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Autore: MatthewTheAuthor    13/06/2018    0 recensioni
È un circolo vizioso quello che lega Umani e Notturni: i primi gli danno inconsciamente vita, mentre i secondi banchettano per sopravvivenza con i loro corpi.
Per nostra fortuna, in tempi passati, un Arcangelo ascoltò le nostre preghiere e scese in terra per creare un antico ordine di valorosi combattenti, pronti a tutto pur di proteggere il mondo per come lo conosciamo. Le Fate.
Anche nelle vene di Madelaine Mayfair, di sedici anni, scorre inconsciamente il sangue di questa specie che, ancora oggi, affronta nell'ombra questi mostri demoniaci e vogliosi di carne umana.
Durante una serata trascorsa in un nightclub, in compagnia del suo migliore amico NJ, si ritrova invischiata in uno scontro senza precedenti, che non farà altro se non dare il via ad un cambiamento così radicale della sua vita da non darle un secondo di tregua. Dopo questo scontro infatti segreti che dovevano rimanere tali le verranno rivelati, antiche magie che erano state usate anche su di lei verranno annullate e vecchi nemici mortali, che sarebbe stato meglio se fossero rimasti nella tomba (come tutti credevano) risorgeranno dalle tenebre di una città che non dorme mai.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fairies'
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La giovane Madelaine Mayfair, di sedici anni da qualche mese ormai, non è mai stata una grande bugiarda e il mentire agli altri non le era mai riuscito granché, non riusciva a farlo nemmeno con sé stessa, davanti allo specchio del suo bagno. Di conseguenza era molto facile scoprirla, prima ancora che potesse aprir bocca. Il viso le si sbiancava come un cencio umido di sudore, quindi diventava di un colorito verde nausea mentre sentiva la bile acida risalirle la gola, fino a pizzicarle la lingua, i suoi occhi invece non si spostavano dal pavimento, mantenevano un contatti visivo costante, anche se lei tentava più e più volte ad alzarlo verso la persona alla quale si stava rivolgendo.
Quella sera però avrebbe dovuto fare del suo meglio per resistere, avrebbe dovuto evitare di parlare con quei due grossi buttafuori vestiti in nero con la sua vocina squillante, che le veniva quando raccontava il falso, e avrebbe dovuto trattenere quel senso di nausea rivoltante che le si presentava in bocca. Doveva farlo per il suo migliore amico, NJ, che era già la quarta volta che la portava al Butterfly Nightclub controvoglia e che la riportava a casa subito dopo essere scesa dall'auto ed essere arrivata davanti al grande ingresso coperto da pesanti tende rosse.
Nella sua mente, per farsi forza, pensava al fatto che non dovevano essere gli unici a fingersi ormai maggiorenni, con tanto di carte d'identità false e tutto il resto, che non dovevano essere gli unici sedicenni a fingere di aver bisogno del permesso dei loro genitori per partecipare ad una serata come quella, in un locale non adatto a persone della loro età. Ma tutta quella auto-convinzione le serviva molto poco. Aveva troppa paura di incontrare qualcuno che la conoscesse e che sarebbe corso a spifferare tutto a sua madre e a suo padre, o che gli energumeni della sicurezza notassero la falsità del suo documento. E quelle paura era ben più forte dei suoi pensieri.
D'un tratto infatti, quelle paure divennero come legna per un fuoco acceso nel camino. Le gambe nude iniziarono a tremarle come fuscelli esili e deboli, il sudore iniziò a percorrerle la pelle come serpi gelide. Quello però non era ancora riuscita a capire se era dovuto all'ansia o al caldo soffocante di quella serata senza stelle. Per essere quasi la fine di Giugno c'era un caldo tremendo, che le impediva quasi di respirare.
NJ, che se n'era rimasto appoggiato contro la jeep della madre per tutto il tempo in cui lei si era preoccupata, simulò un colpo di tosse. Probabilmente aveva notato il viso dell'amica cambiare colore, come se il suo rosa plumbeo le scivolasse tra le dita delle mani.
« Stammi bene a sentire, Maddie » incominciò, fissandola dritta negli occhi, con le braccia conserte « Se rinunci anche questa volta io non ti ci accompagno mai più a questa serata. Mi sono stancato di fare avanti e indietro per niente »
« Lo so » sospirò. « È solo che, vedi, stavo pensando, potremmo tornare domani sera » disse lei, nascondendo i suoi occhi color ghiaccio dietro la frangetta
« Maddie, domani sera non ci sarà nessun tipo di serata visto che il locale sarà chiuso ». Il tono di NJ era strano, come se fosse soffocato. Madelaine giurò di intravedere uno spasmo della sua mascella mentre le parlava.
« E tu come lo sai? »
« Me l'ha detto Samantha questa mattina, quando sono andato al Deadly Caffeine a prendere il cappuccino per mia madre » la sua voce era nuovamente normale, un po' troppo acuta e a tratti fastidiosa, ma era così sin da quando erano piccoli ed era così che Madelaine la ricordava. NJ si mise dritto in piedi, staccandosi dal veicolo.
« Possiamo sempre rimandare a dopodomani allora »
« Non puoi rinunciare un'altra volta! ». Sbatté il piede con foga sull'asfalto del piazzale che fronteggiava il locale di Williamsburg « E poi sei tu che sei voluta tornare quindi, adesso, non ci muoviamo di qui fino a quando non sarai entrata e uscita da quella stra maledetta porta! »
« Per favore, NJ » lo guardò con occhi da cucciolo « Non c'è due senza tre » sorrise innocentemente « Sì, e il quattro vien da sé » lui era serio e impassibile « Lo sappiamo entrambi che non ci andrai nemmeno quando li avrai compiuti veramente i diciotto anni » disse poi voltandosi e spalancando la portiera. Sebbene fosse girato Madelaine riusciva a immaginarsi il suo sguardo, infuriato e stanco di quei cambi improvvisi di idea e di quei ripensamenti repentini.
Sospirò nuovamente. In effetti anche lei era stanca di rinunciare a entrare e come al solito l'amico aveva ragione, non ci avrebbe messo piede nemmeno dopo aver compiuto diciotto anni. In cuor suo però sapeva che non era perché non se la sentiva, ma perché aveva paura che qualcuno la riconoscesse e che spifferasse tutto ai suoi genitori. Dio solo poteva sapere quale punizione le avrebbero riservato se l'avessero scoperta.
