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Autore: Mordekai    11/06/2018    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando la Fiamma d’Ambra, per governare un vasto e rigoglioso regno, si divise in due frammenti di sé il terzo frammento trovò spazio in un fitto sottobosco dove il sole difficilmente poteva giungere. La terra umida, gli alberi pietrificati e l’inedia degli animali che si sbranavano l’un l’altro per placare quell’insaziabile vuoto la terrorizzarono. Cercò rifugio in un albero cavo ricoperto da edera rampicante e migliaia di insetti, e da quel suo piccolo riparo fece germogliare rovi oscuri, dalle spine acuminate e ricurve che andarono a conficcarsi nelle carni della selvaggina, strappandole e sventrando ogni impurità. Da quelle pozze di sangue nacque un nuovo popolo, dalla carnagione pallida e dal cuore colmo d’ira. La Fiamma d’Ambra si fuse con l’albero cavo, diventando una crisalide vivente che trascinò il suo rifugio sottoterra.
Il popolo forgiato dal sangue, dall’inedia, dall’odio e dalla violenza di quella terra prese il nome di Rovi Neri. I pallidi raggi del sole illuminava flebilmente la loro pelle, rendendoli simili a spiriti vaganti pronti ad assassinare ignari viaggiatori. Gli alberi pietrificati vennero plasmati per formare templi e palazzi adornati dal sangue rappreso e da ossa fuse tra loro; un granguignolesco spettacolo.
Con il passare dei secoli, quel frammento si convinse di non avere più una forma corporea ma composta da pure e dense ombre che si annidano in ogni anfratto e, soprattutto, nell’animo. I Rovi Neri riuscirono a sottomettere alla loro cupidigia i piccoli villaggi confinanti, dilaniando e cibandosi delle carni di sovrani, regine e pargoli in fasce. Quattro sovrani furono artefici di tali massacri. Il Re delle Spine e i suoi tre figli i Principi Gemelli: Heinios Phero, Terbius Necrom e Ignea Artia.
Il primo genito, Heinios, nacque dalla morte e dall’oscurità che si scagliò sui villaggi delle povere anime ormai destinate ad essere maledette. I suoi occhi, rossi come quelli di un demone abissale, celano desideri raccapriccianti di tormenti e sadismo.
Il secondo genito, Terbius, nacque dallo sprigionarsi dell’aura magica della Fiamma d’Ambra e dalla terra umida e muschiata. La pelle, nera come l’ossidiana, è sinonimo di eleganza e allo stesso tempo sofferenza, come il dolore che la sua terra pativa.
La terza genita, Ignea, nacque dall’unione del sangue dei popoli annientati e dell’essenza della Fiamma d’Ambra. I suoi occhi trapelavano una irrefrenabile impulso di ferire e mutilare corpi, solo per vedere quella linfa scarlatta sgorgare copiosamente dai colpi inferti per poi annientarli gettandoli in calderone di pece ed ambra fuse.
Le Antiche Dee della Foresta notarono come l’equilibrio naturale stesse lentamente svanendo, lasciando solo una scia di alberi putrefatti, carcasse nauseabondi, testimonianza che qualcuno o qualcosa stesse per annientare per sempre la loro esistenza. Incapaci di trovare una soluzione, chiesero aiuto alla Dea del Cosmo per evitare il propagarsi di tale sciagura.
La Dea ascoltò la loro richiesta, ma i suoi poteri non erano sufficienti per debellare quella piaga.
Fu in quel momento che chiese aiuto ad una forza superiore, che racchiudeva l’essenza stessa degli Universi e dalla quale nacquero. Una forza che venne esiliata dalla stessa Dea del Cosmo per la sua natura instabile, nonostante anche lei fosse nata da quell’immensa forza.
Risiedeva negli angoli remoti del Cosmo, dove solo Lei poteva brillare di una luce incandescente e allo stesso tempo essere invisibile.
Mearis, la Creatrice era lì.
Apocrifi del Recluso; Epoca delle Cinque Fiamme.


Broym Fleu. Masseria della Curatrice Bianca. Tarda primavera.
Gallart era immobile, con il solito ghigno gelido dipinto sul volto e con la mano tesa verso la giovane Thandulircath, invitandola ad avanzare. Era ancora nel suo mondo dei sogni, da sola e d’innanzi ad un temibile Re sconfitto. Arilyn mosse la mano sul suo fianco ma si rese conto di non avere alcuna arma con cui attaccare:

‘’Siamo in un mondo irreale, qui le armi o i poteri non sono efficaci come nella realtà, tranne per me. Sono amareggiato.’’- esordì l’uomo, schernendo la ragazza con una risata mal celata. Non avendo altra scelta, la Thandulircath avanzò tenendo la guardia alta, pronta a reagire se necessario; osservava amareggiata come quell’idilliaco spettacolo si stesse tramutando in un atroce incubo. Il fuoco si muoveva lento, come se stesse ricambiando il suo sguardo insistente. Quando giunse in quella minuscola zolla di terra fiorita, l’uomo con un gesto della mano affievolì il muro di fuoco dietro di sé.

‘’Perché sei qui Gallart? Che cosa vuoi?’’- domandò Arilyn bruscamente. L’uomo sorrise, non sorpreso da quella domanda così prevedibile.
‘’Conosco bene quello sguardo, giovane Thandulircath. Mi disprezzi per aver ottenuto il vero potere.’’

‘’Hai ucciso Narwain, una bambina di soli dieci anni.’’- rispose la ragazza, afferrandogli il colletto della camicia e strattonandolo. Non voleva che la rabbia prendesse il sopravvento e lasciò andare l’uomo, che sorrideva nuovamente.

‘’Attingere ad un potere che può sottomettere interi regni richiede sacrifici. E la Madre del Globo era la vittima prescelta. Il tuo potere è innato ma per renderlo così forte, così puro e devastante, non hai sacrificato giorni della tua vita? Non hai messo da parte momenti di gioia mondana per essere ciò che sei adesso? Eppure, continui a nasconderti.’’- replicò Gallart, mutando espressione. Sembrava essere preoccupato, ma un Re come lui poteva nascondere migliaia di insidie dietro un solo volto.

‘’Io non mi nascondo. Non voglio perdere il controllo sulle mie emozioni e reagire inconsciamente.’’- disse la ragazza, massaggiandosi lievemente la mano fratturata. Gallart sorrise nuovamente ascoltando quelle parole. Si passò una mano tra i lunghi capelli argentei e scosse la testa:

‘’La tua è solo un’arma a doppio taglio. E la vostra umanità è così inane che mi chiedo perché gli Dei vi abbiano creato. Ma, tralasciando questa mera curiosità, volevi comprendere la mia presenza in questa tua visione onirica? Sono a conoscenza dell’imminente oscurità che sta per abbattersi sul regno che ti ospita e che dovrai lottare e impegnarti duramente se vorrai vivere. Lottare contro la mia sorellastra e me erano solo infantili minuzie. Il vero scontro avrà luogo presto.’’

Arilyn restò confusa da quelle parole, non comprendendo il perché Gallart avesse premura nel metterla in guardia. Osservava quel suo sorriso di pura perfidia e temeva fosse impazzito. Quando i loro sguardi si incrociarono nuovamente, il Re della Prima Fiamma disse improvvisamente:

‘’Se credi che io sia impazzito, nonostante in forma di un banale spettro, non conosci cos’è la vera Follia. Per il momento. Oh, è quasi l’alba e a breve abbandonerai questo regno di soave tranquillità.’’

‘’Come…Come hai fatto?’’- chiese la ragazza, incredula. Come se i suoi pensieri fossero visibili agli occhi di Gallart. Un manoscritto di eteree parole viventi in un mondo onirico.

‘’Sono un Re della Prima Fiamma Arcana, essenza indomabile, elegante e famelica generatasi millenni orsono. Posso fare tutto ciò che desidero, anche controllare un sogno. Adesso, Arilyn dei Thandulircath, dobbiamo salutarci. Ma ci rivedremo presto.’’

