Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: _Cthylla_    11/06/2018    5 recensioni
[one shot strettamente legata a Downpour, di vermissen_stern, di cui per tale ragione consiglio la lettura]
Durante la "vacanza forzata" di Jiren nella città di Dima, la quotidianità e le frequentazioni del Grigio si fanno leggermente più bizzarre del consueto... o del dovuto.
Dal testo:
"Nel corso della propria esistenza aveva visto molte cose più o meno strane, al punto da avere a volte la presunzione di ritenere che ormai nulla potesse più sorprenderlo. Aveva affrontato avversari di ogni sorta, esseri malvagi di ogni tipo, mostri più o meno orribili; l’ultimo di questi, un leviatano che era riuscito ad avvelenarlo, era tra i motivi del prolungamento forzato della sua vacanza a Dima.
Nonostante ciò, l’idea di aver visto una civetta volare a testa in giù davanti al vetro riusciva a farlo sentire piuttosto perplesso. "
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Jiren, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Say "Ehilà" To The Family
L'ho già scritto nell'introduzione ma lo ripeto qui, perché non fa mai male: questo scritto, che per ora è una one shot piuttosto breve, è strettamente legato alla fanfiction "Downpour", di vermissen_stern.
Si può dire tranquillamente che questo sia da considerarsi uno spin off di quella fanfiction, in cui conoscerete una parte della famiglia di Ember (OC appartenente a vermissen_stern).

- Ember, Ice, Chill, la città di Dima e i suoi abitanti in generale sono un'invenzione di vermissen_stern;
- gli OC (in questo capitolo la OC) che sono la "parte della famiglia di Ember" di cui parlavo invece sono miei :D







Say "Ehilà" To The Family












Da oltre due minuti i grandi occhi neri di Jiren erano fissi sulla finestra.
Nel corso della propria esistenza aveva visto molte cose più o meno strane, al punto da avere a volte la presunzione di ritenere che ormai nulla potesse più sorprenderlo. Aveva affrontato avversari di ogni sorta, esseri malvagi di ogni tipo, mostri più o meno orribili; l’ultimo di questi, un leviatano che era riuscito ad avvelenarlo, era tra i motivi del prolungamento forzato della sua vacanza a Dima.

Nonostante ciò, l’idea di aver visto una civetta volare a testa in giù davanti al vetro riusciva a farlo sentire piuttosto perplesso.
 
«Ehm. Ormai ho capito che per te passare del tempo in un’immobilità quasi completa non è tanto strano, ma sto iniziando a chiedermi se fuori dalla finestra hai visto qualcosa di allarmante».
 
Sentendo ciò, il Grigio fece scivolare lo sguardo dalla finestra a Ember, al momento unica ospite presente nel suo appartamento.
I suoi progetti di solitudine auto imposta erano andati a puttane pochissimo tempo prima per colpa dell’avvelenamento ma, delle possibili compagnie disponibili, quella della ragazza era la più gradita. I due shadowjin -Ice e Chill- colleghi di lavoro di Ember non erano tipi che lui riuscisse ad apprezzare, per il momento.
 
«Jiren?»
 
«Non c’era nulla» concluse il Pride Trooper.
 
Ember, costretta a credergli perché osservando fuori dalla finestra non notava alcunché di strano, fece spallucce. «D’accordo. Ascoltami, vuoi che ti prepari da man- chi ti prende?!»
 
Non me l’ero immaginata” pensò Jiren, raggiungendo la finestra per poi aprirla con un gesto secco.
 
Si guardò attorno: non c’era nulla se non il classico panorama cupo offerto dall’ambiente esterno. Non c’erano uccelli in generale, tantomeno una strana civetta tricolore che volava a testa in giù.
 
«No, sul serio, devo preoccuparmi?» tornò a chiedere Ember, avvicinandosi a lui dopo un attimo d’esitazione «Cos’hai visto?»
 
Silenzio.
 
«Una civetta» disse Jiren, dopo qualche momento «Volava a testa in giù».
 
«Sarà stata ubriaca» tentò di scherzare Ember «A parte tutto, le medicine della farmacia tradizionale di questo posto sono un po’quello che sono. Purtroppo tra le possibili controindicazioni del succo di scolopendra bianca ci sono anche le allucinazioni».
 
«Io l’ho vista» ribatté il Grigio, continuando a fissare la finestra ancora aperta…
 
Dalla quale, un attimo dopo, fece il suo rapido ingresso una piccola creatura non meglio definita.
 
