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Autore: The Custodian ofthe Doors    17/06/2018    7 recensioni
[ AU!Police| Seguito di Una pista che scotta| II| Detective!Alec| PoliceOfficer!Simon| SemiCriminal!Magnus| AlecSimonMagnus!squad]
Alexander Lightwood è un Tenente della Omicidi di New York City a capo di una squadra a dir poco particolare e se un tempo era famoso per la sua pazienza e la sua calma imperturbabile, oltre che per la sua sfortuna, ora lo è anche per aver risolto il grande Caso Circle a trent'anni dalla sua archiviazione.
Ma i problemi non sono finiti e non arrivano mai da soli.
Dopo il ritrovamento del quaderno del Circolo di Asmodeus vecchi mostri sacri della criminalità risorgono dalle loro ceneri, attirati dalla consapevolezza che il proprio nome risulti su quelle pagine assieme a tutti i loro segreti più grandi.
New York apre il sipario e mette in scena, per l'ultima volta, l'ennesimo atto di uno spettacolo che in troppi temevano di rivedere, in cui troppi saranno costretti a recitare di nuovo o per la prima volta.
I demoni stanno tornando, crimine e giustizia saranno ancora costretti a combattere assieme questa battaglia che nasconde più di quanto non possano credere.
La chiamata è stata fatta e nessuno potrà ignorarla.
Che gli piaccia o meno.
Genere: Azione, Commedia, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo I
Il telaio.




 

Le strade della città erano gremite di gente, le luci colorate che si tendevano da un palazzo all'altro davano una sensazione di festa e di gioia che si sprigionava nell'aria come i profumi dei cibi che salivano in spirali e volute verso il cielo limpido.
Tirava un'aria fresca che aveva portato molti a munirsi di giacche e maglioni, ma senza riuscir a far desistere i tanti che avevano deciso di passare quel sabato sera in giro per la città.
Sorrise ad un gruppo di ragazzi di forse una sedicina d'anni che gli passarono vicino ridendo e scherzando ad alta voce, una delle ragazze notò il suo sguardo e gli sorrise di rimando, imbarazzata, come se volesse giustificare gli schiamazzi dei suoi amici. Le fece un cenno con il capo, scoprì la fila di denti candidi che nascondevano le sue labbra e li sorpassò, continuando a sogghignare per le risatine che le amiche della giovane si lasciavano scappare al suo indirizzo.
Camminò tranquillo tra la folla che occupava la strada interdetta alle macchine e si avvicinò al suo Caffè di fiducia, entrandovi senza difficoltà.
L'ambiente era un piccolo capolavoro di legni scuri, tinte turchesi e specchi sparsi per ogni superficie. Come ogni volta non riuscì ad impedirsi di alzare lo sguardo verso il soffitto cosparso di frammenti riflettenti, piegando le labbra nello scorgere la sua stessa immagine spezzettata in milioni di piccole tessere.
Si avvicinò al bancone e salutò con cortese famigliarità il barista che senza neanche aspettare un suo segnale cominciò a preparare il suo solito caffè ristretto mentre lui si accomodava tranquillamente su di uno sgabello alto, decorato di vernice stinta e graffiata, della stessa tonalità delle pareti del locale.
Il piano del bancone era una lucida lastra di rame piena di graffi e piccole ammaccature dovute al passaggio di tutta la gente che entrava attirata dall'aria magica del locale e ordinava la specialità della casa. Una tazzina di vetro con il manico ed il fondo di metallo gli venne posta davanti e con un cenno del capo la prese ringraziando il giovane e portandosi la bevanda alle labbra.
Il telefono squillò piano, quasi sottovoce, per non disturbare l'ambiente ed i suoi avventori, lo recuperò con un fluido movimento della mano e guardò curioso il numero sul display: non lo conosceva ma di certo quello era il prefisso di Las Vegas, chi lo chiamava dalla città del peccato?
Fece scorrere il dito sullo schermo piatto e abbassò lo sguardo sul suo caffè.
<< Pronto?>> chiese con tono basso ma chiaro, senza lasciar trasparire la sua curiosità.
Dall'altro capo del telefono una voce famigliare e fin troppo conosciuta rispose a quella domanda.
Prese il manico fino tra indice e pollice e fece roteare il liquido scuro, cercando di mescolare quella polvere come gli avevano sempre detto di non fare: era più forte di lui, adorava sentire la consistenza granulosa del caffè sulla lingua, forse era l'unico al mondo.
Annuì piano alle parole del suo interlocutore e ne mormorò qualcuno in una lingua stretta e melodica. Si portò la tazzina alle labbra e bevve tutto d'un sorso, chiudendo la telefonata senza neanche un saluto.
Il suo sguardo si fissò sullo specchio dietro alle mensole cariche di stoviglie elaborate, bottiglie colorate e scatole decorate, oltre tutti quegli oggetti per incontrare il suo riflesso.
Rimise il telefono nella tasca interna della giacca e si sistemò i capelli con un gesto automatico, sorridendo alla sua stessa immagine e a ciò che trasmetteva a chiunque l'avesse vista, conscio di ciò che molti avrebbero potuto pensare.
Lasciò il denaro sul bancone ed uscì dal Caffè per riimmergersi nelle strade affollate e respirare una boccata d'aria fresca mentre estraeva con calma un portasigarette dalla stessa tasca in cui aveva riposto il telefono.
La fine scatolina d'argento baluginò come un lampo tra tutte quelle lampade colorate e rivelò una serie di fini sigarette scure tutte perfettamente allineate.
Ne prese una e se la portò alle labbra con eleganza, lisciandosi la barba curata che incorniciava la bella bocca carnosa. Rimise al loro posto le altre sigarette e cercò l'accendino nei pantaloni. Fece scattare il coperchio ed una fiamma blu brillò tra le sue mani, mentre l'avvicinava alla sigaretta non poté far a meno di passare il dito sul decoro in rilievo.
Sulla pancia bombata dell'accendino era stato inciso a positivo il muso di un cervo dalle corna ramificate. Sorrise a quella visione, la sigaretta si inclinò assieme alla piega delle labbra, sbilanciandosi verso il terreno come un equilibrista che tenta di mantenere la posizione.
Tornò con lo sguardo sulla folla, puntandolo nella direzione dove sapeva esserci il porto, quasi riuscisse a vederlo da lì.
Il suo sorriso non si spense neanche per un attimo, serrò la presa sull'accendino tenendolo al centro del palmo e soffiò via una nuvola di fumo.
A quanto pareva, stava per arrivare una tempesta, il diario era stato ritrovato e nessuno era più al sicuro.

Nessuno.

 

 




 

 

Le strade affollate lo infastidivano come fin troppe cose a questo mondo, ne era perfettamente consapevole, eppure non riusciva a far a meno di guardare male tutte quelle coppiette che gli gravitavano felici attorno ridacchiando e scambiandosi effusioni.
Lui odiava dare spettacolo in quel modo e probabilmente era quello in buona parte a fargli saltare i nervi. Con quale coraggio la gente si metteva a sbaciucchiarsi in mezzo alla strada? Insomma, era una cosa tra loro, se la tenessero per il privato. Poteva capire un bacio al volo, magari un attimo di romanticismo, ma se quei mocciosi davanti a lui non avessero smesso di limonare entro trenta secondi netti li avrebbe sbattuti in prigione per oscenità in luogo pubblico. Lo avrebbe fatto.

