stupirsene, d’altronde. Era sempre stata molto brava a nascondere i suoi veri pensieri, le sue emozioni, i suoi sentimenti. Forse, era sempre stata brava a nascondersi e basta.
  Solo Mousse si era preso veramente la briga di guardare oltre all’apparenza. Aveva dato spesso ironicamente il merito di questa dote a quegli spessi occhiali che gli poggiavano sul naso, rendendolo a tratti buffo e in certi momenti… affascinante.
  Era anche l’unico ad averla mai spaventata.
  “In te non c’è affatto spazio per sentimenti come la gentilezza, perché sei talmente cruda ed egoista da non riuscire a pensare ad altri, se non a te stessa e alla tua dannatissima reputazione.”
  Quella straziante frase le rimbombava nella testa, senza lasciarle pace da giorni. Si era sempre fidata del giudizio di Mousse, in qualsiasi ambito egli decideva di esprimerlo.
  Per questo, quella frase le era affondata nel cuore, come una lama infuocata.
  Perché lui non aveva mai sbagliato.
  Che lei fosse realmente così?
  Accarezzò la carta sottile della lettera, ricalcando con i polpastrelli la scrittura elegante e minuziosamente curata del ragazzo, come a tentare che quelle parole d’amore le restassero indelebili sottopelle. Non era mai stata buona o particolarmente gentile con Mousse ma lui, nonostante ciò, provava dei sentimenti per lei e questo la faceva sentire ancora più colpevole di quanto non si sentisse già: aveva ferito la persona a lei più cara e non aveva modo di redimersi.
  Piegò con cautela la lettera, prima di riporla nel cassetto della scrivania, per poi buttarsi sul letto e lasciarsi andare a un altro lento, silenzioso e liberatorio pianto.
 

  «Allora Shan-pu, come te passi con Taro? Vi ho visti l’altro giorno, nel parco,  eravate proprio dei piccioncini in amore!»
  A Shan-pu salì un senso di nausea solo a sentir pronunciare quel nome. Taro era tutto fuorché quel che appariva. Le sue labbra si tirarono di riflesso in un sorriso quasi disgustato, ma riuscì a riprendere repentinamente il controllo delle sue espressioni, prima che qualcuno notasse qualcosa.
  «Sì, certamente. Tra me e Taro va che è una meraviglia», si sforzò di rendere il suo tono giulivo e allegro, il più possibile.
  «Oh, ma davvero? E va una meraviglia anche quando ti ordina di andare a prendergli il pranzo al bar della scuola?»
  Shan-pu scattò a quelle domande sarcastiche. Pur sapendo che Lin-Lin avesse ragione, non poteva accettare di ascoltare quelle accuse. Taro era pur sempre il suo fidanzato.
  «Non me lo ordina, mi chiede un semplice favore, e non mi costa nulla».
  Infilò la camicia della divisa in fretta e furia, quella situazione iniziava a starle stretta.
  «Che non ti costi nulla ne dubito, visto che non ti torna mai i soldi. Ti prego, Shan-pu, spiegami come fai a stare con un simile citrullo? Ha più barba che neuroni!»
  «Ma Taro non porta la barba!» l’esclamazione innocente di una sua compagna di classe riuscì a farla innervosire ulteriormente, grazie anche ai risolini che iniziarono a levarsi nello spogliatoio.
  «Per l’appunto», rispose con tono ovvio e seccato Lin-Lin, intanto che prese a massaggiarsi tra gli occhi, spazientita.
  «Lin-Lin, lasciala in pace. In fondo sempre meglio lui di quel papero quattrocchi, non è forse così?» Lan-Lan decise di intromettersi, spezzando una lancia a favore del ragazzo al centro della discussione.
  Shan-pu alzò un sopracciglio, indispettita. Lan-Lan non aveva mai sprizzato gentilezza e buone parole da tutti i pori, soprattutto nei confronti di Mousse, ma solo in quel momento avvertì una sorta di rabbia, nel sentirla pronunciare certe parole.
  «Non parlare male di Mousse, Lan-Lan».
  «E perché no? L’ho sempre fatto e non mi sembra che tu abbia mai preso le sue difese».
  «Beh, adesso sì invece, quindi piantala di fare l’acida».
  «Senti da quale pulpito viene la predica! Come se tu con lui fossi sempre stata gentile!»
  «Smettila e basta, mi infastidisce».
  D’accordo, lei non si era comportata certamente bene con lui, ma non aveva mai avuto la vera intenzione di ferirlo, semplicemente non sapeva come comportarsi. Con lui non aveva mai avuto la necessità di nascondersi, ed era per questo, forse, che tentava di allontanarlo da lei, trattandolo male.
  Le faceva paura come Mousse riuscisse a farla riflettere, quando si arrabbiava, prima di rendere azioni le sue intenzioni.
  Oppure si rendeva conto di essere spaventata, quando lui, semplicemente con uno sguardo, le leggeva dentro e lei, questo, non lo voleva.
  «In ogni caso, ti sei comportata da stupida, Shan-pu».
  Lin-Lin tornò a far sentire la sua voce, rimproverando l’amica con tono severo.
  «Per quale motivo?»
  «Ti sei lasciata scappare Mousse per cosa? Per aggrapparti a quello scimmione senza cervello?»
  «Non ti riguarda, Lin-Lin».
  «Ah no? Guarda che anche lui è un mio amico, e averlo visto star male perché tu ti comporti come una gallina in piena crisi ormonale non mi ha fatto piacere».
  Lo sapeva, lo sapeva perfettamente di essersi comportata da schifo, di averlo umiliato e ferito in un modo che lei nemmeno poteva immaginare, ma quelle parole non fecero altro che risvegliare il suo orgoglio e la sua voglia di salvare le apparenze, il voler dimostrare che lei, non sbagliava.
  Alzò il capo verso l’alto e guardò la sua amica con aria di sufficienza, volendo ribadire il suo esser superiore a tutti.
  «Non è certo colpa mia se si è innamorato di me! Poi figurati se, una come me, potrebbe mai stare con uno come lui».
  Neanche finita di pronunciare quella frase che già si sentì pentita, come ogni volta che reagiva d’impulso.
  «Perfetto! Allora è magnifico che lui stia con una come… Rouge, ad esempio».
  Sgranò gli occhi, stupefatta e… sconvolta.
  Sentì lo stomaco sottosopra e la gola le si strinse in maniera dolorosa, lasciando appena passare l’aria.
  Non era possibile.
  «Stai dicendo che Mousse sta con Rouge? Quella pazza stalker che lo pedinava ovunque?»
  «Beh, che pretendevi, che ti aspettasse per sempre?»
  Shan-pu uscì come una furia dallo spogliatoio, sbattendo la porta dietro le sue spalle, per fiondarsi in classe e parlare con Mousse.
 

