Storie originali > Generale
Segui la storia  |      
Autore: AlessandroConte    13/06/2018    0 recensioni
Storie varie brevi e lunghe, in prosa e in versi.
Genere: Generale, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
IL  COPIA  COPIA
 
“Le parole rubate sono queste, signor Mandrìpoli:
‘Io prometto a tutti voi, cittadini, che non resterò sordo a nessuna richiesta mi venga rivolta da parte di chi avrà bisogno di me. Pensioni da aumentare? Me ne farò promotore. Contratti da rinnovare? Me ne farò promotore. Precariato? Se sarò rieletto scomparirà.’
È un vero copia e incolla per tutta la pagina del blog. Tutto preciso, anche gli interrogativi.”
“Sì, Vostro Onore, ma non sono stato rieletto.”
“Mi chiami signor giudice, prego; non stiamo a Law and Order!
No, non è stato eletto. Ma il plagio, il furto letterario e propagandistico lo ha commesso e non lo nega.”
“Signor giudice, io non ho usufruito della refurtiva, letteraria o meno che sia. Non ho sottratto quel frutto. È rimasto sulla pianta, ossia sulla pagina informatica dell’onorevole Giuseppe Cavalletta, o no?”
“Basta, Mandrìpoli! Lei può giocare coi suoi frasari nei comizi a beneficio di chi vuole starla a sentire.
In questo giudizio preliminare io stabilisco che le sue ragioni le presenti in tribunale. Il plagio è eclatante e confesso.
Si prepari con la difesa e a sborsare. Ogni giudice la condannerebbe.”
“Me? Vedremo. Signor giudice permetta ancora un minutino. Quale politico non usa promesse elettorali generiche senza alcun fondamento logico?”
“Basta!”
“Sa che Cavalletta ha presentato una richiesta milionaria? E cosa vuole beccare da me che non ho un euro?”
“Non li ha in Italia, signor Mandrìpoli. Stia un po’ in silenzio e ascolti me.
Siamo riusciti a organizzarci contro voi furbetti della Cosa Pubblica. Abbiamo convenzione con l’estero che lei neanche sa: Liechtenstein, Andorra, Principato di Monaco, Svizzera, Lussemburgo, isole Cayman, Nauru e via dicendo. Dove crede di poter nascondere i suoi capitali in tranquillità?
Non paghi per questa causa italiana e pagherà fior di spese anche per il recupero del debito all’estero. Se ne faccia una ragione.”
Solo allora Mandrìpoli si decise a diventare più bianco di un lenzuolo.
 
Alessandro Conte
 
 
ESAME  DI  COSCIENZA  
 
Quest’è vero, fumavo, unico vizio,
piacere che mi chiede ora la vita.
Tutti attorno a guardarmi nel trapasso.
Sono curiosi oppure è solo affetto?
Comunque me ne vado e manco sono
del tutto vecchio. Certo ho dei rimpianti
per non aver concluso il mio daffare.
Mettila come vuoi ma questo è certo:
non ero preparato a un tale passo.
Riuscivo ad andar bene con la moglie
non sbraitandole addosso molto spesso,
cercando contentarla quasi in tutto.
Coi figli posso dir che c’era intesa
facendo ad occhi chiusi il voler loro
e coi parenti a volte sorridevo.
Avevo preso gusto alla lettura
e parlavo pur d’altro oltre che il calcio.
Gradivo ormai perfino gli animali.
Al bar ci andavo poco e con gli amici
non più giocate a carte o avvinazzate.
Manco più andavo con quell’altre donne
facendo ormai una vita da recluso.
E nonostante questo, proprio adesso
   che avevo come vivere imparato,
   mi tocca essere morto e sotterrato.
 