Giuro.

Sospirò pesantemente, il problema era quanto lui stesso fosse facilmente turbabile da ogni singola cosa su questo mondo ed il fatto che il suo telefono gli segnalasse notifiche in continuazione non riusciva proprio ad aiutarlo ad accantonare quel turbamento perenne prima citato che si portava appresso da una vita.
Strinse i documenti sotto al braccio e ficcò una mano in tasca solo per trovare a tentoni il pulsante del volume e azzerarlo.
Erano immagini, lo sapeva perfettamente che tutta quella posta non era altro che una sequela di foto e lui non le voleva vedere. Se solo avesse trovato quel dannatissimo pulsante.
Strinse i denti e tolse la mano dalla tasca, si sarebbe congelato le dita ma non avrebbe toccato il cellulare, lo avrebbe ignorato fino a che non sarebbe arrivato a casa.
Era appena uscito dal numero 1 della Police Plaza di Manhattan e l'unica cosa che voleva era tornarsene nel suo appartamento e scappare da quella marea di cuori, orsetti e quant'altro di cui la street era sommersa.
Aveva portato dei documenti importanti al Capo Bureau Blackthorn, tutti i moduli in cui accettava ufficialmente il suo incarico come capo squadra, come diretto superiore e responsabile del nuovo agente operativo appena passato dalla sezione informatica e anche i documenti in cui chiedeva formalmente l'impiego di un consulente esterno, l'ultimo membro della sua curiosa e mal assortita banda.
Si portò automaticamente una mano alla cinta dei pantaloni, lì dove, sotto il maglione, era attaccato il suo distintivo. Il solo sfiorare la forma di metallo gli dava un senso di pace che per troppi mesi gli era mancato, la semplice consapevolezza di essere di nuovo sempre in servizio.
Poteva sembrare un controsenso e forse anche un onere senza fine, ma lui lo aveva sempre saputo e lo aveva accettato sin dal principio, l'idea di essere costantemente un poliziotto dal momento in cui aveva preso il distintivo ed aveva prestato giuramento sino a quando non lo avrebbe riconsegnato. La consapevolezza di potere, di dover, intervenire ogni volta che ce ne fosse stato bisogno lo faceva sentire bene, lo faceva sentire completo e utile. Ecco, proprio utile, era questa la parola chiave. Il suo psicologo sarebbe dovuto essere fiero di lui, aveva appena trovato uno dei famosi “nodi” che reggevano la sua vita e non si era neanche dovuto sforzare più di tanto.
Si passò una mano tra i capelli per toglierseli da davanti al volto, prima o poi se li sarebbe dovuti tagliare o gli sarebbero finiti costantemente sugli occhi e non poteva proprio permettersi di avere la visuale ostruita. Per di più non era proprio da poliziotto portare i capelli lunghi, gli erano cresciuti tantissimo in quei tempi. Già di norma era costretto a tagliarseli circa una volta al mese tale era la velocità con cui si allungavano, aver passato quasi un mese in coma, altri due bloccato in ospedale ed un quarto mese chiuso in casa senza possibilità di fuga se non per raggiungere il tribunale non aveva aiutato. E sia mai che si facesse toccare i capelli da Isabelle, era successo una volta e non sarebbe mai più capitato. Forse avrebbe potuto chiede a Jace, lui si che era bravo con tutte quelle cosa lì, era lui a fare i boccoli a Izzy quando erano piccoli.
Si sistemò distrattamente la sciarpa azzurra che continuava a scivolare lungo la spalla e scostò il bordo della manica del giaccone con un gesto secco, controllando l'ora ed imprecando quando si rese conto che non avrebbe fatto in tempo ad arrivare a casa, posare i documenti, prendere la macchina ed arrivare allo studio del medico in solo mezz'ora. Certo, se solo gli avessero dato quella benedetta autorizzazione a guidare per più di due ore al giorno… ma no, per carità, poteva sollevare dieci chili con un braccio solo, poteva farsi tutta Manhattan a piedi e rischiare un embolo al polmone o una bolla d'aria, ma per carità, lo sforzo di girare il volante fornito di servosterzo era troppo.
Dannata riabilitazione. Lei e i dottori.
Oh, ma mancava poco, ormai aveva ripreso la piena mobilità del braccio e anche se aveva l'obbligo di non sforzarlo troppo la sua presa di servizio era a tutti i modi ufficiale.

E che mi venissero a dire di nuovo che non posso ritornare a lavoro perché in caso di pericolo non posso difendermi e sparare. Sono ambidestro, stronzi.