  «Ma ti è andato in pappa il cervello?»
  Lo guardava dall’alto, con le mani posate sui fianchi, mentre si ergeva davanti al suo banco.
  Il cuore le batteva a mille, se lo sentiva rimbombare nelle orecchie, tanto era agitata.
  Mousse si scostò seccamente dal viso una ciocca di capelli sfuggita alla coda, prima di alzare lo sguardo su di lei.
  «Come, scusa?»
  Il tono freddo e distante che gli era uscito dalle labbra la fece rabbrividire.
  «Dico io, ma davvero ora stai con Rouge?»
  Mousse alzò di scatto lo sguardo, piantandolo direttamente negli occhi di Shan-pu che, per la prima volta, notò il colore dei suoi occhi.
  Verdi. Erano verdi come una pietra preziosa e ricercata, con delle pagliuzze dorate che gli incorniciavano la pupilla.
  Non seppe nemmeno lei il perché, ma trattenne il fiato e si perse in essi.
  Tutto il mondo attorno a lei si ovattò, non sentiva più nessuno, nemmeno lo stesso Mousse che le stava parlando.
  Per un istante si sentì rilassata, anche se quegli occhi smeraldini la scrutavano scocciati e rabbiosi. Non le importò.
  «Mi stai ascoltando o fingi, facendomi sprecare ancora più fiato di quanto non abbia già fatto?»
  Shan-pu rinsavì dal suo momentaneo stato di trance, sentendosi un imbecille.
  Stupidi occhi, no anzi, stupido Mousse. Ma dove diavolo ha lasciato gli occhiali?
  «Hai smesso di essere una talpa all’improvviso o ti si sono nuovamente rotte le lenti?»
  «Perché dovrebbe interessarti?»
  «È semplice curiosità la mia». Asserì con noncuranza, prima di continuare. «Allora, come te li sei rotti, questa volta?»
  «Non li ho rotti in alcun modo, porto le lenti a contatto».
  Alla ragazza scappò una risatina sarcastica, non era credibile.
  «Ma che cosa stai dicendo, se quando hai voluto metterle ci hai messo settimane, prima di renderti conto che non eri capace e ad arrenderti. Nemmeno col mio aiuto ce l’hai fatta».
  «Vedi un po’, con l’aiuto di Rouge ci sono riuscito al primo tentativo».
  Il sangue cominciò con forza a ribollirle nelle vene e uno strana sensazione di gelosia si fece strada in lei.
  Perché Rouge era riuscita ad aiutarlo, mentre lei no?
  «Dai, non puoi davvero stare con lei, Mousse. Se volevi farmi ingelosire potevi trovare qualcuna migliore».
  Sperò con tutta se stessa che in quel momento lui le desse ragione.
  Che lui ammettesse di non frequentarsi realmente con quella pazzoide, che lui la amava ancora, che non l’aveva dimenticata.
  Al solo pensiero che, invece, tutto ciò fosse reale, si sentì male.
  Nelle orecchie le si intrufolò un molesto ronzio che la fece sentire stordita, e un leggero tremore si prese possesso delle sua mani curate, che si apprestò frettolosamente a nascondere dietro la schiena.
  «Non capisco proprio il motivo per il quale dovrei farti ingelosire, Shan-pu», iniziò, portando i gomiti sul banco, con una mano prese a massaggiarsi la tempia.
  «Perché, magari, potresti ancora sperare che io provi dei sentimenti per te», azzardò, quasi con timidezza, pregando che Mousse le rispondesse in maniera affermativa.
  Invece, ciò che ottenne non fu che una risata amara.
  «Shan-pu, smettila di trattarmi come se fossi un fesso, ho smesso di confidare nel fatto che tu possa provare alcun tipo di sentimento nei miei confronti. Nemmeno me ne importa più».
  «Che intendi dire?»
  Mousse si distese sulla sedia, guardandola da capo a piedi, prima che sul suo volto si formasse quella che alla ragazza parse come un sorriso… di disprezzo.
  «Intendo dire che non provo più niente per te».
  Shan-pu, nell’udire quelle parole, sentì il cuore sprofondarle nel petto, ma non si diede per vinta, non voleva credere che quella fosse la realtà.
  Fece per ribattere, ma il ragazzo la precedette.
  «Lasciami in pace, non ho più niente da dirti, ormai», la cacciò via con un gesto della mano, come se fosse un insetto fastidioso e lei, stranamente, ubbidì, trascinandosi al suo banco come se fosse una bambola di pezza.
  Si accartocciò su se stessa, con il viso tra le braccia poggiate sulla superficie di legno, mentre i suoi occhi iniziarono a bagnarsi, silenziosamente.
 
 
  «Guardala, guardala com’è appiccicosa!»
  «Bleah, che schifo. Peggio di una cozza allo scoglio!»
  «Shan-pu, sarai mica gelosa?»
  Lin-Lin la guardò divertita, sapendo di aver centrato nel segno.
  «Per carità, di chi dovrebbe essere gelosa?»
  Lan-Lan, invece, non perdeva occasione di screditare il loro amico d’infanzia.
  «Infatti. Mousse non è il mio tipo, poi sto con Taro. Eravamo qui per caso e abbiamo notato quanto Rouge sia fastidiosamente carina nei confronti del papero».
  La gemella dal parere discordante roteò gli occhi, le risultava molte volte inutile discutere con sua sorella e la sua migliore amica; erano dure di comprendonio.
  «Sì, certo. Difatti è per questo che ve ne state appostate dietro a un cespuglio a fissarli come due stupide. Per casualità».
  «Stai forse insinuando qualcosa?» Shan-pu volse di scatto il capo nella direzione di Lin-Lin, redarguendola con lo sguardo.
  «No no, per carità», alzò le mani in alto, arrendevolmente, prima di riprendere la parola.
  «Vedete di finire in velocità la vostra sessione di spionaggio e di portare le vostre chiappone in classe prima che suoni la campanella, mi raccomando».
  «Chiappona a chi?» strillarono all’unisono Shan-pu e la sua amica, ma ormai la terza era già troppo lontana per sentirle.
  Shan-pu sbuffò dal naso, come un toro furioso, osservando il comportamento melenso di Rouge.
  Era ancora ora di pranzo e, fino a quel momento, la ragazza dai capelli scuri non aveva perso tempo a imboccare Mousse. Boccone per boccone, lei glielo avvicinava fino alle labbra.
  Una vista nauseante.
  Era diventato incapace all’improvviso?
  Se ne stavano seduti sul prato, tutti avvinghiati con la schiena poggiata a un albero del cortile.
  Poi perché, dopo aver finito di mangiare, gli stava ancorata al braccio?
  Temeva forse che lui se ne andasse?
  Nel tanto che la sua mente viaggiava verso insulti più o meno originali nei confronti dell’ignara ragazza, assistette a qualcosa che mai avrebbe pensato farle così male.
  Sgranò gli occhi e l’aria attorno a lei le risultò irrespirabile.
  Rouge si era sporta titubante verso il viso di Mousse e aveva posato appena le sue labbra rosee sulle sue, che non si scansò, a quel contatto.
  «Mamma mia, che orrore! Hai visto, Shan-pu? Quei due si sono baciati!»
  Una starnazzante e inacidita Lan-Lan cercava ti attirare l’attenzione dell’amica, con scarsi successi.
  Gli occhi di Shan-pu iniziarono a pizzicare e inumidirsi, ma non ci diede troppo peso.
  Piuttosto cercò di reprimere quella rabbia bruciante che la stava divorando dentro, insieme a quel tremore che si era fatto sempre più forte.
  Incredibile anche solo pensare che lei, si scoprisse gelosa di Mousse.
  Ma non poteva non dare retta allo stomaco che si contraeva e rigirava ogni volta che li vedeva assieme, in atteggiamenti più o meno intimi.
  Come non poteva non badare alle sue sopracciglia che si aggrottavano spontaneamente, quando li vedeva tenersi per mano.
  Decise che, per quanto fosse una cosa egoista, avrebbe dovuto fare qualcosa.
  Se Mousse non fosse stato suo, allora nessun’altra gli si sarebbe potuta avvicinare.
  Le venne in mente un’idea.
  Un’idea estremamente crudele, ma altrettanto efficace.
  «Lan-Lan».
  «Sì?»
  «Ho bisogno del tuo aiuto».
 
