Un cacciatore inseguiva il suo cervo,
già pregustando il suo dolce sapore,
teso era l’arco di rigido nervo,
volto ad un colpo letale e indolore.
Già lo vedeva crollare sul suolo,
non reggere il peso della sua vita,
lasciarla scappare, morire da solo
per poi ravvivare una mensa imbandita;
già si sentiva felice e vincente,
e pregustava giornate ormai sazie
sul corpo d’un cervo dal fato incombente
a cui il cacciatore già urlava il suo grazie.
Fu allora che incerto fra i rami più fitti
vide il fugace brillare di un corno,
e i peli sul corpo si fecero ritti
al solo pensiero di aver l’unicorno:
la bestia leggenda dal corpo innocente
che sazia per sempre chi riesce a mangiarne,
chi beve il suo sangue non beve più niente,
non ha più bisogno di vino o di carne.
Chi vende il suo corno sarà ripagato
con oro e gioielli mai visti prima,
per sempre vivrà con lo stile più agiato,
mai più sottomesso alle guerre od al clima;
quindi sperando in un fato stupendo,
un po’ troppo bello per essere vero,
scappò dalla preda che stava inseguendo
spostando la caccia su un altro sentiero.
Vagò giorni e notti patendo gli stenti,
braccando il riflesso di un sole insidioso,
né cibo da mettere sotto i suoi denti
né dove poggiar il suo capo a riposo;
ed era già tardi l’istante in cui apprese
che è solo una cosa nel mondo che vale:
non false promesse né utopiche attese,
ma carne di cervo, concreta e reale.
Morì per la fame nel bosco più fitto,
coi sogni distrutti e un rimpianto nel cuore,
sognando quel cervo, stavolta sconfitto,
col corpo scattante ed un dolce sapore.