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Autore: BabaYagaIsBack    11/06/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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"I wouldn't hold my breath if I was you
'Cause I'll forget but I'll never forgive you
Don't you know, don't you know?
True friends stab you in the front "

- True friends, Bring Me The Horizon

 

Avevano abbandonato Marsiglia ancor prima di scoprirla, annusarla e vederla veramente. Dal vagone del treno ad alta velocità erano scesi lungo il binario insieme a una fiumana di gente facendosi strada a tentoni e stando attenti a non perdersi mai - cosa di cui Noah era segretamente terrorizzato - arrivando infine in una piccola area dove, quasi come in un mercato mediterraneo, i taxisti urlavano a gran voce la propria svendita personale. Ce n'erano a decine, di ogni forma e nazionalità. Alcuni se ne stavano ben ancorati ai finestrini delle proprie vetture, altri si muovevano come cavallette per lo spiazzo, arrivando persino a importunare i viaggiatori afferrando i loro bagagli e "invitandoli" a usufruire dei loro servizi. Per un attimo il desiderio di tornare sul treno, nella cabina dove avevano passato le ultime ore, si era fatto quasi invincibile. L'Hagufah si era dovuto aggrappare con tutta la forza di volontà al pensiero di essere quasi arrivati, di non poter tornare a casa proprio in quel momento - poi era intervenuto Levi che, con una pacca in mezzo alle scapole, lo aveva sorpassato gettandosi come un gladiatore in mezzo all'arena che era il piazzale. Sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi sornioni si era subito messo a contrattare con uno dei tanti autisti presenti. Dalle sue labbra, persino dalla distanza che li separava, Noah poteva udire uscire un francese quasi perfetto, contaminato giusto da qualche accento messo male. Le parole gli scivolavano fuori di bocca trasformando la sua lingua biforcuta in una rampa da cui lanciarsi, ed era stato così che nel giro di poco si erano ritrovati seduti stretti-stretti nella Honda Civic di un uomo indiano dalla barba lunga e brizzolata. Messo in mezzo tra Alexandria e la Chimera più antica del mondo, Noah fece di tutto per non toccare troppo ne l'una né l'altro, intimorito da ciò che ancora non riusciva a controllare e dagli occhi fissi e cupi di una riproduzione di Shiva che, appesa allo specchietto retrovisore, sembrava tenerlo d'occhio e sussurrargli "so cosa sei". Gli ci vollero molti brani hindi, parecchi chilometri di viaggio e il passaggio da un panorama urbano a uno più rurale prima di riuscire a rilassarsi e smettere di pensare che quella statuetta lo stesse giudicando.
Ovunque guardasse, piegandosi appena in avanti per scorgere oltre il parabrezza, l'Hagufah incrociava grosse nuvole bianche e gabbiani, una vegetazione marittima e strutture turistiche alle volte lussuose, altre fatiscenti. La provincia marsigliese aveva un aspetto così diverso dai paesaggi austriaci, pensò; lì, nonostante fosse autunno inoltrato, si veniva ancora accarezzati da un tepore dolce che esaltava la salsedine nell'aria e le persone si riunivano sulle piccole spiagge sparse lungo la strada, assaporando fameliche le ultime giornate di bel tempo.
In parte le invidiava. Anche a lui sarebbe piaciuto sentire la sabbia sotto i piedi, sedersi su una stuoia per ascoltare i suoni del mare e liberare la mente da ogni sorta di pensiero - peccato non potesse.

Z'év d'un tratto gli picchiò dentro con la spalla e, quasi risvegliandosi da uno strano stato di torpore, Noah si volse nella sua direzione incapace di capire se fosse un gesto voluto o il goffo tentativo di mettersi più comoda.
«Tutto okay?» si sentì chiedere. In testa Alexandria portava ancora la parrucca scura e il berretto, in viso un lieve strato di trucco che le assottigliava lo sguardo incupendo il rosso delle sue iridi.
Lui annuì in risposta, tirando un sorriso. Era stranito e stanco, non poteva negarlo, ma si sentiva tranquillo in mezzo a loro, come un bambino che cammina con le mani strette a quelle di mamma e papà.
«Tu?» le chiese, prendendola alla sprovvista. Z'èv sbatté un paio di volte le palpebre, Levi accanto a lui si volse strusciando la pelle del trench scuro che aveva indosso.