Seppur molto debilitato, Jiren si parò davanti a Ember prima ancora che questa avesse il tempo di emettere un’esclamazione di sorpresa, deciso a fronteggiare la minaccia incombente. Il leviatano lo aveva colpito ma non si sarebbe fatto sorprendere anche da…
 
«Ah, ma sei la gattina che gira qui attorno da qualche giorno!» esclamò Ember, sentendo scivolare via la tensione «Hai fatto una bella arrampicata».
 
Un’arrampicata impossibile a parere di Jiren, il quale non smise di fissare con diffidenza il felino, trovando una curiosa somiglianza tra il colore delle iridi di Ember e quelle dell’animale, che però presentavano una sfumatura più “carica”.
 
«Ti ha adottata la vicina?» chiese la ragazza alla micia, pur sapendo che non poteva risponderle «È plausibile, Verna ha oltre venti gatti. La prima volta che ho visto questa gattina è stato uscendo dal lavoro» spiegò la ragazza a Jiren «Un paio di giorni dopo invece l’ho trovata fuori da questo palazzo… ammetto di non essere sicura al cento per cento che si tratti della stessa bestiola ma, se non lo è, si somigliano molto. Sarebbe un problema per te se le dessi un pezzetto del cibo avanzato a pranzo?»
 
Il Grigio si limitò a stringersi brevemente nelle spalle, gesto che Ember interpretò come un “sì”; motivo per cui si allontanò per raggiungere la cucina, lasciando soli Jiren e quella graziosa bestiolina… la quale schiuse la bocca felina in un sorriso che aveva un nonsoché di profondamente disagiato.
 
«Ehilà, asal deas!» esclamò.
 
A causa della sorpresa, Jiren spalancò gli occhi. La gatta aveva appena parlato.
Sì, l’effetto di quel succo di scolopendra bianca era terribile, senza dubbio.
 
Si passò una mano sul volto, appena prima di vedere Ember tornare con qualche pezzetto di cibo. «Una domanda».
 
«Dimmi».
 
«I gatti parlano, qui a Dima?»
 
La ragazza sollevò leggermente le sopracciglia, perplessa da quello strano quesito. «Nnnnno… non che io sappia, almeno. Perché?»
 
La risposta sincera sarebbe stata “perché questa gatta mi ha salutato con una frase per due terzi incomprensibile”, ma il Pride Trooper non si sentì in grado di dire una cosa del genere a una persona che lo credeva già allucinato.
 
Forse però sarebbe stato meglio parlare, dal momento che l’istante successivo il felino venne avvolto da uno sbuffo di fumo aranciato.
 
Resa lesta anche dall’istinto di sopravvivenza, Ember si allontanò, alquanto allarmata. Sembrava proprio che in quel periodo le stranezze non dovessero mai avere fine. «Ora che succede?!»
 
Jiren non rispose, limitandosi ad assumere una posizione di guardia. Il suo istinto purtroppo gli aveva dato suggerimenti giusti, nel dire che quella gatta non era normale e che avrebbe portato guai.
 
Quando il fumo si dissolse, la gatta aveva un aspetto decisamente umano: per la precisione quello di una donna snella, alta poco meno di un metro e ottanta, che indossava una tutina nera corta fin troppo “estiva” e aveva i capelli ricci rossi lunghi fino alle spalle.
Nonché una somiglianza piuttosto forte con Ember.
 
«Ehilà, nighean ùr!» sorrise la misteriosa mutaforma, agitando la mano destra in un saluto quasi infantile rivolto proprio a Ember «Vieni a salutare tua madre! Su, non stare lì impalata come se avessi visto un fantasma, quelli sono fuori stagione».
 
Prima Jiren tornato da una missione molto peggio che malandato, poi l’incontro con il Dio della Distruzione Belmod, adesso una gatta era appena diventata una donna che si era dichiarata sua madre; Ember era una ragazza dai nervi molto saldi ma questo non le impedì di cercare una sedia su cui crollare.
 
In tutto ciò, il Grigio non si era mosso di un millimetro: quella donna aveva detto di essere la madre di Ember ma quest’ultima non dava segno di riconoscerla e, inoltre, l’intrusa sembrava avere l’età di Ember stessa. Tutti buoni motivi per non lasciarle fare neppure un passo. «Vattene» le intimò.
 