 
  Era passata una settimana, da quando Shan-pu aveva assistito alla scena del bacio tra Mousse e quella squinternata, ma quel pomeriggio, sarebbe stato il, pomeriggio.
  Era tutto calcolato.
  Lei e Lan-Lan avevano seguito e spiato i due piccioncini in amore per studiare i loro spostamenti nell’istituto, per scoprire quando erano insieme e quando, invece, erano costretti a stare separati.
  E quel giorno, era risultato estremamente adatto per attuare il loro piano.
  Rouge si sarebbe dovuta occupare di quello stupidissimo club di matematica, del quale era orgogliosamente vicepresidentessa, mentre Mousse in quella giornata non avrebbe dovuto presentarsi a nessun corso o club, garantendo così la sua uscita anticipata rispetto alla sua adorabile ragazza attaccaticcia come una gomma americana.
  La ragazza dalla capigliatura vaporosamente lilla sghignazzava, malefica, all’idea di quello che sarebbe successo.
  «Ciao, bambolina», una sonora sculacciata seguì nell’immediato quel saluto che all’inizio le pareva adorabile, mentre ora lo reputava nient’altro che un richiamo amoroso di un uomo delle caverne.
  «Taro», rispose al saluto con nient’altro che un’alzata di capo, troppo sommersa dalle sue idee per curarsi del suo ragazzo.
  Sperò solo che non si sarebbe scatenato un acquazzone, altrimenti avrebbe dovuto trovare un altro modo per occuparsi della faccenda.
  Il cielo quella mattina era plumbeo, ricoperto da immense e pesanti nuvoloni neri e l’aria era particolarmente fredda, mentre le entrava tagliente nelle narici.
  «Beh, è forse questo il modo di salutare il tuo ragazzo? Nemmeno un bacio?»
  Il sorriso sicuro che fece capolino sul viso del ragazzo le fece venire voglia di prenderlo a schiaffi.
  «Non ne ho voglia», rispose con risolutezza, mentre con lo sguardo cercava Mousse tra la folla degli studenti che attendevano il trillo della campanella.
  Si sentì all’improvviso strattonata per il braccio e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Taro.
  «Come sarebbe a dire, che non ti va? Sei la mia ragazza, in fin dei conti».
  «Taro, brutto idiota lasciala stare!»
  Lin-Lin, che prima si trovava a qualche metro da loro, non aveva perso tempo a mettersi in mezzo.
  «Sai che c’è? Non sono più la tua ragazza!» decretò con convinzione Shan-pu, mentre si liberava dalla presa del ragazzo.
  Taro si liberò in una risata incredula, mentre si pettinava con finta noncuranza i capelli con le mani.
  «Tu non puoi lasciarmi».
  Il sopracciglio della ragazza scattò all’insù, in un moto infastidito, e incrociò le braccia sotto ai seni, piccata.
  «Ah no? Peccato, l’ho appena fatto!»
  Un tuono, susseguito da un lampo squarciò il cielo ingrigito, convincendo gli studenti a entrare a scuola, nel giro di pochi secondi, delle gocce gelate iniziarono a cadere.
  Shan-pu salì i gradini lasciandosi alle spalle Taro, disinteressata al fatto che il suo, ormai ex, ragazzo stesse berciando come non mai.
  «Shan-pu!»
  «Sì?»
  «Non sei tu a lasciarmi, sono io che ti ho piantata!» urlò paonazzo, indicandola con l’indice della mano destra, quando la pioggia all’improvviso si fece più fitta, inzuppandolo nell’immediato da capo a piedi.
  Lin-Lin, che costeggiava la sua amica si gustò la scena e sorrise soddisfatta, speranzosa che a Shan-pu fosse tornato il senno.
 

  «Si può sapere perché accidenti l’hai fatto? Insomma, Taro è da sogno!» da quando aveva messo piede in classe, Lan-Lan non faceva altro che starnazzare quanto fosse stato sciocco, illogico e insensato da parte sue lasciar scappare un “manzo” come Taro.
  «Forse perché se dico che è un imbecille, gli faccio solo che un gran complimento?» una sorridente e radiosa Lin-Lin patteggiava per lei, difendendo a spada tratta la sua decisione.
  «Oh, ma dai! A chi importa dell’intelligenza? Cioè, dico, Lin-Lin, lo hai visto bene?»
  «Certo che sì, ma non conta solo quello».
  Shan-pu però, iniziò a mal sopportare tutti quei discorsi, decise così di darci un taglio.
  «Lan-Lan, perché non ti ci metti tu, con Taro, se tanto ti piace?»
  «Potrei anche farci un pensierino! Senti, non è che questo tuo insensatissimo comportamento ha a che fare con oggi pomeriggio, vero?»
  Shan-pu si guardò circospetta, convinta che l’altra gemella avesse udito la frase, visto che quella sciocca della sua amica non era capace di parlare con un tono di voce basso.
  Decise di usare la tecnica dell’essere vaga, sperando di non destare troppi sospetti.
  «Figurati, poi non capisco a che cosa tu ti riferisca. Dobbiamo semplicemente andare a fare compere, questo pomeriggio, non è vero?»
  Dopo un attimo di smarrimento, Lan-Lan capì.
  «Oh, sì, già, hai ragione».
  Nessuna delle due si rese conto che Lin-Lin le stava osservando, dubbiosa.
 
