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Autore: MarcoMarchetta    16/06/2018    0 recensioni
Fra storia e racconto.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il basso   (1817 / 1860)   (racconto storico di Simone Delizioso)                                                              
                                         
"Chi mi vuole?" chiese l'impresario dal balcone.
"Sono io, signor Cartoni, Grazzosi, si ricorda di me?"
Dall'alto la sagoma dell'individuo era confusa nella penombra del vicolo.
"No."
"Mi volle nel coro del 'Fidelio', Grazzosi, il basso."
"Mi dispiace. Nella 'Cenerentola' non c'è bisogno di cori. E siamo con la compagnia al completo, e il maestro Rossini lavora e non lo faccio vedere a nessuno finchè non finisce e, Grazzosi, non ci rompere questo e pure quello! hai capito?!" urlò Cartoni fuori da ogni calma per cose che solo lui sapeva.
Mentre quello in strada faceva sentire i suoi passi in allontanamento il forsennato si riaffacciò vociando anche più forte:
"Ooh... Grazzosi!... oilà... Grazzosi!"
"Sì" rispose il visitatore dopo un poco tornato di corsa al richiamo.
"Basso?" gli domandò Cartoni; "non vuole dire di poca altezza?"
"E neanche, certo, perchè rauco di voce" scherzò il cantante. "Prendo le note gravi dal mi di sopra al mi e anche il fa e il sol a scendere."
Di su, svuotatosi il balcone, si sentì parlare, scalpicciare e correre giù per la scala. Dabasso si formò un capannello con l'impresario, lo stesso Rossini e il librettista Ferretti, tutti barbuti e puzzolenti e a essi il nuovo arrivo diede saggio del timbro, dell'estensione e delle tonalità vocali.
"È Magnifico! È proprio Magnifico!" saltellava felice il giovane compositore.
"Troppo buono" si schermiva il basso, "me la cavo; magnifico proprio..."
"Don Magnifico" spiegò Ferretti "è il padre della nostra Cenerentola, il basso buffo che il maestro voleva per forza e che stavamo faticosamente eliminando dallo spartito. Quello che avevamo non ha retto al nostro ritmo e se n'è andato. Adesso con voi lo riabbiamo."
"Ce lo rimettiamo tutto com'era prima" sospirò Gioacchino ispirato. "E noi reggeremo, non è vero, Grazzosi?"
"Fino a farmi abbassare la voce di due toni, maestro" garantì quello.
 
Quando Grazzosi da vecchio volle mettere giù anche lui le sue 'Memorie' ricordava quel periodo di lavori forzati come uno dei più felici della sua vita. Vi si può leggere:
'…Con la spada di Damocle sempre sospesa, in veste del censore ecclesiastico che veniva per leggere e approvare tutto ciò che facevamo...; Ferretti, seguendo il programma concordato, scriveva una scena e appena fatto la sottoponeva a Rossini prima di appartarsi a scriverne un'altra…; don Gioacchino, che avrebbe musicato anche il conto della lavandaia, componeva al pianoforte, appuntava tutto velocemente sul pentagramma e sottoponeva quello che aveva scritto ai cantanti che provavano e riprovavano andando e venendo dalla casa dell'impresario come fusi nel telaio...; se era soddisfatto, Rossini ricopiava in bella, sugli spartiti ufficiali mentre Cartoni dava una mano... ; fra Rossini, Ferretti e Cartoni sembrava ci fosse una gara a chi dormisse di meno, mangiando solo quando si trovava il tempo di pensarci... ; in due, tre settimane, dal niente l'opera era fatta e pronta per essere rappresentata o quasi: il duetto Un segreto d'importanza fu terminato la notte precedente la prima; la provai la mattina seguente e la ripassammo durante la rappresentazione, nell'intervallo fra il primo e il secondo atto.
Rossini, con quel ritmo di lavoro, compose quattro e anche cinque opere all'anno per altri dodici anni; e quasi tutte geniali come 'La Cenerentola'. Da allora fino a oggi, e sono passati più di trent'anni, non ha scritto più nulla e credo che resterà in questo silenzio fino alla morte.
Non me ne meraviglio affatto ed è notevole che quando smise aveva trentasette anni: il suo musicista preferito, Mozart, a quell'età era morto. Lui professionalmente ha fatto lo stesso: ha esaurito ogni vitalità musicale nei 'lavori forzati' ai quali io stesso ho partecipato.
Il maestro si era prosciugato di tutti i motivi e le arie che lo sorreggevano ed era rimasto vuoto e patetico come un bruco da cui la farfalla, leggiadra e leggera, ormai s'era involata.'
 
