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Autore: Spoocky    11/06/2018    2 recensioni
26 prompt challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & FanArt [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/?ref=nf_target&fref=nf] 6/26 - Respirare
Nel tentativo di catturare un serial killer in piena crisi psicotica, Spencer Reid rimane gravemente ferito. Respirare è il gesto più semplice che una persona possa compiere.
Il respiro è vita. Ma cosa succede quando diventa impossibile?
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Disclaimer: tale e quale al Capitolo I

Buona Lettura ^.^

La brezza primaverile accarezzava dolcemente il suo volto ed i capelli.
Reclinato su una sedia a sdraio, sorretto da una montagna di cuscini e con un libro aperto in grembo, il dottor Spencer Reid si godeva il sole primaverile.
E ricordava.

A sprazzi, immagini delle settimane precedenti gli tornavano in mente come pezzi di un puzzle.
In realtà, riusciva a ricordare ben poco.

Forse quelli che vedeva non erano ricordi ma ricostruzioni che la sua mente aveva partorito dopo che Morgan gli aveva raccontato tutto.
Era stato fortunato, gli avevano detto, e lo sapeva bene: nei pochi minuti trascorsi dalla sua aggressione all’arrivo dell’ambulanza il suo corpo aveva ricevuto un limitato apporto d’ossigeno.
Una lieve amnesia retrograda, soprattutto se limitata al momento del trauma, era un prezzo onesto da pagare per l’ipossia.
Il suo ultimo ricordo concreto era scendere la scalinata che conduceva alla cantina di Sanson.
Poi diventava tutto confuso, non ricordava nemmeno il dolore.

Aveva completamente rimosso il viaggio in ambulanza ed i momenti immediatamente precedenti ma il pneumologo dell’ospedale gli aveva spiegato come la manovra improvvisata di Morgan gli avesse quasi certamente salvato la vita.
Come se gli servisse un motivo in più per essere grato dell’esistenza del suo più caro amico.

Le immagini iniziavano dall’arrivo in Pronto Soccorso: i neon abbaglianti, i rumori dei macchinari ed un caleidoscopio di voci e colori.
Gli avevano inserito un tubo nel costato per drenare il liquido che aveva impregnato il suo polmone, impedendogli di gonfiarsi e di ricevere aria.
Praticamente stava annegando nel proprio sangue.

“Lo pneumotorace è una brutta bestia. Fidati, ragazzino, parlo per esperienza.”
Morgan, il suo angelo custode.
Aveva vagamente presenti gli altri membri della squadra che andavano e venivano: JJ che lo riempiva di baci, Emily che portava dei fiori, Rossi con un enorme peluche a forma di coniglio, Garcia che lo video-chiamava su Skype, Hotch che... che cosa aveva fatto Hotch? Ah sì: aveva imboscato del gelato nella borsa, per rinfrescargli la gola irritata dal tubo del ventilatore.
Ma Morgan era stato una presenza costante.
Aveva trascorso tre giorni in Rianimazione, di cui uno pesantemente sedato ed intubato, ma le infermiere gli avevano raccontato di come fosse rimasto rannicchiato sulla sedia di plastica giorno e notte, per tutto il tempo.
E lui non stentava a crederlo.
Quando aveva riaperto gli occhi la prima cosa che aveva messo a fuoco era il volto dell’agente Morgan, che sorrideva sopra di lui.
Non era certo che fosse vero, ma quell’immagine era talmente definita da fargli dubitare del contrario.
Comunque era un bel ricordo, a prescindere dal contesto.

Allungò le gambe e si stirò.
Il fianco gli faceva ancora male e gli tiravano i punti dove gli avevano sfilato il drenaggio toracico, solo due giorni prima, ma nel complesso si sentiva meglio.
Il movimento sollecitò un po’ troppo i suoi polmoni danneggiati e tossicchiò per un poco. Ma si riprese subito e ricominciò a godersi il sole.

Teneva ancora gli occhi chiusi quando il suo ospite si affacciò sulla soglia del cottage con un vassoio e una tazza di infuso caldo.
“Guarda che lo so che non stai dormendo. Non mi freghi: ti ho insegnato io quel trucco.”
Spencer socchiuse pigramente un occhio e lo richiuse di nuovo con un sorriso: Jason Gideon non era cambiato di una virgola.
“Come preferisci, stai pure lì a prendere il sole. Ah! I giovani d’oggi!”
Mentre il profiler anziano rientrava in casa, Reid si lasciò sfuggire una risatina.
“Ti ho sentito, sai?”
Gli rispose sbadigliando: “Ah sì? Buon per te.” E sorrise, avvertendo alle sue spalle l’espressione altrettanto divertita del suo mentore.

Era stata un’idea di Rossi: solo lui avrebbe potuto convincere l’eremitico collega ad accogliere Reid nel suo sancta sanctorum.
A dir la verità non c’era stato bisogno di tante strategie.
Il tutto si era risolto così: “Il ragazzo può restare da te per qualche giorno?” “Va bene.”
Nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, ma erano profondamente affezionati a quello strano individuo che si era annidato quasi di prepotenza nelle loro vite.
Forse perché entrambi sentivano la mancanza dei propri figli o il bisogno di una famiglia tanto quanto il ragazzo sentiva il bisogno di un padre, per quanto surrogato.
Non lo avrebbero mai ammesso a parole ma lo dimostravano con i fatti.

 Rossi aveva guidato per quattro ore e mezza, pause escluse, perché il trauma toracico non si sarebbe riassorbito completamente per un altro paio di settimane e fino ad allora non poteva volare, che era anche il motivo per cui si trovava da Gideon ad affrontare la convalescenza.
Da parte sua, Jason faceva tutto quanto in suo potere per viziarlo. Anche se tendeva a ritirarsi il più possibile nel piccolo cottage mentre lo faceva.
Riconoscendo e rispettando il suo bisogno di spazio, Reid cercava di stare il meno possibile nella stessa stanza con lui. Ma non ebbe mai l’impressione che la sua presenza fosse sgradita, anzi.
Semplicemente godevano della reciproca compagnia senza bisogno di una vicinanza costante e quasi sempre in silenzio.

Gideon però faceva in modo che non gli mancasse mai nulla: aveva addirittura deciso di dormire accampato alla bell’e meglio sul divano pur di cedergli l’unico letto,  che aveva pure cosparso di tutti i cuscini in suo possesso.
Preparava i pasti da solo, gli somministrava le medicine facendo attenzione che non esagerasse con gli antidolorifici – ormai la sua storia con la dipendenza era acqua passata da un pezzo, ma era sempre meglio restare all’erta – quando di notte aveva gli incubi o sentiva più dolore del solito si sedeva sul materasso accanto a lui e gli tamponava la fronte con una pezza umida finché non si calmava.
Alle volte gli portava un bicchiere di latte caldo o una camomilla.
Insieme giocavano a scacchi, a Scarabeo o a Mahjong ma più spesso trascorrevano il tempo conversando di uccelli e insetti o leggendo: Gideon si era addirittura spinto a procurargli una nuova edizione dell’intera saga di Harry Potter pur di farlo sentire a proprio agio.
Quando il ragazzo si sarebbe sentito più in forze avrebbero anche iniziato a passeggiare nei boschi.

Ora come ora, Spencer Reid si godeva il tepore del sole, steso tranquillo di fronte alla casa dell’uomo che era per lui un padre più del suo genitore biologico.
In pace con se stesso e con il mondo, in pausa da tutto l’orrore che il suo lavoro lo portava a scoprire, non doveva far altro che respirare.
Respirare e basta.
Era così facile!
- The End -
 
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