Un devastante fragore distrasse la ragazza che si pietrificò nel vedere quel muro di lingue incandescenti prender nuovamente vita e avanzare. Gallart scomparve in una nube di cenere e contemporaneamente il rogo vorace accolse nel suo incandescente abbraccio la ragazza, che percepì la stessa sensazione di una belva nascosta nel fuoco. La terra sotto i suoi piedi sprofondò, inghiottendola in un baratro oscuro.

Sì svegliò con il fiato corto e il sudore che le rigava le tempie e il collo, un calore intenso sul petto la tormentava costringendola a togliersi le coperte. Chiuse gli occhi e respirò lentamente per calmare la sua anima tormentata da quell’incubo indesiderato, cercando di dimenticare ogni particolare e soprattutto Gallart. Dalla finestra filtravano i raggi del nuovo giorno, sfumando dall’arancio al rosa pallido fino al rosso. Una luce bluastra si manifestò senza preavviso, illuminandole le mani e successivamente il petto:

‘’Avverto la tua sofferenza, cara Arilyn. Il passato ti sta consumando lentamente, i tuoi ricordi ti stanno trascinando negli abissi e punisci te stessa per non aver salvato Narwain. Sono le Stelle a decidere.’’

‘’Perché Dea del Cosmo? Perché devo soffrire in questo modo?’’- chiese, riconoscendo la voce soave della Creatura Celeste. Il fulgore vibrò impercettibilmente per poi espandersi fino ad assumere una forma corporea ma quasi eterea. Le mani della Dea strinsero quelle della ragazza e un sorriso mesto si dipinse sul suo viso per poi esordire nuovamente:

‘’Mi duole ammetterlo, ma Gallart ha ragione. Bisogna fare sacrifici per poter ottenere un qualcosa. Sono stata io a mandarti in questo luogo per fare in modo che riuscissi a ritrovare l’equilibrio delle tue emozioni ma non sta andando come speravo. Perdonami se ti ho abbandonato figlia mia...’’

La giovane Thandulircath si stupì dinanzi a quell’innaturale tristezza della Creatura Celeste, ricordandosi del loro primo incontro due anni fa ad Huvendal: sorrideva ed era tranquilla nonostante le avversità che affliggevano il regno. Questa volta, però, percepiva la Dea più umana che un essere di pura energia. Comprese che quel gesto era stato fatto a fin di bene e non per altri motivi. Stava per rispondere quando un n formicolio fastidioso si propagò sulla mano della ragazza, interrompendola. Piccoli sfavillii danzavano frenetici sulla mano ferita, causandole prurito e bruciore.

‘’Dea del Cosmo, perdonatemi se ho covato rancore dentro di me. La perdita…di mio padre e il desiderio ardente di voler sconfiggere Gallart hanno offuscato il mio cuore.’’- poté finalmente rispondere, massaggiandosi la mano; provava ancora lievi fitte di dolore quando la toccava ma poteva muoverla. L’Essere Celeste le carezzò il viso proprio come se fosse realmente sua figlia e Arilyn, sorpresa da quel comportamento le chiese:

‘’Cosa avete Dea del Cosmo? Il vostro comportamento è quasi umano, non etereo…’’- chiuse gli occhi, percependo una piacevole sensazione di conforto che non provava da molto tempo. Eshreal abbassò il cappuccio che le copriva gli occhi e la testa, rivelando lunghi capelli argentei e occhi cerulei.

‘’Io ho a cuore ogni essere vivente in questo mondo, soprattutto ho a cuore te Arilyn. Avverto ancora sentimenti contrastanti e ricordi così…dolorosi che mi straziano. Vorrei solo che tu tornassi a due anni fa, con il tuo sorriso e la stessa energia dirompente che avevi dentro. Per questo il mio comportamento è simile ad una madre che ad una creatura celeste.’’- rispose Eshreal, cingendo teneramente la testa della ragazza e portandola al suo petto. Una lacrima scivolò lentamente dalla guancia della Thandulircath mentre la Dea continuava a tenerla stretta a sé fino a quando il sole illuminò tutta la stanza.

‘’Adesso devo lasciarti al tuo dovere, Arilyn. Io veglierò su di te con l’aiuto delle Stelle. A presto, Araldo della Luce.’’- e svanì in una tenue luce azzurrina che si riversò per tutta la stanza. Successivamente, un sospiro provenne dalla parte opposta: Elfriede si stava svegliando dal suo torpore, ignara di quello che era successo. La porta si aprì, facendo filtrare altra luce e Imryll entrò sorridendo:

‘’Forza, preparatevi. Oggi abbiamo molto da fare e, Arilyn non dimenticare la spilla. Gli Istruttori Reali tengono molto a quel simbolo di rispetto e dovere, ma per me è solo un loro capriccio da subalterni.’’- disse la donna, dirigendosi nel salone e preparando il necessario per la giornata. Dopo aver sistemato la stanza, preparato gli abiti e aver fatto un lungo bagno, erano finalmente pronte: la prima tappa era il fabbro del Broym Fleu, lo stesso che il giorno prima annunciava le sue invenzioni ad un pubblico curioso. La Curatrice Bianca tirò nuovamente la campana per richiamare lo stalliere e preparare tre cavalli purosangue con sella e briglie. All’esterno, oltre al rumore degli zoccoli degli equini, si susseguirono anche il cozzare delle armature delle sentinelle.

Il sole era già alto quando le tre donne s’incamminarono per i sentieri costeggiati da piccoli ruscelli splendenti, alberi con frutti maturi che pendevano dai rami come gemme e l’aria fresca trasportava con sé migliaia di fragranze piacevoli: un misto di spezie, pane appena sfornato e invitanti dolci. Nel mentre proseguivano al trotto su una stradina sterrata, alcune creature lignee sembravano ignare della loro presenza e si divertivano a far germogliare fiori ed edere rampicanti dalle venature rossastre sulle cortecce di betulle e ailanti, adornandoli di decorazioni viventi: una di loro si accorse del passaggio delle tre donne e mosse goffamente il braccio salutandole.
Creature delle foreste e esseri umani che vivevano in perfetta armonia e umiltà. Arilyn, però, era distratta dall’inconsueto affetto della Dea del Cosmo e dall’imminente incontro con il fabbro del regno; il nome era molto familiare, ma con gli eventi degli ultimi anni non riusciva a ricordare dove lo avesse già sentito.

‘’Arilyn? Qualcosa non va?’’- chiese Imryll, notando il suo sguardo vacuo, mentre raggiungevano la città.

‘’Ero curiosa di sapere qualcosa di più sul fabbro della città. Quando eravamo dirette al Concilio, l’ho visto invitare alcuni cittadini ad ammirare le sue creazioni e, devo ammettere, non erano soliti utensili o armi.’’- rispose la ragazza, dissimulando il proprio stupore alla domanda.

‘’Prima di diventare il migliore fabbro del Broym Fleu, era un soldato dell’ormai antico e dimenticato Ordine dei Cavalieri d’Ambra. Per tutte le campagne militari, ha sfruttato le sue conoscenze su tutti i tipi di materiali e oggetti esistenti e che poteva tramutare in armi. Durante la Guerra del Falso Profeta, usò un bastone di ferro e i resti di una ruota di una carrozza per costruire un martello da guerra. Solo lui sapeva come maneggiare tale arma, che fu anche in grado di uccide il Falso Profeta con un singolo colpo.’’- narrò brevemente Elfriede, conoscendo anch’ella la storia dell’uomo. Imryll annuì, confermando quanto detto dalla ragazza.

Giunte in città, le strade brulicavano di commercianti e cittadini che parlavano tra loro, ascoltavano i menestrelli intonare soavi melodie, i bambini e le bambine giocavano ad essere cavalieri del Regno:

‘’Un regno magnifico, eppur sento un vuoto incolmabile dentro di me. Perché?’’- si chiese la giovane Thandulircath, vedendo quei volti gioiosi. I suoi occhi si posarono su due figure mascherate che stavano acquistando delle spezie dalla forma bizzarra; una di loro si girò d’istinto sentendosi osservata e chinò leggermente il capo in segno di riverenza verso Arilyn.

‘’Vadmadra? Anche il vostro popolo li conosce?’’- chiese la ragazza, stupendosi della loro presenza.