 
  Fece scivolare le scarpe sull’erba ancora bagnata e alzò lo sguardo, rassicurata; il cielo era ancora grigio e scuro, ma non sembrava che stesse per tornare a piovere.
  Guardò alla sua destra, controllando che Lan-Lan fosse pronta per il suo compito.
  Poteva tranquillamente passare inosservata, nascosta dietro al tronco di quel maestoso albero dall’aria così antica.
  Spostò lo sguardo davanti a sé, e rabbrividì quando vide la figura di Mousse avvicinarsi alla sua direzione.
  Un’altra fugace occhiata nervosa alla sua amica, come ad avvisarla di stare attenta, poi inspirò.
  Doveva andare tutto bene.
  Si avviò a passo lento al suo amico d’infanzia e, quando gli fu abbastanza vicino, prese parola.
  O almeno, ci provò.
  «Che fai adesso? Addirittura mi aspetti? Spero ti sia ben chiaro il concetto che non porterò più la tua cartella da nessuna parte» esordì acidamente Mousse, allentando il nodo della cravatta rossa e bianca, mentre continuava la sua camminata a passo svelto.
  «Quanto fai il drammatico, paperotto» .
  «Ti ho detto di non chiamarmi più paperotto, Shan-pu».
  «Dai, Mousse, voglio parlarti».
  Il ragazzo si arrestò di colpo, guardandola interdetto e Shan-pu ne approfittò per posizionarsi di fronte a lui.
  «Esattamente che cosa vorresti dirmi, di grazia?»
  «Beh… per esempio, potrei iniziare dicendoti che mi dispiace».
  Si avvicinò ulteriormente a lui.
  «Maledizione, Shan-pu! Lo vuoi capire oppure no, che delle tue scuse e dei tuoi “mi dispiace” me ne faccio meno di niente?»
  «Per favore, ascoltami… scusami, non mi sarei mai dovuta comportare in quel modo, dico sul serio», continuò imperterrita, sfiorandogli con una mano la spalla coperta dalla camicia bianca della divisa scolastica.
  In risposta, Mousse la osservò guardingo, per niente rassicurato da quel, seppur minuscolo, contatto fisico.
  «Non mi interessa, l’hai fatto e di sicuro non smetterai mai di trattarmi in quel modo».
  «Mousse! Te lo prometto, non mi comporterò mai più… ahia!» chiuse l’occhio destro prima di terminare la frase, iniziando a massaggiarlo con le dita, come per alleviare un improvviso dolore.
  «Tutto bene?» il ragazzo avvicinò il proprio volto al suo, esattamente come lei aveva previsto.
  «Sì, sì… mi sarà entrato qualcosa nell’occhio, mi brucia», piagnucolò.
  «Fai vedere», ordinò lui e, quando lei ubbidì, erano distanti meno di un palmo di mano.
  Non potendosi lasciar scappare una simile occasione, la colse al volo e si tuffò sul ragazzo, avvicinando pericolosamente le proprie labbra a quelle di lui.
  Fu solamente un tocco leggero, ma ebbe il potere di far sentire le fantomatiche farfalle svolazzarle nello stomaco.
  Non ebbe nemmeno il tempo di godersi appieno quel contatto, che si sentì spinta via con forza, quasi cadde sull’erba ancora umida.
  «Ma si può sapere che diavolo combini?» Mousse era paonazzo e sudaticcio, ma la voce gli uscì dalla gola come un tuono violento.
  Shan-pu si sentì un attimo disorientata, mentre cercava delle parole per rispondere.
  «Lo sai benissimo che sto con un’altra, mi spieghi perché hai fatto una cosa del genere? Perché adesso, poi?»
  «I-io...», non le uscì niente di sensato.
  Si sarebbe aspettata di tutto, ma non di essere rifiutata in quella maniera.
  Che ti aspettavi, che fosse contento?
  Possibile poi, che un bacetto innocente come quello, potesse farla sentire disorientata in una tale maniera?
  «Sparisci dalla mia vita, Shan-pu», sputò velenosamente, prima di superarla con rapidità, dirigendosi al cancello esterno dell’edificio scolastico.
  Pochi istanti dopo, spuntò una spumeggiante Lan-Lan da dietro la sua postazione.
  «Ce l’abbiamo fatta, Shan-pu! Ce l’abbiamo fatta!» gridò gioiosa, come quando aveva vinto un panda peluche al parco giochi da bambine.
  «A fare che cosa?» la ragazza si sentiva ancora intontita.
  «Il piano… la foto… far lasciare quei due, ti ricordi?»
  Rinsavì all’istante, nell’udire quelle parole.
  «Ah già! Scusami. Fammi vedere» disse porgendo la mano verso la macchina fotografica e, quando l’amica gliela passò, non seppe se sentirsi uno schifo oppure contenta.
  Erano stati immortalati insieme, durante quello che sembrava un appassionante bacio.
  «Hai avuto un tempismo perfetto».
  «Non vedo l’ora che quella ragazzetta veda quello che fa in giro il suo fidanzato, appena lei gli sta lontana», affermò Lan-Lan maligna, con un sorrisetto sadico dipinto sulle labbra.
  Notando la titubanza e il mutismo di Shan-pu, volle accertarsi delle sue intenzioni.
  «Insomma, tu vuoi ancora fargliela pagare, non è vero? Il modo in cui ti ha trattata prima è imperdonabile! Chiunque dovrebbe sentirsi onorato a baciarti, altro che scansarti in malo modo e...»
  Non se lo aspettava, eppure doveva essere ovvio che l’avrebbe rifiutata, lei si sarebbe comportata anche in modo peggiore, probabilmente.
  Non era affatto dell’idea di continuare con quella sadica trovata, consapevole che così facendo avrebbe corso il rischio di allontanare maggiormente Mousse, ma sperava che senza Rouge a ronzargli intorno, sarebbe tornato sui suoi passi, sarebbe tornato da lei.
  «Per carità, Lan-Lan, taci. Stampa questa foto e poi dammela».
 
 
  «Dimmi che è uno scherzo».
  «Non capisco».
  «Shan-pu, dimmi che non ti sei fatta scattare una foto mentre attentavi alla bocca di Mousse, ti prego».
  Lin-Lin, che teneva le braccia incrociate, la guardava con un’espressione grave, accusatoria.
  «Come hai fatto a scoprirlo?»
  «Vi ho spiate ieri, poi ho fatto vuotare il sacco a mia sorella per capire il motivo di questa pagliacciata».
  «Immagino di non doverti dire niente che tu non sappia già».
  «Ma tu pensi davvero che così facendo Mousse cadrà tra le tue braccia? Non hai pensato che, forse, così facendo, non farai altro che farti odiare?»
  «Chi ti dice che io lo faccia per questo motivo?»
  «Vuoi farmi credere che non è per questo che lo fai? Allora illuminami!»
  «Semplicemente mi ignora, da quando sta con lei. Mi infastidisce».
  «Ti ignora da prima di stare con lei» precisò, incredula che la sua amica fosse una tale matassa di egoismo.
  «Ti comporti come una bambina alla quale hanno preso un giocattolo che, fino a quel momento, aveva ignorato».
  La ragazza si sentì di primo acchito offesa, come se l’avesse insultata nei peggiori dei modi, poi si rese conto che Lin-Lin non aveva di certo torto.
  Stava facendo tutto questo perché Rouge aveva osato soffiarle via una delle persone a lei più care, oppure perché si era resa conto di provare dei sentimenti per quel papero goffo?
  Aveva pochi indizi sui quali riflettere, uno di quelli era la tristezza perenne che provava dal giorno dopo il suo compleanno, quando si era presentata a casa del ragazzo.
  Oppure il groviglio che le sue corde vocali diventavano ogni volta che Mousse le si avvicinava, anche per sbaglio.
  Questo aveva iniziato a capitare fin da molto prima di quel giorno e, stupidamente, l’aveva ignorato.
  Si era vergognata, ma solo la prima volta, quando aveva pensato che lui fosse stupidamente bellissimo, con quegli occhiali, mentre stava tutto concentrato sui libri, intento ad aiutarla a farle capire qualcosa di matematica.
  Infine non poteva ignorare anche lo sfarfallio che aveva provato il giorno prima e la sua voglia di approfondire quel contatto.
  Sentiva ancora le labbra bruciarle, se provava a sfiorarle con le dita.
  Lo fece anche il quel momento, fermandosi all’improvviso.
  E la verità le crollò addosso come un secchio d’acqua ghiacciata, come un lampo luminoso nel buio della notte.
  Lei lo amava, forse lo aveva sempre amato e, probabilmente, non l’avrebbe perdonata mai.
  «Che ti prende?»
  «Penso di aver fatto un casino».
  «Forse puoi ancora rimediare, non hai ancora infilato la foto nella cartella di Rouge, vero?»
  «L’ho fatto invece, poco fa, all’ingresso».
  «Allora sei proprio stupida».
 
