/àc·qua/
sostantivo
femminile
1 Composto chimico di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, incolore, inodore, insapore; costituente fondamentale degli organismi viventi. Distesa d'acqua.
Quanto
aveva pianto per essersi perso quella gita ai laghi? Solo Torag
poteva saperlo.
Quando
aveva sentito il ciarlare allegro dei suoi amici, nell'intimità
della sua cameretta Infaustus aveva cominciato a singhiozzare, per
quanto glielo permettevano i residui della febbre.
Avevano
aspettato tanto, lui e gli altri bambini, avevano aspettato con
angoscia quella gita da fare tutti assieme.
Finalmente
zio Osses avrebbe mostrato loro come condurre una barchetta, come
pescare qualche pesce, come orientarsi con l'aiuto del sole e si
sarebbero divertiti ad affrontare le rapide. E, forse, l'elfo avrebbe
fatto vedere loro anche qualche magia legata all'acqua!
E
invece no.
La
Febbre Spaccaossa lo aveva colpito per colpa di chissà quale
insettaccio -Infaustus era sicuro che c'entrassero le creature
invertebrate di Guzma, ma non aveva quella malignità d'animo per
incolpare il suo amichetto umano- e, tra un febbrone da cavallo e la
sensazione di ossa ridotte in poltiglia, il nano era rimasto a letto
per l'intera settimana, resistendo alla malattia con stoicismo, anche
se dentro di sé voleva solo che urlare e piangere per il dolore.
Sia
prima che dopo la gita, a turni i suoi amici venivano a trovarlo.
Forse per distrarlo un po' e alleviare le sue sofferenze, forse per
non fargli pensare troppo a quello che stava e si era perso, forse
perché non volevano smettere di giocare con lui solo per una stupida
malattia.
Forse
tutte queste ragioni erano vere.
A
volte venivano i tre piccoli mezzorchi.
Infaustus
si divertiva sempre con loro, visto che ci mettevano sempre parecchia
energia e inventiva nei loro giochi. Però poi finiva sempre che
Pendragon barava o che cambiava le regole, che Tsadock ci
mettesse
troppa forza e faceva male a qualcuno o a lui stesso o che
l'attenzione di Grimbull scemasse, cosicché questo passasse a fare
altro con il nano, ignorando bellamente i due cugini.
A
volte venivano Ash e Giada. Anche se spesso era solo Ash.
Infaustus
trovava curioso il loro aspetto, molto più di quanto accadeva con
gli altre tre mezzosangue. Forse perché in loro c'erano i tratti
familiari di Osses e di Guzma.
Loro
due erano molto più tranquilli rispetto agli altri. Ash non parlava
gran che, ma a cogliere anche i più piccoli dettagli era sempre
stato parecchio bravo. Ogni volta che poteva cercava sempre, con
l'aiuto della sorella, di disegnare ciò che osservava per poi
raccontarglielo.
Ogni
tanto Ash arrivava coi suoi disegni assieme a Guzma, un bambino
affetto da una strana forma di albinismo totale.
Sebbene
trovasse questa peculiarità vagamente inquietante, era sempre uno
spasso sentire le storie esagerate che questo riusciva a sfornare,
aiutato dai disegni del mezzelfo.
Le
vere sorprese erano le rare apparizioni di Plumeria alla finestra:
una tiefling tanto svelta di corpo quanto di mente che portava sempre
delle erbe o dei fiori dalle proprietà curative, a detta dei
bigliettini che lasciava vicino a questi piccoli regali.
Infaustus
non sapeva praticamente nulla su di lei. La vedeva solo apparire sul
davanzale, in equilibrio grazie alle alucce nere e alla coda, posare
ciò che aveva raccolto, salutarlo con un cenno del capo e guizzare
via.
Ma
era anche grazie a quella peculiare ragazzina dai capelli rosati e
dal loro amico umano se lui si trovava quella notte fuori dalla sua
cameretta, quando invece doveva passare quel tempo di convalescenza a
letto.
Gli
ultimi giorni li aveva passati in solitudine, chiedendosi che fine
avessero fatto tutti: e ora, si chiedeva, nel torpore del sonno
mancato, se allontanarsi dal Kamigakushi in quel modo fosse sicuro.
Intorpidito
dagli ultimi strascichi della malattia, il piccolo nano non riusciva
a tenere alta l'attenzione: seguiva solo la figura sfuggente di
Plumeria, che era sempre un passo avanti a loro, e Guzma, che lo
teneva pazientemente per mano.