‘’Sì, ma quelli non sono comuni Vadmadra.’’- rispose Imryll sorridendo e indicando impercettibilmente le loro maschere: sulla fronte era disegnato un cerchio rosso e oro, attraversato da una lancia dalla doppia punta, inusuale per quel popolo. Molti di loro indossavano maschere colorate in base al grado, ma scoprire l’esistenza di un simbolo che rimandava a storie vetuste era a dir poco affascinante.

All’esterno di un grande edificio costruito in ferro e pietra, vi era un carro trainato da due cavalli e due uomini che scaricavano alcune casse di varie forme e altezza, alcune anche molto pesanti a giudicare dai rinforzi in bronzo:

‘’Come mai è così pesante questa cassa? I miei cavalli sono sfiniti.’’- disse il cocchiere all’altro, cercando di tenere salda tra le mani la merce.

‘’Materiale di estrema importanza per questo regno e il suo esercito. Non farti ingannare dalla forma, alcuni di essi sono davvero pesanti. Mettiamola qui.’’- rispose l’altro uomo dai lunghi baffi senza alcuno sforzo, come se la cassa fosse piena di piume. Dopo aver posato con cura tutto il materiale, pagato il mercante e aperto tutti bauli di legno, i suoi occhi si illuminarono vedendo tutti quei materiali e minerali posati con cura in appositi scompartimenti. Curioso come un bambino, prese quello che sembrava essere una sfera fatta di un singolo pezzo d’osso, dai bordi smussati e dalla lucentezza opaca:

‘’Germoglio osseo. Uno dei migliori materiali che possa esistere per i bastoni ferrati. Le truppe corazzate impazziranno.’’- disse, sorridendo e immaginandosi nuove forme e lunghezze per quell’arma comune. Nel mentre si accingeva a preparare le armi, gli scudi e consultare vari progetti per nuovi armamenti quando una voce femminile lo destò da quella frenesia:

‘’Perdonami se interrompo la tua giocosa curiosità, Oghan Ethwen, ma c’è del lavoro da fare. E tu sei l’unico fabbro in grado di farlo.’’
‘’Imryll! Che piacere rivederti, ma è solo mezzodì, come mai così presto?’’- chiese lui, sorpreso e imbarazzato nel farsi scoprire come un bambino con dei biscotti trafugati.

‘’Volevo presentarti Arilyn, la nostra nuova ospite del regno dei Rovi. Credo che Morkai ti abbia accennato qualcosa al riguardo.’’- rispose la Curatrice Bianca, con un sorriso e invitando la giovane Thandulircath ad avanzare. Quando il fabbro udì questo nome, si avvicinò a passo svelto: con i pochi raggi di luce, Arilyn poté osservare che era più alto di lei di qualche centimetro, la testa calva, lunghi baffi che gli incorniciavano un volto spigoloso ma curato, con un naso largo ma non troppo. Nonostante l’altezza e l’età, le campagne militari e il suo lavoro lo avevano tenuto in forma.

‘’Conosci Sharal?’’- domandò improvvisamente l’uomo, dopo averla osservata attentamente. Arilyn sbarrò gli occhi, incredula di trovarsi dinanzi al padre di Sharal, sua amica.

‘’Quindi lei è il padre di Sharal? È un onore conoscerla, vuol dire che sua figlia le ha parlato di me e della sua nuova dimora, suppongo.’’- rispose la ragazza, sorridendo e sentendosi rincuorata dopo quell’incessante sguardo inquisitore e di curiosità. Il fabbro ridacchiò e si sistemò la divisa prima prendere delle scartoffie da un tavolo lì vicino, per poi consegnarle ad Arilyn. Erano lettere molto vecchie, sbiadite ma ancora leggibili e la calligrafia di Sharal era inconfondibile, tanto da suscitare un sorriso nella ragazza.

‘’Nonostante non scorra buon sangue tra noi, mi ha sempre inviato lettere da…Huvendal se non erro. Adesso si è spostata con il suo plotone nell’estremo est e difficilmente i messaggeri riescono a partire o a raggiungere quel luogo. Ma non roviniamoci questo splendido giorno di sole e dimmi come posso esserti utile.’’- disse, lisciandosi nuovamente i baffi e ridacchiando, cancellando quel breve attimo di malinconia. Arilyn osservò tutte le armi esposte sui muri di pietra, dalle forme e grandezze varie tra le quali uno spadone formato da quel che sembrava essere un pezzo di mandibola fuso ad un lungo bastone di metallo che fungeva da elsa. L’osso era attraversato da impercettibili venature rossastre che si estendevano sui tre denti rimasti.

‘’Quella che vedi è stata una delle mie creazioni. Trovai quell’osso tra le macerie di una magione. Fu uno dei lavori più impegnativi nel creare qualcosa che unisse bellezza alla mortalità e non potevo lasciarlo lì. Dopo averlo ripulito, trattato con alcune sostante che impedissero la decomposizione e preso le misure per crearne l’elsa, ho usato della resina nera per rinforzarla e dell’ataemanite cremisi per donarle quelle venature che vedi. Ma ogni arma e scudo che vedi ha la propria storia.’’- esordì Oghan, avviandosi ad una grossa fornace esagonale e iniziò ad alimentarla gettandoci del carbone e del legno, studiando i prossimi progetti da dover realizzare.

‘’È possibile creare una spada che possa incanalare un grande potere e comunicare con il suo proprietario?’’- chiese Arilyn, ricordandosi della sua prima spada, simile ad una lama di cristallo cremisi. Il fabbro corrugò la fronte, perplesso da quella richiesta.

‘’Spade comunicante e permeate di potere? Non ho mai forgiato armi del genere e credo che…’’- s’interruppe, osservando le mani della ragazza brillare intensamente e muoversi sinuosamente sulle armi, scudi e sulla teca di vetro, prima di dissolversi in piccole scintille dorate. L’espressione di stupore e incredulità dell’uomo le fece sorridere; alcune di quelle piccole scintille vorticarono a pochi centimetri dal suo naso e con fare giocoso le toccò una per una:

‘’Oh per tutte le stelle, è un qualcosa di incredibile e affascinante! Pochissimi eventi mi hanno sorpreso negli anni, ma questo è…Sarà una fantastica sfida creare qualcosa di unico solo per te!’’- disse il fabbro, sorridendo mentre prendeva i materiali adatti per forgiare una nuova arma per Arilyn. Sarebbe stato impegnativo nel fucinare un’arma magica, ma avrebbe reso il suo lavoro di qualità.

Lasciata la casa del fabbro, le tre donne ripresero i cavalli e si diressero verso il Concilio, per poi svoltare a sinistra e proseguire dritto fino ad una piccola abitazione dal tetto in paglia e un camino pericolante, sorretto a malapena da assi di legno. Nonostante quell’aspetto leggermente trasandato, il resto era impeccabile. Qualcuno, con una lunga tunica bianca e un velo trasparente, era all’esterno dell’abitazione e strappava con vigore alcune erbacce e foglie secche: dall’esile corporatura sembrava essere un’anziana donna.

‘’Maledette erbacce, rovinate il mio prezioso giardino!’’- disse lei, imprecando e gettandole vie. Quando sentì il sopraggiungere dei cavalli, si voltò di scatto facendo quasi volar via il velo che le copriva il viso e i capelli. Non sembrava sorpresa di ricevere visite, ma si stupì della presenza della giovane Thandulircath. Si avvicinò alle donne a cavallo e disse:

‘’Lei è la ragazza? Morkai mi ha informato. Per favore seguimi e togliti gli stivali non appena entri. Il pavimento è di legno e si rovina facilmente con loro.’’
Così Arilyn scese dal cavallo e seguì la donna, esitando brevemente. Il suo comportamento distaccato la innervosiva, costringendola a stare in all’erta: ‘’Come posso se non ho un’arma con me?’’- si chiese la ragazza, mentre varcava la porta di legno ed essere accolta da intense fragranze di spezie e fiori. Le assi del pavimento di quercia erano lucidate a dovere, splendenti sotto i raggi del sole del primo pomeriggio: una zona, però, presentava delle irregolarità che solo un occhio vigile e attento può cogliere.