 
  Shan-pu passò tutta la mattinata a lanciare bigliettini sul banco di Mousse, che l’ignorò come se fosse un’appestata. Voleva avvisarlo di quello che di li a poco sarebbe successo, ammettere che era stata tutta una sua folle idea, era disposta addirittura a parlare con Rouge, per scagionarlo da ogni colpa che la sua ragazza gli avrebbe riversato.
  Ma non ci fu verso, per quanto anche cercasse di avvicinarglisi, lui se ne andava in un’altra direzione, come poco prima, appena suonata la campanella che annunciava la pausa pranzo, si era dileguato nel tempo che lei si era alzata dalla sedia.
  Decise di mangiare da sola, seduta nell’angolo del giardino meno frequentato dagli altri studenti.
  Era un fascio di nervi e il senso di colpa la stava divorando viva.
  Si perse nei suoi pensieri e nelle sue congetture, non facendo altro che avvallare la sua tesi che Mousse non avrebbe fatto altro che disprezzarla, odiarla, schifarla per il resto della sua vita.
  «Ora tu mi spieghi che cosa significa questa».
  Riconobbe subito il suo interlocutore, ancor prima di volgere il capo nella sua direzione.
  Mousse stava a pochi metri da lei, con la fotografia incriminante in mano.
  Le vene sulla sua fronte pulsavano convulsamente, aveva gli occhi stretti in due fessure piccolissime, Shan-pu sentì un’altra stretta allo stomaco.
  «Posso spiegarti!»
  «Sono tutt’orecchi».
  La ragazza si alzò, sentì le gambe fatte di gelatina e il cuore martellarle nel petto.
  «Tu… tu mi ignoravi, ecco… quindi...».
  «Quindi hai ben deciso di rovinare la mia vita sentimentale!» sbraitò con foga il ragazzo, gesticolando come un pazzo.
  «No, non volevo! Ovvero, sì all’inizio ma...».
  «E ci sei riuscita! Sarai ben contenta di sapere che Rouge mi ha lasciato, non è vero?»
  Altri, ulteriori sensi di colpa la investirono prepotentemente.
  «Ho la soluzione, Mousse! Ci parlo io con lei, le spiegherò tutto...»
  «Ma cosa vuoi spiegare, non ci crederà mai! Dimmi, perché l’hai fatto? Che ti ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Non ti è bastato umiliarmi, maltrattarmi, deridermi e usarmi come tuo schiavo personale?»
  «L’ho fatto perché ero arrabbiata!» replicò affranta, rendendosi conto di quanto suonasse ridicolo ciò che stava dicendo.
  «Ah, tu, eri arrabbiata con me? Io ero arrabbiato con te, Shan-pu! Tu non ne avevi alcun diritto!»
  «Lo so, la realtà è che mi mancavi, Mousse, tutto qua», il suo tono di voce si fece più debole, apparve come un sussurro.
  «Ti mancavo perché non hai trovato nessun altro disposto a farsi trattare come trattavi me», constatò con amarezza il ragazzo, abbassando lo sguardo sul prato curato.
  «Non è per questo che mi mancavi, accidenti», lei non era quel tipo di ragazza che si lasciava andare a dolci confessioni e, in quel momento, ne soffrì parecchio, mentre cercava di far uscire delle parole sensate dalla sua stupida bocca.
  «Ah no? E per quale altro motivo allora?»
  «Perché… io...»
  Mi sono resa conto di essere innamorata di te, avrebbe voluto continuare, ma non ce la fece.
  «Quando la smetterai di far del male alla gente solo perché non si comporta come vuoi tu?»
  «Mi dispiace, mi sono comportata da stupida» confessò, mentre si arrendeva all’idea di non essere in grado di ammettere ciò che provava. Forse era meglio bene così, Mousse le sarebbe scoppiato a ridere in faccia se glielo avesse detto, e non sarebbe stata in grado di sopportarlo.
  «È la prima cosa intelligente che ti sento dire nell’arco di un mese, complimenti».
  Incassò il colpo in silenzio.
  «Dove stai andando?» chiese con spavento, notando che si stava allontanando da lei.
  Nonostante stessero discutendo, anche il solo averlo fisicamente vicino la rendeva più quieta.
  Se se ne fosse andato così, tra loro due non si sarebbe mai aggiustato nulla, ed era l’ultima cosa che  desiderava.
  «Me ne torno in classe, cosa che dovresti fare pure tu», prima che potesse muovere anche un solo passo, lo raggiunse e si aggrappò alla manica della sua camicia, come se quel gesto potesse bastare a non farlo andare via.
  «Aspetta...» supplicò, con un filo di voce.
  «Che cosa vuoi da me ancora?»
  «Mousse, ma davvero non ci arrivi?» per quanto potesse sentirsi dispiaciuta e mortificata, non poté fare a meno di irritarsi, ancora una volta. Quel ragazzo aveva l’enorme potere di farle cambiare umore nel giro di pochi istanti.
  Possibile che potesse essere così dannatamente ottuso?
  Santo cielo, non si era mai scusata con qualcuno prima di lui e, probabilmente, non sarebbe capitato mai più per il resto della sua vita.
  Il fatto che lui non capisse quanto la facesse sentire umiliata e debole, non lo tollerava proprio.
  Soprattutto, non sopportava il fatto che non capisse che stava facendo tutto quello unicamente per lui.
  Doveva pur voler dire qualcosa.
  «Dovresti essere più esplicita, Shan-pu, non ho il dono di leggerti nel pensiero, sai?»
  «Il mio gesto di ieri non ti è sembrato abbastanza?»
  Notò come l’espressione del ragazzo mutò in una smorfia incredula.
  «Per cortesia. Non vorrai farmi credere davvero che quel bacio significasse qualche cosa per te, vero? Non sono così stupido da credere a una favoletta del genere!»
  «Mousse, ma secondo te, io, vado in giro a baciare le persone per hobby? Se lo credi davvero sei molto più stupido di quanto pensassi!», si avvicinarono l’uno all’altro, come se volessero potersi colpire con le loro grida furiose.
  «Non per svago, ma per ottenere ciò che vuoi, credo che tu ne sia certamente capace».
  «E, secondo te, cos’è che volevo ottenere, allora?»
  «Semplicemente rovinarmi la vita!»
  «Sei un idiota, Mousse!»
  «Ha parlato quella sveglia!»
  Restarono immobili per qualche istante fissandosi in cagnesco, con i pugni chiusi e le mascelle serrate.
  «Mi credi davvero così crudele?» sibilò a denti stretti.
  «Non me ne stupirei», ribatté velenosamente.
  «Se fossi veramente così cattiva, meschina e menefreghista, l’avrei stracciata!»
  «Che cosa?»
  «La tua lettera, dannazione! L’ho letta talmente tante volte che ormai potrei recitartela a memoria!»
  «Questo non significa niente, Shan-pu! Probabilmente ti piace leggerla solo per gonfiare il tuo stupidissimo ego!»
  «Come sarebbe a dire? Smettila di fare insinuazioni, sai benissimo che se non mi importasse niente di te l’avrei buttata via!» un caldo improvviso iniziò a prendere possesso del suo corpo, si sentiva in fiamme e la gola le bruciava dallo sforzo.
  «Le tue non sono altro che balle! E, anche se così non fosse, quante volte devo ripeterti che io non provo più nulla per te, prima che ti entri in quel cervello da gallina che ti ritrovi?»
  «L’unico bugiardo tra i due sei tu, e nemmeno troppo bravo! Non sei capace a mentire, nemmeno quando alle elementari fingevi di essere arrabbiato con me, nemmeno quando facevi finta di non restar male per le mie prese in giro. Ti ho visto, sai, quando te ne stavi nascosto a piangere, dopo che ti avevo detto qualcosa di cattivo».
  «Se sapevi che ci restavo male allora perché diavolo continuavi a infierire? E smettila di insinuare che ti amo ancora!»
  Gesticolavano, a volte quasi si colpirono, per quanta foga ci stavano mettendo in quella stupidissima discussione.
  Per quanto fossero vicini fisicamente, si sentivano talmente lontani che, probabilmente, il semplice urlare non sarebbe bastato per farsi ascoltare.
  «Perché ero una bambina stupida! E, se davvero non provi più niente per me, dimostramelo!»
  «Dimmi come, così finiamo con questa pagliacciata».
  Erano distanti pochi centimetri, tanto che potevano sentire il respiro l’uno dell’altro colpire il loro volto.
  «Baciami. Se non senti assolutamente niente, allora ti crederò» lo provocò, attirandolo ulteriormente a sé, strattonandolo per la cravatta.
  «Ci resterai molto male, Shan-pu» rispose, raccogliendo la sfida della ragazza.
  Si gettò con forza su di lei, tenendo il suo viso bloccato con i propri palmi, come volendola punire per quella sua innata presunzione.
  Le labbra scottavano bramose e si scontrarono, in una danza che sapeva di battaglia cruenta, che come unico intento aveva il prevaricarsi a vicenda.
  Shan-pu sentì le mani di Mousse lasciare le sue guance e vagare per tutta la sua schiena, fermandosi solo in un secondo momento sulla sua vita, stringendola in una morsa possessiva e rabbiosa; lei lo teneva stretto per la nuca, tirando qualche ciocca corvina che le si infilava tra le dita.
  Alla ragazza girò vertiginosamente la testa, quando le loro lingue si fecero spazio, incontrandosi con voracità insaziabile, muovendosi con forza e cruda durezza. Trasalì per un istante, quando il ragazzo le morse il labbro inferiore, ma non si ritirò, corrispondendo il gesto con altrettanto fervore.
  Per quanto lunga potesse sembrare quella guerra, per quanto avesse l’affanno e sentisse il bisogno di riprendere fiato, Shan-pu non volle staccarsi da quell’incontro che tutto poteva sembrare fuorché romantico, in quanto ne necessitava più dell’ossigeno stesso.
 