Alzò un braccio, proprio quello ferito, per chiamare un taxi e ben presto una vettura gialla si fermò vicino a lui.
Gli diede l'indirizzo e si accomodò sul sedile consumato ma pulito della macchina.
Avrebbe voluto finirla anche con quelle stupide sedute dallo psicologo, ma i suoi superiori ed un'equipe di medici erano convintissimi che ne avesse bisogno.
Non era la prima volta che uccideva un uomo, non era la prima volta che sparava con l'intento di eliminare il suo bersaglio, non aveva bisogno di qualcuno che gli chiedesse come si sentiva perché lo sapeva già perfettamente: aveva fatto il suo dovere, aveva salvato delle vite a costo di una, la massa a costo del singolo. Ne era felice? Ne ricavava appagamento? No, certo che no, ma questo non gli avrebbe impedito di dormire, non gli avrebbe impedito di tornare in pista e continuare a proteggere il suo paese. L'integrità del suo senso morale non ne risentiva, la sua coscienza sì e nonostante ciò sapeva che struggersi per questo non avrebbe avuto senso.
Non gli piaceva rifletterci sopra ma spesso lo faceva perché sapeva di averne bisogno, concentrarsi per un attimo su tutto il sangue che aveva sporcato le sue mani e che le sporcava ancora, chiedersi perché lo avesse fatto e darsi una risposta, dirsi che era parte del suo lavoro, che era un'eventualità che aveva messo in conto proprio come la consapevolezza di essere sempre in servizio.
Per quale motivo avrebbe dovuto dire tutte queste cose ad uno sconosciuto quando lui, per primo, ne era perfettamente consapevole? Non cercava di nascondersi dietro a nulla, sapeva che un giorno anche lui sarebbe stato giudicato e che sicuramente la sua anima non avrebbe avuto lo stesso peso di una piuma. Lo sapeva e lo accettava. Tutti avevano i propri demoni e vi convivevano, lo faceva lui come lo faceva il resto del mondo.
La sua mente cominciò a tirar fuori collegamenti che si srotolavano a ritroso nel suo passato lavorativo, i casi chiusi, compreso l'ultimo, il caso Cassell, il suo primo caso, i mesi da Riservista e quelli di preparazione militare; gli anni passati a seguire il suo Capo e imparare il mestiere, quelli passati a riordinare le prove e i casi degli altri e ancora quelli dell'accademia. Che il dottore volesse sentirlo parlare di questo, di ciò che era passato e che lui aveva già ampiamente assimilato?
Dio, sperava proprio di no.
La sua unica consolazione era che quelle sedute sarebbero durate ancora per poco.
Pagò la corsa non appena il taxi lo lasciò davanti allo studio del suo psicologo e fissò il palazzo con aperto astio. Salire quelle scale e arrivare al quinto piano della struttura gli pareva una cosa estremamente faticosa. E non importava che ci fosse un ascensore, era proprio l'idea di doversi sedere ancora su quella poltrona e sentirsi chiedere come si sentisse che lo stancava. Magari quel giorno la solfa sarebbe cambiata.
Lo studio era ampio e dai toni chiari e caldi, era accogliente e pareva più una spa che un centro medico, ma forse questo era tutto dovuto al fatto che si trovasse in un esercizio privato.
La segretaria, una donna sulla cinquantina sempre molto gentile e disponibile che gli ricordava la classica nonna delle favole, pronta a sfornare dolci e dare abbracci soffocanti, gli sorrise come ogni volta e lo invitò ad accomodarsi subito nell'ufficio del dottor Lawson, che lo stava già aspettando.
Cercando di restituirgli lo stesso sorriso, e fallendo miseramente riuscendo solo in quel suo classico ghigno storto, si avviò a passo sicuro verso la familiare porta di vetro opaco e bussò educatamente, aspettando il permesso d'entrare.
<< Prego, avanti.>> gli rispose una voce calma e baritonale.
Afferrò la maniglia e spinse l'uscio. << Buona sera Dottore.>>
<< Buona sera a te Alexander. Entra su, mettiti comodo.>>
Nella stanza elegantemente arredata spiccava la scrivania scura che troneggiava davanti alla fila di ampie finestre a muro che davano all'ambiente tutta la luce naturale di cui necessitava, di giorno. Le prime volte che era stato lì era mattina e tutta quella luminosità lo aveva quasi turbato, lo aveva fatto sentire esposto. Forse il dottore se ne era accorto ed era per quel motivo aveva spostato i loro appuntamenti al pomeriggio.
L'uomo che lo aveva invitato a sedersi era di mezz'età, probabilmente più vecchio di suo padre ma non arrivava di certo ai sessanta. Era di carnagione rosea e la sua figura massiccia trasmetteva una certa fiducia che gli doveva essere senz'altro utile nella sua professione.
Aveva un volto gioviale e sereno, gli occhi nocciola erano costellati da venature più scure e ai loro angoli si aprivano una raggiera di rughe che lo facevano classificare automaticamente come un uomo solito alle risa. Lo suggerivano anche le rughe più marcate che si nascondevano nella barba curata che copriva le guance piene e le labbra morbide. I capelli brizzolati gli davano quel definitivo tocco da intellettuale che veniva completato dai classici occhiali in corno.
Quando Alec si fu accomodato gli fece un cenno con il capo.
<< Vedo che hai dei documenti con te, sei finalmente passato al dipartimento per consegnare le ultime carte? Devo dedurne che presto tornerai in servizio operativo?>> gli domandò come se fosse felice di quella novità.
Lui annuì. << Sì, ho firmato tutti i documenti e a breve prenderò servizio.>>
<< Hai già una data?>>
<< Quando approveranno la mia richiesta per il consulente. Vorrei iniziare sin dal primo giorno con entrambi. Nel frattempo mi preparerò a questa nuova… a questa nuova situazione.>> intrecciò le mani e annuì di nuovo, sembrava quasi si stesse autoconvincendo che quelle fossero le parole giuste ed il dottore lo notò.
<< Devi ancora abituarti al tuo nuovo grado, Tenente? >> rise bonario del leggero rossore che gli colorò le guance, << Oh, non devi vergognartene, è una cosa importante questa. Sei stato promosso di grado per un motivo a dir poco importante, non scordiamocene, e per di più dovrai lavorare per la prima volta con altre persone.>>
<< L'ho già fatto, all'inizio. Ho seguito il Servente Marvin per sei mesi prima di ottenere un caso solo mio, dopo la divisione delle squadre.>> precisò lui.
<< Vero. E ciò mi fa pensare che ancora non mi hai spiegato perché non hai mai avuto un partner o perché non te ne hanno assegnato uno.>>
Alec si strinse nelle spalle. << Eravamo dispari e tre detective dello stesso grado nella stessa squadra non sono una buona cosa. Se non c'è gerarchia tutti tendono a fare di testa loro. Poi ho ingranato con il mio ritmo e vedendo che ottenevo comunque risultati non hanno reputato opportuno darmi un compagno.>> spiegò allora con semplicità.
Il dottor Lawson corrugò le sopracciglia pensieroso. << Quindi il tuo Capo ti reputa più in gamba dei tuoi colleghi, a tal punto da non darti un compagno ma assegnarti direttamente una squadra?>>
Il volto del giovane andò in fiamme non appena realizzò ciò che l'uomo gli aveva suggerito. Si tirò di colpo dritto, sporgendosi verso la scrivania e scuotendo le mani.
<< No! No, assolutamente no! I miei colleghi raggiungono i miei stessi risultati, abbiamo una media degli arresti e dei casi portati a termine e siamo tutti allo stesso livello.>>
<< Mh, tutti come singoli o come squadra?>>
Alec comprese perfettamente ciò che intendeva il medico con quella frase ma scosse ancora la testa.
<< No, io… >> si bloccò, << non so cosa risponderle sinceramente.>>
L'uomo batté un paio di volte le mani << Questo è uno dei punti cruciali delle nostre sedute Alexander, te lo dico sin dalla prima, tu ti sottovaluti. Ti sminuisci e invece sopravvaluti tutti coloro che ti stanno attorno. E se per poco sono anche tuoi amici o tuoi famigliari allora siamo proprio all'apoteosi! >> gli fece un cenno per non farsi interrompere, << Oh, no no, ora mi ascolti. Sei un ottimo detective, hai lavorato per anni da solo e negli scenari più disparati e poi, dopo la tua più che meritata promozione, ti è stata data tanta di quella fiducia da assegnarti una squadra tutta tua. Composta da un novizio e da un consulente non proprio, come dire, “corretto”.>>
Alec abbassò la testa e serrò le labbra.
<< Questo tuo problema di autostima andrebbe affrontato con cura e secondo me avresti dovuto farlo anche prima.>>
<< Non ho problemi di autostima.>> protestò il moro rialzando il capo.
<< Tu e tuo fratello siete entrambi poliziotti. Chi è il più bravo?>> chiese.
<< Siamo in due ruoli diversi. Io sono più bravo ad investigare e lui ad agire.>>
<< Okay, chi di voi due è più bravo a sparare?>> ritorse allora.
<< Jace.>> disse senza esitazione Alec e l'uomo sorrise.
<< Eppure mi pare che sia tuo il titolo di miglio tiratore dell'accademia e miglior tiratore del dipartimento. E mi pare anche che sia tu il cecchino e non lui.>> concluse calmo, come se avesse appena mosso scacco al re.
Alec si morse un labbro e fece per replicare. Poi si sgonfiò e annuì.