‘’A giudicare dal tuo sguardo indagatore, hai scovato la mia botola segreta. Ma pensa, una guerriera che è anche un gatto.’’- disse con molta ironia la donna, che irritò lievemente Arilyn. Quando entrambe furono al centro della stanza, l’anziana dama afferrò una sedia, una coperta, delle forbici e strani contenitori con liquidi che gorgogliarono non appena vennero mossi. Diede dei leggeri colpi sullo schienale di legno, invitando la giovane a sedersi e a restare immobile. Non appena Arilyn fece come richiesto, la donna volse con rapidità la sedia sotto la luce del sole che filtrava dal soffitto:

‘’Leggere cicatrici, lividi che stanno lentamente scomparendo, occhiaie, pelle secche. Per l’amor del Sole fanciulla, sei in pessime condizioni. Dovresti prenderti un po’ più cura di te stessa…Non temere, sono una zaros dopo tutto, ma Derceia è il mio vero nome.’’- disse, prima di aprire uno dei contenitori e versare un liquido trasparente sul capo di Arilyn, usando poi una spazzola per cospargerlo meglio. Prese un paio di forbici e iniziò a tagliarle i capelli con maestria, togliendo le ciocche danneggiate e donandole nuova vita. Non appena terminò, prese un altro contenitore contenente una sostanza polverosa:

‘’Copriti il viso, per cortesia.’’- disse Derceia, iniziando ad agitare il barattolo e a far cadere sui capelli della ragazza la sostanza. Non appena Arilyn tolse le mani dal volto, si ritrovò riflessa ad uno specchio rotondo e restò meravigliata: i capelli le erano stati tagliati con eccellente precisione fino alle spalle, leggermente mossi e che avevano ritrovato il loro rosso rame un tempo svanito.

‘’Non ho ancora finito, chiudi gli occhi e cerca di non muoverti, altrimenti rischio di sfigurarti.’’- esordì con tono brusco la donna, prendendole il viso e osservando meglio i punti da dover curare. Si strofinò le mani con vigore e con lentezza fece scorrere le dita sotto gli occhi della ragazza, sulle guance e sulla fronte: un leggero prurito e pizzicore provocarono in Arilyn una smorfia di fastidio ma doveva resistere e restare immobile.

‘’Ho terminato. Le cicatrici e le ecchimosi sono scomparse definitivamente. Non posso dire lo stesso per le occhiaie, dato che l’effetto su di loro è temporaneo. Tra qualche settimana torneranno, goditi il tuo nuovo aspetta finché puoi. Ora vai, ho altro da fare.’’- furono le ultime parole della donna, agitando la mano per allontanarla come se fosse una mosca sul miele. Quell’indifferenza e scortesia furono l’ultima goccia:

‘’Posso sapere perché mi tratta come fossi un oggetto da restaurare e riconsegnare al proprietario? La ringrazio per avermi ‘’curata’’ ma il suo comportamento è riprovevole.’’

‘’Sei anche insolente e petulante, ragazza. Tuo padre non ti ha educato a dovere, forse preferiva fare il donnaiolo.’’

Una lama di luce distrusse la sedia per poi spegnersi sulle assi del pavimento, con un leggero scoppiettio. Gli occhi della ragazza emanarono un bagliore opaco, così anche la sua mano: il colpo fulmineo fu quasi invisibile agli occhi della zaros, che impallidì quando vide la ragazza possedere tale potere.

‘’Non osi parlare di mio padre in questo modo.’’- disse la ragazza, quasi sibilando e uscendo dalla casa. Elfriede ed Imryll vedendola adirata, restarono in silenzio ma Arilyn aveva molte domande da fare e gradiva ricevere delle risposte, solo non in quel momento e cercò di ignorare il tutto:

‘’La zaros ha fatto un lavoro eccellente, ma adesso dobbiamo raggiungere i culiars.’’- esordì la Curatrice Bianca, spronando il cavallo con una leggera pressione delle gambe, seguita a sua volta dalle due fanciulle. Si lasciarono alle spalle quella piccola abitazione per raggiungere il Concilio dove la giovane Thandulircath avrebbe iniziato così il suo vero ed ufficiale addestramento. Vicino l’immenso cancello che separava la città dal palazzo vi erano tre uomini con una luccicante armatura argentata con intarsi cremisi che copriva il busto, le gambe e le spalle, lasciando libere le braccia e i polpacci coperti da semplici indumenti grigi; uno di loro avanzò per primo ad una sentinella e, dopo un breve dialogo si diressero nel palazzo, seguiti poco dopo dagli altri due corazzati.
Entrate a palazzo, le tre donne lasciarono i cavalli al giovane scudiero che li portò rapidamente nelle stalle sul retro. All’entrata, ad aspettare con le braccia dietro la schiena c’era Morkai, vestito della sua livrea grigiastra che anticipò le donne e, a gran voce attirò l’attenzione dei tre soldati in armatura:

‘’Nobili maestri culiars, vi presento la prode Arilyn, ultima dei Thandulircath. Che i vostri insegnamenti e arti del combattimento possano rendere inarrestabile.’’- e con un inchino, il ragazzo si allontanò rapido.

‘’Finalmente incontriamo una Thandulircath da vicino. Mi ero stancata di leggere solo storie o miti sulla loro esistenza.’’- esordì una voce femminile distorta dall’elmo che raffigurava la testa di un leone. Brandiva due lunghe spade fatte unicamente di rovi induriti e resi splendenti dall’elbaollite. Gli altri due maestri, invece, brandivano rispettivamente una spada-falce e una lunga mannaia con cinque anelli sulla lama: dalla forma e colore, sembravano esser stati ricavate da vertebre ossee e rinforzate
dalla resina nera.

‘’E adesso, prendi una delle mie spade e mettiti in posa.’’- disse la donna con l’armatura da leone, lanciando una delle sue spade verso Arilyn, preparandosi ad attaccare con gli altri due maestri del combattimento. La giovane Thandulircath tenne lo sguardo fisso sui tre cavalieri mentre posava la mano sulla spada. Confidava negli insegnamenti di suo padre e strinse la moneta che aveva unito al suo ciondolo e chiuse gli occhi.

Terre del Nord. Huvendal. Primo pomeriggio, tarda primavera.

‘’Nessuna novità, soldato?’’- chiese una voce stanca di un uomo nell’ombra del suo studio. Il soldato si inchinò prima di proferire parola, tentennando:

‘’Mio sire, mi rammarica darle questa spiacevole notizia. Abbiamo cercato in ogni angolo remoto delle Terre del Nord, giungendo persino nel regno vadmadriano ma nessuno sembra averlo visto. Hanno solo avvertito la presenza magica del suo oscuro potere, nient’altro di concreto.’’
L’uomo sospirò, sfiorando svogliatamente alcune mappe che erano attaccate con degli spilli sul tavolo e i suoi occhi si posarono su una piccola isola che distava pochi chilometri dal regno se si procedeva verso ovest:

‘’Il Regno dei Re Esiliati? Avete già controllato in quel marciume?’’- chiese lui, con disprezzo nel nominare quel luogo. Il soldato, dalla sua lunga divisa estrasse i vari documenti ricevuti dai ricognitori, cercandone uno che riguardasse quel luogo. Quando lo trovò, con un sospiro lesse quanto scritto:

‘’Il ponte che collega l’isola dei Re Esiliati è stato abbattuto, cancellando circa due chilometri e mezzo di cammino dalla costa. Sono stati trovati picconi e asce sulla riva e pezzi di legno bruciato. Si presume che per non lasciare alcuna traccia, sia stato incendiato. Abbiamo richiesto l’aiuto di un esperto Merfolk per verificarne se sia stato opera umana o naturale. Nessuna presenza di magia oscura. Questo è il resoconto giunto poche ore fa. Io ora devo ritornare dai miei uomini, con permesso Re Searlas.’’- si inchinò e lasciò lo studio dell’uomo. Il silenzio si impossessò nuovamente della stanza illuminata a malapena, e le finestre impedivano alla luce del sole di entrare.