«Sì, tranquillo» abbozzando a sua volta un sorriso, Alex gli carezzò in punta di dita una spalla e il tocco lo fece fremere tra sorpresa e ansia. E se per errore le avesse fatto del male? Se il suo potere fosse esploso in quel momento? Ma nulla accadde. Il viso di lei tornò a fissare fuori dal finestrino e un senso di sollievo lo investì.

Dal sedile anteriore Zenas fece un mezzo sussulto, girando il capo verso di loro. Sul viso un'espressione soddisfatta: «Prima tappa raggiunta, signori!» Annunciò col suo vocione, trasformando Noah in un cane che fiuta un cambiamento nell'aria. Si tirò dritto, come se la cosa potesse fargli scorgere meglio i dintorni, poi prese a guardare in ogni direzione, curioso.
Dove erano? Cosa avrebbero fatto da quel momento?
«Benvenuti a Carry le Rouet» aggiunse Akràv rimettendosi composto.
Da quell'annuncio ci volle un'altra decina di minuti prima che potessero abbandonare l'abitacolo del taxi e le musiche hindi di Ravi, mettendogli in mano una quantità di banconote che Noah mai avrebbe speso per un viaggio del genere. Aveva poi seguito una merenda abbondante in una boiserie del piccolo centro cittadino e, infine, la decisione comune di trovare un nuovo taxista per proseguire il viaggio.

Ne cambiarono due dopo Ravi, ed entrambi più che inclini alle chiacchiere di circostanza - conversazioni a cui Levi, Zenas e Alexandria non si sottrassero, anche se nelle loro espressioni Noah fu certo di intravedere del fastidio. Non capiva ciò che si stavano dicendo in quel francese tanto veloce da mandarlo in confusione, ma era sicuro che se avessero potuto tacere, le Chimere non avrebbero esitato a farlo. Sembravano contrarie all'idea di dover fornire una qualsivoglia informazione, anche se fasulla, eppure per non dare eccessivamente nell'occhio - cosa che all'Hagufah pareva già di per sé difficile - continuavano a rispondere alle domande di colui che stava alla guida; prima un uomo sulla quarantina, poi un vecchio con grossi baffi sale e pepe e una camicia a righe il cui colletto svolazzava nel vento.
La quarta tappa del loro viaggio era stata Port-de-Bouc, un paesino marittimo alle foci del Canale di Caronte, dove cambiare passaggio era risultata essere un'impresa molto più ardua del previsto e poi, a Port-Saint-Louis-du-Rhône, qualche chilometro più a ovest, si erano infilati in quell'ultimo taxi di fortuna, forse nemmeno registrato per fornire quel genere di servizio, e si erano addentrati nel Parco regionale della Camargue. Imboccata la D570 poco dopo, avevano viaggiato per altre due ore, arrivando verso il tramonto in una zona sperduta appena fuori la riserva naturale. A quel punto Zenas aveva preso il controllo della situazione. Dando indicazioni sempre più precise, aveva fatto accostare l'uomo in un'area all'apparenza quasi disabitata, vicino a una deviazione che si spingeva verso l'interno della costa. Per un po' aveva perso tempo a rassicurare il vecchio, dubbioso sul fatto che sapessero realmente dove stavano andando, e di fronte alla sua incertezza sempre più fastidiosa Akràv aveva aggiunto al suo compenso un'altra banconota di grosso taglio che aveva fatto storcere il naso a Noah.

«Theós! (Iddio!)» grugnì appena richiuso il baule della vettura e salutato l'uomo: «Possibile che più la gente invecchia più diventa impicciona?»
Alex gli si fece vicina e in un gesto pieno di stanchezza e comprensione gli poggiò la testa al braccio: «Avremmo potuto fare la stessa fine, sai?» scherzò in un sussurro che fece sorridere anche Noah. Non se le immaginava proprio, le Chimere, vecchie. Persino sforzandosi per lui non poteva esistere altra loro forma se non quella.
«Ti avrei chiesto di tapparmi la bocca con un calzino, piuttosto» rispose Zenas scuotendo il capo, inorridito di fronte a quella possibilità - e con la mano libera aveva poi scompigliato i capelli della sorella, ormai liberi dal giogo della parrucca. A Carry le Rouet infatti avevano tutti e quattro dismesso i propri travestimenti, cambiato abiti e finto di non essere altro che un gruppo di vacanzieri arrivati da Parigi e pronti a godersi qualche giorno di mare. In tutte quelle ore di viaggio l'Hagufah aveva sentito dire loro un'infinità di bugie e il fatto che finalmente potessero smettere di mentire gli tolse un peso di cui nemmeno era a conoscenza dal petto. 