Ciononostante questa volta voleva davvero provare a entrare. Si era stufata di rinunciare ancor prima di tentare quell'esperienza, magari divertente. Fece un respiro profondo e si legò i capelli in una scompigliata coda, e quando lo faceva, voleva dire che era seria.
« D'accordo, NJ ». Lo prese per l'orlo della camicia verde militare e lo trascinò come un cane al guinzaglio « Questa volta entreremo e ci divertiremo! »
« Finalmente! » rispose lui divincolandosi dalla presa. Si sistemò la camicia stropicciata. « È questa la Mayfair che mi piace! Indipendente e temeraria, che non teme niente e nessuno » sorrise, mostrandole un curioso ghigno sghembo « Se non i ragni grossi e pelosi »
« Non sei per niente spiritoso! » voltò la testa, fingendo di non vedere il suo sorrisino malizioso e divertito. « Senti » voltò nuovamente lo sguardo verso di lui « non è che potremmo rimandare? » chiese, sorridendo a sua volta
« Sei incorreggibile! » sbraitò ai quattro venti, facendo voltare due ragazzi che passavano di lì in quel momento. Avevano i capelli tinti di un rosa metallico, le cui creste erano impregnate di un gel lucido. I vestiti in pelle nera pieni di catene tintinnanti e borchie.
« Calmati, stavo solo scherzando » disse fulminando un ragazzo che ancora li fissava « Dio, quanto sei suscettibile ».
Mentre aspettava che NJ richiudesse la portiera un altro ragazzo la colpì con la sua spalla spigolosa. Per un secondo sentì il terreno scivolarle sotto i piedi, ma riuscì a mantenere l'equilibrio. Lui però sembrò non accorgersi nemmeno della sua presenza e continuò dritto per la sua strada.
« Ehi, perché non guardi dove vai! » gli gridò dietro. Il ragazzo si immobilizzò e girò leggermente la testa, giusto per squadrarla con la coda dell'occhio. Aveva le iridi marroni, tendenti a un nero cupo, che emanavano una strana energia misteriosa e magnetica, fuori dal comune, che attiravano Madelaine come farebbe una calamita con un pezzo di metallo.
Si sentì la gola secca e venne attraversata da un brivido che le camminò lungo tutta la schiena. Le sembrava quasi che quel tipo affascinante, dalla maglietta a mezze maniche bianca, riuscisse a vederle attraverso i vestiti e la pelle, come se osservasse la sua stessa anima. Ci mise un po' di tempo per notare che i suoi occhi erano privi di pupilla, e questo li rendeva ancora più intriganti.
« Aubi! » una voce femminile, con un accento sensuale, fece distogliere lo sguardo del ragazzo da Madelaine, che ancora si sentiva strana. Dopodiché lui riprese a camminare a grandi falcate verso la grande entrata del locale, come se non fosse successo niente.
« Stai bene? » NJ la fece tornare in sé « Ho visto che quel ragazzo ti ha spinta e non ti ha nemmeno chiesto scusa ».
Lei si limitò a un cenno con il capo. Guardava gli occhi di NJ, quei piccoli occhi vispi e verdi scuro, ma non le facevano lo stesso effetto bizzarro che avevano avuto quelli dello sconosciuto. Forse, essendo abituata a vederli ogni giorno sin dalla terza elementare, era abbastanza ovvio che non la facessero sentire strana, però il nero della pupilla spiccava sin da subito.
« Che stronzo » la testa dell'amico girò verso l'entrata.
Madelaine però non era d'accordo. Dopotutto, sembrava quasi che lui nemmeno l'avesse vista.

Auberon incominciò a sentire l'energia del suo Cristallo farsi più forte. Per un secondo gli parve che quella forza mistica e innaturale gli pervadesse tutto il petto, attraversandogli la carne e raggiungendogli anche le ossa, come un fuoco che ardeva dentro di lui. Quel flusso statico così intenso e caldo voleva dire una sola cosa. I Notturni erano lì vicino, da qualche parte nel Butterfly Nightclub.
« Sei pronta, Jane? » chiese facendo scivolare gli occhi sulla ragazza al suo fianco. Lei mise in mostra un ghigno curioso, il solito che faceva poco prima di attaccare, sensuale e allo stesso tempo letale.
« Sai benissimo che lo sono » rispose sicura di sé. Si slacciò i bottoni d'ottone che fino a prima le avevano chiuso il lungo cappotto nero, impedendo a chiunque di vedere cosa, ma soprattutto se, indossasse qualcosa al di sotto. Sfilò l'indumento e lo lasciò cadere sul pavimento, mettendo in mostra ogni minima curva che il suo corpo serpentino possedeva, anche quella più nascosta, tutte ugualmente in risalto grazie al cortissimo e provocante vestito grigio metallizzato che indossava.
Con cautela si fece spazio tra alcuni ragazzi, che non poterono evitare di fissarle il fondoschiena appena celato. A lei però faceva piacere quando la mangiavano con gli occhi, o quando rimanevano a bocca aperta, senza perdersi il suo più piccolo ancheggiamento. Un piede dopo l'altro salì sul cubo illuminato di svariati neon sfumati, tenendo a bada l'orlo del vestito che le stava scivolando sempre più verso l'alto. Da lì riusciva a vedere tutto ciò che le accadeva intorno, tutto ciò che succedeva nel locale.
Per un istante chiuse gli occhi, quei bellissimi occhi privi della ben che minima sfumatura nera dovuta alla pupilla, totalmente colorati da un verde simile a fluorite. Afferrò dolcemente la parrucca biondo platino, la quale le copriva i suoi veri capelli, e la sfilò, per poi lanciarla al pubblico, che la fissava sempre più sbalordito, rimanendo incantato da così tanta bellezza e sensuale eleganza. Sulle sue spalle si sciolse una lunga cascata di boccoli bruni quanto il terreno fertile, che le arrivava fino alle scapole e che seguiva le andature del suo prominente seno.
