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Autore: releuse    06/07/2009    8 recensioni
C'era qualcosa che Ken Wakashimazu aveva perso. Qualcosa che gli impediva di giocare, qualcosa che il principe di vetro possedeva. "Incatenato nelle braccia e nelle gambe, avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro per essere abbattuto. Atterrito dai suoi occhi decisi." Fanfiction interamente rivista, corretta e modificata. La trama di base è la stessa, ma arricchita con nuovi dialoghi, descrizioni e situazioni.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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... ed eccomi arrivata al finale! Non ci credo io stessa di essere riuscita in questa impresa! Riprendere questa ff che ho amato tantissimo fin dalla prima idea (anche se inizialmente scritta coi piediXD) e alla quale sono tanto affezionata... e finirla! ç__ç commossa! Nonostante questo periodo per me non sia dei migliori voglio cercare per quanto possibile di portare avanti la passione di scrivere su CT, magari sarò più lenta, ma cercherò di non mollare:) Poi ho ancora tanto da dire su stì due *_* non vi lascerò in pace!! XD

Grazie a tutte voi che mi avete seguito e spronato... grazie di cuore!

Come sempre ringraziamento speciale a berlinene e ichigo per il betaggio... siete uniche *_*

e ora vi lascio alle ultime disavventure (le ultime... per oraXD) di Kennino e Junnino...Buona lettura!

Il cuore e il pallone Capitolo VIII
Di Releuse




“Non lasciare il calcio, Ken!”

La voce di Misugi giungeva alle mie orecchie lontana e gelatinosa. Scorgevo i suoi occhi preoccupati e timorosi.

“Forse... tornerò sul campo, Jun”

All’improvviso, il suo sguardo s’illuminò, accompagnato da un sorriso sincero.

Le mie mani si mossero piano in direzione di quel viso, poi lo accarezzarono, emozionate, finché le nostre labbra non si unirono in un bacio lento ma appassionato. Sempre più lontano, udivo il rumore dell’acqua smossa dai nostri corpi, percepivo le bolle spumeggianti che risalivano in superficie solleticandoci la pelle, inalavo il calore umido della fonte termale che rendeva affannoso il respiro. Poggiai poi  le mani sulla schiena di Jun, stringendolo in un abbraccio.

Ma ciò che racchiusi fra le braccia fu solamente il vuoto.

Mi svegliai, spalancando gli occhi confuso. Nelle narici percepivo ancora l’odore del legno bagnato, le mani fremevano per aver sfiorato quella pelle morbida, come se non si fossero destate insieme al resto del corpo.

“Buongiorno Wakashimazu!” Era la voce di Takeshi, a poca distanza. Stordito, volsi lo sguardo nella sua direzione e lo vidi intento ad indossare la divisa per gli allenamenti.
“Hyuga?” Chiesi con voce impastata, facendo un enorme sforzo per riacquistare un minimo di lucidità, tentando di riconoscere la stanza dell’albergo, che gli occhi ancora confondevano con la camera della pensione.

Quella dove avevo passato  le mie notti con Jun.

“Lui è già sceso per la colazione, si è svegliato presto, sai come è fatto!” Sorrise bonariamente Sawada sedendosi sul letto, deciso ad aspettarmi.
“Va bene... faccio in un attimo!” Rassicurai il mio amico, sapendo bene di essere in ritardo. Conoscendo il capitano, probabilmente, si era lamentato della mia inerzia, negli ultimi tempi facevo una gran fatica a svegliarmi. Avevo già disteso le braccia ai lati del letto per costringermi a sollevarmi, stavo per alzarmi, quando, d’improvviso, avvertii un brivido serpeggiare lungo la spina dorsale. Sentii il cuore stringersi e i battiti mescolarsi veloci, alimentati da una sorta di remota nostalgia. Istintivamente lanciai un’occhiata alle spalle, verso le lenzuola bianche e il cuscino dove ancora s’intravedeva la sagoma della mia testa. Il letto era terribilmente vuoto... e freddo.

“Ehi, Ken... tutto bene?” Chiese Takeshi, incerto.

Non risposi. Feci un profondo respiro, cercando di nascondere l’amarezza che stavo provando e, con un colpo di reni, mi sollevai, poggiando finalmente i piedi per terra. Fu il freddo pungente dilatatosi dalla pianta dei piedi al corpo a  svegliarmi completamente dal torpore che ancora mi possedeva. Avanzai così verso il bagno, portando indietro i capelli che cadevano fastidiosi sul viso.

Mi mancava. Jun Misugi mi mancava terribilmente.

Non c’era mattina in cui non avvertivo l’assenza del suo corpo, del piacere di risvegliarsi l’uno accanto all’altro. Avevo nostalgia della sua voce, mi mancava la risata cristallina che spesso il principe liberava, come quella sera alla festa tradizionale: aveva riso come un ragazzino dopo aver vinto quel pallone che mi offrì come regalo, nella speranza mi portasse fortuna. Ora, invece, la sua voce non era altro che un’ eco lontana che sfumava via lentamente, lasciandosi dimenticare.

Ricordare i momenti passati con Jun mi suscitava una sorta di malinconia dolorosa, eppure non potevo fare a meno di ripercorrerli, osservarli da lontano. A volte ero io stesso a richiamare alla mente i ricordi più dolci, per lenire la sofferenza e le sensazioni di vuoto e mancanza che mi attanagliavano. Li inseguivo con fatica, ma loro scorrevano via veloci, inafferrabili ed impalpabili, sfuggenti come un treno ormai partito, che più insegui e più sei incapace di raggiungere. Come uno di quei palloni finiti in rete prima ancora di esserti lanciato per pararlo. Altre volte, invece, i ricordi emergevano all’improvviso, rievocando le sensazioni provate in quei momenti, come quando sul palato ti torna il sapore dolceamaro di qualcosa masticata troppo velocemente, che non hai saputo assaporare davvero.

Qualsiasi cosa facessi o pensassi mi ricordava Jun. Lui era ormai parte di me, lo avevo realizzato la sera prima, durante il discorso con Misaki, ma, in fondo, lo avevo capito da tempo. Non aveva più senso negare o fuggire, come lo avevo perso, dovevo cercare di ritrovarlo.

Mi sciacquai il viso velocemente con acqua ghiacciata, preparandomi a scendere in campo. Quel giorno gli avrei parlato, assolutamente.


