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Autore: An13Uta    13/06/2018    1 recensioni
Figlio del silenzio e del deserto, alzati.
Abbandona il tuo fardello nelle sabbie.
Ritrova il Potere e capirai il tuo valore.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Ganondorf
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Child of Silence










Sedeva in silenzio, gli occhi chiusi.

Immobile più della roccia nelle sue preziose vesti viola, rivolgeva devotamente i suoi pensieri e le sue invocazioni alla figura divina davanti a sé.

La sabbia sfiorava appena la pelle scura, imprimendo per un secondo minuscoli granelli su di essa. Il vento perdeva sempre più l'afa diurna; era sera.

Ascoltò il fuoco crepitare sommesso dai bracieri accanto alla statua, sua unica compagnia nella cella quasi completamente spoglia.





Ki-Am-Ne.

In Gerudo arcaico, "la voce tonante".

Un nome adeguato ad un Prete di Din.

Il deserto intero era ai suoi comandi.

Come la Dea onorata dal suo popolo, le sue mani controllavano ogni singolo granello di sabbia esistente, dettandone i movimenti, il fine, il volere.

Dalle preghiere e i riti che eseguiva, dalla sua danza precisa, perfezionata nel corso degli anni, pendeva l'intero popolo di donne note al mondo fuori dalla loro arida distesa di nulla solo come volgari ladre.

Ma erano guerriere, artigiane, scienziate. Simili se non uguali nella loro forza alla Divina Protettrice del loro deserto inaccessibile a sciocchi stranieri.

Nessuna di loro avrebbe potuto né voluto frenare il proprio orgoglio. Erano un esercito perfetto. Una comunità unita.





Un suono improvviso, il fruscio di una tenda.

Sobbalzò dallo spavento e girò immediatamente il capo.

La donna che stava entrando si bloccò, colta in flagrante, la coperta stretta nelle braccia.


-Oh! Perdonami, egregia Prete. Non era mia intenzione prendervi di sorpresa.

-Sav'orr, vama.- le rispose soltanto, con un sorriso amorevole, -Non dovevi disturbarti.

-Ma certo che dovevo, vehvi! Non posso lasciarti qui a morir di freddo.


Gli si accucciò di fianco. Una mano andò alla guancia bruna del suo bellissimo figlio.


-Poi, chi pregherebbe per noi povere guerriere?

-Din ascolta tutti, vama. Magari potreste chiedere al Re di benedirvi prima della battaglia al posto mio.

Afet rise, appoggiando la fronte all'opale pendente su quella del ragazzino: -Se solo riuscissimo a staccarlo dai suoi piani per un momento!


Un corno risuonò sopra di loro: coprifuoco. Una nota più alta, a segnalare il forte vento che veniva verso la fortezza.

Entrambi alzarono gli occhi verso l'unica piccola finestra della cella.

Lontano, nel cuore della sabbia, le dune andavano sgretolandosi sempre più velocemente. Il cielo si faceva scuro come il fondo di un calamaio, e le stelle non erano che vaghi e minuscoli brillanti.

La notte si prospettava lunga e particolarmente gelida.


Ki-Am-Ne si lasciò avvolgere nel tessuto violaceo dalla madre, pervaso da un leggero tremore.


Un lampo illuminò l'orizzonte, lontano.

Il tuono ritardatario lo raggiunse.


-Passa una buona notte, vehvi.

-Anche tu.


Abbracciò la madre. Leggerissime, le sue parole sussurrate gli giunsero come una maledizione all'orecchio: -Mia figlia, Prete di Din. Mia figlia. Ancora non ci credo. La mia piccola Ki-Am-Ne.


Si morse la lingua.

Non disse niente.

La guardò uscire in silenzio, con un sorriso stanco.

Una volta solo abbassò lo sguardo e sospirò.


Le Gerudo erano donne, erano guerriere, erano mogli, avevano sorelle, avevano figlie.

Ma allora lui? Cos'era, lui? Un abominio, uno scherzo? In uno stato di caos mentale, in cui era entrato da ormai tre anni, e da cui pareva non ci fosse uscita?

No, non c'era uscita, perché non aveva intenzione di cercarla. Dichiararsi una vay la considerava un'atroce mancanza di rispetto verso le sue compagne.

Non ne avrebbe avuto il corpo, ma era come il Re.

L'aveva saputo appena prima di scoprire il potere donatogli da Din, e diventare Prete.

E l'aveva rimestato nella sua mente confusa mentre teneva il capo basso davanti alla sua Dea, mentre danzava in suo onore, aiutato forse dalla sua divina effigie a capirsi fino in fondo, ad accettare ciò che era.

Poi era venuto il silenzio.

Mordersi la lingua.

Non correggere.

Fare richieste innocue, senza spiegare.

Continuare a manipolare la sabbia e a trasformarla in vetro da modellare.

Stare in silenzio.
 

Si strinse più forte nella coperta. Il gelo notturno tentò di insinuarsi nelle sue ossa, ma trovò a bloccarlo una fitta coltre di lana.


Sottovoce, intonò una preghiera. Prima per sua madre, poi per il suo popolo, poi, più incerto, sulla guerra che il suo Re progettava di intraprendere contro gli altri popoli di Hyrule.


Infine pregò per nulla e nessuno, per il vuoto più assoluto: voleva solo parlare a qualcuno che lo avrebbe ascoltato.


La statua rimase diligente a sentire la sua voce bassa snocciolare invocazione dopo invocazione, occhi di topazio fissati sul suo viso aguzzo.