Attese il momento giusto, ossia quello in cui partiva il ritmo selvaggio e indomabile di quella musica tecno, e riaprì gli occhi. Incominciò a ballare, a muovere i fianchi contro il palo di ferro gelido alle sue spalle; si agitava con ancheggiamenti serpentini e ritmici, sensuali come quelli di un gatto che cammina con grazie ed eleganza sul filo di una recinzione. Sembrava voler ipnotizzare il suo pubblico con quelle movenze, e in un certo senso ci stava riuscendo.
Fece passare una mano tra i mille capelli che le scendevano dal capo e accentuò la forma delle sue labbra carnose, già messe in risalto da un rossetto rosso quanto il sangue. Piegò poi le gambe, giusto per arrivare all'altezza del volto olivastro di un ragazzo di circa vent'anni che la fissava dal basso, e con il palmo delicato gli accarezzò la guancia. Per poco quello sconosciuto non svenne nel vedere quanto fosse erotico quel movimento di lingua che fece.
Ritornò dritta in piedi, continuando a dimenarsi come solo una vipera sa fare. Si guardò intorno. Adorava ballare tanto quanto le piaceva mettersi in mostra, nonostante ciò sapeva per quale motivo lei e gli altri erano andati in quel nightclub. Sicuramente non era per guardare le ragazze e i ragazzi mezzi nudi che ballavano sui cubi, o per ubriacarsi di chissà quale bevanda incantata. No! Loro erano andati lì solo ed unicamente per trovare il rapitore di Umani.
Il Cristallo che le pendeva dal collo incominciò a brillare. Con la coda dell'occhio notò che alla sua destra c'era una persona sospetta, che indossava una felpa nera il cui cappuccio gli copriva il viso. Stava offrendo soldi a una ragazza dai capelli corti e fucsia. Fece così cenno con un movimento della testa ad Auberon, il quale colse quell'indicazione fugace. Subito dopo notò un altro movimento alla sua sinistra, degno della sua attenzione. Avvertì immediatamente suo fratello Kismet con un altro gesto del capo e lui si incamminò, accompagnato da William.
E mentre Genesis continuava a ballare, o meglio a intrattenere, Auberon si avvicinò al luogo che gli era stato indicato. Il Cristallo bianco latte che abbelliva la sua collana incomincio a diventare però sempre meno luminoso. Era una cosa molto strana visto che quei gioielli provenienti dalla loro Dimensione funzionavano come un rintracciatone per Notturni e, il fatto che smettesse di irradiare luce propria, non era positivo.
« Ehi! ». Auberon gridò con voce ferma, notando che il ragazzo incappucciato stava dando altre banconote alla ragazza, ignara di quello che le sarebbe successo. Lo sconosciuto lo guardò con occhi sbarrati. La parte bianca aveva alcune venature rosse come il sangue, ma per il resto sembravano occhi normali. La pupilla nero come il cielo di quella sera spiccava sull'iride celeste.
Il Cristallo aveva anche smesso di fremere, era ritornato opaco e privo di qualsiasi luce segnalatrice. Si voltò su sé stesso e percorse il locale a grandi falcate, in cerca di William e Kismet. Se quel ragazzo incappucciato, che credeva una Fata, si era rivelato solamente un tossico dipendente che comprava droga da un'altra ragazza, allora erano sicuramente i suoi amici ad aver trovato il vero rapitore. La sua collana infatti rincominciò a emanare una flebile luce biancastra.

In mezzo a tutto quel frastuono, Madelaine, era a stento in grado di sentire i suoi pensieri figuriamoci quello che le stava chiedendo NJ in quel momento. La musica tecno così alta, le voci delle altre persone, le luci variopinte che le volteggiavano sulla testa, la puzza di alcool misto all'odore acre di sudore le davano un po' alla testa. Per un istante le sembrò di svenire ma fu solo un brutto scherzo causato della sua immaginazione.
« Maddie, ma mi stai ascoltando? » questa volta invece la voce dell'amico sembrò trapanarle l'orecchio
« Cosa? » chiese lei svampita. Non era tanto per la confusione o per la puzza che le faceva storcere il naso se non stava prestando attenzione all'amico. In quel momento non lo stava ascoltando perché ancora ripesava a quel ragazzo che le era andato addosso. Non riusciva a togliersi dalla testa il suo sguardo penetrante, avvolto da quel non so che di misterioso.
« Come solito te ne stavi con la testa tra le nuvole. Scendi giù da noi comuni mortali e dimmi se vuoi qualcosa da bere »
« Sì, grazie » rispose seccamente.
NJ la lasciò quindi lì da sola, in piedi come una colonna, rigida come la pietra. Non sapeva cosa fare o come comportarsi a differenza di tutti gli altri. Sembravano più sciolti di lei, anche se probabilmente lo erano grazie al mix di alcool e droga che avevano assunto. Per sua fortuna erano tutti troppo occupati a bere, baciarsi o ballare per accorgersi di una che se ne stava ferma come una statua.
Per gli altri, quel luogo strano, era un'abitudine, una specie di seconda casa, ma per lei non era altro se non uno strano nightclub, troppo anormale e luminoso rispetto a ciò che si sarebbe aspettata. Ma forse lo giudicava in quel modo per via dei ragazzi che lo riempivano. Non ce n'era nemmeno uno che sembrasse avere un briciolo di normalità. Tutti indossavano almeno un indumento in pelle lucida o un pezzo di pelliccia di chissà quale povero animale o una catena luccicante. Avevano i capelli colorati delle più svariate tinte: c'erano alte creste turchesi, ricci rosso metallizzato, code di cavallo giallo evidenziatore, trecce rosa elettrico. Seguivano delle mode un po' troppo eccentriche per quelli che erano i suoi gusti.
In quel momento partì una canzone abbastanza, e stranamente, familiare. Era sicura di averla già sentita in un'altra occasione, ma non ricordava né dove né tanto meno quale fosse il titolo. A dirla tutta non sapeva nemmeno come avesse fatto a riconoscere quella musica che assomigliava più che altro a un frastuono folgorante.
Una massa di ragazzi la spinse come se non si fossero nemmeno accorti della sua presenza, il che era strano considerando il fatto che era l'unica a indossare un vestito normalissimo al posto di un cappotto in pelle o di un paio di leggings in latex. Avvertì un odore nauseante di erba che le fece salire un conato amaro di vomito in gola.
Quando si riprese vide che si erano avvicinati tutti a uno di quei cubi su cui ballavano i ballerini e le ballerine mezzi nudi.