<< Capisco che tu lo possa reputare migliore per puro orgoglio fraterno, ma un po' di sana competizione ci sta ragazzo mio, fattelo dire.>> Lo osservò per un attimo. << Ma ora passiamo ad altro. Sei in servizio da Dicembre, seppur obbligato alla scrivania, tra poco però entrerai in servizio attivo. Hai di nuovo la pistola?>>
<< Me la riconsegnano quando riprenderò.>> si rilassò un poco per quel cambio di argomento.
<< E stai aspettando di tornare per farlo assieme alla tua squadra.>>
<< Sì, insomma, tornerò un paio di volte per le ultime scartoffie, per vedere se c'è qualche caso semplice che posso prendere per farli iniziare e poi per il colloquio con gli Affari Interni per Magnus.>> snocciolò con la tranquillità di chi conosce l'argomento di conversazione.
<< Come pensi che andrà il colloquio? Sarà impegnativo?>> domandò allora il dottore.
Alec annuì. << Ho chiesto a Magnus di comportarsi bene. Mi ha detto che farà del suo meglio ma ho come l'impressione che non abbia capito la portata di questa cosa.>>
<< Perché dici così? Non gli hai spiegato tutto? Non posso crederci.>>
<< No, no, gli ho spiegato cosa succederà e che verrà giudicata la sua idoneità a collaborare con la polizia, però… >> sospirò e lasciò cadere le spalle in avanti. Poi si tirò dritto. << Ho come la sensazione che non tutti apprezzino l'idea di averlo proprio al Dipartimento.>>
L'uomo lo scrutò con attenzione, pensieroso quanto lui. << Di preciso, cosa ti preoccupa?>>
Alec si sfregò le mani, strinse le dita le une alle altre e poi le rilassò cercando le parole giuste.
<< Non posso dirle molto, mi spiace, mi è stato ordinato- >>
<< Non voglia sapere nulla sul Caso Alexander, vorrei solo che mi dicessi cosa ti preoccupa. Sono qui per questo, no? E poi ho il segreto professionale dalla mia.>> gli sorrise gentile.
<< Credevo fosse qui per appurare che la sparatoria non mia abbia fatto impazzire… >> rispose piano il giovane abbassando lo sguardo.
Il medico scoppiò a ridere con allegria e scosse il capo. << Oh, ma che puoi affrontare una cosa del genere senza impazzire ne sono perfettamente consapevole. Mio caro ragazzo, queste sedute sono per te, non per me. Siamo qui per affrontare quella matassa di sentimenti e dubbi che ti porti dietro. Quindi: cosa ti preoccupa di preciso?>>
L'altro tentennò, fissò i suoi occhi in quelli caldi e pacati del terapeuta e prese un respiro profondo.
<< Ho il timore che qualcuno, parlando di gerarchia di forze dell'ordine, non gradisca che una potenziale fonte di informazioni come Magnus sia “sprecata” con la polizia e quindi che cerchino una qualunque scusa per spostarlo in qualche altra sede.>> si liberò in fine di quel dubbio che gli martellava il cervello da quando la Signora gli aveva detto di ricordare a Bane quanto fosse essenziale che venisse approvata la sua presenza qui a New York e non in un qualunque altro posto.
Lawson lo osservò con quel suo occhio clinico che spesso teneva celato. C'erano state volte in cui, malgrado Alec avesse mantenuto l'educazione ed il distacco paziente-medico Lawson gli era parso solo un confidente, un buon uomo saggio con cui discutere di qualsiasi cosa e problema, volte in cui si dimenticava che quell'uomo era uno degli psichiatri più famosi di quella parte di emisfero, che era un luminare che per tantissimi anni aveva operato anche come neurochirurgo e che aveva usato questa sua esperienza “pratica” anche come teoria. Volte in cui credeva che se suo zio Max fosse stato ancora vivo quello sarebbe stato il tipo di rapporto che li avrebbe uniti, fatto di sorrisi gentile, battute educate e imbarazzanti solo ed unicamente perché stava parlando della sua vita privata con qualcuno più grande di lui e prese in giro su quanto il suo affetto nei confronti dei suoi fratelli lo rendesse cieco di troppe cose. Ma poi c'erano momenti come quelli, in cui lo fissava come se fosse un reperto medico, quando lo vedeva unicamente come paziente, come caso e non come persona, i momenti in cui lo scrutava come un dottore studia un cancro, come esamina una radiografia, che gli leggeva dentro tutto ciò che neanche lui credeva di avere. Erano i momenti in cui si ricordava perché la sua parcella avesse quel costo esorbitante e perché il suo nome era tra i più citati nei libri di testo e nelle conferenze di tutto il mondo.
Lawson lo osservò finché non ebbe trovato quello che cercava e allora annuì.
<< Di cosa stavamo parlando inizialmente? Di quando saresti tornato in pista e del perché non fossi già rientrato, giusto?>> chiese con una casualità che non poteva esser vera ma a cui Alec non cercò di trovare una motivazione. Non aveva la minima intenzione di chiedergli cosa avesse capito dalle sue parole, gli bastava sapere che avrebbero affrontato il discorso prima o poi, che quell'uomo sarebbe riuscito a tirar fuori la cosa senza che lui se ne rendesse conto e renderlo consapevole di qualcosa che al momento ignorava.
O voleva ignorare.
<< Sì, tornerò operativo assieme ai ragazzi e per il momento cercherò di sistemare tutto al meglio per il loro primo giorno di lavoro.>> si risolse a dire con fermezza.
<< E Magnus e Simon come stanno? Gli hai detto cosa stai facendo?>>
<< Perché dovrei dirglielo? Stanno solo smaniando per sapere la data d'avvio.>> fece confuso.
<< Beh, se un amico mi dicesse che si sta trattenendo dal tornare al lavoro che ama e per cui è disposto a dare la vita, solo per aspettare me e cominciare questo nuovo capitolo assieme, io ne sarei lusingato e molto felice.>> gli spiegò allora Lawson.
Alec scosse piano la testa. << Simon comincerebbe a dire che lo faccio perché gli voglio bene e attaccherebbe con una sequela di frasi sull'amicizia e l'unione e cose così che non finirebbe più.>>
<< E Magnus?>>
<< Lui è già abbastanza montato di suo, non c'è bisogno che gli dia altre motivazioni per fare il gallo del pollaio.>>
Il medico si aprì in un sorriso sornione che ad Alec ricordò troppo quello di suo padre e non gli piacque per niente.
<< Cosa mi dici di voi due? Come hai intenzione di comportarti?>>
Se Alexander era arrossito prima per un semplice complimento, in quel momento sarebbe potuto diventare un campionario di tinte rosse.
Ecco, questi erano i momenti in cui dimenticava di star parlando con un professionista.
Balbettò qualcosa senza senso fino a quando il medico non cominciò a ridacchiare senza cattiveria e Alec lasciò cadere le spalle e la testa in avanti, sospirando. Prese un respiro e ci riprovò con calma, come gli aveva sempre detto l'uomo.
<< Mi comporterò come sempre, come faccio adesso.>>
<< Lascerai quindi che ti abbracci in pubblico o magari ti… >>
<< NO!>> disse di colpo Alexander saltando di nuovo su. << Non lo farà, io non glielo permetterò. Non glielo permetto tutt'ora. Insomma, un conto è se siamo soli e lontani da occhi indiscreti ma… >> scosse la testa << no, sul luogo di lavoro gli ho già detto come deve comportarsi.>>
<< Il tuo capo ti ha detto nulla?>>
<< A che proposito?>> domandò sospettoso.
<< Beh, a proposito della vostra relazione.>>
Il ragazzo lo fissò sbalordito, senza riuscire neanche a muoversi.
<< N- noi… noi n-n-non abbiamo una ree- re-e-elazione.>> rispose con voce tremante.
Lawson lo guardò con la dolcezza tipica di un nonno che guarda il nipote.
<< Ancora non ne avete parlato?>> chiese con delicatezza vedendosi rispondere con uno scuotere di testa. << Dovreste farlo Alexander, vi farà bene stabilire la natura del vostro rapporto.>>
<< Non ne abbiamo veramente uno. Vede noi… non è successo niente. O meglio, non dopo la sparatoria. La seconda, non la prima. Si, è successo una volta sola e… e poi… >>
<< Vuoi forse farmi credere che non vi siete più scambiati neanche un bacio?>>
Alexander chiuse gli occhi, gli faceva ancora strano sentire un uomo, specie di quell'età, parlare con così tanta tranquillità della relazione tra altri due uomini. Gli domandava come fosse il loro rapporto, come si sentisse quando stava con lui, se Magnus lo abbracciava mai, se sentiva il bisogno lui di farlo, se avessero mai dormito l'uno a casa dell'altro o se si fossero baciati. Dio, gli aveva anche fatto una battuta sul vischio quel Natale!
Sospirò e si strinse nelle spalle, un ragazzone di un metro e novanta che cercava di farsi piccolo chiudendosi in quelle spalle da nuotatore che si ritrovava.
<< Sì, è successo… e, lo sa, a Natale abbiamo dormito insieme- solo dormito!>> si affrettò a dire arrossendo e l'uomo gli sorrise, dicendogli che glielo aveva raccontato. << Ma non è che la nostra sia proprio una relazione, ecco.>>
<< Non vorrei contraddirti Alexander, ma invece io credo proprio che sia l'albore di una relazione questa. Capisco le possibili implicazioni, te lo assicuro, ma non pensi che sia ora anche per te di essere felice?>> gli domandò in fine.
Alec lo guardò ma non osò rispondere, così continuò lui.
<< Allora dimmi, tutto ciò, come ti fa sentire?>>