Quando
si fermarono, Infaustus non seppe bene dire dove fossero e che ora
s'era fatta. Si erano semplicemente seduti in un piccolo spiazzo,
isolato dal resto del mondo grazie alle fronde degli alberi, dai
cespugli e dal tappeto foglioso che impediva al terriccio di
sporcarli.
Il
nano, resosi conto di esser arrivato alla misteriosa destinazione,
sbattè un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il panorama
di fronte a lui e tese le orecchie.
Sentiva
perfettamente lo sciabordare dell'acqua a pochi metri da lui,
Plumeria era appesa a qualche ramo sopra le loro teste e Guzma era
seduto proprio accanto a lui.
La
luna piena splendeva alta nel cielo, le stelle luminose si
riflettevano sulle acque placide del lago di fronte a lui: era
proprio quello che dovevano visitare qualche giorno prima, o
perlomeno... era quello principale.
Infaustus
si girò disorientato verso l'amico, che gli sorrise e portò
l'indice sulle labbra, indicandogli di fare silenzio, per poi
indicare il lago.
Il
nano seguì la direzione indicata, ancor più confuso di prima. E poi
accadde.
Lui
non se ne accorse nemmeno: ma lucciole e altri insetti che brillavano
di luce propria avevano cominciato a volare assieme, come in una
danza sincronizzata, poco sopra lo specchio d'acqua.
Da
sotto di questa, piccoli globi luminescenti, appartenenti a chissà
quali esseri, risalirono dalle loro profondità per illuminare da
sotto il lago.
Infaustus
trattenne il fiato e sobbalzò quando il motivo per quella risalita
gorgogliò ed eruppe proprio al centro: con un brontolio il geyser
eruttò e si trasformò in un'enorme colonna d'acqua bollente, tesa
verso il cielo.
Il
bambino restò incantato nel guardare quel pilastro dividersi
progressivamente, fra sbuffi e colonne di vapore, in cinque più
piccole colonne, rendendosi così più simile a una mano di qualche
divinità acquatica che voleva protendersi verso la volta celeste.
E
il vapore alla base intanto assumeva i colori dell'arcobaleno grazie
agl'insetti che, a sciami, frusciavano e volavano attorno a
quell'evento unico. E nel frattempo, dal basso, le creature che lui
non sapeva distinguere illuminavano la base dei cinque geyser, il cui
perenne discendere e risalire dell'acqua produceva riflessi
indicibili, per una mente come la sua.
-Si
dice che sia un portale. Si dice che attraversandolo possa portare in
regni bellissimi!-
gli sussurrò l'albino, che cercava di tenere a freno l'entusiasmo.
-Ti
piace, vero?-
gli chiese poi, con una nota d'insicurezza nella sua voce da bambino.
Ma
Infaustus non lo stava a sentire.
Il
dolore e la sofferenza erano volate via con quei coleotteri, a lui
non era rimasta che una mutua gioia e la gratitudine per aver potuto
assistere a quel dono della natura.
Non
rispose a Guzma: qualcosa gli diceva che quello era una sorta di
tacito regalo che tutti quanti, compreso il buon Osses, gli volevano
fare. Che avessero aspettato solo il momento giusto, nella
convalescenza, per mostrarglielo e augurargli così una ripresa
rapida.
Perché
quello era solo un assaggio di quello che avrebbero potuto trovare.
Per
cui, per non rovinare quel momento fuori dal tempo, Infaustus
semplicemente posò la testa sulla spalla dell'amico, lasciando che
calde lacrime di gioia sofferta offuschino quel paesaggio notturno.
Da
qualche parte, in un altro universo, le cose andarono diversamente.
Non c'erano bambini legati da una profonda amicizia, non c'era
un giovane elfo che cercava affannosamente di star loro dietro.
C'erano
solo un umano e una tiefling, in una terra in eterno conflitto con sé
stessa.
In
breve tempo, quella terra perse tutto ciò che aveva a causa di
scelte sbagliate, della corruzione e del dolore di una studiosa, di
un (in)consapevole aiuto degli abitanti.
E
quell'umano e quella tiefling cercarono di fuggire, riponendo le loro
speranze in quella vecchia storia del portale dentro i geyser del
lago, ormai l'unica ricchezza che avevano ancora in piedi.
È
raro che nel Multiverso due universi possibili e reali possano solo
lontanamente sfiorarsi.
Ma
successe.
Così,
per un attimo passato e presente, possibilità e realtà riuscirono a
incontrarsi: per un attimo, gli adulti e i bambini riuscirono a
guardarsi fra le ombre e le luci del lago.
L'attimo
fugace svanì. Ma l'uomo e la tiefling, abbracciati dentro la loro
barchetta, si chiesero per un momento se per loro ci fosse ancora
speranza.