Si erano tutti appostati come avvoltoi sulla preda, a fissare l'unica ragazza che indossava un vestito, se così lo si poteva definire visto che era poco più lungo di una maglietta. Però le stava bene addosso. Quel grigio argentato metteva in risalto i suoi capelli scuri e delineava ogni forma del suo corpo. Le stringeva i fianchi come in uno scomodo abbraccio. I tacchi vertiginosi degli stivali neri la facevano sembrare ancora più alta di quanto già non fosse.
Era così bella e… sinuosa in confronto a lei che, quando provava a ballare, sembrava una papera legata a un palo.
« Eccomi, Maddie » NJ le si presentò alle spalle. Lei fece una giravolta e vide che in mano aveva due calici colmi di una bevanda azzurrina, molto chiara e luccicante come glitter. Sulla superficie ondeggiavano una ciliegia rosso scuro e un piccolo ombrellino di carta gialla.
« Cosa mi hai preso? » domandò ispezionando il drink
« Il barista mi ha detto che si chiama… sexy bitch o hot bitch, qualcosa del genere »
« Sicuro che non fosse sex on the beach? » gli chiese squadrandolo. Accadeva molto spesso che NJ capisse una cosa per un'altra.
« Sicuro! » poi assunse la solita espressione che aveva quando rifletteva « Almeno credo. Non so nemmeno come sia fatto un sex on the beach quindi non ne sono tanto convinto ».
Gli occhi verdi di lui scivolarono oltre le spalle ossute di lei e si fermarono sulla folla, che sembrava star sbavando sotto al cubo su cui ballava la ragazza, che doveva avere la loro età. Madelaine vide che non la stava più guardando e si voltò, cercando di seguire l'andamento dei suoi occhi.
« Non mi vorrai mica dire che ti piace quella là? » si voltò di nuovo verso di lui, guardandolo in cagnesco
« Per l'amor di Dio, Maddie! Lo sai benissimo che non è il mio tipo. È troppo… appariscente, per i miei gusti » la sua voce sembrava sincera e normale. Di solito, quando mentiva, aveva un irritante tono acuto, che lo smascherava prima ancora che potesse parlare. Non erano due grandi bugiardi.
Madelaine bevette poi un sorso di quella curiosa bevanda. Aveva un gusto molto dolce, simile a quello di un cioccolatino al latte, con un retrogusto di mirtillo, o almeno credeva fosse mirtillo. Li aveva mangiati poche volte in vita sua, quando era ancora una bambina di circa dieci anni, nella casa di campagna dei suoi nonni, quindi non è che si ricordasse molto il loro gusto. Però il drink era molto buono, talmente buono che NJ ci si fiondò sopra, finendolo fino all'ultima goccia, ancor prima di pregustarne il sapore.
« Wow! » esclamò lei sorridendogli « Se avevi così tanta sete bastava dirlo. Mentre eravamo a casa mia ti avrei dato qualcosa. Lo sai che c'è un frigo intero pieno di succo che, a differenza di qui, costa tutto paga-mia-mamma-dollari, vero? »
« Sì, ma era così dannatamente buono ». I suoi occhi erano differenti da come se li ricordava. La pupilla si era ingrossata e il suo nero stava soffocando il verde.
« Stai bene? ». La mano dell'amico ebbe uno spasmo.
« Ne voglio ancora. Ne prendo un altro anche per te! » le disse mentre se la stava già filando tra le altre persone. Lei comunque aveva ancora il bicchiere mezzo pieno quindi, cosa se ne faceva di un altro drink se non sapeva nemmeno se avrebbe finito quello?

Auberon stava continuando a seguire la luce del Cristallo come fosse la sua personale stella cometa. Era una dinamica semplice, che veniva insegnata a ogni Fata sin da quando erano piccole: più il bagliore diventava intenso più ci si stava avvicinando a un Notturno, e in quel momento stava diventando sempre più bianco.
Mentre continuava per la sua strada, guardandosi in giro e con la mente totalmente concentrata sulla missione, andò contro a qualcuno, la stessa ragazza con cui si era scontrato anche poco prima di entrare al Butterfly. Anche questa volta non le chiese scusa, non aveva tempo da perdere in cortesie inutili, e comunque non si conoscevano e dubitava fortemente che l'avrebbe incontrata una terza volta. Grazie alla musica non sentì nemmeno ciò che la sconosciuta gli gridò.
Aveva qualcosa di strano però. Per un solo istante i loro occhi si incrociarono e quelli di lei non gli sembrarono reali. Erano come quegli occhi di plastica che si cuciono sui pupazzi di pezza, inespressivi, spenti. Avevano qualcosa di inspiegabilmente affascinante.
Però aveva ben altro per la testa, difatti proseguì senza voltarsi in dietro, veloce come un treno. Lui e i suoi compagni avevano il compito di trovare la persona denominata da Felicia come rapitore e se non l'avessero fatto, se nemmeno quella notte fossero riusciti a trovarlo, degli altri poveri Umani sarebbero morti invano. Giunse fino al buco di una porta, chiusa da una tenda verde scuro, simile al vomito raffermo, e quando si preparò ad aprirla una mano gli afferrò la spalla, bloccandolo.
Si voltò e vide Kismet che gli faceva cenno di non farlo con la testa. I suoi occhi marroni scuro sembravano ancora più intensi sotto i flash e i laser del locale. Alle sue spalle spuntava William, con la sua pelle color cioccolato e i lineamenti del viso che si confondeva con la penombra.
« Dobbiamo procedere con cautela, Audi, lo sai » la sua voce era chiara e alta, cercava invano di superare il ripetitivo ritmo della musica.
Il ragazzo si limitò a un cenno con le spalle. Anche Genesis finalmente li raggiunse, facendosi spazio con gesti plateali tra quei ragazzi dagli occhi spalancati e la bava che colava dalle bocche. Il suo portamento era altezzoso e regale, come solo una principessa saprebbe essere. Non degnava quei poveri disperati nemmeno di uno sguardo. Ad Auberon facevano quasi pena tutti quegli Umani, rimasti ammagliati come solito dalla bellezza delle Fate.