Il moro alzò gli occhi al cielo, esasperato ma sollevato dal mezzo sorriso che era apparso sul volto del suo medico.
Lo sapeva, avrebbe mai smesso di porgli quella domanda?


 






 

Simon spostò lo sguardo dalla sua uniforme al distintivo che spiccava lucido nel riflesso dello specchio. La sua intera figura gli appariva quasi estranea così conciata, non indossava la divisa dalla promozione di Alec, quando il sindaco gli aveva consegnato la targa di riconoscimento da parte della città di New York ed il titolo di Tenente.
Non avrebbe dovuto portarla tutti i giorni in servizio, lo sapeva, essere un detective, seppur di primo grado, aveva il magnifico vantaggio di potersi vestire come si voleva. Anche se Alec portava sempre il tuo perfetto completo da Man in Black. Dio come lo invidiava, lui con la giacca nera e la camicia bianca sembrava solo un pinguino con un cappio al collo.
Si guardò ancora allo specchio e si domandò, non per la prima volta, cosa ne avrebbe pensato suo padre, cosa gli avrebbe detto, se sarebbe stato fiero di lui… probabilmente non lo avrebbe mai saputo ma aveva la vaga sensazione che Malcom avrebbe avuto la stessa identica espressione di Lucian quando gli aveva stretto la mano dopo il diploma.
Lucian Garroway era il patrigno della sua miglior amica, quella sottospecie di sorella mancata che era Clary Fray, e per molti versi era stato anche il suo di patrigno. Era stato Luke ad insegnargli a farsi la barba, lui ad avergli dato una pacca sulla spalla e avergli detto che stava diventando un uomo e sempre lui a fargli i primi imbarazzanti discorsi sulle ragazze e sul sesso.

Sempre meglio che sentirmeli fare da mamma.

Doveva molto al Capitano della Crimine Organizzato e proprio come se fosse stato il suo genitore aveva paura di deluderlo in qualche modo o di coprirsi di ridicolo, la gente si sarebbe ricordata che lui e Luke erano in un qualche modo legati e gli avrebbero rinfacciato la sua inettitudine?
Oh, Simon sperava vivamente di no, anche perché prima di rimproverare Lucian per quanto lui fosse un incompetente avrebbero rimproverato prima qualcun altro.

Il mio Capo!

Alexander non gliene avrebbe mai fatto una colpa se all'inizio avrebbe commesso qualche errorino da poco, magari gli avrebbe fatto passare anche uno o due grandi cazzate, ma non aveva intenzione di scoprirlo e non voleva neanche immaginare la faccia adirata del Tenente. Non voleva immaginarla rivolta verso di lui né tanto meno rivolta verso altri che avevano avuto la faccia tosta di prenderlo per il culo. Lui o Magnus.
Dio, non Magnus, quell'uomo sarebbe stato capace di fare un numero dei suoi e di farsi buttare fuori dal Dipartimento a calci prima ancora di potercisi mettere comodo.
L'unica soddisfazione era sapere che Alec li avrebbe protetti a spada tratta entrambi e senza la minima esitazione. Ancora si domandava come il moro riuscisse a sopportare i peggiori insulti e le prese in giro nei suoi confronti ma andasse su tutte le furie anche solo se qualcuno si sognava di dare del cretino al fratello.
Alexander aveva uno spirito di protezione un po' eccessivo alle volte.

Anche se questo gli ha permesso di salvare la pelle a tutti parecchie volte. Come quando Clary aveva deciso di guidare al rientro dallo Spring Break e Alec glielo aveva impedito legandola ed imbavagliandola.

Sorrise a quel ricordo e si tolse finalmente il cappello, ravvivandosi i ricci castani con un movimento distratto e poggiando con cura il copricapo sul letto. Cominciò a togliersi la giacca tenendo lo sguardo fisso sul calendario appeso alla parete e cercando di fare un rapido calcolo probabilistico su qualche sarebbe potuto essere il giorno della sua presa di servizio, chiedendosi se avrebbero cominciato prima della fine di Febbraio o se avrebbero dovuto aspettare il nuovo mese. Sicuramente prima Magnus doveva superare il colloquio con gli Affari Interni e chissà quanto gli ci sarebbe voluto al Dipartimento e al suo avvocato per mettersi d'accordo sui termini del loro rapporto lavorativo. Forse era già stata fissata, magari poteva chiamare Magnus stesso e chiederglielo.
Si cambiò in fretta, facendo attenzione a non spiegazzare la divisa ma anche cercando di infilarla il prima possibile nella sacca protettiva, conscio che sarebbe stato anche in grado di farla andare a fuoco per errore.
Prese il telefono e cadde con un tonfo attutito sul letto mezzo fatto, se si poteva reputare tale tirar su le coperte e basta.
Ci furono una decina di squilli ma non se ne preoccupò, era Febbraio, c'erano i saldi e si stava avvicinando San Valentino, non voleva neanche immaginare quanta roba avesse comprato l'amico e quanti santi stesse scomodando dal paradiso per riuscire a trovare il cellulare.