Il vento si alzò, roteando la sabbia all'esterno della cittadella in un crescendo di furore rumoroso.


Un fulmine cadde vicinissimo alla cella; un rombo assordante investì Ki-Am-Ne.


Come ad un comando segreto, le braci divamparono toccando il soffitto.

Il piccolo Prete balzò in piedi e arretrò, spaventato a morte.

Le fiamme lambirono le pareti, alla furiosa ricerca di qualcosa, qualcuno, un motivo. Si mossero verso il centro della stanzetta, verso il piccolo Gerudo che brancolava all'indietro sempre più terrorizzato, e raggiuntolo si avvolsero su loro stesse.

Sotto agli sbalorditi occhi d'oro del ragazzo, presero la forma un cinghiale bianco. La criniera inondava l'angusta cella di un bagliore rosso come il fuoco dei bracieri che, dopo aver dato tutto ciò che avevano, si erano ridotti a ceneri fumanti.


Animale e giovane si fissarono senza un singolo suono, uno crepitante, l'altro osservando senza fiato.



Passò un tempo quasi infinito.



Finalmente, la bestia piegò una delle possenti zampe e il grande capo in un rispettoso inchino.

Il ragazzo non riuscì a muovere un muscolo.


Risuonò un richiamo allarmato di sentinella.

La voce di Nabooru gridava ordini.

Il cinghiale si volse verso la finestra.

Ipnotizzato lo imitò Ki-Am-Ne.



Sul nero del cielo si stagliava un diavolo di sabbia che avanzava minaccioso.



Una torre di 300 metri composta da venti e granelli dorati.


Interrogò l'animale davanti a sé con lo sguardo.

Quello ricambiò, gli occhi spilli fiammeggianti, e trottò attraverso il muro.

“Raggiungimi.” mormorò una voce che conosceva bene.

Guardò un'ultima volta la statua. Le preziosi iridi della Dea brillarono nel buio lasciato dal cinghiale.


Si legò i dreadlock in una coda dietro il capo, avvolse la coperta attorno al capo come un turbante alla meglio. Arrampicatosi fino alla finestrella, scivolò fuori dalla cella.


La sabbia gelida gli riempì i sandali, e un brivido violento lo percorse su tutta la schiena. Saltò per un paio di secondi, cercando di riscaldarsi; con un colpo di polso placò un poco il turbinio di sabbia sulla sua via e corse a perdifiato verso la tromba d'aria.


Il cinghiale era già lì, immobile e fiero. Quando il ragazzo fu a metà strada si inoltrò del turbine che si faceva avanti.



Era una follia, entrare in un diavolo di sabbia e sperare di uscirne intero.

Ma non ci pensò neppure per un secondo.



Corse, corse, corse. La colonna di polvere era sempre più vicina, sempre più vicina.




Mancavano pochi chilometri.





Ancora uno sforzo, e sarebbe...

Si bloccò.


Si voltò.


Recuperando il respiro, lo sentì ancora.


Lontano, lontanissimo, a malapena udibile nel trambusto dell'uragano.



-VEHVI!


Sua madre.

La poteva vedere, poco più di un puntino alle porte della fortezza. Tenuta indietro da due guardie, tentava di raggiungere sua figlia.


-VEHVI!

Alzò un braccio, lentamente, come in trance.

Dietro di sé sentiva il rumore alzarsi. L'aria si faceva più potente, cercava di trascinarlo nel bozzolo di correnti.

Non si lasciò smuovere.

La sua voce risuonò forte e chiara sopra tutto. Tonante.

 

-Sarqso, vama.

 

Chiuse gli occhi, allentò la presa della sabbia con cui si era ancorato a terra.

In silenzio, si lasciò inglobare dal diavolo di sabbia.


Le orecchie si riempirono di un rumore graffiante.


Si accoccolò su di sé, cercando di limitare i danni che era preparato a subire nel vortice.


Invece non ce ne fu bisogno. Sentì qualcosa di gentile e tiepido, profumato di spezie, avvolgerlo in una sicura stretta protettiva.

Sembravano mani di donna.


Il vento si quietò, piano, piano, fino a cessare del tutto. Il suo fianco si ritrovò adagiato su qualcosa di granuloso, familiare. Tastò il terreno: sabbia.


Lentamente sollevò le palpebre, e con esse il resto del corpo. Non faceva freddo.


Allora li vide: figure alte, possenti, dalle chiome di bragia e gli occhi penetranti.


Uomini.


Re.


Lo scrutarono senza dire una parola.

Tremante, Ki-Am-Ne fece per inginocchiarsi, ma il voy di fronte fu più veloce: gli si prostrò ai piedi, seguito repentinamente dagli altri.

Prima che potesse chiedere qualcosa, parlarono ad una sola voce.



-Benvenuto, o Prete di Din. La presenza di un fratello ristora i nostri animi.



Fratello.



La parola rimbombò nelle sue orecchie.


Fratello.


Il più vecchio tra i voy alzò lo sguardo verso di lui, e i loro occhi gialli come il sole a mezzogiorno si unirono in un secondo di silenzio frusciante.


Fratello.


-Abbiamo solo una richiesta.


Fratello.


-Ti prego, danza per noi.


Fratello.


Un sorriso dolcissimo si schiuse sul volto di Ki-Am-Ne.

La sabbia ai suoi piedi si mosse con studiata lentezza, seguendo il movimento preciso del suo braccio.



-Sarà per me un onore... Fratelli.









 

Mai prima nella sua vita aveva sentito il silenzio sulle sue spalle così leggero.







 

   
 
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