«Suvvia, asal deas, datti una calmata» replicò la donna, per nulla turbata «Tu mi piaci, quindi ora togli il cappello della paranoia e lasciami salutare la mia nighean ùr. Ho qualcosa comeeee… uhm… venticinque anni di completa assenza da recuperare» aggiunse, sporgendosi quel tanto che bastava perché Ember potesse vederla nonostante la presenza di Jiren «In mia difesa, fino a poco tempo fa non sapevo che esistessi».
 
Ember, ancora un po’titubante nonostante avesse iniziato a calmarsi -si era ricordata di aver visto cose ben più strane!- aveva iniziato a trovare una certa familiarità nei tratti di quella donna.
Al di là dell’indubbia somiglianza tra loro due le erano tornate in mente delle foto che la sua altra madre, quella che l’aveva messa al mondo, le aveva mostrato quand’era bambina. Ricordi visivi ai quali era correlato un nome. «Eve Hallows?...»
 
«Esatto. Quindi tu mi conosci, almeno di nome!» esclamò la donna, con sincera contentezza «È già qualcosa».
 
«È davvero tua madre?» chiese Jiren, ancora diffidente, a Ember.
 
La ragazza annuì, quasi convinta. «Io... penso di sì. Credo. No, aspetta, mi è tornata in mente una cosa: Eve, io ricordo che mia madre aveva accennato a un oggetto che ti porti sempre appresso…»
 
Per tutta risposta, Eve tirò fuori da una tasca una fiaschetta metallica per liquori. «Ho solo questa».
 
«Sì, è lei» concluse Ember «Credo che potremmo stare tranquilli».
 
Sebbene fosse ancora poco persuaso, Jiren decise infine di farsi da parte: se mai le cose si fossero messe male avrebbe fatto sempre in tempo a intervenire. Non avrebbe lasciato che si creassero disordini nel proprio appartamento e, in fin dei conti, aveva sconfitto avversari peggiori col solo movimento delle palpebre.
 
«Tu e io ci somigliamo molto» disse Eve, avvicinandosi a Ember «Hai preso parecchio da me, almeno nell’aspetto!»
 
C’erano tante domande che la ragazza avrebbe potuto fare a sua madre, tipo “cosa ci fai qui?” o “come mi hai trovata?” o, ancora, “cosa vogliono dire quelle parole strane e cosa sei di preciso?”. Tuttavia la prima cosa che le saltò in mente fu di ben altro genere.
 
«Se ho preso molto da te e tu sei una mutaforma dici che posso diventare un gatto anch’io?»
 
Eve fece spallucce. «Boh. Prova!»
 
Per assurdo che fosse, Ember provò a farlo davvero, sforzando di immaginare se stessa come un felino; la sola cosa che ottenne però fu lo stimolo a svuotare la vescica, dunque fu costretta a pensare che, no, in quello non aveva preso da sua madre. «Ora dovrei usare il bagno».
 
Jiren, notato che lo stava guardando, si limitò a un breve cenno del capo, ed Ember si dileguò dopo un rapido “Torno subito”… lasciando soli la madre appena ritrovata e il Pride Trooper poco voglioso di conversare.
 
Le narici di Eve si mossero leggermente, come se stesse fiutando qualcosa nell’aria. La cosa durò solo per un paio di secondi, e probabilmente era dovuta al leggero odore di pot-pourri nell’appartamento, eppure anche quel semplice e piccolo gesto non contribuì ad abbassare la diffidenza di Jiren; ma il suo atteggiamento era piuttosto comprensibile, dal momento che quell’intrusa sconosciuta e mutaforma si era introdotta nel suo appartamento dalla finestra.
 
«Non te la passi male» osservò Eve, sorridendogli con tutta la calma dell’Universo «Non per gli standard di questa città. Lo avevo già notato volando davanti alle finestre come civetta… non guardarmi in quel modo, volevo solo capire che tipo di gente gira attorno a mia figlia».
 
Se Jiren fosse stato un tipo di persona anche solo lievemente più loquace, le avrebbe fatto notare che aggirarsi attorno palazzo dove viveva la figlia -e anche attorno al luogo di lavoro, a quanto sembrava- non era il solo modo di avvicinarsi a lei, e che il suo modo di presentarsi era stato del tutto assurdo… ma il Grigio non era una persona loquace.
Nemmeno un po’.
 