***
 
  Shan-pu gli aveva rubato il cuore unicamente per ridurlo in frantumi e per lasciare, al suo posto, una cavità profonda e incolmabile. Essere vuoti dentro, però, faceva male; era come stare in bilico sul bordo di un burrone. Mousse era precipitato, in quel baratro, e aveva aspettato a lungo un impatto che non era mai arrivato. Non gli era importato granché di crollare; credeva di meritarselo per aver voluto troppo, per aver solo sperato in un amore già impossibile in partenza.
  I giorni gli erano scivolati addosso, e lui era sprofondato con loro nell’attesa di raschiare il fondo. Era stato quando aveva raggiunto l’apice del dolore, che si era finalmente deciso a tendere una mano… e Rouge gliel’aveva afferrata di buon grado. I suoi modi gentili, mai forzati, l’avevano aiutato a placare la tempesta che gli aveva agitato l’animo per settimane intere.  
  Aveva scelto di essere nuovamente felice e, per farlo, aveva bisogno di soffocare i sentimenti che ancora lo legavano a Shan-pu. Per quanto si fosse impegnato, infatti, gli era risultato quasi impossibile cancellare quell’affetto che gli aveva scombussolato il petto per anni… e così, si era limitato a rinchiuderlo in una torre di carta, tanto alta quanto fragile. Era stata una pessima idea, doveva ammetterlo; avrebbe dovuto immaginare, in fondo, che sarebbe bastato un piccolo soffio di vento a far capitolare tutto a terra.
  Le lacrime di Rouge erano state solamente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
  «Spiegami perché!» gli aveva urlato la ragazza contro, prima di soffocare in un mare di singhiozzi. Mousse era rimasto in silenzio, troppo preso dallo shock per riuscire a formulare una singola frase di senso compiuto… e lei si era accartocciata su se stessa, cercando di contenere una tristezza troppo grande per un corpo così minuto. «Spiegami perché l’hai baciata, Mou Mou… Il mio amore non è abbastanza per te?»
  Sì… o forse no. Probabilmente avrebbe dovuto abbracciarla, dirle che andava tutto bene, eppure… che bisogno c’era di mentirle ancora? Rouge non meritava di essere presa in giro, di stare con una persona che, seppur sforzandosi, non riusciva a provare nulla nei suoi confronti. «Non l’ho baciata», si era limitato a risponderle, lasciando in sospeso più di quanto avesse voluto.
  Rouge, allora, aveva sollevato la testa e l’aveva fissato a lungo, con gli occhi ancora bagnati dal pianto. «Vorrei tanto essere in grado di crederti…» aveva mormorato, con le labbra contratte in una smorfia amara. «Ero stanca di vederti giù di morale. Quella vipera ti aveva spezzato il cuore e io… mi sentivo così impotente di fronte alla tua sofferenza. Non riuscivo più a dormire; avevo le viscere in subbuglio, proprio qui, all’altezza dello stomaco. Dovevo assolutamente fare qualcosa per alleviare il tuo dolore, però tu… anche se stavi con me, continuavi a guardare lei, non è vero? La osservavi di nascosto, stando ben attento a non farti scoprire.»
  Aveva cercato di mantenere un’espressione impassibile, ma quelle parole lo avevano colpito con più violenza di un getto d’acqua fredda. Non vi era più alcun dubbio: quella ragazza aveva la straordinaria capacità di scavargli dentro… Mousse non si era mai sentito tanto nudo e vulnerabile.
  «Non importa, non posso essere così egoista da costringerti a rimanere al mio fianco», aveva, quindi, esclamato Rouge, alzandosi in piedi e spolverandosi la gonna stropicciata della divisa scolastica. «Adesso devo andare, ci vediamo più tardi al club, d’accordo?»
  D’accordo, aveva pensato Mousse, non sollevando alcuna obiezione in merito. Non era più necessario, in fondo, visto che ormai l’evidenza era più che chiara: la sua torre di carta, costruita a fatica e in precario equilibrio, era crollata. 
 