Un leggero fruscio di seta colse fugacemente l’attenzione dell’uomo, finché le tende vennero spostate con violenza quasi ad essere strappate dai supporti e il sole rischiarò quel tetro buio, quasi a voler ferire anche Searlas che si coprì con la mano. Sentì un sibilare incessante provenire dal fondo della stanza, ma non riusciva a comprendere cosa fosse.

‘’Speri che delle comuni ombre di un piccolo studio possano nasconderti? È più di una settimana che non esci da questa stanza e sembri un cadavere. Non si addice ad un Re.’’

‘’Che cosa vuoi saperne tu Amdros, sei solo un titano delle ombre, sei privo di sentimenti.’’- rispose Searlas, lacrimante per l’improvvisa luce. Il Titano gli si parò davanti e afferrò il colletto con le sue mani artigliate, trapassando il tessuto. Amdros scosse la testa, ridacchiando. Prese la corona che era poggiata sul tavolo e la fece scivolare da una mano all’altra, osservando piccole incisioni e graffi sul metallo prezioso:

‘’Noi Titani, nati dalla Stella Creatrice, proviamo sentimenti come tutti voi umani. Non li mostriamo perché in guerra ci vuole concentrazione e determinazione, nessuna malinconia, nessun senso di vuoto o disorientamento. Noi esistiamo da epoche ormai e commettete sempre il medesimo errore: lasciarvi guidare dalle emozioni. Alza quel flaccido fondoschiena da quella sedia, mostra il tuo spirito e abbi fiducia in Darrien. Non sono il primo a dirtelo, o mi sbaglio?’’- terminò Amdros con quella domanda, prima di svanire e lasciar cadere la corona sul tappeto della stanza. Searlas si alzò dalla grossa sedia e recuperò la sua corona, pulendola dalla polvere.

La luce del sole gli accarezzava il volto, stanco e provato, donandogli un aspetto poco dignitoso per un re. Continuò ad osservare il mondo dietro la finestra del suo studio, riflettendo sulle parole del Titano; non era la prima volta che qualcuno lo ‘’incoraggiasse’’ nel reagire e non lasciarsi consumare dalle sciagure.

‘’Dovrò chiedere ad uno dei fabbri di farmi recapitare più lanterne, questo studio ha troppi angoli bui ed è fin troppo facile nascondersi.’’- disse Searlas, posando la corona nell’apposita teca e andò nel suo alloggio per ripulirsi dalla sensazione di sporco e rilassarsi, evitando spiacevoli e terrificanti pensieri gli si annidassero nella mente, come avvoltoi pronti a dilaniare la loro preda una volta esanime.

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Concilio delle Sette Sorelle. Primo pomeriggio.

La giovane Thandulircath arrestò il colpo scaturito dalla spada-frusta del cavaliere, riuscendo a contrattaccare scheggiandone il piatto. In quel breve lasso di tempo, la donna nell’armatura da leone usò la spada come estensione del braccio; decine di fusti di rovi si mossero verso la ragazza, strisciando e guizzando come vipere. Arilyn schivò l’imminente impatto e corse contro l’uomo che brandiva il khopesh, usò il potere della sua spada per tentare di strappargliela dalle mani, ma la presa salda del cavaliere la costrinse ad avanzare rischiando di esporsi ad un successivo attacco.

‘’Non così in fretta Thandulircath. Non abbiamo ancora iniziato.’’- esordì l’altro cavaliere, preparando il fendente. La ragazza si ricordò di un vecchio insegnamento del padre: far leva sui piedi, spostare l’arma verso la parte opposta del nemico e colpire i polpacci dell’avversario. Così fece, riuscendo a spostare il cavaliere dalla sua posizione, strappò via la spada e lo colpì duramente al polpaccio facendogli perdere l’equilibrio e lo atterrò con un poderoso calcio al petto. Il cavaliere armato della spada-frusta eseguì un affondo che lacerò il pantalone della ragazza, ma il contrattacco fu innovativo: la lama di rovi bloccò, incastonandosi nel pavimento, il meccanismo che permetteva ai segmenti del metallo di riunirsi e un fascio di luce scagliò lontano il soldato.

‘’Non sei una comune Thandulircath, vero?’’- chiese la donna, osservando come i suoi due compagni vennero sconfitti con facilità.

‘’No, non lo sono. In guardia.’’- rispose Arilyn, disarmata e con i palmi che brillavano pallidamente. Quando la donna del leone le corse contro, brandendo la spada verso il fianco, la ragazza notò che i suoi movimenti lasciavano ampio spazio per un attacco agli arti inferiori e così scivolò verso le gambe, passandole sotto. Afferrò le caviglie, facendola cadere con un sonoro tonfo metallico, mentre la spada scivolò a pochi centimetri da lei. Arilyn e il cavaliere recuperarono le rispettive spade ed eseguirono entrambe un mezzo mulinello che terminò in un assordante tintinnio. Un lento e costante applaudire si udì dal fondo della sala:

‘’Hai dimostrato di possedere doti eccellenti nel combattimento con la spada e nel corpo a corpo, ma sono ancora imperfette. Per una semplice curiosità, tuo padre come si chiamava?’’- chiese Daernith, comparendo dall’ombra e mostrando il suo candido viso.

‘’Vorshan, mia signora.’’

‘’Come?’’- fu la domanda dei tre culiars, togliendosi l’elmo e mostrando finalmente i loro volti. I due uomini mostrarono un viso che esprimeva tutto il loro onore, mentre la donna tenacia e bellezza. All’udire quel nome, si avvicinarono ad Arilyn, sorpresi di sentirlo nominare:

‘’Saranno ormai anni che non abbiamo sue notizie. Le tue abilità hanno la sua impronta, dato che molti soldati sono stati addestrati da lui. Ricordo ancora la battaglia contro i Mercenari di Cristallo, distruggerli con le loro stesse armi fu una sua idea. Come sta adesso?’’- chiese l’uomo che brandiva la sua spada-falce, mentre constatava se non ci fossero graffi o crepe sul metallo bronzeo. Arilyn serrò le labbra, cercando di trattenere un sospiro di tristezza. Bastò quel semplice gesto per far comprendere ai tre maestri d’arme l’avvenuta sciagura.

‘’Suo padre è morto valorosamente per salvare Huvendal, i suoi abitanti e il suo re contro l’esercito di Gallart. E colei che vi è innanzi lo ha sconfitto.’’- s’intromise gentilmente Daernith, constatando il malessere della giovane Thandulircath. Le posò delicatamente la mano sulla spalla e le sorrise, cercando di rincuorarla.

‘’Non è possibile! Gallart è stato uno dei Re della Fiamma Arcana più longevi di tutta la storia dei popoli, e uno dei più sadici seppur le sue azioni era mosse dalla sua smania di potere. E so che aveva anche una sorellastra che odiava…ma non ricordo il nome. Com’è possibile che tu sia…stata…?’’- le domande dell’uomo trovarono risposta con un accecante bagliore derivante da Arilyn, che lentamente si tramutò in una nube di stelle dorate e ritornò alla sua forma originaria.

‘’Chiedo venia per aver dubitato di te. Io sono Havelok Zeldreo Lohengrin, detto Il Corvo. Lieto di fare la tua conoscenza.’’- replicò il cavaliere, inchinandosi leggermente con il busto.

‘’Io, invece sono Hemar Lamorak, Sangue di Bisonte. I miei omaggi.’’- proferì parola il secondo cavaliere con voce profonda, chinando il capo e colpendo sull’armatura che rappresentava il teschio di bisonte. Una lunga cicatrice gli solcava metà del viso, terminando di poco sullo zigomo destro, ma Arilyn fu affascinata dalla bellezza della donna che sembrava non dimostrare alcun segno di invecchiamento. I capelli, dorati come i raggi del sole, erano avvolti in una lunga treccia tenuta saldamente da un nastro rosso e gli occhi, neri come la notte risaltavano maggiormente la sua audacia.