« Siamo pronti, Aubi » la voce profonda di William lo fece tornare in sé. Lui accennò un leggero e appena visibile sorriso e si voltò. Con stretta sicura afferrò la tenda e la aprì giusto un po', quel tanto che gli bastava per farli passare ma per non far notare ciò che accadeva dietro quel velo di stoffa pesante.
I ragazzi si ritrovarono in un piccolo salotto privato, che apparteneva al proprietario del locale. In quel momento sembrava non esserci nessuno, sembrava essere totalmente deserto, ma era solo un'apparenza.
Prima che potessero sfilare le loro armi bianche dalle fondine due Lonze sbucarono da dietro i due divani rossi e gli si pararono davanti. Le zanne digrignate a formare un sadico sorriso affamato, le zampe piegate, già pronte per il balzo.
La prima saltò in direzione di Genesis ma lei, con una giravolta degna di nota, schivò la creatura, la quale si andò a schiantare dritta sul pavimento color marmo, come una meteora. La ragazza sfilò il coltello argentato dallo stivale e lo lanciò tra le scapole spigolose del Notturno. La lama si conficcò in profondità, facendo uscire fiotti di sangue nero e appiccicoso dalla ferita.
William invece impugnò saldamente le due spade, sfilandoli dalla cintura che gli sosteneva i pantaloni. Corse rapidamente verso l'altro Notturno e, facendo forza sulle gambe, fece un salto, quindi una capriola in aria e con un veloce movimento delle mani sferrò le lame sul dorso del mostro. Atterrò poi in piedi, con lo sguardo rivolto verso la coda contorta.
Le Lonze però, sebbene perdessero abbastanza sangue da lasciare a qualsiasi animale pochi istanti di vita, non sembravano essersi accorti di quei pezzi di metallo conficcati nei loro corpi ossuti. Effettivamente l'argento non li poteva uccidere, ci voleva la Lumocinesi per farlo, però quell'elemento li indeboliva e li rallentava.
« Gli Umani devono essere fuori! » gridò Genesis.
Alle sue spalle, dai giochi di ombra della stanza, era apparso uno Spadaccino. Gli arti che aveva al posto delle braccia, ossia le lunghe e cesellate spade nere, pronte a essere usate contro di lei. La ragazza si abbassò rapidamente per schivare uno di quei fendenti sibilanti e altrettanto rapidamente volteggiò su sé stessa e sferrò un calcio sul fianco del mostro. La creatura nera come la notte venne spinta e barcollò per qualche centimetro, ma fece giusto in tempo a sferrare un nuovo colpo che questa vota andò a segno e centrò il braccio della Fata. Lei si coprì la ferita, ma il sangue argenteo incominciò a fluirle tra le dita, in tante righe irregolari.
« Jane! » suo fratello tirò fuori un coltello dalla fodera nella cinta e lo sferrò contro lo Spadaccino, infilzandogli la testa deforme. La creatura si girò verso di lui, scrutandolo con quei suoi profondi occhi cremisi, incapaci di esprimere qualsiasi cosa che non fosse rabbia. Si lanciò alla carica, una delle lame tese verso l'esterno.
Genesis incominciò a far brillare una sfera luminosa sul palmo della mano, i giochi di luce schiarivano il grigio metallico del suo vestito. La scaglio contro il Notturno come un proiettile, lasciandogli una bruciatura sulla schiena. La ferita si riempì di bolle fumanti, che esplosero a poco a poco e che rilasciarono sangue nero.
Ciononostante il mostro continuò a correre verso Kismet. Il ragazzo attese che fosse abbastanza vicino e con una verticale lo colpì con un poderoso calcio sotto la mascella. Lo Spadaccino rimase con il volto rivolto verso l'alto mentre la Fata si rimetteva dritta in piedi e con una sfera luminosa, un colpo ravvicinato, gli fece un buco nel petto. L'essere incominciò così a ricoprirsi di bolle e a dissolversi rapidamente, come carta che brucia.
Auberon intanto era andato in soccorso del suo amico William. I due avevano accerchiato i Notturni dalle sembianze di due pantere scheletriche, entrambi con le mani all'altezza della cintura, pronti a estrarre i coltelli come fanno i cowboy con le loro pistole.
Con un ringhio famelico e furino le creature fecero un salto contro le due Fate. I due ragazzi però estrassero i pugnali, le lame d'argento scintillavano sotto la luce fioca della stanza, quindi, con gesto secco e preciso, le infilzarono nei ventri delle bestie e li squartarono. Le Lonze si ritirarono nelle ombre della stanza, grondanti sangue appiccicoso che si disperdeva in terra come un fiume di fango. Auberon e l'amico smaterializzarono due sfere di Lumocinesi, i raggi proiettavano ombre ipnotizzatrici sui lineamenti di William, e le sferrarono contro i mostri stretti all'angolo. I Notturni si contorsero e si vaporizzarono, scomparendo in una nube di fuliggine scura.
« Jane ha ragione, qui non c'è nessuno. Devono aver portato gli Umani fuori » osservò Kismet avvicinandosi e assicurandosi che la stanza fosse tranquilla.
I quattro si diressero così all'uscita di emergenza, l'unica porta dalla quale chiunque poteva uscire senza farsi notare, senza dover per forza passare attraverso la coltre di Umani oltre la tenda.

Madelaine sentì la mano aprirsi in automatico quando lo stesso ragazzo che le era andato addosso fuori dal Butterfly si era scontrato con lei un'altra volta. E, anche questa volta, non si era preoccupato minimamente di chiederle scusa, né tanto meno di domandarle se si fosse tagliata con il calice che le era scivolato di mano e che si era andato a infrangere in mille pezzi sul pavimento.
« Potresti chiedere scusa una volta tanto, stronzo! » gridò, ma la sua voce venne soffocata dalla musica.
Questa volta però era davvero stanca, una volta poteva capitare ma due andavano contro la sua flebile pazienza. Quello fu il primo vero spostamento che fece, seguire il ragazzo per andargli a chiedere per quale motivo fosse così cafone. Procedette velocemente per stare al passo delle sue grandi falcate, sbattendo pesantemente i piedi sul pavimento biancastro. Si sentiva quasi potente lasciando cadere i piedi in quel modo.