<< Porco il d- Sidmund! Toglimi una curiosità, gli ebrei si offendono se bestemmi davanti a loro?>> chiese la voce infastidita e poi improvvisamente allegra di Magnus.
Simon sorrise. << Buona giorno anche a te Mags, come te la passi? Stai di nuovo cercando di farti esplodere l'armadio?>>
<< Il mio armadio non esploderà, o meglio, lo avrebbe fatto se fosse stato solo un armadio, ma per mia fortuna sono stato abbastanza lungimirante da farmi costruire una cabina.>>
<< Intendi dire che hai visto il quantitativo esagerato di roba che già avevi e hai deciso di montare degli scaffali ad una delle camere degli ospiti e requisirla per te invece di sprecare soldi in armadi?>>
<< Non sarebbero stati sprecati e non è “roba”, ma puro stile tessuto solo per esser indossato da me e rendere grazie agli dei della moda.>>
<< Questo è blasfemo.>> gli fece notare ridacchiando.
<< E se tu fossi qui con me potrei farti vedere la vastità del caz- >>
<< Sì, sì, come ti pare. Hai per caso saputo quando devi fare il colloquio con gli Affari Interni? Mi sta prendendo l'ansia per te, voglio entrare in servizio anche io ma finché tu non sei a posto non si può.>> Si rotolò sul letto e l'occhio gli cadde sul suo vecchio poster di Vlad l'impalatore, il vero conte Dracula. Il suo sorriso si allargò quando ricordò che nella camera di Alec ce n'era uno simile, sono con Vanelsing. << Lo sai che io e Alec abbiamo dei poster identici ma solo con personaggi diversi e completamente opposti? Tipo che io ho Dracula e lui ha il cacciatore.>>
<< Di nuovo Severin, la vastità del- >>
<< Forse questo avrebbe dovuto farmi capire dall'inizio che avremmo litigato per la maggior parte dei film. Tu chi preferisci tra i due?>>
Dall'altro lato della cornetta Magnus sospirò infastidito ma comunque conscio di non potersi lamentare: lui interrompeva Samuel ogni due minuti, non poteva criticarlo per aver preso questo suo tratto. Era proprio vero che a passare troppo tempo con qualcuno se ne prendevano le caratteristiche più spiccate ed i modi di fare. Come il fatto che lui ora stesse sospirando affranto come faceva sempre Alexander.
<< Di che film?>> domandò quindi.
<< Vanelsing.>>
<< Huge Jackman, me lo chiedi pure? Però una botta o due l'avrei data volentieri anche alla tipa che muore e a tutte le mogli di Dracula. La cacciatrice pareva una che ama cavalcare e sono sempre stato favorevole alle cose a tre, figurarsi a quelle a quattro. Mi rammarico solo di non aver abbastanza attributi per poter soddisfare tutte quelle donne contemporaneamente. Insomma, ho delle mani magiche e anche la mia lingua non scherza certo però preferirei sentir- >>
<< OKAY! Troppe informazioni tutte insieme! Non che non approvi in pieno quello che stai dicendo bello, ma ho una fervida immaginazione e non so proprio se voglio figurarmi te che fai roba.>>
<< Tranquillo, ti do' tre mesi di lavoro fianco a fianco e imparerai a chiedermi tu i dettagli delle mie avventure sessuali.>>
<< Sì, come ti pare, ma la sai questa data o no?>>
Magnus fece schioccare la lingua in bocca e borbottò qualcosa contro un fattorino che aveva quasi colpito le sue buste. Si avvertì il suono di qualcosa che si sbloccava e Simon attese che l'altro caricasse le borse in macchina e si sedesse con comodo al volante.
<< Metti il vivavoce.>> gli disse subito.
Magnus sbuffò. << Stai diventando come Alexander.>>
<< Ti rendi conto che parliamo sempre e costantemente di lui? Lo tiriamo in ballo in ogni conversazione.>>
L'asiatico smanettò con il telefono e la sua voce arrivò leggermente più lontana. << Inizialmente era la sua mancanza che mi faceva sempre chiedere come stesse, visto che il genio mi mandava solo stupidi messaggini.>>
<< E ora cos'è? Il tuo folle amore?>>
<< Sarebbe la risposta del mio culo quella.>> mise in moto e si immerse nel traffico.
<< Non lo volevo sapere.>> si lamentò Simon con voce lagnosa. << Lascia stare… >>
<< Può darsi che siamo tutti e due innamorati di lui. Insomma, io mi farei volentieri ammanettare da qualche parte per farmi usare come schiavo sessuale, ma temo che il tuo sia tutto un complesso di inferiorità che ti porta ad ammirare il tuo eroe sino ad adorarlo e venerarlo. Solo, fattelo dire Sammy, non lo reggeresti il nostro Fiorellino, l'ho fatto a mala pena io che non sono alle prime armi...se vuoi farti sverginare non chiedere ad Alexander. Potresti rimanere traumatizzato.O rimanerci e basta. >>
Simon fece una smorfia. << E non volevo sapere neanche questo. Grazie Magnus, ora mi immagino Alec con un dannato palo al posto del pene, ogni volta che lo vedrò mi parrà una porno star.>>
<< Sarebbe bellissimo… >> fece Magnus con voce sognante. << Avere anche dei video di quello che fa, intendo… Dio, conosco donne che pagherebbero per avere quella bestia tra le gambe. Anche uomini in effetti, e sia nel senso che vorrebbero averlo loro sia che vorrebbero averlo in loro.>>
<< Perché stiamo discutendo di queste cose? Io volevo solo sapere se avevi la data del colloquio, non conoscere i tuoi sogni sessuali sulle attrici di Vanelsing, su orge e dimensioni degli attributi dei miei amici!>> Simon piagnucolò ancora e si alzò dal letto con uno slancio che non si sarebbe aspettato, fare tutta quella ginnastica stava dando i suoi frutti a quanto pareva.
<< Tu mi hai chiesto chi preferivo, lo sappiamo tutti che sono un maniaco sessuale e che penso sempre al risvolto pratico e piacevole di ogni cosa.>>
<< Questo magari non dirlo alla Herondale, che sei un maniaco sessuale intendo, anche se temo e lo abbia già capito da tempo.>>
<< Basta leggere la mia fedina penale!>> sibilò improvvisamente qualcosa e poi grugnì. << Perché la gente deve essere così incapace alla guida? Chi cazzo gliel'ha data la patente?>>
Simon sbuffò, << Presumo lo stesso tipo che ti ha venduto la tua.>>
<< Ehi, Sigfrido, la mia patente me la sono guadagnata! >>
<< Ma davvero, aspetta che lo metto nella lista delle cose false a cui pretendi che io creda.>>
<< Azz...>> fece allora Magnus con teatralità, << è tanto lunga?>>
<< Non sai quanto, bello!>> il ragazzo rise e poi per l'ennesima volta chiese. << Ma sta data?>>
Qualche borbottio gli fece intendere che l'altro stesse ancora litigando con il traffico e quindi attese con pazienza.
<< Dovrebbe essere il diciotto se non cambiano ancora.>>
Simon annuì. << Sì, prima te la cambiavano perché il tuo avvocato non accettava le clausole e le condizioni per farlo.>>
<< Cristiano dice che più che un colloquio, la lista delle domande che mi avrebbero dovuto fare e degli argomenti trattati pareva più che altro un interrogatorio. Ho già dato prova di essermi largamente fidato della polizia - >>
<< Intendi la prova del conto della lavanderia dove Alec andò a ritirarti il completo?>> insinuò Simon.
<< - e ho anche testimoniato in Tribunale! >> continuò ignorandolo.
<< Grazie tante, andavano a mettere in galera un poliziotto. Che per quanto mi dispiaccia dirlo, quel bastardo di Hodge era un poliziotto...>>
<< Quindi ha fatto bene a ritrattare il tutto, sono un consulente, non un vostro soldatino!>>
<< Oh, te l'ha detto Alec che non ti daranno la pistola? Lucian dice che ha tirato un sospiro di sollievo quando il Capo Blackthorn lo ha informato!>> fece il castano, ignorando anche lui le parole dell'altro come facevano sempre.
Alec sosteneva che per assistere e comprendere una discussione tra loro due servisse avere le orecchie indipendenti, così una avrebbe seguito Magnus e l'altra Simon e poi il cervello avrebbe unito le baggianate che dicevano per trarne qualcosa di vagamente logico e sensato. Forse non aveva poi tutti i torti.
<< Come non posso portare una pistola! E come mi difendo?>>
<< Ma Cristiano il fratello di Raphael? È lui il tuo avvocato?>>
<< Sì, è lui, con un fratello alberghiere con quella clientela un avvocato in famiglia ci serviva. A me non hanno ancora detto niente.>>
<< Ti difenderemo io e Alec, non sei un poliziotto, puoi aver armi per difesa personale ma non puoi sparare a meno che tu non sia in pericolo di vita. Hai il permesso dello Stato? Quindi Cristiano cos'è? Il primo, il secondo? E Raphael si fa aiutare da lui?>>
<< Ma cosa mi difenderete voi! Alexander sarà già abbastanza impegnato a guardare le spalle a te, se pensa anche a me si fa ammazzare! - >>
<< Fa tipo come ha fatto per tutti e due mesi passati?>>
<< - è il secondo, sono in cinque, Raphael è il più piccolo. Tutti maschi, ti rendi conto quella poveraccia di sua madre come stava? Non dirmi che devo chiedere davvero al grande Stato di New York di autorizzarmi a portare un'arma!>>
<< Penso che abbia fatto come ha fatto Maryse, solo che la signora Santiago si deve preoccupare che tutti i suoi figli non mettano incinta nessuna e invece la signora Lightwood si è dovuta preoccupare che nessuno dei figli maschi mettesse incinta una e che la sua unica figlia femmina non ci si facesse mettere.>>
<< Ti sei scordato Fiorellino.>>
<< Per un periodo lo avrà pensato pure di lui. Poi si sarà solo preoccupata che non prendesse malattie veneree… sua nonna Phoebe è molto felice che, parole sue, “almeno uno dei suoi nipoti non ingraviderà nessuna”. >>
Magnus si fermò al semaforo rosso e sistemò meglio il telefono ridendo di cuore.
<< Ma scherzi?>>
<< Ti giuro! Da anche della sgualdrina a Izzy e dello scriteriato a Jace, perché è convintissimo che avrà dei figli prima di sposarsi e quindi a Natale ha detto a Clary che spera che non siano gemelli!>>
Risero insieme mentre Magnus ripartiva e Simon arrivava in cucina, trovandosi davanti al calendario e ricordando il motivo primario della sua chiamata.
<< Quindi il diciotto?>> saltò su all'improvviso.
Un sospiro e Simon poté immaginare l'amico annuire. << Sono sicurissimo che Cristiano non veda l'ora di togliersi sta bega dalle spalle.>>
<< Lui non può stare in sala con te.>> gli fece notare il castano e prima che Magnus potesse rispondere si affrettò a continuare, << Ma credo che invece ci possa essere Alec, visto che dovrà prenderti nella sua squadra penso che abbia il diritto di assistere e farti delle domande.>>
Magnus sbuffò e fece una smorfia che nessuno vide se non il suo lucido volante di pelle viola.
<< Va bene, va bene, ho capito, mi accontenterò del mio bonbon alla crema.>>
<< Sé, evita anche di chiamarlo così, eh.>>
Il suono che arrivò fu palesemente quello di una pernacchia e Simon rise, << Molto maturo da parte sua Mr Bane!>>
<< Taci Lewis, chiamo prettyboy come voglio. E poi la mia maturità è proporzionata alla mia bellezza.>>
<< Ti stai autodefinendo un cesso.>> cantilenò divertito Simon.
<< Cosa di “taci” non ti è chiaro? Beh, in ogni caso sono arrivato a casa, dove impegnerò meglio il mio tempo e non parlando con te … >> lasciò il discorso in sospeso, si piegò verso il telefono e ne lesse i minuti di chiamata. << Quasi quaranta minuti! Soyer stiamo arrivando a livelli insostenibili, se superiamo l'ora sappi che sarai obbligato a venire al mio prossimo pigiama party!>> rise ironico assieme all'altro.
<< Va bene, drama king, ci risentiamo, va e metti in ordine la tua Narnia privata.>>
<< Sì, sì, meno richiami nerd, va bene? Ciao topo da laboratorio, ti saluta anche Presidente.>> concluse Magnus chiudendo la portiera della macchina con un tonfo sordo.
Simon sorrise mestamente. << Ne dubito fortemente, ma apprezzo il pensiero Mags.>>