  La sua prima relazione sentimentale si era rivelata un fiasco totale… e tutto per colpa di quella gatta morta di Shan-pu. Se chiudeva gli occhi, riusciva persino a immaginarla mentre rideva insieme a Lan-Lan per uno scherzo ben riuscito. Si prendeva gioco di lui e della sua gentilezza, l’aveva sempre fatto, in fin dei conti… ma lui non aveva la minima intenzione di fargliela passare liscia, non dopo il disastro che quella stupida era riuscita a combinare. Doveva fare qualcosa per rovinarla, per farle capire quanto dolore aveva dovuto passare lui a causa sua.
  La trovò in un angolo appartato del cortile scolastico, seduta contro una ringhiera, mentre consumava un pranzo dall’aria piuttosto misera. Aveva un’espressione funerea, per una come lei, dal sorriso sempre a portata di mano; aveva litigato con qualcuno, per caso? Oppure, le sue amiche si erano finalmente decise ad aprire gli occhi sul suo conto? Mousse inarcò un angolo della bocca in un ghigno divertito: qualunque fosse stato il motivo della tristezza di Shan-pu, le stava bene. Ogni tanto meritava anche lei di soffrire come qualsiasi altro ragazzino della sua età.  
  Senza pensarci due volte, le si parò di fronte e le sventolò la fotografia in faccia. «Adesso mi spieghi che cosa significa questa», ringhiò, nell’esatto istante in cui la cinesina sollevò il viso. Aveva le ciglia umide di lacrime, e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie scure. Per un secondo soltanto, Mousse sentì la propria volontà vacillare… Stava forse provando pena per lei? Si morse il labbro inferiore e sbuffò dal naso; assottigliando lo sguardo per sembrare più arrabbiato possibile. Fingere e celare i propri sentimenti era diventato abbastanza semplice per lui, durante le ultime settimane.
  «Posso spiegarti!» si mise subito sulla difensiva Shan-pu, al che lui arricciò la bocca in una smorfia. Non vi era nulla da spiegare, quella foto parlava già da sé. Era stata una trovata alquanto sciocca, ma non se ne stupiva, se ad architettarla era stata proprio l’amica d’infanzia. La conosceva così bene da sapere che sarebbe stata disposta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi… Sarebbe stata capace anche di arrivare a baciarlo, finendo inevitabilmente con l’infangare le ultime gocce di affetto che provava nei suoi confronti. Ancora una volta, Mousse non riuscì a fare a meno di sentirsi offeso e umiliato da tutto quell’egoismo.
  «Dimmi, perché l’hai fatto?» sbottò, interrompendo Shan-pu che, con quella sua maledetta faccia di bronzo, stava continuando a berciare di voler provare a sistemare la situazione. Era davvero falsa e patetica, quel suo comportamento da finta santarellina gli stava già facendo saltare tutti i nervi. «Che ti ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Non ti è bastato umiliarmi, maltrattarmi, deridermi e usarmi come tuo schiavo personale?»
  «L’ho fatto perché ero arrabbiata!»
  Mousse non riuscì più a trattenersi e vomitò, in una risata amara, tutto l’odio e il rancore che gli aveva roso il fegato per giorni interi. Lei… era arrabbiata con lui? E lui, che cosa avrebbe dovuto dire, invece? Quella stronza gli aveva strappato il cuore dal petto e lo aveva lasciato, dolorante, a raccoglierne i brandelli! «Io ero arrabbiato con te, Shan-pu!» ribadì, sentendosi trionfare quando lei abbassò lo sguardo. Aveva un’espressione così affranta che quasi si dispiacque di non avere una macchina fotografica, per poterla imprimere su un pezzo di carta. «Tu non ne avevi alcun diritto!»
  «Lo so, la realtà è che mi mancavi, Mousse, tutto qua.»
  Quelle parole lo fecero sussultare. Shan-pu stava sceneggiando una cavolo di recita solo per impietosirlo, ma… perché, d’improvviso, aveva sentito il proprio cuore smettere di battere? «Ti mancavo perché non hai trovato nessun altro disposto a farsi trattare come trattavi me», borbottò, chinando gli occhi verso il prato. Non doveva mostrarsi debole, non… «Quando la smetterai di far del male alla gente solo perché non si comporta come vuoi tu?»
  «Mi dispiace, mi sono comportata da stupida.»
  Mousse sospirò, lasciando andare un respiro che non si era accorto di aver trattenuto. «È la prima cosa intelligente che ti sento dire nell’arco di un mese, complimenti», mormorò, prima di girare sui tacchi per tornarsene in classe. Parlare con quella scema gli aveva fatto più male di quanto avesse sperato. Avrebbe dovuto immaginarselo, visto che i sentimenti per lei erano sempre lì, pronti a bussare alla porta della sua anima… Non poteva cancellarli da un giorno all’altro, forse avrebbe dovuto semplicemente imparare a conviverci…
  «Dove stai andando?» gli chiese Shan-pu, con un tono di voce che lo fece tremare. Perché non voleva lasciarlo andare? Ma soprattutto, perché con una singola frase, riusciva ancora a confonderlo? Possibile che avesse una volontà tanto malleabile?
  «Me ne torno in classe, cosa che dovresti fare pure tu.»
  «Aspetta...»
  Qualcosa, nel modo in cui la ragazza aveva pronunciato quella parola, lo spinse a fermarsi. Shan-pu lo aveva afferrato per la manica della camicia e, ora, le sue dita sottili gli stavano sfiorando delicatamente la pelle nuda del polso. Quel tocco, seppur involontario, gli procurò una serie di piacevoli brividi lungo tutto il braccio. Mousse roteò gli occhi al cielo, cercando nel frattempo di soffocare la strana – e familiare- sensazione che la cinesina era riuscita ad accendere in lui. Era una strega ammaliatrice, e lui si stava lasciando soggiogare troppo facilmente. «Che cosa vuoi da me ancora?»
  «Mousse, ma davvero non ci arrivi?» gli domandò lei con irruenza, come se stesse parlando con un bambino troppo piccolo per comprendere il punto della situazione.
  No, non ci arrivava, non capiva dove quella cretina volesse andare a parare… ma, tutto sommato, nemmeno gli importava. Che cos’era, poi, tutta quell’insistenza? Non aveva, forse, qualcun altro con cui andare a trastullarsi a suo piacimento? Taro, pensare a quello scimmione e al modo in cui lo aveva deriso solo poche settimane prima, era come gettare del sale su una ferita ancora aperta... «Dovresti essere più esplicita, Shan-pu, non ho il dono di leggerti nel pensiero, sai?»
  «Il mio gesto di ieri non ti è sembrato abbastanza?»
  Le sopracciglia di Mousse guizzarono all’insù per la sorpresa. Quella stupida non poteva dire sul serio; stava solo cercando di far leva su ciò che quel – quasi- bacio gli aveva fatto provare… Era durato meno di un secondo, un semplice sfregamento di labbra, sottile come il battito d’ali di una farfalla, tuttavia… Non era stato affatto semplice per lui, far credere a Shan-pu che quel breve contatto gli fosse stato indifferente. L’aveva spinta via, nello stesso momento in cui si era reso conto che per lei, probabilmente, quel gesto d’affetto non era valso nulla. «Non vorrai farmi credere davvero che quel bacio significasse qualche cosa per te, vero?» si ritrovò, comunque, a chiederle, prima di mordersi la lingua per non essersene stato zitto. In cuor suo, sapeva già quale sarebbe stata la risposta… perché, allora, continuare a farsi del male?  
  «Mousse, ma secondo te, io, vado in giro a baciare le persone per hobby?»
  Conoscendoti, credo che ne saresti anche capace. «Non per svago, ma per ottenere ciò che vuoi.»
  Sdegnata, Shan-pu soffiò bruscamente dal naso, come un felino pronto ad attaccare la sua preda. Lei era il gatto, e lui il topo costretto a zampettare qua e là pur di sottrarsi alle sue grinfie… ma non gliel’avrebbe mai data vinta. Doveva distruggerla, pezzo per pezzo; quella stupida doveva arrivare a strisciare ai suoi piedi pur di chiedergli perdono per quello che gli aveva fatto. «Mi credi davvero così crudele?» gli stava domandando lei in quel momento, e Mousse sentì il veleno ostruirgli lentamente le arterie.
  «Non me ne stupirei.» 
  «Se fossi veramente così cattiva, meschina e menefreghista, l’avrei stracciata!» sbottò improvvisamente la ragazza, al che lui aggrottò la fronte.
  «Che cosa?»
  «La tua lettera, dannazione! L’ho letta talmente tante volte che ormai potrei recitartela a memoria!» Nel pronunciare quelle parole, Shan-pu divenne completamente paonazza; aveva le guance così rosse che Mousse non si sarebbe stupito se avessero preso fuoco da un momento all’altro. Per quanto riguardava lui, invece… per un istante soltanto, pensò che tutto il colore gli stesse per defluire dal corpo. Quella lettera… perché aveva lasciato che cadesse nelle mani dell’amica d’infanzia? Le frasi che vi aveva scritto, con tanto amore e impegno, non contavano forse più nulla?
  «Questo non significa niente, Shan-pu! Probabilmente ti piace leggerla solo per gonfiare il tuo stupidissimo ego!»
  «Come sarebbe a dire? Smettila di fare insinuazioni, sai benissimo che se non mi importasse niente di te l’avrei buttata via!»
  Certo, come no. Mousse si sentì tentennare, e si aggrappò, con tutte le proprie forze, all’ultimo fuscello di orgoglio rimastagli. «Le tue non sono altro che balle! E, anche se così non fosse, quante volte devo ripeterti che io non provo più nulla per te, prima che ti entri in quel cervello da gallina che ti ritrovi?»
  «L’unico bugiardo tra i due sei tu, e nemmeno troppo bravo! Non sei capace a mentire, nemmeno quando alle elementari fingevi di essere arrabbiato con me, nemmeno quando facevi finta di non restar male per le mie prese in giro. Ti ho visto, sai, quando te ne stavi nascosto a piangere, dopo che ti avevo detto qualcosa di cattivo».
  Incassò il colpo, in silenzio. Si era prefissato lo scopo di demolire Shan-pu… e, allora, perché quello a pezzi era nuovamente lui? Quella ragazza, non solo stava cercando di introdurre il dito nella piaga, si era permessa persino di infilarci la mano, incurante che quel gesto potesse causare danni irreparabili. Il cuore di Mousse ricominciò a sanguinare; non era vero nulla, lui non… «Se sapevi che ci restavo male allora perché diavolo continuavi a infierire?» Ti divertivi a vedermi rialzare, nonostante avessi le ginocchia sbucciate e doloranti? «E smettila di insinuare che ti amo ancora!»
  «Perché ero una bambina stupida! E, se davvero non provi più niente per me, dimostramelo!»
  «Dimmi come, così finiamo con questa pagliacciata.»
  Shan-pu fece un passo verso di lui, annullando la poca distanza che li separava. Erano l’uno di fronte all’altra, ma la voragine tra loro era talmente immensa, che Mousse non si sarebbe stupito se vi fossero caduti dentro entrambi. Il profumo di lei era dappertutto, nell’aria che li avvolgeva, sulle dita che indugiavano a sfiorarlo… «Baciami. Se non senti assolutamente niente, allora ti crederò», sussurrò la ragazza con voce roca, prima di afferrarlo per la cravatta. Era un invito troppo dolce per riuscire a rifiutarlo... Si fiondò su quelle labbra tentatrici, come se fossero l’unica fonte di vita in mezzo a un deserto. La voleva, non poteva negarlo… non al proprio corpo che, ora, tremava per il desiderio, per le parole non dette. Ti odio, voleva urlare, e per questo, ti voglio distruggere.  
  Se, in quelle poche settimane, Rouge era stata per lui pioggia, pacata e cristallina, capace di lenire le ferite più dolorose… Shan-pu, invece, era tempesta, vento e acqua; un insieme di agenti naturali in grado di alimentare il fuoco che gli crepitava nelle vene.
  L’incendio divampò.
  Le ghermì il volto in una morsa prepotente, conficcandole quasi le unghie nella carne; toccandole con le dita la punta delle orecchie, l’attaccatura dei capelli, gli spigoli degli zigomi. La bocca di Shan-pu era calda e morbida sulla sua, un tesoro che gli era stato negato per molto tempo… e che ora, non vedeva l’ora di rubare. La baciò con bramosia, gustandosi ogni centimetro di quelle labbra che sapevano di fragola, di saliva, di lavanda… e, ancora, di furia, rancore, amore.
  Che cosa stai provando tu, in questo momento, Shan-pu? si domandò Mousse, mentre con la lingua le percorreva il contorno delle labbra. Sentì la ragazza fremere sotto il suo tocco possessivo, quando dalle guance, le scivolò con le mani lungo la spina dorsale, contandone lentamente ogni vertebra. La pelle della schiena di Shan-pu era adunca, sotto il tessuto leggero della camicetta. Sembrava quella di una persona troppo depressa per riuscire a mangiare… Cos’era successo, durante quei giorni, alla reginetta indiscussa di tutta la scuola? Ti odio, perché ti amo troppo per riuscire a rovinarti.
  Quel bacio non era abbastanza per lui; voleva di più… e se lo sarebbe preso. Come un bambino troppo viziato per aspettare il permesso del genitore, le dischiuse la bocca con la propria e vi fece scivolare la lingua, in un gesto più lussurioso che d’affetto. Shan-pu non si sottrasse, bensì lo leccò con insopportabile lentezza, facendolo rabbrividire per il dolce pulsare del basso ventre. Tutte le fibre del suo corpo stavano urlando per la voglia di fondersi con lei... e Mouse dovette fare uno sforzo enorme per metterle a tacere. Non qui, non ora.
  Strinse con più forza i fianchi della ragazza, facendole combaciare il bacino con il proprio; dopodiché le raccolse il labbro inferiore tra i denti. Socchiuse, quindi, un occhio e attese la reazione di lei, che non si fece troppo attendere. Ti odio perché puoi rovinarmi quanto vuoi… ma il mio cuore ti apparterrà sempre.
  Shan-pu si staccò di poco e lo guardò, con il petto che ansimava per la troppa aria che lui le aveva sottratto. Aveva le pupille dilatate, i capelli scompigliati nei punti in cui lui li aveva tirati, i vestiti lievemente stroppicciati… ma era, comunque, di una bellezza più unica che rara. «Dimmi, ora, che non mi ami.»
  Mousse increspò un angolo della bocca in un sorriso e incrociò le mani dietro la nuca. «Sai che ti dico, Shan-pu?» esclamò, sogghignando di fronte all’espressione smarrita della cinesina. «Ti lascio con il beneficio del dubbio. Che ne dici, se ora ce ne torniamo in classe? Gli insegnanti si staranno chiedendo dove siamo finiti.»
  La ragazza sbatté le palpebre più volte, puntellandosi nel frattempo i fianchi con le dita. «Ma… come puoi… Mousse, sei uno stronzo!»
  «Lo so… e ti odio anche per questo.»
 