Lo vide svanire dietro a una tenda, accompagnato da altri due ragazzi e dalla stessa ragazza dall'attillato vestito argentato che fino a poco prima si stava esibendo in un ballo erotico su un cubo. Questo spiegava molte cose su quel ragazzo dalla maglietta bianca. Quel suo comportamento villano non poteva essere sminuito davanti agli occhi della sua ragazza. Loro e i loro altri due amici le ricordavano la tipica cerchia dei film americani, quelle nelle quali non si può essere ammessi a meno che non si indossi un sospensorio e non si giochi a football, o se non si incita qualcuno a fare sesso con te mentre agiti i tuoi pompon.
Raggiunse anche lei quella tenda verde scuro, illuminata di tanto in tanto da qualche flash colorato. Non sopportava più quella musica e quelle luci accecanti. Avvicinò la mano, ma una voce nella sua testa provò a fermarla: le diceva che non doveva farlo, che sarebbe stata una cattiva, anzi una pessima idea sbirciare i fatti degli altri, ma lei non le diede ascolto. Quel ragazzo le aveva mancato di rispetto e lei pretendeva delle scuse, o almeno così le diceva un'altra vocina ben distante e nascosta nelle recondite viscere della sua mente. In realtà voleva solamente scoprire qualcosa in più su quel ragazzo dagli occhi privi di pupilla.
Afferrò la tenda guardandosi in giro, sperando che nessuno la notasse. Forse era una zona privata e stava già fingendo di avere diciotto anni, se l'avessero scoperta fingersi anche una invitata speciale i suoi genitori sarebbero sicuramente venuti a conoscenza di quella piccola fuga. Scivolò all'interno, richiudendosi la tenda subito dietro le spalle.
Si ritrovò quindi in un salottino molto spazioso, totalmente deserto, un ambiente del tutto diverso da quello che c'era al di la della tenda, con un grande e possente trono nel mezzo e due lunghi divani a mezzaluna ai suoi fianchi. Sul pavimento c'erano alcuni cuscini di seta rossa, in tinta con la tappezzeria del trono e dei divani, e zebrature più scure di una strana sostanza vischiosa. Dal soffitto pendeva un lampadario simile a quelli presenti nelle regge, elaborato, con tanti finti diamanti che lo abbellivano rendendolo più scintillante e sfarzoso di quanto già non fosse. Oltre il poggia schiena del seggio c'era una porta tagliafuoco spalancata. Era l'uscita di emergenza, contrassegnata al di sopra dal tipico cartello luminescente.
Oltre quell'uscita, che dava appunto sull'esterno, si sentivano delle voci, rese bisbigli dalla musica assordante. Seguì quelle voci come se fosse la cosa più naturale del mondo e sbirciò il vicolo. L'uscio portava in un retro molto sporco, che puzzava come gli escrementi freschi di un cane, illuminato solamente dalla lampadina sopra l'uscita d'emergenza del Butterfly e da quella di un altro negozio. Alcune macchie d'olio rendevano l'asfalto più scuro di quanto già non fosse.
Solo per qualche istante la sua attenzione fu rivolta all'ambiente osceno che si trovava davanti, o a quel bidone dal quale spuntavano sacchi dei rifiuti neri e strappati. Infatti notò subito la presenza di quello strano ragazzo, affiancato dai suoi compagni.
Adesso che li vedeva più da vicino vide che i loro occhi erano tutti privi di pupilla e sbarrati, persi davanti a loro come se stessero fissando un fantasma. Poi, tutti e quattro, avevano dei vestiti piuttosto semplici, di un nero reso più scuro all'altezza delle ascelle oppure su altre parti del corpo, o tinti di un grigio metallizzato come quello della ragazza, oppure di un bianco macchiato da una sostanza nera e viscida. Portavano anche delle collane identiche al collo, che proiettavano intensi fasci di luce bianca, simile a fari di automobili.
Madelaine non capiva cosa stessero fissando ma le bastò seguire lo sguardo degli sconosciuti per vederlo. Davanti a loro c'erano tre creature terrificanti, dalle sembianze di magre e scheletriche pantere dal manto color petrolio, che si confondeva con la penombra del vicolo, gli occhi rossi e furbi e le zampe artigliate. Dal fondoschiena partiva una lunga coda affusolata che si muoveva come se avesse vita propria. Quei mostri mettevano in mostra le loro zanne pronte a squartare, gocciolanti saliva e sangue.
Uno di quegli animali le lanciò una fugace occhiataccia, provocandole un brivido spettrale che le risalì tutta la schiena. Le sembrò che uno sciame di formiche le percorresse la spina dorsale, fino ad arrivarle al cervello. Madelaine si nascose dietro allo stipite della porta, sperando vivamente che quella orribile creature non si fosse accorto della sua presenza. Sentiva il cuore batterle impazzito nel petto, come se volesse spaccarle lo sterno. Faceva addirittura fatica a respirare. Le mani si strinsero sull'orlo della gonna.
Dall'esterno, oltre il muro sulla quale si era appoggiata e con il quale desiderava mimetizzarsi, provenivano strani rumori, che sembravano trapanarle i timpani: ringhi confusi e spaventosi, schianti metallici, sibili appena percettibili. Non sapeva cosa fare, nel suo cuore impazzito si accese un debole barlume di curiosità, che la spingeva a sbirciare, ma non voleva farlo, non se la sentiva ma allo stesso tempo bruciava per la curiosità.
Chiuse gli occhi e portò la mano sul petto, come se quel gesto potesse dissipare quel barlume o aiutarla a respirare fluentemente. Ciò però non accadde quando il suo orecchio attento sentì un brontolio inquietante, un ringhio animalesco identico a quello che sentiva oltre la parete.
Riaprì lentamente le palpebre. Le sentiva pesanti, come se fossero incollate tra loro. Davanti a lei si ritrovò uno di quei felini dalla pelliccia lurida e unta, di un nero così scuro e lucido da avere dei riflessi bluastri. Prese tutta l'aria che poteva e gridò talmente forte da spaventarsi lei stessa della potenza che poteva raggiungere la sua voce. La musica elettrica però riusciva comunque a farla sembrare un sussurro.