‘’Onorata di conoscere una guerriera valorosa come te, una Thandulircath per giunta. Magdelin Richilde, Cuor di Leone. Come detto dalla Sorella Maggiore, i tuoi movimenti sono precisi e coordinati, ma grezzi perché lasci molto scoperti i fianchi o le spalle e, inoltre, non abbastanza veloci. L’impronta di tuo padre è molto evidente con il tuo stile di combattimento va ammesso, fatta eccezione per la scivolata. Mi congratulo con te, hai dato prova di ciò che un cavaliere sa fare però dovrai avere la tua arma la prossima volta. Arilyn dei Thandulircath, ti attenderemo nuovamente qui domani all’alba.’’- e così la donna, accompagnata dai suoi subordinati si inchinarono e si diressero nei loro alloggi per riposare e rifocillarsi.

Daernith, la Sorella Maggiore del Concilio invitò le tre donne ad avvicinarsi al centro della stanza, sorridendo. La Curatrice Bianca ed Elfriede si meravigliarono di tale scelta della donna, ed esitarono:

‘’Avvicinatevi per favore. Dopo aver parlato con il resto del Concilio, abbiamo preso una decisione. Per secoli solo noi potevamo assistere al Frammento in tutta la sua immensa bellezza, ma oggi voi tre avete dimostrato di essere degne di poterlo vedere, ma dovete promettere che qualsiasi cosa accada a questo regno impediate agli invasori di portarlo via. Imryll mia cara tutto questo è anche merito tuo, e di Elfriede.’’

Quando la Curatrice Bianca e la giovane Elfriede sentirono quel complimento, arrossirono leggermente e chinarono il capo in segno di ringraziamento. La Sorella Maggiore del Concilio pigiò il piede su un rilievo del pavimento circolare ed un fracasso di catene, ingranaggi e pistoni avvolsero la stanza: in un batter di ciglia, iniziarono a discendere nei livelli inferiori del palazzo. Lanterne ad olio che si estendevano in una lunga spirale luminosa erano appese a centinaia di metri dalla pedana che continuava a scendere silenziosa. Dall’alto di alcune piattaforme vi erano alcuni servi intenti a rimuovere della muffa dalle pareti e si inchinarono al passaggio della loro Signora.

Una luce ambrata, più intensa di quelle di comuni lanterne risplendeva sul fondo della sala nascosta agli occhi indesiderati. Le pareti, grazie ai riflessi di quel fulgore, permetteva di vedere mosaici variopinti che ritraevano antiche vicende del regno, divinità della terra, città e altri continenti illuminati da una enorme fiamma avvolta in un albero. La piattaforma giunse a destinazione, incastrandosi su una base quadrangolare dove ad attendere le quattro donne vi erano altre due giovani guerriere in una umile corazza di ferro rosso. Si inginocchiarono, posando la mano sul cuore e successivamente sullo spadone legato al fianco:

‘’Altezza, siamo liete di rivederla qui.’’- esordirono insieme le donne, rialzandosi e posando gli occhi su Arilyn, perplesse dalla presenza di una nuova persona.

‘’Aphrah ed Heloys, vi presento Arilyn dei Thandulircath. Nostra ospite del Regno. Volevo mostrarle la ragione per la quale combatterà per noi, il perché le verrà affidato questo importante e onorevole compito.’’

Le due donne si avvicinarono, con un leggero cenno della testa e sorrisero:

‘’I miei omaggi, io sono Aphrah, Anima Virtuosa.’’- disse la donna dai lunghi capelli neri, con qualche ciocca argentata nascosta. Il viso mostrava poche rughe, ma i tratti erano delicati e tenaci allo stesso tempo. L’altra donna, invece, le strinse la mano con forza, cosa che sorprese Arilyn:

‘’Io sono Heloys, Anima Arcaica. Siamo onorate di conoscere una nuova condottiera per il nostro regno. Seguici, attenta agli scalini alcuni sono ancora scivolosi a causa del muschio.’’- e così, precedendo Arilyn la condussero al Primo Frammento della Fiamma d’Ambra, circondato da rami rossi che coprivano tutta la superficie solida, senza danneggiarlo. La base, su quale era poggiata era costruita da ferro impreziosito da rubini dalla grandezza di una noce e sotto il grande frammento vi erano diverse ciotole contenenti sostanze e polveri colorate disposte a cerchio. Inginocchiata, come assorta in preghiera, vi era una donna dai capelli biondo cenere legati una lunga treccia a spina di pesce inversa, fermata da un nastro grigio e fermagli di metallo.

‘’Sei la ragazza della quale ho sentito tanto parlare? Avvicinati, per favore.’’- disse la donna in preghiera flebilmente. Arilyn avanzò lentamente, osservando sia il grande frammento che la dama assorta nella sua funzione religiosa. Quando si girò, i suoi occhi sembravano vacui, come se fosse cieca. Non appena sbatté le palpebre, un penetrante marrone si materializzò sulle iridi:

‘’Una dote che solo noi Guardiane possediamo. Il cuore pulsante del nostro regno è intriso dell’energia della Dea del Cosmo e, per evitare di perdere la ragione osservandolo a lungo, il colore dei nostri occhi diventa grigiastro, lattiginoso quasi. Percepisco l’immenso potere che ti scorre impetuoso nelle vene, ma temi. Temi di perdere il controllo del tuo corpo.’’- proseguì la donna, studiando a fondo i lineamenti di Arilyn, concentrandosi sui suoi occhi smeraldo. Istintivamente distolse lo sguardo e serrò le labbra in una smorfia di vergogna.

‘’E diventare un mostro…ho sentito già queste parole.’’- rispose la giovane Thandulircath, cercando qualsiasi cosa le desse conforto.

‘’Non sei un mostro. Nessuno lo è. Se ti trovi nel nostro regno è per volere della Dea. Sono anche al corrente del tuo…brusco passato e chi hai dovuto fronteggiare. Quali indicibili sofferenze hai…’’

‘’Patito? Lo so benissimo cosa ho dovuto affrontare, e vorrei non rivivere quei ricordi nuovamente! A causa di queste insulse guerre di potere, vendette familiari, ho perso una persona che ho amato fin da quando ero in fasce, ho perso una cara amica dal futuro ormai scritto in antichi tomi. Sono solo stanca.’’- replicò con freddezza Arilyn, mentre le sue mani brillavano insieme al Frammento d’Ambra. Quel lento pulsare simile ad un cuore preoccupò Imryll ed Elfriede, ma non la Sorella Maggiore e le altre donne che osservavano incuriosite quella surreale scena. Arilyn poggiò lentamente la sua mano sull’artefatto, avvertendone l’immenso calore:

‘’Ritrovare il mio equilibrio e salvarvi? E sia.’’- esordì dopo un breve silenzio Arilyn, ritornando alla piattaforma dopo aver fatto un inchino di riverenza, seguita dalla Sorella Maggiore e dalle altre due donne. La piattaforma riprese la sua ascesa con un sonoro frastuono metallico, creando piccoli sbuffi di polvere che vorticavano dalla pedana. Gli sguardi delle dame erano tutti rivolti verso la Thandulircath, che si massaggiava la mano in fase di guarigione: i suoi occhi vagavano nel nulla della stanza.
Aphrah e Heloys, nel mentre osservavano quell’ascesa, discutevano tra loro della nuova arrivata, incerte se lei fosse realmente in grado di preservare l’integrità del loro regno.

‘’Meryld, tu cosa ne pensi?’’- domandò Heloys, inclinando leggermente il capo nel vedere la guardiana sfiorare impercettibilmente il frammento della Fiamma.

‘’Quella ragazza ha toccato il Frammento senza subire ripercussioni. La Dea del Cosmo pervade con la sua energia ogni sua creazione, rendendola quasi letale per gli imprudenti. Ma lei…è diversa.’’

Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Palazzo Reale. Tardo Pomeriggio.