 
 

Venerdì, 16 febbraio 2018
 
  Shan-pu, adoro il modo in cui il tuo nome si arrotola sulla mia lingua. Le prime quattro lettere mi ricordano il suono delle onde, quando nei periodi più caldi, andavamo nella provincia di Hainan con la tua nei nan… Ricordo ancora quei pomeriggi: io non sapevo nuotare e tu mi facevi compagnia sulla battigia, raccogliendo conchiglie colorate dalla sabbia cristallina. Non lo dicevi a nessuno, non è vero? Non ti piaceva che qualcuno sapesse che passavi i pomeriggi con me, solamente perché non disprezzavi la mia compagnia. Dicevi che non ti piaceva particolarmente l’acqua, ma io non c’ho mai creduto.
  Mi piaci anche per questo; perché so che in te del buono c’è. Vorrei che mi permettessi di scavare più a fondo, per riuscire a farlo emergere del tutto. Non lo farai, però, dico bene?
  Le ultime sillabe del tuo nome, invece, mi fanno pensare al rumore di un fulmine quando si abbatte al suolo… perché tu sei tempesta, Shan-pu. Ammiro la tua esuberanza, il tuo orgoglio, la tua voglia di metterti sempre in gioco… Assomigli a una leonessa, fiera e pronta a condurre il suo branco. Io non sono mai riuscito – e probabilmente, non riuscirò nemmeno in futuro- a essere come te. Sono debole e tranquillo, ma spero che non ti dispiaccia se con questa lettera voglio offrirti il mio cuore.
  Non so quando è stato il momento esatto in cui i miei battiti hanno cominciato ad accelerare in tua presenza; è semplicemente accaduto… così, mi sono ritrovato incastrato in un amore troppo grande da gestire. A volte, vorrei essere in grado di duplicarmi per poterlo contenere tutto; mi sembra di avere nel petto un rubinetto sbeccato, la cui acqua ha rotto gli argini ormai da tempo.
  Mi sei entrata nell’anima, Shan-pu… Sei entrata con quel tuo carattere ribelle e le tue battutine sarcastiche, e mi sei rimasta impiantata dentro, come una scheggia impossibile da rimuovere. Vorrei poterti urlare tutto quello che provo, ma temo che potresti ridermi in faccia… quindi, perdonami se, per farlo, ho deciso di scriverti questa lettera.
  Non voglio avere la presunzione di sperare in una tua risposta affermativa… ma, te ne prego, non gettare via queste parole, sarebbe come buttare nel cestino il mio stesso cuore.
 
Guarda sempre avanti e non abbatterti mai e, nel caso ti serva una spalla su cui piangere, getta un occhio al tuo fianco… Sarò pronto a donarti tutto il mio appoggio.
  Sorridi sempre, sei bellissima quando lo fai. Con affetto,
 
  Il tuo paperotto, Mousse.
   
 
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