La bestia piegò le gambe ossute e fece un balzo contro di lei, sembrava avere delle molle al posto delle zampe sporche di sangue. Per un istante Madelaine sperò di riuscire ad allontanarla grazie al suo urlo acuto, o di essere in grado di attraversare il muro, ma non fu così. Si spinse contro la parete fino a quanto le era possibile e girò la testa di lato, con la guancia e con i palmi sentiva la freschezza dell'intonaco. Trattenne il fiato, paralizzata dalla paura, e attese che quella creatura scheletrica la uccidesse con i suoi affilatissimi denti simili a rasoi.
Un sibilo acuto le fischiò nell'orecchio, poi ci fu uno schianto, un'esplosione, infine il latrato dolorante del mostro sparì.
Quando riaprì gli occhi e voltò il capo nella direzione in cui era spuntata la bestia non c'era più nulla, se non un pulviscolo nera che galleggiava a mezz'aria, per poi posarsi come una coperta di lino scuro sul pavimento. Una volta toccato terra però quello sparì lentamente, senza lasciare la benché minima traccia. Lei tirò un sospiro e si lasciò cadere, rimanendo comunque contro il muro fresco. Le dava quasi sollievo sentire quel leggero freddo attraversarle la pelle delle mani. Esalò un respiro di sollievo.
« Stai bene? ». Madelaine sussultò nel sentire quella voce a lei sconosciuta, rassicurante ma allo stesso tempo infastidita nel vederla seduta lì.
Il ragazzo che le era andata addosso era in piedi, di fianco a lei, con un'espressione stranamente seria e una corporatura statuaria, messa in risalto dalla maglietta bianca ormai sporca. La ricordava all'entrata, era candida e pulita, come la neve appena caduta, e profumava di pulito, ma ora era macchiata di un grigio metallico e a tratti era più scura, di un profondo nero viscoso, gocciolante e fetido. Aveva anche un grosso squarcio all'altezza della clavicola.
Lei deglutì faticosamente. Si sentiva un macigno in gola. « Sì… » disse balbettando. Non sapeva bene cosa le era successo, né a lei né a quel mostro che assomigliava a una pantera. Sapeva solo che una fitta le stava attanagliando la testa.
Il ragazzo le protese la mano. Le dita lunghe e affusolate. Poco più in su del polso aveva il segno di un morso, si distinguevano le forme di alcuni denti appuntiti di uno di quegli strani animale. Da quei fori ancora uscivano fiotti di un curioso sangue argentato, ma sembravano cicatrizzarsi in fretta, più velocemente del normale. Lei gli afferrò la mano e si fece sollevare. Il bicipite del ragazzo sussultò. Per un breve secondo entrambi sentirono una scossa percorrergli le vene, una scintilla frizzante e fugace che gli pizzicò i nervi.
Madelaine non riusciva ad evitare di guardare i suoi occhi. Erano così inspiegabili: avevano un'ombreggiatura scura verso l'interno, ma non erano neri, più che altro avevano il colore di una foglia in autunno; mentre verso l'esterno si schiarivano, come se l'iride si fondesse con la parte bianca, leggermente arrossata verso gli angoli. Erano così inspiegabili, come guardare un viso dai lineamenti sfocati, in una vecchia foto. Aveva sentito dire più volte che: gli occhi sono la finestra dell'anima, ma i suoi non lasciavano trasparire nulla, anzi, sembravano riflettere solamente ciò che lei stessa provava in quel momento, mentre sentiva il suo respiro così vicino al viso.
Percepì il sangue caldo fluirle sulle guance e, mentre continuava a perdersi in quegli iridi arcani, pensando che probabilmente doveva sembrare una completa stupida standosene lì in piedi senza dire niente, il ragazzo venne gettato a terra da un altro di quei mostri dal pelo umido. Gli saltò alla gola facendolo cadere come un sasso sul pavimento. Il tonfo riecheggiò nelle orecchie di lei. Il ragazzo aveva sbattuto il gomito per rallentare la caduta e per un istante a Madelaine parve di sentire uno scricchiolio osseo.
Soffocò un gemito. Fece qualche passo verso di loro, nel vano tentativo di aiutare il suo soccorritore, ma subito indietreggiò vedendo strani schizzi di sangue nero e grigio finire sulle piastrelle.
I loro corpi si dimenavano e lottavano, si rovesciavano e contorcevano in capriole, continuando a rimanere appiccicati al pavimento. Il ragazzo, finendo per l'ennesima volta sotto quella bestia sanguinaria, mise la mano sul suo ventre madido, come se volesse sentire il gorgoglio del suo stomaco mentre digeriva. Quella creatura sembrò non accorgersene difatti non faceva altro che sbavare e agitare i denti aguzzi.
All'improvviso, Madelaine, vide una luce accendersi nel palmo di lui, un bagliore biancastro con alcune sfumature celesti, intenso quanto solo una stella può essere. La creatura venne improvvisamente attraversata da una sfera, che colpì poi il soffitto, lasciandovi una bruciatura fumante. L'animale incomincio a riempirsi di bolle e a barcollare mentre perdere viscido sangue scuro, di un nero inchiostro, poi il suo corpo si divise in due parti e ognuna si dissolse in quella strana polvere nera ed evanescente.
Il viso di Madelaine era piegato da un'espressione che anche lei avrebbe a stento decifrato. Era un misto di paura, confusione, nausea per la puzza che quella belva aveva lasciato dietro di sé. Era diventata bianca cadaverica.
Presa dal panico scivolò lentamente all'esterno, oltre l'uscita di emergenza, senza minimamente preoccuparsi di come stesse quel ragazzo che l'aveva appena salvata da morte certa. Si ritrovò sotto la luce artificiale del lampioncino. In un certo senso le ricordava quella sfera luminescente ma non era uguale, era più… morta, priva di quel caldo senso che le faceva pensare alla vita.
« Ehi, ragazzina! » si voltò, cercando di capire chi l'avesse chiamata in quel modo. Era stato uno dei due ragazzi che era entrato nel salottino con lo sconosciuto. Era alto e bello, dal fisico ben definito e i capelli castano scuro, quasi neri. Indossava una camicia nera, simile a quella che aveva NJ, anche se la sua era sporca di sangue e sostanza viscide varie. La collana che portava al collo oscillò. « Attenta! ».
Quell'avvertimento la fece voltare macchinalmente. Dietro di lei, dalle ombre che gettavano le luci artificiali, era apparsa una creatura dalle fattezze di un uomo, alto e scheletrico, dal fisico incavato e la bocca spalancata, come se stesse urlando a squarciagola. Il suo alito freddo puzzava di carne marcia ed escrementi. Gli occhi rossi, privi della ben che minima sfumatura di sentimenti, la fissavano imperterriti. Madelaine deglutì.