Alessandro Conte
 
 
IL  CASINO                                     
 
La fortuna di Mimì era dipesa da due fattori: un deputato, vecchio frequentatore della mamma, che lo aveva raccomandato e una senatrice che, fortunatamente per lui, non aveva mai voluto prendere la patente.
Ecco perchè da un anno buono faceva l’autista a quella signora e in molte occasioni ne raccoglieva sbotti e confidenze. Lei gli parlava dal sedile posteriore e ne otteneva in risposta, non desiderando certo altro, ‘sì, signora senatrice’, ‘è proprio vero, signora senatrice!’, ‘ma che mi dice, signora senatrice?’.
“Domenico, ci siamo lo sa?” squittì un giorno la signora, scarrozzata verso la sua destinazione.
“Davvero, signora senatrice?”
“Sì, i tempi sono maturi perchè presenti la mia legge in parlamento e ho i numeri perchè venga approvata.”
“Sono contento per lei, signora senatrice.”
“Tempo un anno e quelle case scompariranno. Si règoli: ci vada pure a sparare le ultime cartucce.”
“Cosa dice, signora senatrice? Io non ho mai avuto a che fare con quei postacci.”
“Ma certo, Domenico, lo so bene; stavo scherzando.”
Alla prima occasione, invece, Mimì corse al casino, quello dove era nato una domenica e dove la mamma era diventata tenutaria e proprietaria. Gli costò un viaggio a Napoli con l’auto personale, ma era necessario.
“Mammà” ansimò, abbracciandola, “chella pèreta (quella scorreggia) della Merlìn presenta la legge che t’ho detto. Ci fa chiudere.
Se non ti muovi adesso a cedere l’attività ci troviamo con un immobile inutile che nessuno vorrà più.”
“Mimì, lo so, nun te fa sentì da nisciune; nun s’adda capì niente (... non farti sentire da nessuno; non si deve capire ...).
Ije me sò già mosse, stà tranquillo (Io mi sono già mossa ...).”
“Allora, bene! tu cedi e te ne vieni a Roma da me, sennò, quando si comincia a sapere della legge, te fann’u pièlle (... ti fanno la pelle).”
“U mmìnime... È n’anne ca me staje dint’e rrecchie (... come minimo... È un anno che mi stai nelle orecchie); non ti davo risposta ma lo sapevo che dicevi sul serio ... . È un sacco di tempo che sto facenne gir’a voce ca me sò stancàte: è na vite ca faccie (... facendo girare la voce che mi sono stancata: è una vita che faccio ...) fottere e questo ambiente non lo sopporto più. Questo ho detto e, Mimì, è la verità.”
“Se lo comprano? chi? a quanto?”
“Io ho detto cento milioni. Credo che a ottanta, tutt’assieme, si conclude.
Sono quattro zòccole (prostitute), quelle fisse da me da tre anni, che lo vogliono. Aìzene sord’assaje pecchè so’ bbelle (Guadagnano molti soldi perchè sono belle).”
“Ovère (Davvero), mammà? Ottanta milioni? Dove sto io, a centro Roma, si trova a quindici milioni un appartamento.”
“Queste qua te l’immagini quando il casino chiude? Quando non sarà buono manco per alloggi o per albergo?
Finquando la gente non perde il ricordo di quello che ci facevamo.”
“Le vuoi proprio bene a queste zoccole.”
“E già, per i quattro soldi che mi danno. Loro so’ giòvene, tènene a rrobba fresche e t’a mènene n’facce. Mò ce facìmme pur’a rìverenzia(sono giovani, tengono la roba fresca e te la buttano in faccia.  Adesso facciamo loro pure l’inchino).”
“Ma sì, mammà, lore so’ abbituat’alli n’culàte: una chiù, una mene(loro sono abituate alle ‘bidonate’: una più, una meno).
Mammà, l’appartamento dove sto io ce lo compriamo, sì? Almeno mi risparmio il fitto. Lo mettiamo in comunione, eh?”
“Coi soldi miei! E vva buo’; tu sì nu figli’e puttàne, u ssàje? ( va bene; tu sei un figlio di puttana, lo sai?)”
“Se lo dici tu, mammà.”
 
Alessandro Conte
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Vi do appuntamento a mercoledì prossimo, 20 giugno, con altre storie)
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: AlessandroConte