 



 

Magnus posò le buste nell'atrio per potersi togliere il telefono da quella scomoda posizione tra spalla e orecchio e lanciare l'apparecchio nella tasca del cappotto. Poi riprese tutti i pacchetti vari che aveva abbandonato a terra e li stipò con lui nell'ascensore, attendendo che arrivasse all'ultimo piano del palazzo, dove il suo attico dava bella mostra di sé.
La porta di casa si aprì muovendosi fluida sui scardini ben oliati, senza far il minimo rumore, Magnus se la chiuse alle spalle con un calcio e chiamò a gran voce quella palla di pelo del suo gatto, lamentandosi come sempre di quanto trovasse poco educato da parte sua non correre a fargli le feste ed accoglierlo come il suo degno padrone.
Il gatto lo ignorò bellamente, rimanendo arrotolato sotto le coperte della camera da letto, senza neanche muovere un orecchio per dar l'impressione di aver inteso le parole lagnose e ormai scontate dell'uomo.
<< Certo! Però quando c'è Alexander corri subito qui, eh? Gatto traditore del tuo stesso sangue. Dovresti portare più rispetto e venerazione per il tuo Sommo ed unico signore!>>
Superò a grandi falcate l'ingresso ed il salone, gettando un'occhiata alla cucina ed inevitabilmente al divano e ai tappeti su cui era poggiato e che, come sempre, Magnus sapeva nascondessero tre macchie scure e larghe, in particolare una più delle altre, proprio dietro al divano, coperta dall'angolo estremo del tappeto sui toni dell'azzurro e del crema.
Non indugiò troppo lì davanti, proseguì per la sua strada e lasciò tutti gli acquisti nella cabina armadio, ripromettendosi di metter il tutto a posto prossimamente.
Si diresse poi in bagno, scalciando le scarpe e togliendosi i vestiti per lasciarli cadere a terra senza il minimo interesse, neanche si fosse vantato di esser un dio della moda qualche minuto prima.
Aveva decisamente bisogno di una doccia e poi di mettere qualcosa sotto i denti, possibilmente qualcosa di consistenze, lo shopping lo lasciava col culo a terra, letteralmente.
Aprì la valvola dell'acqua e dopo un attimo si infilò nella cabina ampia dai vetri limpidi che presto si appannarono completamente. Avrebbe dovuto godersi quella mezz'ora sotto la doccia e poi chiamare davvero il secondo dei Santiago, per vedere di che morte doveva morire e se il giorno del suo funerale non fosse stato cambiato ancora. E magari sentire anche cosa fosse quella storia che non poteva portarsi un'arma appresso.
Abbassò la testa lasciando che il getto gli appiattisse tutti i capelli, facendogli colare l'acqua sul volto e costringendolo a soffiare forte dal naso un rivoletto che gli si era insinuato in una narice.
Forse poteva direttamente chiedere ad Alexander per la pistola, o forse no, gli avrebbe sciorinato una serie di leggi e di motivazioni per cui lui non poteva portare un'arma che gli sarebbe venuto i mal di testa.
Poco male, avrebbe rotto le palle a Blackthorn o a Lucian per riuscire ad aver qualcosa con cui difendersi, o avrebbe chiesto a Raphael di chiedere a qualche suo clientuccio facoltoso di fargli ottenere la liberatoria per averne una privata, sì, anche questa gli piaceva come ipotesi. Certo non poteva presentarsi con una delle sue armi personali, che tipo non avevano numero di serie e se non sbagliava facevano parte di uno stock rubato ai Ranger qualche anno prima.
No, decisamente no, la sua bella Colt viola metallizzata non sarebbe mai uscita di casa, peccato.
Sbuffò sonoramente e scosse la testa come un cane, lanciando schizzi ovunque e cercando di togliersi i capelli dal volto per poter vedere dove aveva cacciato il bagnoschiuma l'ultima volta. Prima avrebbe pensato a togliersi il puzzo della città di dosso, a riempirsi lo stomaco e a rompere le palle alla sua famiglia messicana preferita, poi avrebbe pensato ai problemi burocratici.