“Ehi, bell’addormentato, ti sei svegliato?” Fu la prima cosa che mi disse Hyuga non appena scesi nella sala per la colazione. Il capitano aveva già finito il suo pasto.
“Che fretta c’è?” Gli risposi canzonatorio, sedendomi al suo fianco. “Tanto gli allenamenti cominciano fra un’ora...” Continuai, appoggiando con calma il vassoio sul tavolo, rallentando appositamente i movimenti per dimostrare di non avere alcuna fretta.
“Scansafatiche!” Borbottò Hyuga. “Wakabayashi sarebbe stato già in piedi!” Aggiunse, nascondendo un risolino. Si divertiva a punzecchiarmi e sapeva anche dove pungere, oltretutto!
“Sì, sì, lo so...” Feci spallucce, non dando importanza alle sue affermazioni. “Tu, Tsubasa e Wakabayashi... i tre kamikaze giapponesi! Io, oltre che al calcio, tengo anche alla mia vita!” Dicevo le prime cose che mi venivano in mente per stare al gioco, ma, intanto, scrutavo attentamente l’intera sala: non vedevo Misugi da nessuna parte, strano, e notai inoltre l’assenza di Misaki. Colto da un improvviso moto di inquietudine cominciai a mangiare velocemente per poter raggiungere il campo il prima possibile. C’era qualcosa che non andava, me lo sentivo.

Quello che vidi poco dopo, sul campo, fu uno spettacolo che mi fece raggelare il sangue: Misugi stava in piedi, al limite dell’area di rigore, il sole che batteva prepotente sulle sue spalle, il corpo in posizione di tiro. Il principe si preparava a calciare una cannonata in direzione della porta, l’ennesima, a giudicare dai numerosi palloni sparsi per il campo e dal sudore che colava lungo la sua fronte.

Da quanto tempo si allenava?

Il principe del calcio aveva uno sguardo serio e concentrato, sembrava non curarsi minimamente dei compagni che arrivavano, scambiandosi sguardi interrogativi per quella inaspettata presenza in campo. Ebbi come l’impressione che tutti i ragazzi percepissero un alone di tensione intorno al principe, come se l’ultima corda rimasta, l’unica ancora di salvezza, si stesse per spezzare. Jun scattò sul pallone scagliandolo violentemente verso la rete e, prima ancora che la sfera smettesse di rotolare sul campo, si avventò su un’altra.  Misugi continuava a calciare in porta e in ogni cannonata sembrava concentrare tutta la sua rabbia, tutta la frustrazione per aver sbagliato quel tiro il giorno prima, quando c’ero io a difendere la porta. Era come se avesse perso contro di me. E questo non poteva sopportarlo.

“Basta, Jun, smettila!” Gridò qualcuno, con voce strozzata.
Mi voltai verso la fonte di quel grido e, nel vederla, mi mancò in respiro: che cosa ci faceva lei, lì? Sì, lei, Yayoi Aoba, la manager della Musashi, la migliore amica di Jun... la ragazza per tanto tempo innamorata del suo capitano.

“... io e Yayoi siamo sempre stati amici, da quando eravamo bambini”

Stava in piedi a bordo campo, indossava un abito leggero e colorato, i capelli raccolti in una coda che ne mettevano in risalto l’espressione turbata, le mani giunte all’altezza della bocca. “Sta frequentando un corso nelle vicinanze...” Avrebbe detto poco più tardi qualcuno dei miei compagni.
“Eh, è proprio vero che quei due non riescono a stare separati...” Il commento che qualcun altro avrebbe aggiunto, mentre io avrei voluto poter gridare che le cose non stavano affatto come loro credevano.

Ma l’unica cosa che potei fare fu rimanermene in disparte e mandar giù in silenzio.

“... fra noi c’è sempre stato un profondo legame. Sapevo bene che per lei ero qualcosa di più...”

Misugi respirava piano, ormai i palloni stavano immobili e disseminati in vari punti dell’area, chissà quante volte li aveva calciati. Il principe rilassò all’improvviso le spalle, probabilmente il suo gioco privato era terminato. Abbandonò così il campo, avanzando nella direzione di Yayoi.

“... e io volevo illudermi che lo fosse anche per me...”

“Tranquilla, Yayoi, ho finito...” Il sorriso dolce che Jun le rivolse mi turbò non poco ed ebbi come l’impressione di ricevere un ulteriore pugno allo stomaco da parte sua.
“Ma non puoi allenarti in questo modo, rischi di farti del male...” Le parole dell’Aoba giungevano alle mie orecchie supplichevoli e quasi dolci e, mio malgrado, mi trovai a ringraziarla, intimamente, per quel suo gesto. Forse, almeno lei, sarebbe riuscita a placare l’ira di Misugi.

Ma mi sbagliavo.

“Ho detto che sto bene, tranquilla...” Un sorriso forzato quello di Jun, l’espressione che lentamente cambiava, alterandosi.
“Ma, Jun, perchè ti ostini...”

Non la fece finire di parlare. “Non preoccuparti, ho detto!” Esclamò con tono grave, facendo intendere che non voleva più sentire alcuna lamentela. “So quello che faccio... e adesso scusami, comincia l’allenamento...” Il timbro della sua voce divenne nuovamente gentile, ma, stavolta, anche Yayoi sembrò accorgersi dello sforzo enorme che il principe aveva fatto per assumerlo. Misugi si allontanò, raggiungendo alcuni compagni di squadra che cominciavano a riscaldarsi, scambiò poi qualche parola formale con Matsuyama e infine cominciò alcuni esercizi di stretching.

La ragazza lo seguì con lo sguardo, seriamente preoccupata, ed io feci lo stesso. Eravamo entrambi senza parole.

 “Ha detto al mister che d’ora in poi vuole allenarsi con tutta la squadra...” Esordì Misaki alle mie spalle.
“Che cosa?” Domandai, sconvolto, continuando a tenere fisso lo sguardo sul principe.
“... e l’ha detto anche a me, stamattina. Non sopporto di diventare ogni giorno più debole, di perdere in potenza e tecnica... queste le sue parole...”
“Ma non è possibile...” Replicai, una sensazione di sudore freddo mi scivolò lungo la spina dorsale. “E Mikami gliel’ha permesso?”
“... con la condizione di fermarsi non appena avrebbe accusato stanchezza...” Taro mi superò, avanzando verso Misugi, senza guardarmi, in modo che il principe non si accorgesse di quello scambio di battute.

Intanto, ancora una volta, il cuore si strinse in una morsa dolorosa. “Fermarsi per la stanchezza”, ripetei fra me, disorientato e confuso, mentre mi avvicinavo a Kojiro e Takeshi, unendomi al resto della squadra per cominciare gli allenamenti. Se conoscevo bene Misugi non avrebbe mai mantenuto quella promessa, a fermarlo sarebbe stato solamente il suo cuore.

Perchè Misugi voleva farsi male fino a quel punto?

Ben presto le mie previsioni si tramutarono nella realtà. Erano ormai passati più di quaranta minuti dall’inizio dell’allenamento e stavamo provando degli schemi d’attacco. I miei occhi non perdevano quasi mai di vista quel numero ventiquattro e ad ogni minuto che passava percepivo sempre più intensa la stanchezza che lo stava divorando. Anche se si sforzava di nasconderla, leggevo nei più piccoli movimenti l’indebolimento delle sue gambe, il respiro che si faceva mano a mano più pesante. Ma lui resisteva, nonostante tutto, nonostante il sole scottasse. Più quel corpo si affaticava, più sentivo il cuore farmi male, come se il mio e quello di Misugi fossero entrati in risonanza.