«Quando avete finito di parlare dei vostri strani giochetti,» intervenne d'un tratto Levi, raccogliendo uno degli zaini da terra: «direi che possiamo incamminarci verso casa, non trovate? Forse voi non ne sentite la necessità, ma sono certo che Noah abbia bisogno di riposo e cibo.»
Il ragazzo corrugò la fronte: «Vuoi dirmi che non siete stanchi?»
Anche Zenas si caricò in spalla uno dei bagagli: «Non come te, moccioso» affermò strizzandogli l'occhio.
«Ma abbiamo-»
«Il nostro senso della fatica è diverso dal tuo» lo precedette Nakhaš come se sapesse cosa stesse per dire: «così come quello della fame.»
Le due Chimere più antiche del mondo si incamminarono e lui gli corse dietro: «In che senso? E poi Akràv è ferito!» Puntualizzò notando l'incedere claudicante dell'uomo. Potevano dirgli qualsiasi cosa, ma era ovvio che stesse ancora soffrendo.
A ridosso della sua spalla, vicina quasi quanto durante il tragitto in auto, Alexandria gli rispose, facendolo sussultare lievemente: «Te lo abbiamo già detto, no? I nostri corpi non sono umani, sono fatti per sopportare di più. Possiamo digiunare e rinunciare al sonno per giorni e settimane se necessario.»
Sì, glielo avevano già accennato, eppure non riusciva a farsene una ragione. La ferita di Zenas era profonda, grave. Fino alla sera prima aveva sanguinato e inzuppato gli asciugamani di casa, non poteva credere che non gli stesse procurando alcun dolore.
«Okay, ma-»
«Ah-ah!» Davanti a lui, dietro a una spalla dritta e abbronzata, Akràv lo stava fissando con quel suo solito sguardo bonario da fratello maggiore: «Stiamo bene, Noah, davvero.» Come se nulla fosse tornò a guardare di fronte a sé, verso una meta che non doveva essere poi tanto lontana. Le teste e le schiene delle Chimere erano baciate dal sole e i loro passi andavano a schiacciare un sentiero fatto di granelli dorati. La sterpaglia che dai lati dello sterrato si andava a infittire per miglia e miglia intorno a loro dava invece l'impressione di essere sul punto di prendere fuoco e se Noah assottigliava lo sguardo in una qualsiasi direzione poteva scorgere in lontananza i riflessi del mare. 
«Una volta che saremmo arrivati a casa ci concederemo una buona tisana con le ɛvɛn (pietre), se ne sono rimaste. Vedrai che con quella ci riprenderemo in un attimo!»
A quelle parole l'Hagufah fu riportato alla realtà. Per un attimo si era perso nella contemplazione del paesaggio, quella meraviglia che durante il tragitto si era perso. 
«ɛ-ɛvɛn? Cosa sono? Non è la prima volta che le citate.»
«Come, non te ne abbiamo parlato?» Noah scosse il capo, anche se non era certo Zenas potesse vederlo. «Dannazione! Ero convinto avessimo tratto l'argomento...»
«Beh, abbiamo ancora un quarto d'ora di cammino prima di arrivare, direi che puoi istruire il ragazzo sull'argomento, no?» Sul profilo di Levi si tese un sorriso.
«Vero, vero...» asserì il fratello prendendosi qualche istante per mettere insieme i pensieri: «beh, le ɛvɛn sono frammenti, caro Noah, che ci permettono di sanare il corpo da ferite non mortali e rimetterci in forze. Sono dei lenitivi per quando non si vuole intervenire direttamente con l'alchimia» spiegò Akràv rallentando il passo. L'Hagufah non avrebbe saputo dire se fosse per via della ferita o semplicemente perché la Chimera volesse accertarsi che la udisse bene, così provò ad accelerare e affiancarla.
«Frammenti di cosa, esattamente?»
«Di Pietra.»
«Pietra?» Quella risposta lo confuse più di quanto si sarebbe aspettato. Non capiva e Zenas pareva non rendersi conto di quale fosse il problema; così intervenne Levi, che dalla sua posizione di capo fila non sembrava nemmeno essere attento alla conversazione.
«Pietra Filosofale, akh.»

Il cuore di Noah balzò in gola.
Aveva sentito bene?