«Non parli molto eh? Vabbè» disse Eve, facendo spallucce e allargando ulteriormente quel suo strano sorriso «Le tue chiappe parlano per te, asal deas!»
 
Ember fece ritorno dal bagno subito dopo, perdendosi sia quell’apprezzamento, sia -purtroppo- l’espressione che aveva fatto il Pride Trooper nel sentire una frase del genere.
Il pit-stop però le era servito per calmare ulteriormente i nervi, cosa che finalmente la indusse a fare la domanda più logica. «Bene… non sono scontenta di averti conosciuta, Eve» disse «Ma onestamente mi chiedo cosa ti abbia portata qui».
 
Ember aveva più o meno venticinque anni e, se c’era una cosa che aveva imparato nel corso della vita, era che nessuno faceva mai niente per niente: un discorso da cui non era esente nemmeno “una donna eccentrica e divertente” -così sua madre le aveva descritto Eve.
 
«La tua presenza, nighean ùr. Vedi, io ho tanti difetti» ammise la mutaforma «Talmente tanti che nemmeno io li so, però se avessi saputo della tua esistenza non sarei rimasta completamente fuori dalla tua vita. Aver saputo di te e il fatto di aver sistemato di recente un’altra questione di famiglia -per inciso con tuo fratello- mi ha fatto dire “Ehi, magari andare a fare conoscenza non è una cattiva idea!”»
 
«No aspè: io ho un fratello?!» allibì Ember.
 
Eve annuì. «Ha qualche annetto più di te! Comunque, io sono venuta qui per conoscerti, nient’altro. È mia intenzione passare del tempo in tua compagnia… e credo che tu possa avere cose piuttosto interessarti da raccontarmi, viste le frequentazioni del nostro amico asal deas!»
 
«Non sono tuo amico» disse il Grigio, chiedendosi a cosa alludesse di preciso con “frequentazioni”. Girava da giorni attorno al palazzo come gatta e come civetta, forse aveva visto i suoi colleghi, ma non era scontato che fosse al corrente della sua vera identità.
 
«Sei il ragazzo di mia figlia, certo che siamo amici!» esclamò Eve, senza smettere di sorridere.
 
Cosa che non smise di fare neppure quando Ember e Jiren arrossirono entrambi più o meno leggermente, con un’ espressione d’imbarazzo del tutto giustificata.
 
«Noi non siamo… lui non è il mio ragazzo. Non lo è. Ecco» borbottò Ember.
 
«Dal modo in cui ti si è parato davanti quando pensava che fossi chissà quale mostro pericoloso avrei detto il contrario, quindi tempo al tempo!» ribatté Eve, come se nulla fosse.
 
«Eve, perché parli come se lui non fosse qui?!»
 
«Per vedere qual è il massimo grado di rosso che riesce a raggiungere la sua faccia, in primis!» rise impunemente la donna «Occhei, è rosso come i miei capelli credo che possa bastare…»
 
«Dove starai? Insomma, immagino che ti sia temporaneamente stabilita da qualche parte. Dalla vicina insieme agli altri gatti, forse?» chiese Ember a Eve, cercando di cambiare argomento.
 
«Nah. Casa mia è sempre vicina, indipendentemente da dove vado. Immagino che un giorno la vedrai anche tu, per un motivo o per l’altro» aggiunse Eve «Non ti preoccupare per me».
 
Non ci fu tempo per chiarire quelle frasi abbastanza criptiche, perché subito dopo si udirono dei colpi contro la porta principale dell’appartamento.
 
«Ehi Ember, sei ancora con il nostro amico dal colorito poco acceso?»
 
Ad aver bussato era Ice, lo shadowjin “collega” di lavoro di Ember.
Il primo pensiero che balzò in mente a Jiren fu un “ci mancava solo questa”. Dover avere a che fare con Ice e suo fratello non era mai cosa particolarmente gradita ma il pensiero di trovarselo davanti in quel momento era ancor più fastidioso di quanto fosse di solito.
 
«Uh… sì, Ice, siamo ancora qui» rispose Ember «Solo che…»
 
«O beh, mi sa che per oggi basta così. Ci siamo conosciute, hai saputo che hai un fratello, se resto qui un altro po’finiremo per esaurire tutti gli argomenti di conversaz- ah, no, questo è altamente improbabile» si contraddisse Hallows «E non preoccuparti, al tuo collega penso io. Ihihihih!»
 