Possibile che non ti rendi conto di quello che mi stai facendo, principe del calcio?

Poi, d’improvviso, la confusione a centro campo, quando quel ventiquattro blu oscillò sotto gli occhi di tutti. La corsa che si arrestava, gli occhi appannati, il ginocchio in terra, la mano che stringeva il petto all’altezza del cuore.

“Jun!” Il grido disperato di Yayoi, mentre correva verso di lui.
“Misugi!” Il mio, unito a quello dei compagni di squadra.

Scattai velocemente verso il centro campo, abbandonando la porta. L’Aoba si stava chinando verso Jun, ma le afferrai il braccio con forza, allontanandola. “Spostati” Sibilai, incurante di averle fatto male e non guardandola neppure in viso. Intanto, sia il mister sia gli altri compagni si avvicinarono preoccupati.
“Misugi, stai bene?” Domandai, sorreggendolo. Il suo corpo tremava, aveva ancora la mano stretta sulla maglietta e teneva gli occhi serrati, doveva provare un forte dolore al petto.

“Ken...” Un sussurro fra i denti, flebile e basso, quasi impercettibile. Eppure riuscii a coglierlo, era simile a una richiesta... d’aiuto?
Provai un tuffo al cuore nell’udire il mio nome fra le sue labbra “Jun...” Lo chiamai “Stai bene?” Chiesi ancora. Allentai la presa sulle sue spalle, aprendo i palmi e muovendoli in un’impercettibile carezza.

 Il suo corpo smise di tremare, irrigidendosi un istante dopo. “... ami...” un suono flebile fuoriuscì dalle sue labbra, mentre il principe spalancava gli occhi. “Mollami, Wakashimazu!” Esclamò brusco, alzando lo sguardo, chiedendo di essere lasciato il pace. “Devo riprendere gli allenamenti!”

E in quel momento qualcosa dentro di me scoppiò improvvisamente, come se una fornace avesse cominciato ad infiammarsi nel petto, fomentando tutte le sensazioni che lì albergavano. “Adesso basta!” Esclamai con rabbia. “Vuoi finire per ammazzarti o ti decidi a smettere?” Lo afferrai al collo della maglia, facendogli probabilmente male, ma non m’ importava più. Non m’importava più neppure dei compagni che ci guardavano.

Misugi era stupito e per un istante lessi confusione nei suoi occhi

“Wakashimazu ha ragione, Misugi. Non puoi continuare! Non avrai il mio permesso...” Mikami si era avvicinato e guardava serio il numero ventiquattro. Credo che il mister avesse compreso le ragioni puramente calcistiche e d’orgoglio che avevano spinto Misugi a rivolgergli la richiesta di potersi allenare come gli altri. E, forse, proprio per quello glielo aveva permesso, per fargli sperimentare sul campo i propri limiti.

E Jun, finalmente, parve capire.

“Ha ragione, mister. Mi scusi...” Rispose, abbassando lo sguardo e cercando di sollevarsi da terra. Sembrava stare meglio, ma, nell’animo, probabilmente non era così. “Sono stato un incosciente...”

Nell’udire quelle parole liberai un sospiro di sollievo e la rabbia provata fino ad un attimo prima sfumò completamente. Ma Misugi non resse oltre la mia presenza al suo fianco e, appoggiandomi le mani sui polsi, mi costrinse a mollare la presa sulla sua maglia. “Grazie, Wakashimazu...” Disse atono. “Non devi preoccuparti per me...” Alzò gli occhi ed ebbe ancora una volta la forza di sorridermi in quel modo dannatamente falso ed artificioso. Non so se Jun si accorse del fremito che per un brevissimo istante scosse il mio corpo, ma, la cosa certa, è che rimasi senza parole. Lo guardai e per la prima volta sentì l’amarezza di quella sconfitta. Più bruciante di qualsiasi partita persa.

“Misaki...” Dissi, senza distogliere lo sguardo da Misugi. “Accompagnalo in infermeria...”

Al mio posto.

Diedi le spalle al principe, andando ad incontrare il volto di Misaki che annuì in silenzio. Poi, mi rivolsi a Yayoi, poco distante. “Scusami per prima... vai anche tu” Glielo dissi sinceramente e lei annuì, facendomi cenno di non preoccuparmi. Ormai la cosa più importante era che Jun si riprendesse. Del resto non mi importava. In quel momento non avevo più forze, era come se fossi stato inghiottito dall’angoscia di quella lotta disperata, travolto dall’astio di Misugi.


Dopo che Jun si era allontanato sorretto da Taro e Yayoi, Kojiro si avvicinò. “Ehi, Wakashimazu...” Il capitano mi poggiò una mano sulla spalla. “Che cosa ti è preso, prima?”
Gli scostai la mano bruscamente, superandolo. “Nulla, Hyuga”
“Eri molto arrabbiato...” Continuò, fingendo di non aver colto il tentativo di evitarlo.
“Sì...” Solo a quelle parole arrestai il passo per voltarmi e guardarlo negli occhi. “Ero arrabbiato, arrabbiato perchè non sopporto la testardaggine di alcune persone che hanno voglia di morire sul campo!” Ringhiai, sperando a quel punto che il capitano fosse soddisfatto della risposta.

Non sopporto che si sia ridotto così per colpa mia.

E, anche se soddisfatto non lo fosse stato, la cosa non mi toccava. Gli voltai nuovamente le spalle, tornando al mio posto in porta, solamente lì mi sentivo al sicuro. Protetto da tutto il resto.

Non se n’era ancora accorto Misugi, ne ero certo. Non era cosciente di ciò che si era venuto a creare fra noi in quei giorni. All’inizio lui era stato la vittima del mio contestabile comportamento, colui che ci aveva rimesso, soffrendone visibilmente. Io, invece, ai suoi occhi ero il persecutore. Poi, col tempo, durante i giorni di ritiro, a forza di sopprimere le sue emozioni, aveva finito per trasformarsi lui stesso in persecutore. Sembrava nutrirsi del mio senso di colpa e, inconsciamente, deciso a  torturarmi... fino a quando?

Gli allenamenti ripresero in uno strano clima di incertezza e stupore. I ragazzi sembravano essere meno energici e più distratti, sicuramente ognuno di loro si stava chiedendo cosa fosse successo a Jun Misugi. Lo avevano sempre conosciuto come una persona equilibrata, responsabile, un giocatore conscio delle proprie capacità così come dei propri limiti. Allora cos’era quel comportamento testardo e avventato di poco prima?

Se lo stavano domandando tutti. E, nessuna risposta, ai loro occhi, sembrava plausibile. Solo io e Misaki conoscevamo la verità.