Darrien vagava senza una meta precisa nell’immane biblioteca che sua sorella le aveva mostrato, come regalo di scuse per averlo fatto attendere nell’alloggio. Ironia della sorte, si ritrovò al punto di partenza:

‘’Se attendo oltre, avrò una crisi di nervi.’’- disse il ragazzo, mentre osservava gli alti scaffali colmi di libri dalle forme e grandezze più strane, decorati da placche in ottone o argento. Su alcuni tavoli vi erano srotolate lunghe mappe ingiallite, con diversi fili colorati tenuti saldamente da spilli e sulla parte superiore di ogni foglio vi erano scritti nomi di campagne militari condotte negli anni, alcune terminate con successo mentre altre erano segnate da una lunga striscia obliqua nera. Darrien scosse la testa e rise, notando che la loro strategia militare si limitava ad avere una corazzata leggera ed una pesante disposte a semi cerchio e una trentina di arcieri distanti pochi metri. Si allontanò incredulo da quel che aveva visto e proseguì al centro della sala.
Tre ampie vetrate con incisi i sovrani del regno e i loro nomi sotto catturarono l’attenzione del giovane, che rimase ad osservare meravigliato della grandezza dell’opera ma disgustato dall’egocentrismo del re. Si fermò a leggere un tomo rilegato in pelle nera, dalle pagine immacolate: ognuna di queste erano scritte in una lingua familiare, nonostante le sbavature e macchie marroncine sui bordi. Più sfogliava, più notava disegni, incisioni, mappe di popolazioni vissute centinaia di secoli prima, narrazioni e descrizioni di oggetti che non aveva mai visto.
Nella penombra della biblioteca, qualcuno stava sorvegliando il giovane che continuava a sfogliare il tomo. Due occhi iridescenti, dalle pupille simili a quelle di un felino sembravano fluttuare nell’oscurità donata da alcuni scaffali e lentamente quell’ignota creatura sgusciò dalle tenebre. Alta quasi quanto un tronco di faggio, dalle braccia robuste e muscolose, una bocca colma di denti che potevano strappare carne ed ossa con un solo morso si avvicinava lento e silenzioso, nonostante l’ingombrante armatura di cuoio e spalline in metallo. Brandiva una mannaia inastata, con una lunga catena arrugginita avvolta sull’asta e la lama rifletteva la luce creando effetti variopinti in ogni direzione.

‘’Voltati lentamente o ti sventro. Chi sei e cosa fai nella biblioteca reale?’’- chiese la creatura, digrignando i denti e ringhiando. Darrien si voltò lentamente, impassibile dinanzi alla mole della bestia simile ad un lupo ed un leopardo.

‘’Che aberrazione sei?’’- domandò il ragazzo, sapendo che quella domanda avrebbe causato l’ira della fiera. L’attacco non si fece attendere e la lama spaccò il legno del leggio, sparpagliando trucioli e schegge ovunque. Darrien fu rapido nell’evitare il brutale affondo.

‘’Sei una spia dei Rovi Rossi? La divisa che indossi è solo per i membri della famiglia. Quale sangue macchia le tue sudice mani?’’

‘’Fai troppe domande. Sono Darrien, ultimo dei Varg, figlio della…Regina di questo regno. Sei la seconda persona che si ostina a credere che io sia una spia.’’- replicò lui, irritato dalla curiosità di quella bestia. Studiava ogni lineamento di quell’essere, dalla conformazione del viso alla corporatura leggermente ricurva al colore della pelliccia.

‘’Ti? Ur dakk'ata euuasaerko gsr’a borrae rad'ro Rosrae?’’- domandò la creatura nella sua lingua, così da nascondere l’insulto gratuito e confondere il ragazzo. Darrien sorrise, riuscendo a comprendere perfettamente ciò che la creatura gli aveva detto e replicò nello stesso modo:

‘’Sì, roakulka ankoddaro.’’

La mannaia innastata cadde con un fragoroso tintinnio metallico, lasciando a bocca aperta l’animale e provocando un sorriso di scherno in Darrien. L’energumeno si avvicinò con passo pesante, ringhiando e perdendo piccoli rivoli di bava che gli caddero sulla pelliccia grigio-marrone. Strinse tra le forti zampe l’arma e disse:

‘’Come conosci la lingua di noi Huerdakhal?’’- chiese il felino. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, infastidito dall’invadente curiosità, ma rispose brevemente che negli ultimi due anni aveva conosciuto popoli e creature che parlavano lingue sconosciute che lo incuriosirono ad impararle per avere, in futuro, alleati preziosi. L’enorme creatura sistemò la sua arma sulla spalla e, con sorriso beffardo si presentò:

‘’Io sono Veasrik, proteggo la Sala del Secondo Frammento d’Ambra. Con questo, mi congedo. Ti avverto, non fare scherzi o la mia lama trapasserà quel tuo corpicino come se fosse burro.’’- e così, a grandi falcate, uscì dalla biblioteca, emettendo leggeri latrati. Il ragazzo scosse la testa, incredulo ancora una volta: dallo scontro nella Città Desolata al ritrovarsi in un regno a lui sconosciuto, aveva ricevuto troppe sorprese. Dei passi che giungevano rapidi dall’entrata principale della sala avvertirono Darrien dell’arrivo di qualcuno, alquanto agitato:

‘’Il tuo odio per le attese un giorno si riverserà su di me. I consiglieri e i comandanti del palazzo chiedono sempre a me di fare i doveri dei miei genitori e sono anche costretta. Perdonami.’’- disse Malrin avvicinandosi e respirando con il fiatone.

‘’Non ti odierò, ma se devo aspettare oltre, esplorerò per conto mio il palazzo e il regno, evitando seccature.’’- rispose il ragazzo. Il suo sguardò si posò nuovamente sul leggio semi distrutto; per fortuna che il supporto in marmo lo teneva ben saldo sul pavimento. Quando sua sorella se ne rese conto, chiese cosa fosse successo e Darrien, sogghignando replicò:

‘’Il vostro animale domestico ha distrutto parte del leggio perché, da quello che sembrava, l’ho insultato chiamandolo abominio.’’

‘’Veasrik? Lui e suo fratello condividono questa caratteristica. Basta poco per farli diventare rabbiosi. Ma vieni, voglio mostrarti l’arena dove si allenano i nostri uomini.’’- corrispose lei facendo spallucce e avanzò, afferrando il polso del ragazzo trascinandolo con sé verso una nuova area dell’immenso e suntuoso palazzo. Una moltitudine di androni, corridoi e sale con placche in ottone sulle porte sembravano moltiplicarsi e non terminare mai, come le continue e appariscenti decorazioni in oro, argento, rubino e giada sulle pareti, sulle statue e monili.
Nel mentre proseguivano lungo uno di questi corridoi, Darrien colse con lo sguardo una gigantesca stanza con tre troni, colma di soldati tutti inginocchiati e una sola sull’attenti che discuteva con il re. La sua armatura era sfarzosa e dalla forgiatura bizzarra, con incisioni e rune che si sovrapponevano l’un l’altra creando un groviglio confuso.

‘’I miei uomini sono pronti per il prossimo attacco signore. Tra due albe, ci spingeremo sullo stesso fronte e ridurremo in poltiglia il loro esercito. Abbiamo ampliato di cento uomini la prima fila di corazzata, così da poterli accerchiare e impedire che alcuni di loro possano…fare la loro magia. Inoltre richiedo l’aiuto di Nurlkalf di costruire più frecce per i miei arcieri e qualche ballista mobile nel caso…’’

‘’Generale Batkiin, una richiesta alla volta. Le balliste richiedono molto legno e tempo di costruzione. Informerò l’armaiolo di fabbricare le frecce, ed è perfetto perché ha intenzione di usare materiali che rendano letale il dardo. E poi di che magia parla, generale?’’- lo interruppe il Re Galeren, passeggiando avanti e indietro con le mani dietro la schiena.

‘’La maggior parte dei soldati del regno confinante dispongono di una magia che può prosciugare il corpo del malcapitato, come se fossero creature che si cibano di uomini. Una volta eseguito questo…macabro atto, le abilità dell’avversario si fondono con quelle della vittima riuscendo a rovesciare l’avanzata.’’- replicò il generale, stringendosi il nodo che teneva fermo il mantello attaccato all’armatura. Galeren restò in silenzio per un po’, poggiandosi sul trono e si massaggiò la spalla ancora dolorante per lo scontro di un paio di giorni fa.

‘’Data la situazione, dovremmo spostare in prima fila gli arcieri così da permettere poi alla corazzata leggera di avanzare ed eliminare gli spadaccini. La corazzata pesante si occuperà del resto.’’