Quello strano mostro era sicuramente più alto di due metri e le sue lunghe mani artigliate si stavano aprendo a scatti, pronte a squartarle il viso.
« Vattene di qui se non vuoi farti ammazzare! » le impose una voce femminile, quella della ragazza che si era esibita. Aveva un tono sensuale e con un accento quasi preoccupato.
Madelaine indietreggiò talmente in fretta da incespicare sui suoi stessi piedi. Con un tonfo cadde di sedere sull'asfalto bagnato. Ebbe una viscida sensazione che le attraversò la pelle, come se una lumaca le strisciasse sulla carne. La sua mano sfiorò un vecchio tubo arrugginito e dall'apice frastagliato in tante punte aguzze.
Strinse i denti in una morsa ferrea e fece una cosa che mai si sarebbe aspettata da una come lei, una che si spaventava anche della sua stessa ombra, una che odiava persino gli horror di seconda categoria. Afferrò quel gelido pezzo di metallo e lo conficcò nel petto ossuto della fredda creatura antropomorfa.
Una fontana di quel fetido sangue scuro fuoriuscì dalla ferita e la inondò. Lei si protesse con le mani da quel pus appiccicoso e denso, ma un po' le finì inevitabilmente anche sulle labbra. Non aveva nessun sapore, ciononostante sentì l'amaro retrogusto di vomito in bocca.
Il mostro si tirò via il tubo come se fosse solamente una piccola scheggia, senza provare il minimo dolore. Un po' come quando strappi un cerotto, rapidamente. Lo scaraventò a terra, il più distante possibile da loro. Il rumore metallico le sembrò eterno e sofferente. Madelaine indietreggiò nuovamente, facendo strisciare il sedere sull'asfalto sporco, mentre la creatura alzava il braccio e mostrava le unghie.
Con un ringhio fumante di rabbia si preparò a sferrare il suo colpo mortale, ma un grosso coltello volò in aria fino a recidergli di netto l'arto, il quale cadde a terra producendo alcuni spasmi. Il mostro guardò il ragazzo di colore che l'aveva scagliato con così tanta forza, quasi innaturale. Si mise a correre nella sua direzione a grandi falcate, come un velocista, ma, mentre buttava a terra la bella ragazza dai capelli scuri con uno spintone, un'altra sfera di luce scagliata dal ragazzo con la camicia nera sibilò e lo colpì dritto nel petto, dove in genere si trova il cuore, anche se Madelaine non credeva che quel coso potesse averne uno.
La figura incominciò a contorcersi e a dissolversi come cenere nel vento, ma questa volta Madelaine non rimase lì a vedere se scomparisse definitivamente. Si alzò di scatto, come se fosse stata punta da una vespa, e si mise a correre affannosamente verso l'imboccatura del vicolo.
Dal tetto di uno degli edifici però piombò un'altra di quelle strane creature, che bloccò la sua fuga. Aveva le fattezze di una grossa tarantola dal corpo tozzo e grasso, l'ispido manto nero e unto come petrolio, le sei zampe affusolate e magre, con le giunzioni sporgenti, e una strana sostanza che gli fuoriusciva dalla bocca a tenaglia e che ricadeva sull'asfalto sciogliendolo. Gli insensibili occhi vermigli erano celati dal fumo creato dalla saliva acida. Produsse un gelido verso terrificante e la pelle della ragazza venne attraversata da un brivido di pelle d'oca.
Madelaine fece qualche passo indietro, vedendo che il ragno non si muoveva. Non sapeva in che direzione andare. Alle sue spalle c'erano ancora quei ragazzi che lottavano contro altri mostri, i rumori della battaglia le risuonavano nella testa come fosse vuota: i freddi ringhi delle creature, i loro latrati quando venivano uccisi, il sibilo di quelle strane sfere abbaglianti. Davanti invece aveva quel mostro a sei zampe che la fissava.
L'aracnide si piegò e dalla bocca sferrò un sottile filo bianco, quasi trasparente, veloce come un proiettile. Madelaine fece appena in tempo a schivarlo che quello le sfiorò le punte dei capelli, recidendole. Il filo si posò lentamente sull'asfalto, rilasciando un leggero fumo grigio. Anche la sua ragnatela era acida, probabilmente grazie alla saliva che fuoriusciva dalle fauci.
Era spaventata e congelata per la paura, ma allo stesso tempo sentiva le gambe vibrare, come se volessero portarla via da lì. Non sapeva nemmeno lei di preciso cosa provare in quel momento, in quella situazione, si sentiva delirare. Sentì anche una puntura di zanzara sul collo, netta come il colpo di una siringa.
Senza rendersene conto venne tirata per il polso da una stretta forte e salda, per poi finire in terra, inciampando per via delle scarpe e cadendo pesantemente di sedere dietro al ragazzo che già le aveva salvato la vita. Sembrava quasi essere lì per quello. I capelli di lui erano appiccicati al collo e sembravano sporchi di quella vischiosa sostanza che sanguinavano i mostri. Una lunga spada d'argento stretto nella mano.
Il mostro ringhiò minaccioso contro di lui e lanciò uno dei suoi fili acidi. Quello finì sul braccio del ragazzo, quindi lasciò un marchio doloroso e fumante sulla carne. Lo sconosciuto digrignò i denti in una morsa stretta e agitò l'arto per far cadere quel filo.
Con giochi rapidi di dita fece scivolare la spada e la scagliò contro il mostro, la lama scintillò a mezz'aria. La creatura venne trafitta in fronte e fiotti di sangue scuro incominciarono a fuoriuscirgli dalla ferita. Il ragno si preparò così a balzare sul salvatore di Madelaine, ma una sfera luminosa lo colpì dritto in faccia, accecandolo. Il suo muso ricurvo si riempì di bolle. Quello incominciò ad agitarsi a destra e a manca, poi partì a correre verso il ragazzo e la stessa Madelaine, che si sentiva accaldata, la fronte perlacea di sudore e rovente come fuoco. Le palpebre pesanti.
Vide il mostro fare un grande balzo e poi… il buio.
   
 
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