Fino a quel momento Jun era riuscito a mantenere una certa padronanza di sé, senza esporsi, mantenendo agli occhi dei compagni una parvenza di normalità, sforzandosi di essere sereno. La sua personale battaglia la stava combattendo contro di me, gli altri non c’ entravano assolutamente nulla. Ma, a poco a poco, stava perdendo la capacità di controllo, anche al di fuori della sfera privata e sembrava ormai non rendersene più conto. Che stesse arrivando al limite?

Nell’ora successiva continuai ad allenarmi, lasciando al corpo il compito di rispondere agli impulsi del gioco, mentre la mente si perdeva in un turbinio di riflessioni a volte sconnesse, altre così vivide da dimostrarsi particolarmente dolorose. Già, mi ero ripromesso di riportarlo indietro, l’avevo promesso anche a Misaki la sera prima. Non avrei rinunciato né al calcio né a Jun, perchè entrambi, per me, erano di vitale importanza, così avevo detto.

Eppure il dubbio, mascherato da angoscia, cominciava a far vacillare quelle mie certezze.

******


“Non è più lui, Misaki!” La voce singhiozzante di Yayoi permeava l’intero andito. Aveva amato tanto Misugi e sicuramente fra lei e il capitano della Musashi era rimasto un solido legame, per questo senza vedere il suo viso, udendo solo la disperazione di quel suono, la ragazza fu in grado di trasmettermi tutta la disperazione che lei stessa provava.

Io me ne stavo poco distante, nascosto dalla parete del corridoio che portava all’infermeria, appoggiato mollemente al muro. Finiti gli allenamenti mi ero subito recato lì per accertarmi delle condizioni di Misugi, ma, prima di svoltare l’angolo, nell’udire la voce di Misaki sussurrare “Lasciamolo riposare”, non avevo più avuto il coraggio di avanzare, fermandomi a pochi passi, nascondendomi come il peggiore dei criminali.

“... è cambiato, è cambiato in questi ultimi tempi, perchè?” Continuava Yayoi, affranta.
“Dai, cerca di calmarti... vedrai che si riprenderà...” Le rispose Misaki e udii il fruscio di un abbraccio, probabilmente cercava di tranquillizzarla. La voce gentile e confortante del numero undici mi trasmise la sensazione che potesse anche essere possibile. Ma l’amarezza non scivolava via neppure a quel pensiero.
“Perchè stava giocando fino a sentirsi male, perchè? Non si era mai comportato così, non si sarebbe mai fatto del male con il calcio... aveva degli occhi che non gli avevo mai visto, non gioca più con passione...”

Sussultai nell’udire le ultime parole dell’Aoba: passione...

“ ... il mio cuore è fragile ed è debole. Ma io non sono come lui. Io non posso lasciarmi vincere dalla malattia. Io voglio continuare a giocare a calcio, non ci rinuncerò così facilmente, anche se ogni minuto che passo sul campo è una bomba ad orologeria per il mio cuore...”

Le parole di Jun rimbombarono nella mia testa con una violenza inaudita.

“Misugi, Mi vuoi dire perché ti ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di morire?”
“Semplice Wakashimazu... è la passione...”

Il ricordo del sorriso che mi rivolse quel giorno divenne improvvisamente doloroso come un’ ustione indelebile.

“... stavolta, c’è qualcosa che lo sta facendo soffrire più del suo cuore... e quello sei tu”

Così anche le parole di Misaki. Jun non era più lui... per colpa mia. Serrai pugni e  denti. Forse, l’unica vera soluzione a tutto quello era un’altra. E io avevo già preso la mia difficile decisione.

*****

“La prima fase del piano”: così l’aveva definita Misaki la sera prima, mentre mi dava un in bocca al lupo. La faceva facile, lui. Sospirai distrattamente, disteso a pancia in su sopra il letto, le mani dietro la nuca e poggiate sul cuscino, aspettando il momento propizio.

La luce elettrica permeava l’intera stanza, rendendola artificiosamente pallida, eppure più i minuti passavano più avevo l’impressione che lottasse contro la foschia che s’infiltrava dall’esterno, cercando di sopravvivere. Il sole era calato da tempo. “Credo che fra poco si metterà a piovere, ci sono certe nubi fitte...” Disse Takeshi, aprendo leggermente la finestra e guardando fuori. In quel momento una silenziosa folata di vento mi raggiunse, increspandomi la pelle. Sembrava volesse inghiottirmi, facendomi lentamente scomparire insieme all’oscurità che portava dietro di sé. Intanto suoni sconnessi arrivavano alle mie orecchie e io facevo l’impossibile per non prestargli attenzione.

Lo stridere di una sedia trascinata nervosamente sul pavimento mi riportò alla realtà. “E diamine, Ken, mi ascolti?” Il tono brusco della voce di Kojiro risuonò per tutta la stanza. Il capitano stava seduto su una sedia poco distante.

Il momento atteso era arrivato.

Feci un profondo respiro, cercando di concentrare tutti i pensieri in un unico obiettivo. Dovevo riuscirci, senza ombra di dubbio. Facendomi coraggio, assunsi l’espressione più irritata e rabbiosa che potessi ostentare. “E lasciami in pace! Voglio un po' di silenzio!” Replicai ad alta voce, fulminando il capitano con lo sguardo.

Trascorse un brevissimo lasso di tempo in cui l’aria si congelò. Takeshi si volse di scatto nella nostra direzione, in allerta.

Vidi lo sguardo di Hyuga accendersi, furioso. “Cosa? Silenzio? Senti, tu non impedisci a nessuno di parlare, chiaro? Solo perchè sei nervosetto ultimamente non dobbiamo essere sempre sull'attenti per te!”

“Ehi, ehi, ragazzi, non litigate...” Sawada cercò come sempre di mediare. Ma ormai la miccia si era accesa e io non aspettavo altro. Quindi rincarai la dose, cercando di essere sempre più astioso.

“Ma veramente qui chi deve stare sull'attenti siamo noi! Vuoi sempre avere ragione e se una volta tanto qualcuno non è d'accordo con te, ti scaldi come una iena! Mi sono rotto!” Alzai bruscamente la voce, reggendo lo sguardo di Hyuga, mentre, con un balzo nervoso, scendevo dal letto.
“Cosa stai dicendo? Sei impazzito?” Il capitano scattò su dalla sedia, stringendo i pugni. I suoi bicipiti si gonfiarono nervosi. “ Vedi di darti una calmata, Ken. Solo perchè hai passato un periodo sottotono non credere di farmi compassione!”

Inarcai un sopracciglio, guardandolo dall’alto in  basso. “Mah... forse quello sottotono sei tu, Hyuga. Non sei ancora riuscito a segnarmi un goal o mi sbaglio?” E accompagnai il tutto con un sorriso ironico e pungente.