Fino ad allora non aveva pensato che aveva incontrato per la prima volta Eve-gatta fuori dal proprio posto di lavoro. Ember non si vergognava del proprio mestiere, però non era quello il modo in cui avrebbe voluto parlarne alla sua “nuova madre”. «Se sai che è il mio collega…»
 
«Oh sì. Tale madre, tale nighean ùr!» esclamò Eve, dando alla figlia delle pacche su una spalla «Facciamo la stessa cosa, a quanto pare».
 
«Davvero?» si stupì la ragazza.
 
«Aye» confermò Eve «Già, ora che ci penso dovrei anche insegnarti la lingua. Dal momento che tu sei tu, inizio facendo un’eccezione alla regola con un paio di traduzioni: il modo in cui chiamo te vuol dire “nuova figlia”, mentre “asal deas” vuol dire “bel culo”. Mi pare appropriato per questo bel ragazzone che parla poco!»
 
E che stava anche arrossendo un’altra volta, oltre a non parlare.
Quello per lui era veramente un periodo tremendo: passare dalla solitudine al fare una serie di figure più o meno barbine e a subire “molestie verbali”.
Nonché fisiche, dal momento che Eve gli stava palpando il sedere.
Il sedere.
A LUI.
 
«… soprattutto perché, da quello che sento, suddetto posteriore è anche bello sodo» continuò Eve, annuendo con aria d’approvazione «Brava ragazza, gli armamenti a poppa sono buoni, se quelli a prua lo sono altrettanto sei a posto!»
 
«Ma cos-»
 
«Ci vediamo ragazzi» li salutò Eve, raggiungendo di corsa la porta «Un ultimo consiglio: occhio all’aingeal. Lo dico perché ce ne è stato uno relativamente di recente… anzi» mosse di nuovo le narici «Una».
 
Si catapultò fuori dalla porta prima che chiunque dei due potesse chiederle delucidazioni, lasciandosi dietro più domande che altro.
 
Ember si passò una mano sul viso. «Mi spiace per, beh, diciamo buona parte delle interazioni che ha avuto con te. E così questa è la mia altra madre… eccentrica lo è di sicuro» commentò «Devo ancora capire cosa sia un aingeal. E quale sia il nome di questo fratello che dovrei avere. E cosa intendesse dire col fatto che “casa sua è sempre vicina”. Dici che ha un camper?»
 
Jiren, ancora immobile come una statua di granito perché troppo impegnato a pensare un “QUELLA mi ha toccato!” -da buon verginello- non aveva una risposta per le domande di Ember, ma era sicuro di una cosa: la sua vacanza forzata a Dima era diventata ancor meno tranquilla di quanto già non fosse.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Stento ancora a credere che tu sia la madre di Ember, sembri più sua sorella e davvero, non lo dico tanto per cercare di rimorchiarti!»
 
Quando quella donna era uscita dall’appartamento di Principessa, alias Jiren, Ice l’aveva addirittura scambiata per  Ember -vestita diversamente, con i capelli sciolti e più ricci- ma dopo una seconda occhiata aveva capito che no, non si trattava di lei, ma di una donna con cui c’era una fortissima somiglianza.
Principalmente per quel sorriso disagiato che sul volto di Ember non si era mai visto.
 
Eve Hallows, così si chiamava, lo aveva poi salutato con un “Ehilà!” a cui lui aveva risposto con un altro “Ehilà”, per poi ritrovarsi a parlare con lei e ad allontanarsi dall’appartamento del Grigio quasi senza rendersene conto… nonché a portarla in casa propria.
 
«Non che ce ne sia bisogno» disse Eve, stiracchiandosi.
 
«Di cosa?»
 
«Di rimorchiarmi. Aspetta, forse a gesti ci intendiamo meglio».
 
Detto ciò, mentre Ice la guardava perplesso, Eve indicò prima lui, poi se stessa, e infine tornò a indicare lui… o meglio, il suo inguine.
Una tecnica di approccio che non avrebbe proprio potuto essere più sottile!
 
«Ma… tu sei la madre di una mia amica…» si schermì lo shadowjin, con pochissima convinzione. In fin dei conti la tutina intera di Eve lasciava vedere gambe di bellezza pari a quelle della figlia.
 
«Lei è adulta, tu sei adulto e io pure» replicò Hallows, con semplicità.
 