«S-stai scherzando?»
L'altro rispose agitando il capo: «Okay che ho un incredibile senso dell'umorismo, Noah, ma su queste cose vorrei che ricordassi il più possibile.»
«Quindi esiste? Davvero? Non è un'invenzione o una trovata alla J.K. Rowling?»
Nakhaš soffocò una risata: «Dio, non dirmi che pensavi fosse una roba esclusiva di Hogwarts!?»
«No! No, certo che no... Solo che non credevo esistesse sul serio. Pensavo che anche quella di Nicolas Flamel fosse una leggenda!» D'un tratto dopo le sue parole tra di loro calò un insolito silenzio. Zenas deviò lo sguardo sull'orizzonte, Levi forse finse di non aver sentito. La sensazione di aver detto qualcosa di sbagliato gli attanagliò la gola, ma persino sforzandosi Noah non riuscì a immaginare dove fosse il problema. Aveva forse detto una castroneria? Eppure era certo di aver letto qualcosa riguardo la Pietra Filosofale e quel tale...
«Beh,» Alexandria alle sue spalle si schiarì la gola: «invece la si può creare, se ci si mette d'impegno. La sua forma grezza è ciò che aiuta noi a sopravvivere. Evita che i nostri corpi si deteriorino, ci infonde una dose minima di Ars, un po' come se fossimo tossicodipendenti in riabilitazione. E' il nostro metadone.» L'intervento di lei parve sbloccare i fratelli, come il segnale durante una partita a Un, due, tre, Stella!  Zenas tornò con lo gli occhi su di lui, mentre Levi soffocò una risata.
«Esattamente,» riprese la Chimera al suo fianco dopo un grosso respiro: «e per questa sua funzione essenziale abbiamo lasciato delle scorte nascoste in quasi tutte le nostre case.»
«Perché?»
«Oh, beh...» Akràv gli mise una mano sulla spalla facendo una leggera pressione, come se in qualche modo lo stesse usando come appoggio: «dovevamo essere sicuri di non restarne senza. Tenendole nascoste nelle case che abbiamo abitato e possediamo, se per qualche ragione dovessimo averne bisogno, ci basterebbe passare di lì e prenderle. Inoltre, se per qualche ragione fossimo in fuga o avessimo bisogno di un tetto sopra la testa, in casa avremmo tutto ciò che ci serve. Potremmo trattare le ferite lievi» e con la mano libera sembrò indicare il proprio stinco: «o semplicemente recuperare in fretta le energie perse e prepararci a un nuovo scontro.»
«E quando finiranno le scorte? Perché potrebbe succedere, no?»
Nuovamente dalle narici di Zenas uscì un grosso sospiro, una sorta di rassegnata consapevolezza, un'ovvietà: «Beh, a quel punto aspetteremo la morte come un qualsiasi centenario esistente al mondo.»
I passi di Noah rallentarono.
Quindi anche le Chimere potevano morire di vecchiaia.

Alexandria gli afferrò lo zaino, sospingendolo per non far perdere il ritmo. Seppur stessero salendo una semplice collinetta, nessuno di loro sembrava intenzionato a fermarsi.
«E quante ne avete ancora?»
L'altro fece spallucce: «Chi può dirlo... siamo sette fratelli che si sono divisi solo la quantità di ɛvɛn presenti nella casa di São Jacinto, qualcuno potrebbe averle già finite ed essere corso a prenderne altre.»
«Senza dire nulla alle altre Chimere?»
Lo sguardo di Zenas si incupì.
«Non ti sei mai chiesto perché solo tre di noi sono venuti a cercarti?» Stavolta fu Levi a rallentare. Da oltre la spalla, come aveva fatto il fratello poco prima, l'occhio destro lo fissava con un'immobilità quasi raggelante. La cicatrice sullo zigomo si intravedeva appena.

No, a essere onesto nel turbinio di eventi e informazioni quel dubbio non aveva mai fatto capolino tra i suoi pensieri.

«La tua "morte" ci ha divisi, ognuno di noi ha preso la propria strada» continuò Akràv, avvicinandosi sempre più al fratello e alla cima della collinetta. Quando fu accanto a Nakhaš questi gli diede una pacca, sorrise e poi tornò a guardare Noah: «Ma con il tuo ritorno speriamo di poter rimettere insieme tutti i cocci» aggiunse, anche se per un istante all'Hagufah parve che non si stesse realmente rivolgendo a lui - poi, come una scintilla, Zenas ricambiò il gesto di Levi con uno scossone.