Ci avrei scommesso. Avevo toccato il tasto dolente, facendogli perdere la pazienza.

Il suo pugno arrivò dritto e preciso sul mio viso, ma il dolore che mi provocò si mescolò al sapore del trionfo. “Maledetto!” Ringhiò Kojiro in preda alla collera.

“No, capitano, fermati! Ken, non...” Takeshi provò ad intervenire, frapponendosi fra di noi, ma io lo scansai con la mano, facendogli capire di starne fuori.

Il mio sinistro raggiunse il mento di Hyuga restituendogli il favore. Il capitano mi afferrò per la collottola sbattendomi al muro, avventandosi come una tigre impazzita sul mio corpo. Purtroppo per lui io non ero abituato a dare cazzotti alla rinfusa, lasciandomi travolgere dalla rabbia. Sapevo bene come difendermi da un pugno o da un calcio e avrei potuto atterrarlo in breve tempo. Ma il suo orgoglio non me l’avrebbe davvero perdonato, inoltre,  i colpi di Hyuga e i lividi annessi, sarebbero stati la giusta punizione per quel comportamento, un modo per espiare le mie colpe nei suoi confronti.

Non so quanti minuti passarono da quando ci eravamo accaniti l’uno sull’altro, dandocele di santa ragione, finendo per ruzzolare in terra. Solo la voce di Takeshi ci fece tornare in noi.

“Basta, smettetela!” Gridò Sawada.“Ragazzi, se arriva qualcuno passerete dei guai, lo sapete o no?” Urlò il nostro amico, anche lui al limite della pazienza.

Nell’udire quelle parole mi fermai, stremato. E anche Hyuga. Ci fissammo negli occhi per alcuni secondi, leggendoci dentro qualcosa di indecifrabile, respirando affannosamente. Probabilmente il capitano si aspettava un mio sorriso, una risata post- scazzottata capace di quietare le acque e fare tornare tutto alla normalità, com’era sempre stato fra noi fino a quel momento. Ma, quella volta, non sarebbe stato così.

“Mi sono stufato. Basta!” Esclamai, scansando Hyuga per alzarmi da terra. “Sawada ha ragione! Non voglio certo essere messo fuori squadra per colpa tua.” Sputai con astio e rabbia, cercando lo sguardo del capitano per fargli capire che non stavo affatto scherzando. “E stando qui mi verrebbe solo voglia di prenderti a pugni!” Conclusi con forzata arroganza.
Vidi negli occhi di Kojiro balenare un lampo di incertezza. “Ma che cazzo stai dicendo, eh Ken?” Il capitano, tuttavia, fu abile a ricacciarlo indietro.
“Che ho bisogno di stare tranquillo” risposi stancamente “e qui non lo sono!” Mi avvicinai alla porta senza guardare i miei due compagni, poi l’aprii.

“Che fai, Ken?”  Fu la voce supplicante di Takeshi.

Sorrisi fra me evitando di voltarmi.

“Vedo di cambiare stanza” E mi chiusi la porta alle spalle.

Solo quando fui a pochi passi dalla camera mi guardai indietro, portandomi una mano sul mento, nel punto che più mi doleva. “Mi dispiace, capitano, scusami...” Sussurrai fra me. “Ma non potevo fare altrimenti...” In qualche modo, sapevo, gli sarebbe passata, lo conoscevo bene Hyuga. Ora, invece, la cosa più importante per me era soltanto Jun.

La resa dei conti stava infine per arrivare.

Misaki mi stava aspettando sulle scale, fra il secondo e il terzo piano, come da programma. “Scusa il ritardo!” Gli dissi, non appena lo vidi poggiato al muro, borsone fra le mani.
“... è stata più dura del previsto, eh?” Domandò Taro comprensivo, facendo cenno con la testa ai lividi che sfoggiavo in pieno volto.
“Eh, eh... Hyuga ci è andato pesante...” risposi sdrammatizzando “ma va bene così!” Poi feci un profondo respiro, infine alzai lo sguardo, serio. “Jun? Come sta?”
Misaki sorrise “Stai tranquillo, sta bene... si è ripreso da stamattina!” Le sue parole mi rincuorarono. “E sei anche fortunato! È andato ad una riunione insieme a Mikami e allo staff, così avremo modo di muoverci più facilmente!” Taro era davvero fiducioso e il suo fare complice ed ottimista riusciva a mitigare l’inquietudine che s’ingrossava nel mio cuore, come un mare in piena.
“Dai, andrà tutto bene!” Mi diede un’amichevole pacca sulla spalla, quasi leggesse i miei pensieri.

Aspettammo ancora diversi minuti prima di salire nella mia camera, poi, trascorso il giusto lasso di tempo, ci avviammo. Misaki era di sicuro la persona che avrebbe destato minori sospetti alla mia scelta, dato che lui conosceva da anni Sawada e il capitano. Inoltre, ero certo che mi avrebbe coperto su tutti i fronti, anche nel caso di domande poche opportune dei due nuovi compagni di stanza. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stato impossibile non credergli. Come previsto, Takeshi fu felice di vedere Taro e lo accolse amichevolmente, i due erano sempre andati d’accordo; Hyuga, invece, non ci degnò di uno sguardo. Seduto sul letto, continuava a sfogliare la rivista che teneva sulle gambe. Io, intanto, raccoglievo silenziosamente le mie cose e le mettevo nel borsone, ignorando bellamente il capitano, nonostante, nel mio animo, gli chiedessi scusa più e più volte. Lo sentivo ogni tanto sbuffare, evidentemente la mia presenza lo infastidiva e cercava, con quei modi, di sollecitare la mia uscita di scena.

“A domani!” Dissi un po’ brusco, mentre uscivo dalla porta. La sceneggiata doveva sopravvivere fino alla fine. Naturalmente solo Takeshi e Taro mi salutarono e quest’ultimo mi lanciò anche un’occhiata d’incoraggiamento. Ne avevo davvero bisogno. Mi avviai, sacca sulle spalle e passo lento, verso il lungo corridoio, andando incontro a quello che sarebbe stato l’inizio. O la fine.

*******************

La porta si aprì con un clack secco e subito fui investito da una folata di vento spirato dalla finestra aperta, mentre le tende azzurre si agitavano verso la porta. Percorso da un brivido gelido non riuscii ad avanzare oltre, quasi fossi stato bloccato sul posto. Mi guardai intorno, lentamente, scrutando ogni piccolo particolare della camera, dai letti separati dal comodino bianco, al piccolo frigorifero sulla parete opposta. Avevo bisogno di prendere confidenza con quell’ambiente per non sentirmi disorientato. Poi, improvvisamente, come se oltre alla vista cominciassi a concentrare le energie anche sull’udito, avvertii un rumore provenire da qualche punto della stanza: lo scrosciare dell’acqua permeava l’intera camera. D’un tratto spalancai gli occhi, trattenendo il respiro, quasi avessi il timore di mostrare la mia presenza. Qualcuno stava facendo la doccia nel bagno interno alla camera.