Marco Marchetta
 
 
L’amputazione   (1570 a.C.)   (racconto storico di Simone Delizioso)
 
Nei sotterranei della Casa Reale di Tebe il sacerdote di Anubi, ivi sorvegliato, stentò a sollevarsi dal suo letto per genuflettersi al faraone.
"I miei medici mi dicono che ti sei ripreso bene, Ketian" asserì Ahmosis fra le quattro guardie nubiane che lo scortavano.
"Potente figlio di Horo" sussurrò l'anziano mostrando il braccio destro bendato, "come vedi il moncone si va cicatrizzando. Però la mano non mi è ricresciuta."
"L'importante" aggiunse il sovrano "è che tu stia bene. La tua forte fibra e le cure che ti vengono prestate ti porranno presto in condizione di pareggiare i conti e di riprendere il tuo posto nelle cerimonie di corte; con qualche aiuto, magari."
"O eccelsa Immagine di Ra" balbettò Ketian tremando verga a verga, "cosa vuoi farmi ancora?"
"Anni fa tu mi percuotesti tre volte, sacerdote."
 
Come poteva dimenticare l'origine della sua sventura?
Kamose, il faraone, chiedeva al fratellino Ahmosis di ripetere dal papiro quanto lui aveva dettato a uno scriba per apprenderne l'ammaestramento.
'...Si convincano gli Egizi' leggeva il ragazzo 'che gli Hyksos devono essere distrutti fino all'ultimo...'
"Divino fratello, perdonami ma non mi sembra giusto. Gli Hyksos quando hanno occupato il Paese Basso più di un secolo fa avrebbero potuto annientarci e non lo hanno fatto."
"Ketian!" chiamò Kamose, irritato. "Il principe ha meritato un colpo di frustino. Esegui!"
Il sacerdote, con finta forza, percosse Ahmosis sulla coscia.
"Leggi e impara!" tornò a imporre il faraone.
'...Le donne hyksos siano tenute in schiavitù a servire finchè possono dar figli agli Egizi. Poi siano date in pasto ai coccodrilli sacri.
Gli hyksos maschi siano tenuti in schiavitù nelle cave e nelle miniere per un massimo di cinque anni. Poi siano dati in pasto ai coccodrilli sacri...'
Ahmosis risollevò gli occhi dal papiro e obiettò:
"Compatiscimi, divino fratello, ma non riesco a essere d'accordo. Non è uno spreco di braccia una simile carneficina?"
"Ketian!" richiamò Kamose. "Il principe non vuole proprio capire! Dagli subito due colpi di frustino!"
Il sacerdote si precipitò a vergare le cosce del ragazzo meno forte che potè. Poi assieme all'illustre vittima che si sfregava le parti doloranti ascoltò le spiegazioni del faraone a capo chino:
"Ahmosis, ascolta bene. Gli Hyksos vennero e ci espropriarono di terre, città e gente che erano nostre da millenni. Già solo per questo meritano di morire.
Noi non siamo stati annientati e grazie a tal motivo possiamo riappropriarci di quello che era nostro. Vogliamo offrire a coloro che invasero il nostro bell'Egitto la stessa possibilità? Lasciarli vivere perchè un domani ci annientino rimediando così a quel loro errore?"
 
"Mio faraone" implorava Ketian, terrorizzato, "stai dicendo che devi amputarmi ancora due arti?"
"Caro sacerdote, sai bene che hai percosso un dio in terra. Non per colpa tua lo so; però il fatto resta.
Se continuerai a vivere e servire me e il mio sacro fratello Anubi è proprio perchè ti stimo e ti favorisco. Sei stato il mio precettore, in fondo, e a suo tempo ti scusasti ampiamente.
Sappi comunque che quando avrai perso anche il piede sinistro e sarai ben guarito lascerò a te la scelta dell'ultimo pezzo da dare ai coccodrilli."
Nell'attesa che si quietasse il tremore che pervadeva lo sfortunato, Ahmosis gli continuò a parlare:
"Ho fatto male a criticare il comportamento e le scelte del mio grande fratello, appena morto. Senza di lui Aauserra, Aaqenieura e altri faraoni hyksos avrebbero continuato a occupare, indisturbati, il delta del nostro sacro fiume.
Come già sai, però, al contrario di Kamose non mi va di delegare agli altri ciò che va fatto: sarò io a guidare i miei guerrieri in battaglia contro ciò che resta degli invasori, io assedierò personalmente le loro ultime fortezze e dovranno maledire me quando perderanno ogni possesso, la libertà e la vita.
Infatti il sangue non mi fa più impressione e non ho più gli scrupoli che avevo in gioventù. Perciò, Ketian, preparati perchè sarò sempre io a fare di mia mano ciò che va fatto."
E Ahmosis, snudata la daga bronzea, la sollevò.
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Appuntamento al prossimo sabato, 23 giugno, con un altro racconto)
 
Marco Marchetta
   
 
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