«Akh! Yesh mishehu bifenim (c'è qualcuno in casa).»

Alexandria a quel punto lo tirò indietro, poi lo sorpassò per affiancare i fratelli come se stesse succedendo qualcosa di grave, qualcosa che Noah in quel momento non riuscì a capire. 
«Atah tsokheq 'alai ?(stai scherzano?)»
Nella rigidità delle Chimere fu facile leggere sorpresa e agitazione, anche senza vedere i loro visi poteva immaginare l'espressione che ne contraeva i connotati.
«Mi zeh yakhol liheyott? (chi potrebbe essere?)» chiese ancora Z'èv, sempre meno rassicurante.
«Einn li mussag... (non ne ho idea), akhòt.»
Qualcuno deglutì.
Il fatto di non poter capire cosa stesse succedendo spinse l'Hagufah ad avvicinarsi con cautela, aguzzando la vista quanto più possibile. Nello spazio tra le teste delle Chimere scorse in lontananza un edificio vecchio, dai muri di mattoni e pietre grigie, con il tetto spiovente non troppo alto e le imposte di un azzurro tanto smunto d'aver preso il colore delle tegole. Persino da quella distanza sembrava grande a sufficienza da ospitare almeno una dozzina di persone, ma ciò che più di tutto lo lasciò di stucco furono le finestre aperte oltre cui tende pallide danzavano nella brezza e dall'altro lato, dove il sole pareva battere di più, corde spesse si legavano a due alberi simili a ulivi, sorreggendo lenzuola come nelle migliori pubblicità per detersivi.

Un nodo gli strinse lo stomaco: «C-che vuol dire?»
Nessuno si degnò di guardarlo in viso.
«Ce lo stiamo chiedendo anche noi...» Zenas si portò una mano alla fronte.
«Chi p-può esserci? Insomma, avevate detto che-»
L'uomo quasi ringhiò: «Lo sappiamo anche noi cosa abbiamo detto! La casa doveva essere disabitata!»
«Se ci fossero degli occupanti?»
«Vedremo di occuparcene.»
«Come? Non penso lascerebbero la casa di propria spontanea-»
«Allora useremo le maniere forti!» Fu Alexandria a zittirlo, gli occhi pieni di nervosismo. Nemmeno loro potevano aspettarsi un simile risvolto e di certo si stavano preparando meglio di lui al peggio. Già, ma come?

«In che modo?» Si sentì chiedere, incapace di frenare la lingua e i brutti pensieri che gli stavano affollando la mente.
Lei si bagnò le labbra, forse capendo: «Nello stesso in cui faremmo se ci fossero i membri del Cultus là dentro.»

Tutto ciò che a Noah venne in mente udendo quella risposta fu sangue, violenza, morte. E la consapevolezza che quei tre fossero davvero capaci di ammazzare chiunque gli fosse capitato davanti senza porsi alcuna remora. Scosse la testa per togliersi il pensiero dalla mente, lo fece strizzando gli occhi e sentendo in bocca un sapore amaro.
«E se ci fosse uno di voi?» domandò nella speranza che quello scenario non avesse mai luogo.
«Quella è un'altra storia...» soffiò Zenas, muovendo il primo passo quasi in simbiosi col fratello maggiore. Levi non aveva proferito parola, ma era chiaro fosse in allerta, teso come una corda di violino per riuscire a capire, a pianificare una qualsiasi strategia - o almeno questo fu ciò che Noah credette fino all'ultimo, perché all'improvviso, senza alcun segnale, la postura della Chimera cambiò completamente e sul suo viso apparve un sorriso burlone.
«Oh, beh! Perché star qui a farci tanti problemi? Andiamo e vediamo, no? Magari è gente simpatica.»
A quelle parole la saliva che aveva in bocca gli andò di traverso. L'Hagufah prese a tossire tanto da credere di soffocare. Era serio? Ma dal modo in cui i suoi passi si fecero leggeri e il suo andamento molleggiato fu chiaro che lo fosse, a dispetto di tutto quello che si erano detti fino a un attimo prima.

 



Shiva: (sivà) è una divinità maschile post-vedica. Fondamento, a partire dall' epoca Gupta, di 7 mistiche a lui dedicate. Śiva è, in età moderna, uno dei culti principali dell'induismo. E' un Dio poliedrico, divenuto tale dopo moltissime evoluzioni nel corso della mitologia hindu.


 
   
 
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