“Misaaaaki! Faccio in un attimo!” La voce di Misugi arrivò come una pugnalata al cuore. Barcollai, colto da un senso di vertigine, chiudendomi la porta alle spalle, appoggiandomi ad essa in cerca di un appiglio. Le gambe non smettevano di tremare. Poi socchiusi gli occhi, cercando di mantenere la calma, soffermandomi sui battiti del cuore che ticchettavano veloci ed intensi Avevo riflettuto a lungo sul da farsi e non potevo più tirarmi indietro, anzi, non lo volevo. Mi avvicinai così ad uno dei letti, sedendomi sul bordo, mani alla testa e gomiti sulle ginocchia. Respirai profondamente, ancora e ancora.

Dovevo riportare indietro Jun a tutti i costi. A qualsiasi prezzo.


 “Tu… cosa ci fai?” Tremò la voce di Jun.

Alzai lo sguardo e lo vidi in piedi sulla porta, i capelli bagnati che gli solleticavano il viso, l’ asciugamano legato intorno alla vita, il torace nudo e gocciolante, le labbra leggermente socchiuse come se volessero aggiungere ancora qualcosa. Gli occhi mi esaminavano non convinti ed io mi persi nella profondità di quelle iridi nocciola.
 
Jun era davvero la creatura più bella che avessi mai incontrato.

Misugi aveva un’espressione indecifrabile. Era stupito, questo è certo, ma ebbi l’impressione che si aspettasse una mossa simile, poiché, prima di rivolgermi nuovamente la parola, scrollò le spalle infastidito.

“Cosa significa questo? Dov’è Misaki?” Domandò, imperturbabile, come se dovesse giudicare una persona già condannata a morte.
“Ci siamo scambiati la stanza. Lui sta con Kojiro e Takeshi.” Risposi, mantenendo la calma più assoluta. E anche un’ostentata freddezza.
“Che cosa?”  Questo, invece, non se lo aspettava. “Che diavolo stai dicendo? Cos'è questa storia? Cosa hai detto a Misaki?”  Jun strinse i pugni e alzò la voce, visibilmente alterato.

Ma stranamente non avanzava di un solo centimetro, continuava a rimanere sulla porta del bagno, quasi evitasse di uscire dalla trincea nel timore di rimanere ferito nello scontro. Aveva paura di fare un passo falso, perchè sarebbe stato come camminare su uno specchio d’acqua carico di elettricità. Mortale.

“Gli ho solo detto che volevo cambiare stanza perché avevo litigato con Hyuga...”
“Lo vedo...” Sibilò Jun, lanciando un’occhiata ai lividi sul mio viso e cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle.
“E Misaki ha accettato. Non è una persona stupida.” Aggiunsi, abbassando leggermente la testa per sfuggire al suo sguardo indagatore.

Jun parve pensare qualcosa, poi sospirò nuovamente.“È vero.”

Il silenzio calò sulle nostre spalle come un pesante macigno, alimentando la tensione che aleggiava nell’aria. Credo che quei brevi attimi servirono a Jun per capire che non doveva, non poteva, più fuggire. Avrebbe dovuto ascoltarmi una volta per tutte.

Così, alla fine, fu costretto a cedere. “Cosa  vuoi, Wakashimazu?” Chiese nervoso, voce bassa e roca. Senz’altro sperava che quel momento terminasse il prima possibile.

Non ero mai riuscito a rispondere a quella domanda fino ad allora. Mi alzai, lentamente, fermandomi a pochi passi da lui. Lo guardai negli occhi, volevo essere sincero fino all’ultimo istante. Allungai le mani per potergli toccare le spalle, desideroso di abbracciarlo. Il mio non fu un tocco impulsivo ed aggressivo come la sera nel giardino dell’albergo, bensì delicato, come se avessi paura di mandare in frantumi il suo corpo di cristallo. Ma non appena lo sfiorai, Jun si ritrasse, stringendosi nel proprio corpo, indietreggiando di pochi passi. “Stammi lontano!” Intimò.

Mi aspettavo una reazione del genere, quindi arrestai il passo, fermandomi sul posto, lasciando a Misugi la sensazione di sentirsi protetto dalla distanza che ci separava. Assecondando i suoi voleri.

“Io... voglio stare con te, Jun.”

Glielo dissi, finalmente, e lo feci guardandolo negli occhi, senza mostrare la minima esitazione.

Rigido. Vidi il corpo di Jun irrigidirsi di colpo, quasi fosse diventato una statua di piombo. “Che... che cosa stai dicendo?” Tremava, la sua voce. “Che cosa... significa?”
“Jun, io...” Provai ad esprimere tutto ciò che avevo nell’animo, sperando di raggiungere il suo cuore. “Sono stato uno sciocco a lasciarti andare via così. Non sono stato sincero neppure con me stesso. Io... ero pieno di dubbi sul calcio e su me stesso prima di incontrarti. Tu mi hai dato molto in quei giorni che siamo stati insieme. È grazie a te se sono rientrato sul campo e ho capito che non posso rinunciare al calcio...”
“Bene...” M’interruppe Jun. “Almeno a qualcosa sono servito.”

Quel tono astioso e sarcastico fu capace di ferirmi. Probabilmente era quella l’intenzione.

“Smettila, non sto scherzando!” Alzai la voce, stringendo i pugni, rendendomi conto che quel muro che Misugi aveva eretto fra di noi non era affatto facile da abbattere. “Tu sei molto importante per me... solo che l’ho capito troppo tardi!” La mia voce s’incrinò. Di fronte a me lo sguardo sfuggente di Misugi e il suo corpo che continuava ad indietreggiare ad ogni passo che, inconsapevolmente, facevo verso di lui. Mi sembrava di barcollare nel vuoto, il terreno sotto i piedi instabile, instabile il mio animo irrequieto.

“Lasciami in pace, Wakashimazu, ti prego.” Una crepa nel tono deciso del principe. “Io... non voglio più sottostare ai tuoi sbalzi d’umore!”
“Non è uno sbalzo d’umore, Jun...” Mormorai supplichevole. “È ciò che realmente penso.” Ma il principe sembrava sempre più restio ad ascoltarmi. Non poteva finire così, non doveva. Con un movimento veloce gli fui davanti e lo afferrai per le spalle, la sua pelle era ancora tiepida e umida.

L’odore del suo corpo pericolosamente vicino.

“Lasciami, Wakashimazu!” Gridò, cercando di divincolarsi, ma stavolta non gli permisi di fuggire.

“Ti amo, Jun!” Gli dissi, stringendogli i polsi e costringendolo a guardarmi negli occhi. Jun interruppe il tentativo di liberarsi, trattenendo il respiro. “Ti amo, cazzo!” Continuai col cuore in gola. “Ti amo da impazzire...”