’E questa voi la definite strategia militare?’’- si udì una domanda dal tono adirata. Darrien era entrato nella sala del trono. Il suo sguardo colse lo stupore e il timore dei presenti che subito si misero in posizione d’attacco, pronti per l’imminente ordine. Batkiin si voltò, mostrando un viso spigoloso, il naso aquilino e degli occhi marroni dalla forma a mandorla. Uno dei cavalieri si scagliò sul ragazzo, cercando di colpirlo con il pugnale:

‘’Muori maledetta spia!’’

Darrien fu più rapido di lui e con un singolo, violento pugno al fegato mandò al tappetto il suo sfrontato avversario. Il generale fu sorpreso e alquanto terrorizzato non appena notò che dalle mani del ragazzo si sprigionavano lunghi e serpeggianti fili oscuri: anche l’armatura in cuoio, ammaccata e lacerata, emanava gli stessi filamenti.

‘’Ragazzo, tu cosa vuoi saperne di campagne militari? La nostra strategia è una delle migliori che possa esistere…’’

‘’Non a quanto riportate su alcune carte topografiche. Avete più sconfitte che successi, e tutte riportano sempre lo stesso approccio. Arcieri in ultime file, corazzata pesante in avanti e leggera nelle retrovie. Quello che fate è un insulto a chi pianifica un attacco vero e proprio, atto a decimare nemici e a ridurne i sopravvissuti. Se volete continuare con questa partita di scacchi fatte di vite umane, fatelo. Vi renderete conto che il regno dei Rovi Rossi saprà come contrastarvi.’’- lo interruppe furiosamente, sentendosi sbeffeggiato e la rabbia aumentò l’intensità del suo potere, avvolgendogli le braccia come se fossero avambracci forgiati dagli abissi demoniaci. Così com’era entrato se ne andò, seguito da sua sorella; quel breve battibecco aveva generato tensione e alcuni dei cavalieri guardavano con sospetto il generale.
Darrien proseguì a passo svelto verso uno dei cancelli che conduceva all’uscita del palazzo, stanco di tutto quello che aveva visto e sentito. Aprì una porta in legno con lo stemma dei Rovi Bianchi coperto in foglia d’oro con un rabbioso calcio, rompendo il battente e scardinandola. Si ritrovò su un balcone in marmo arabescato, con una ringhiera semi circolare dello stesso materiale sorretta da piccole colonne scolpite:

‘’Preferire lo sfarzo, il lusso che a migliorare l’approccio militare. Non mi meraviglio se hanno subito gravi perdite, ma il loro menefreghismo è aberrante. Quale purezza, quale dignità, quale onore…Sono solo degli imbecilli che si circondano di inutili ricchezze e…’’- le parole gli morirono in gola, la sua rabbia era evidente dalle gonfie vene sul collo e dai denti stretti, il viso che lentamente si tingeva come il rosso del tramonto. Si passò le mani tra i lunghi capelli e chiuse gli occhi, cercando di ritrovare la calma. Respirò a lungo la brezza della tarda primavera, assaporandone ogni sfumatura e rimase ad osservare il cielo cambiare lentamente colore; nella città le prime lanterne venivano accese da alcuni soldati con della polvere giallastra e una pietra focaia, donando alle stradine un flebile bagliore azzurrino. Malrin, che lo aveva seguito e atteso fino a che non ritrovasse la serenità, poggiò una mano sul braccio del giovane.

‘’Mi chiedo come tu possa vivere in tutto questo…’’

‘’Letamaio che considerano purezza? Ormai sono diciotto anni che ci vivo. Fa comodo avere dei servi che ti portano viveri e abiti, ma tutta la ricchezza che impregna le mura possono essere usate per altro.’’- rispose lei, interrompendo suo fratello. Il cielo era diventato bluastro, permettendo alla luce delle lanterne di diventare più intenso, riflettendosi sulle spalliere di metallo di alcuni soldati in ronda per la città.

‘’Darrien, posso domandarti una cosa riguardo i tuoi poteri?’’- domandò improvvisamente Malrin. Quella richiesta fece rabbrividire il ragazzo, che serrò le labbra istintivamente.

‘’Chiedi pure.’’- rispose dopo un breve attimo di silenzio.

‘’Come riesci ad avere il pieno controllo su di loro e a non ferirti? Io più ci provo, più rischio di riempirmi di cicatrici le braccia e le mani…’’

‘’Pensi che i risultati si possano ottenere subito? Io sono riuscito a controllare i miei poteri solo un paio di anni fa, rendendoli letali. E i vostri gladiatori ne hanno avuto un assaggio. Non credere che disporre di un potere sia meraviglioso. Mente e corpo devono trovare il perfetto equilibrio o rischi di diventare ciò che temi.’’- e in quel momento, immagini di una vecchia guerra si manifestarono nei suoi pensieri; il corpo che si tingeva di un nero impenetrabili, lunghe spine serpeggianti che gli sgusciavano dalle spalle che distruggevano carri, rocce e ghiaccio. Scosse il capo, cercando di cancellare quei ricordi angoscianti e rispondendo finalmente alla domanda.

‘’Allenati e concentrati, restando pur sempre vigile sugli eventuali nemici. Prendi questo, non mi serve più.’’
Darrien afferrò dal cinturone l’ultimo pugnale che gli era rimasto e lo posò nelle mani della sorella, perplessa su quell’inaspettato regalo ma lo apprezzò con un sorriso. Quando la luna comparve dalle nubi, era giunta l’ora di cenare ed entrambi si diressero nelle cucine per poter rifocillarsi di quello che era rimasto; fette di pollo speziate, verdure in agrodolce, formaggi con miele e noci e spicchi di arance con cioccolato. Un pasto prelibato che in un regno come quello era del tutto sprecato.
Di ritorno nei rispettivi alloggi, Darrien avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle e con un singolo movimento estrasse la spada, puntandola alla gola del potenziale nemico.

‘’Nonostante i miei passi silenziosi, sei riuscito a sentirmi.’’

‘’Hai sospirato, semplice. Tu sei Batkiin, giusto? Che cosa vuoi?’’- domandò il ragazzo, rinfoderando la spada e osservando l’uomo che sorrideva, nonostante i suoi occhi marroni tradissero invidia.

‘’Mi devi perdonare per sono comparso come un vigliacco, ma gradirei conoscere ciò che realmente conosci di tattiche militari e di combattimento. Galeren mi ha detto che tu sei suo…il suo figliastro e hai ucciso tre dei suoi migliori gladiatori con poche mosse. Ti aspetto domani a mezzodì nella biblioteca.’’- rispose l’uomo con un leggero inchino e andò via. Una volta nella sua stanza, Darrien indossò abiti leggeri e si abbandonò alla comodità del letto aspettando che il dio del sonno lo accogliesse nel suo regno. Si ritrovò a vagare in una landa di sabbia rossastra che aveva inghiottito case e palazzi diroccati, ridotti ad un cumulo di macerie fatiscenti. Drappi logori e strappati sventolavano e si aggrovigliavano sulle aste arrugginite di un castello simile a quello di Gaelia, ma più piccolo e scuro. La grande porta era invalicabile e il tetto crollato:

‘’Perché sono di nuovo qui? Che cosa è successo?’’- si chiese Darrien, osservando tutto quello che lo circondava, fino a focalizzarsi su un singolo e luminoso oggetto nella sabbia rossa: un fiore di buganvillea bianco che brillava come il sole poggiato su una minuscola zolla di terra verdeggiante. Il giovane si avvicinò per poi inginocchiarsi:

‘’I buganvillea sono i fiori preferiti di Arilyn, ma cosa…’’

‘’Era l’unico modo per avere la tua attenzione, Darrien.’’
Quella voce suadente e gelida risuonò come un tuono assordante nelle orecchie del ragazzo che sfoderò la sua spada, ma si dissolse in una nube di cenere. Il Re della Prima Fiamma era lì, in piedi su una colonna, con un mantello che sventolava e coperto da una corazza rovente e acuminata. Darrien era paralizzato:

‘’Qualcosa non va? Hai visto uno spettro?’’- chiese Gallart, con un sorriso di puro sadismo.

   
 
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