Argomenti convincenti che spinsero Ice -il quale di rado avrebbe detto di no a una donna di bell’aspetto- ad avvicinarsi a lei con un sorriso soddisfatto. «Andata!...»
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Eppure credevo che Ice fosse abbastanza sveglio almeno da aver imparato quando è ora di andare al lavoro!” pensò Chill, dirigendosi a grandi passi verso l’appartamento del fratello.
 
Quel ritardo era strano perché Ice, con tutti i suoi difetti, non era tipo che tendeva a far tardi; motivo per cui lui aveva deciso di andare a dare un’occhiata, tanto per verificare che fosse tutto a posto. In quel periodo c’erano state fin troppe stranezze.
 
“Non ultima questa!” pensò Chill, aggrottando leggermente la fronte nel vedere Ember uscire dall’appartamento di Ice “D’accordo, da quel che ho capito in realtà non è cosa nuova, ma credevo che ormai per il bagno avesse risolto”.
 
«Ehi, Ember» esordì «Mio fratello-»
 
Si interruppe: quella non era Ember. Guardandola più da vicino capì che si trattava solo una donna che le somigliava incredibilmente e che sorrideva in modo leggermente inquietante, come se avesse avuto voglia di… mah! Mangiarlo? Portarselo a letto? Non era in grado di stabilirlo.
 
«Ehilà! Tu sei Chill, giusto? L’altro amico della mia nighean ùr. Io sono Eve Hallows» si presentò tendendogli la mano «Sono la mamma di Ember».
 
Lo shadowjin, allibito per quello che sarebbe stato il nuovo pettegolezzo di giornata, strinse la mano della donna con un movimento quasi meccanico. «La mamma…»
 
«Eh sì. Mi sa che in questo periodo ci vedremo spesso, perché ho intenzione di passare del tempo con lei e il suo amico dalle belle chiappe! Già, dico, hai visto che roba? Sono perfino meglio di quelle di tuo fratello, e tuo fratello è messo piuttosto bene. A chiappe» specificò «A energia, al momento, un po’ meno».
 
«Cioè?!»
 
Eve fece spallucce. «Lo ho vagamente spompato. In tutti i sensi! A proposito, beag bràthair, ti andrebbe di fare sesso?»
 
Chill non riusciva a credere alle proprie orecchie: quella lì non solo era uscita fresca come una rosa da una “sessione” con Ice, ma oltretutto gli aveva anche fatto proposte in modo tanto esplicito che era impossibile da fraintendere. Solo che lui non era disposto ad accettarle.
 
«Io sono fedele a mia moglie» disse lo shadowjin, con semplicità.
 
«Bravo ragazzo» approvò Eve, ponendo fine alla questione con un sorriso e due piccole pacche sulla testa di Chill «Comunque davvero, non credo che riuscirà a venire. Al lavoro, s’intende!»
 
“Incredibile” pensò lo shadowjin, voltandosi per un attimo a guardare la porta semiaperta.
 
 «Ci vediamo, beag bràthair».
 
«Aspetta!» esclamò lui «Che cosa vuol dire… beag bràthair?...»
 
La domanda non era arrivata in tempo: Eve Hallows Mamma Di Ember non c’era più.
Volatilizzata, come se non fosse mai stata lì.
 
La cosa era diventata ancor più inquietante ma Chill decise che, se mai, ci avrebbe riflettuto sopra in seguito: ora l’imperativo era dare un’occhiata alle condizioni di Ice.
 
Non faticò a trovarlo: giaceva supino sul letto, con le membra prive di ogni accenno di vita ma col sorriso ebete di chi aveva subìto una condanna a morte per snu-snu ed era riuscito a scamparne.
 
«Ice?!...»
 
«È s…» riuscì a dire lo shadowjin più grande, con un filo di voce «È stata… è s-s…»
 
«Cosa?!»
 
Ice cercò di prendere fiato. «È stata… la miglior chiavata della mia vita!»
 
Dopo un attimo di completo silenzio e immobilità, Chill fece un grosso facepalm. «Che ti impedirà di andare al lavoro. Contento tu!»
 
“Lo ha ridotto così e stava benissimo: è un demone succhia vita o cosa?!” pensò.
 
Non sapeva ancora nulla di quella donna ma di una cosa era certo: la sua presenza aveva il potenziale per accrescere un disagio che in quel palazzo, di per sé, non mancava.








Note:

beag bràthair: "fratello minore"
aingeal: angelo

Ringrazio chi ha letto :) alla prossima,

_Dracarys_
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: _Cthylla_