Ognuno di noi scandagliò lo sguardo dell’altro per infiniti secondi, mentre la brezza fresca proveniente dalla finestra aperta faceva rabbrividire i rispettivi corpi e nell’aria si diffondeva l’odore umido della pioggia.

“.... vero” Un respiro instabile fra le sue labbra, le vertigini che percorrevano il corpo. “... non è vero...” Un singhiozzo strozzato.

“NON  È VERO!”

Jun gridò, afferrandomi i polsi e strattonandomi via con forza La rabbia accumulata e soffocata per tutto quel tempo, il rancore, la tristezza, la frustrazione e l’angoscia: ognuno di questi sentimenti implose nel suo cuore per poi esplodere violentemente in quell’attimo in cui la sua mente si offuscò, così come lo sguardo, che divenne annebbiato e confuso, come se non riconoscesse più alcuna cosa intorno. Misugi cominciò a tremare agitato, aveva il respiro affannato e teneva stretta la testa fra le mani, premendo i palmi sopra le orecchie, per non sentire più nulla, per non essere più costretto a farlo. I denti battevano isterici.

“Jun, ti prego, calmati, Jun!” Lo chiamai con voce sommessa, spaventato da quella reazione. Incerto, provai ad afferrargli un braccio nel tentativo di calmarlo, ma Misugi mi respinse violentemente, con una forza che non avrei mai immaginato.
“Nooo! Lasciami!” Aveva cominciato a gridare, muovendosi convulsamente, lo sguardo perso nel vuoto.
“Jun!” Cercai di trattenerlo, ma mi conficcò le unghie nelle braccia, strappandomi un gemito di dolore, allontanandomi ancora.

Ero sconvolto da quella sua reazione, vederlo in quello stato mi terrorizzava. “Calmati, Jun ti prego!” Lo supplicai. Ma lui sembrava non vedermi, non sentirmi, come se avesse precluso ai sensi la facoltà di funzionare, rinchiudendosi in qualche anfratto irraggiungibile della sua mente. Mi faceva troppo male osservare impotente la sua crisi. Era affannato e avevo paura per il suo cuore, sottoposto a uno sforzo enorme. Gli avevo provocato così tanto dolore? Aveva sofferto così tanto per il mio comportamento?

Era così. L’evidenza del suo dolore si presentò cruda davanti ai mie occhi.

Non lo potevo più sopportare. Mi avventai ancora una volta su di lui, afferrandogli le spalle con prepotenza, resistendo alla sua forza, incurante dei graffi che mi laceravano la pelle o dei gomiti incontrollati che cercavano di colpirmi. Durante quei movimenti nervosi l’asciugamano che gli avvolgeva la vita scivolò via dal suo corpo, ma Misugi non se ne curò.“E lasciami! Non voglio più saperne di te, lasciami!” Continuava a gridare. “Sei tu quello che ha detto di fare finta che non fosse successo nulla, di dimenticare! E ora cosa vuoi da me? COSA VUOI DA ME!!”

“VOGLIO TE!” Gridai, più forte di lui, la presa ancora salda sulle sue spalle, le dita del principe conficcate nella carne delle mie braccia.

Il movimento frenetico del suo corpo si arrestò di colpo, mentre spalancava gli occhi.

Misugi  boccheggiò, respirando a fatica. Sentii gli spasmi del suo corpo diminuire pian piano fin quasi a scomparire. Le lacrime di Jun presero a scendere lentamente, scivolando sulle sue guance, mentre i piccoli singhiozzi soffocati si unirono a quel suono lontano che giungeva dalla notte: al di là della finestra la pioggia aveva cominciato a cadere. Una pioggia sottile e silenziosa, senza lampi né tuoni, di quella che non ti spaventa, ma che ti fa sentire irrequieto, perchè non sai mai quanto possa durare. La stessa che ti rende malinconico quando osservi il fitto cielo grigio che l’accompagna.

La stessa pioggia che ci aveva avvolto quella volta, la mattina del nostro primo bacio.

Jun aveva gli occhi colmi di lacrime e i nervi a pezzi. Sembrava smarrito. Quell’immagine travolse la mia testa fino ad assestarsi in essa con tutta la sua durezza, privandomi delle ultime forze rimaste. Non ero più in grado di lottare. Rilassai le mani che ancora stavano ancorate sulle sue spalle, facendole scorrere sulla pelle morbida e, come se non sentissi più la forza nella gambe, mi accasciai in terra, rimanendo aggrappato alle sue braccia, in ginocchio ai suoi piedi. Tenevo la testa abbassata, i capelli che mi scivolavano giù dalle spalle, gli occhi fissi ossessivamente sul pavimento.

“Perdonami...” cominciai con un sussurro “perdonami per non aver avuto la forza di accettare la verità, Jun! Perdonami!” La voce veniva fuori con fatica, strozzata dal nodo che mi si era  stretto in gola. “Tu e il calcio siete tutto per me. Tu sei tutto per me. E ora che non sei più il Jun che ho conosciuto, ora che sei cambiato a tal punto per colpa mia... neanche il calcio ha più senso...”

Il mio corpo tremava come una piccola foglia al vento, diventata ormai troppo vulnerabile.

“Io... sono disposto a tutto. Ti lascerò in pace, te lo giuro. Lascerò il calcio per poter sparire dalla tua vita...”

Le mie mani si strinsero ancora di più alle sue braccia, mentre gli occhi avevano cominciato a bruciare. A quelle parole un sussulto scosse il suo corpo.

“Ma tu... torna ad essere il Jun Misugi di cui mi sono innamorato...”

La voce spezzata dalla disperazione.

“... ti prego...”

 E il senso di colpa che mi divorava.

“... non lo sopporto... non sopporto vederti così...”

Le gambe di Misugi tremarono per alcuni istanti, finché il principe non si lasciò cadere mollemente in terra, anche lui allo stremo delle forze. Per secondi eterni regnarono solo i nostri respiri, la pioggia battente sul davanzale e le lacrime di Jun che s’infrangevano sul pavimento.

Poi, all’improvviso, un suono...

“Il calcio...” la sua flebile voce, affaticata “non devi lasciarlo... non farlo, Ken...”

Sollevai il viso, andando ad incontrare il suo sguardo, timoroso di leggervi dentro. Eppure, non appena incrociai i suoi occhi, mi resi conto che non vi albergava più l’astio di poco prima. Ora vi era solo uno sguardo che lottava per recuperare la propria lucidità.

“... ti avevo detto che il calcio va amato indipendentemente dai motivi...” Scorsi un’espressione diversa sul volto del principe “che la passione è passione e basta...” quella gentile, che non vedevo da tempo dipingersi su quel viso.

“...è... è vero...” risposi, temendo di star sognando “ ma mi avevi anche detto di  trovare un buon motivo per giocare a calcio... e l’ho trovato: sei tu!” Esclamai infine, timidamente, nel timore di dire qualcosa di sbagliato ma tremendamente vero. “Quando tu sei vicino a me negli allenamenti, nelle partite, io mi sento felice e do il meglio. Questa è la verità. E che sia un motivo valido oppure no la cosa non mi interessa. Perché è così e basta. Io voglio giocare con te e contro di te, condividere il calcio con te...”

Di tutte le cose che avevo detto fino a quel momento, quelle, probabilmente, furono le parole che lo colpirono di più.


Jun scosse la testa. “Non c’è proprio speranza, eh?” Il principe sorrise, finalmente.

Quel sorriso che mi era tanto mancato.

“Pare proprio di no...” Risposi, portando timidamente la mano sotto i suoi occhi per asciugargli le ultime lacrime. “Non piangere più...” Sussurrai, appoggiando il palmo sulla sua guancia, accarezzandola piano. Jun portò la sua mano sulla mia, intrecciando le dita, spingendola ancora di più sul viso. Poi chiuse gli occhi e respirò profondamente.

“Ken...”  Disse piano “ti amo... tantissimo...”

L’emozione che provai nell’udire quelle parole fu talmente intensa che sentii il cuore scaldarsi, alimentato da una nuova energia: i sentimenti per Jun che ora potevo manifestare in tutta la loro intensità. “Anch’io, Jun.... anch’io...” Risposi, portando anche l’altra mano sulla sua guancia, accarezzando ogni parte del suo viso, seguendone il contorno degli occhi, del naso, delle labbra..  Era come se avessi paura di perderlo di nuovo, come se da un momento all’altro sparisse sotto le mie dita.

Dovevo sentirlo lì, con me.

Non so, forse trattenei le lacrime. Jun mi accarezzò i capelli volgendoli dietro le spalle, scostandoli dagli occhi. Poi mi guardò e sorrise, ancora. Ricambiai lo sguardo, prima di avvicinare le labbra alle sue e cominciare a baciarlo, con una dolcezza mai usata fino a quel momento. Volevo che sentisse, sentisse tutto quello che provavo per lui.

Jun non si oppose, anzi, schiuse le labbra accogliendo con delicatezza le mie, in un bacio che fu il più lungo e sincero che ci fossimo mai scambiati. Contemporaneamente portò le mani sulla mia schiena, cingendomi in un abbraccio forte e delicato allo stesso tempo. Era nudo, sotto di me. Potevo sentire ogni forma del suo corpo accarezzare le mie, il calore eccessivo della pelle trasmettersi ad ogni terminazione nervosa del mio corpo.

Mi era mancato, da morire.

E fu come il sereno che emerge dopo una burrascosa tempesta, anche se, al di là della finestra, la pioggia continuava a cadere fitta, ma avevo l’impressione che lavasse via gli ultimi sprazzi di dolore, quelli che fino a quel momento avevano albergato nei nostri cuori.

“Mmmh…” mugolai all’improvviso, dolorante, cercando comunque di non distrarmi da quel bacio. Tuttavia, Misugi si staccò delicatamente dalle mie labbra, guardandomi interrogativo. “Tutto bene?” Domandò.
“Sì, sì…” Risposi, ma fui tradito dal movimento della mia mano che inavvertitamente andava a toccare la parte dolente del mento.
“Hai dei bei lividi…” Constatò il principe, pungolandoci sopra con il dito.
“Ahia! Fa male!” Mi lamentai contrariato, tirando indietro la testa.
Jun si fece scappare un risolino. “Non dovevi fare a botte per me…” Aggiunse poi, con il tono furbo, ma allo stesso tempo dolce, di chi aveva già capito ogni cosa.
“Beh, ecco…” Non sapevo proprio cosa dire, ero imbarazzato e sentivo le guance avvampare. Poi i nostri sguardi si incrociarono e le rispettive espressioni buffe ci fecero scoppiare a ridere di cuore.
 
Ero felice. Infinitamente.

*****************************


La mattina dopo il sole splendeva nuovamente alto nel cielo, mentre le gocce d’acqua residue imperlavano il campo rendendo difficoltosi i movimenti. Ma, comunque fosse, gli allenamenti per me e Misugi furono un vero disastro. I compagni pensarono che il calo di forze del principe fosse dovuto al malore del giorno prima, mentre collegarono la causa delle mie pessime prestazioni alla litigata con Kojiro e alle botte che ci eravamo dati. Il capitano si arrabbiò anche per quell’ inutile colpa che gli era stata  addossata.

Ci sarebbe stato il tempo per recuperare anche con lui, ne ero sicuro.

L’unico ad avere intuito qualcosa era Misaki che ci regalò un bel sorriso soddisfatto. “Alla grande, Wakashimazu!” Esclamò, dandomi una pacca sulla spalla. Io gli lanciai uno sguardo colmo di gratitudine, mentre Jun ridacchiava divertito.

Finalmente era tornato il Jun Misugi che conoscevo.


Una settimana dopo battemmo la Nazionale Francese con il punteggio di 4 a 2. Non fu di certo una partita facile, ma l’entusiasmo e la nuova forza con cui l’avevo affrontata, unito al quarto d’ora d’oro giocato dal principe, seppero fare la differenza.

Io e Jun insieme sul campo, questo era ciò che avevo tanto desiderato. Consapevolmente complici, amici ed amanti.

“Bravissimo, Jun!” Fu il grido entusiasta di Yayoi alla fine della partita. Ma, prima che potessi lamentarmi col principe dell’eccessiva presenza di quella ragazza nella sua vita, la vidi andare incontro prima di tutti a Misaki. Taro le sorrise dolcemente, sembrava davvero felice di vederla.

“Ma... quei due... vanno parecchio d’accordo!” Mi voltai verso Jun, cercando conferma.
“Sembra di sì...” Sorrise Jun. Mentre osservava la scena aveva uno sguardo molto dolce, era davvero felice per l’Aoba.
“Ma non era fidanzata?” Domandai d’un tratto, ricordandomi del discorso fatto con Jun tempo prima proprio riguardo Yayoi.
“Mah, sembra sia finita...” Jun scrollò le spalle.
“Ah, capito!”
“ Eh, eh... chi vivrà vedrà!” Esclamò, strizzandomi un occhio.
“Mmmm...” mi soffermai a pensare “Come per noi due?”
“Come per noi due!” Concluse il principe, regalandomi un bellissimo sorriso.

FINE

ç_____________ç Oddio mi commuovo da sola!! Questa storia è finita davvero!! E pure beneXDD Massì io sono buona, non potrei mai scrivere finali tragici:) Già la vita di per sè è faticosa, almeno a loro voglio dare un bel finale... fino al seguito, naturalmenteXDD Nella mia testa frulla da tempo!!

GRAZIE infinitamente a tutte voi _O_ ----> inchino di Releuse

Alla prossima!





 









  
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