 






 

L'uomo si rigirò la penna tra le dita, lo sguardo perso su un foglio fitto di linee nere che lui non vedeva davvero. Una sfilza interminabile di parole e fatti che non voleva leggere di nuovo ma che si affollava comunque nella sua mente senza posa, senza dargli un attimo di libertà per fargli capire a cosa stessero andando incontro.
<< Ne siamo proprio sicuri?>> domandò a voce bassa, rivolgendosi agli altri uomini presenti della sala.
Uno dei due aveva l'aspetto di un distinto uomo d'affari, se non lo avesse conosciuto gli avrebbe dato dell'avvocato, con il suo completo scuro e la cravatta perfetta sulla camicia immacolata.
Le rughe sul suo volto suggerivano che non potesse avere meno di cinquant'anni e lui sapeva perfettamente che era proprio quella l'età su cui viaggiava.
Lo vide rimanere immobile, perso come lui in ragionamenti e ricordi che non avrebbe voluto fare, che non voleva rivivere, che credeva di essersi buttato completamente alle spalle. Almeno finché il ragazzo non l'aveva ritrovato.
L'altro uomo, in piedi davanti alla finestra, scrutava il panorama scuro e cupo che quella notte di metà Febbraio portava con sé. La corporatura massiccia ed i capelli castani, tenuti corti e in ordine, gli donavano quell'aura di comando che i suoi vestiti forse non trasmettevano, non come il completo del secondo. La felpa verde militare, così come la sua posa marziale, con le spalle ampie ben aperte, le gambe divaricate e le braccia dietro la schiena, gli ricordavano eventi di una vita passata, sprazzi di un futuro che non si sarebbe mai realizzato e di cui ora tutti e tre ne erano consapevoli.
<< Abbiamo altra scelta?>> chiese questo senza spostarsi.
L'uomo seduto alla scrivania scosse la testa. << Non penso sinceramente. Ho vagliato varie opzioni ma questa attualmente è la più sicura.>>
<< Davvero?>> per la prima volta l'uomo in completo parlò da quando era entrato in quella stanza ed erano finiti i convenevoli. Il suo tono era aspro, ironico, tagliente e duro e ancora una volta fece venir la pelle d'oca al primo, che per una frazione di secondo rivide davanti a lui il giovane che era stato nella vecchia e corrotta New York degli anni '70 e poi degli '80. Anche l'uomo alla finestra dovette provare la stessa sensazione perché fu scosso da un lungo brivido, la posa composta delle spalle divenne improvvisamente rigida e voltò il viso quel tanto che bastava per scrutare con la coda dell'occhio la scena, in particolare l'uomo d'affari, dando agli altri uno scorcio del suo viso serio e dai tratti marcati.
<< Sai bene quanto me che non abbiamo alt- >> provò conciliante il primo, lasciando la penna e protendendosi leggermente verso il piano della scrivania.
L'altro lo troncò sul colpo. << Taci Branble! Possiamo occuparcene noi invece di lasciar fare a terzi. Lo abbiamo sempre fatto, non c'è motivo di delegare.>> batté con forza il pugno sul bracciolo della poltrona e fece girare definitivamente il terzo uomo, che lo guardò per un lungo istante prima di annuire.
<< Sono d'accordo con Burning, siamo in grado di occuparci personalmente di questa cosa.>>
Ma l'uomo alla scrivania scosse la testa. << No che non possiamo, appena questa storia uscirà fuori- >>
<< Ma è già uscita! È già nell'aria! I vicoli bui di New York brulicano di bisbigli e parole dette di nascosto, la gente sospetta, il dubbio dilaga e presto il timore diventerà consapevolezza.>> fece quello in piedi, avvicinandosi al primo uomo e posando una mano sul piano al suo fianco.
<< Ascolta Gash. >> disse serafico Burning a voce bassa, quasi stesse suggerendo qualcosa senza volersi far sentire. Ma non era la segretezza il suo problema, i suoi occhi erano di nuovo divenuti vacui e scrutavano nelle pieghe del tempo, per scoprire cosa sarebbe stato e ricordare cosa fu.
<< È la nostra guerra, nostra e di nessun altro. La lista è uscita fuori e con lei tutti i motivi per cui i nomi che contiene vi sono stati segnati… >> Insistette l'uomo in felpa, il volto serio scoperto da ogni più piccola ombra che avrebbe potuto nasconderne i veri intenti.
<< Il Boss non è e non è mai stato uno sprovveduto.> cominciò Branble chiudendo gli occhi e cercando di venir a ragione. << Ha sempre seguito il suo codice cifrato, non c'è nessuno che possa capirlo perché è suo, suo e personalissimo. Potranno anche darlo a qualche analista e cercare di decifrarlo ma non ci riusciranno perché non lo conoscevano.>>
Gash annuì e fece per parlare ma l'altro lo interruppe con un cenno della mano.
<< Non ci provare. Sappiamo che sono pochi, pochissimi, quelli che conoscevano davvero il capo e che tra di questi neanche la metà potrebbero riuscire a capirci qualcosa.>>
<< Non hanno bisogno della metà di chi lo conosceva un po', gli basta una sola persona che lo conosce da una vita. >> sospirò Burning lisciandosi i risvolti dritti della giacca.
Branble gli diede ragione con un cenno. << So a cosa pensi, suo figlio. Ora che è entrato a far parte della polizia verrà applicato anche per la risoluzione del Caso Circle.>>
<< Il Caso Circle è stato risolto. Su questo non c'è alcun dubbio. Nessuno ci rimetterà più mano perché i colpevoli sono dietro a cemento armato e sbarre di ferro e sotto cinque metri di terra compatta. Il problema non è il Caso, il problema è ciò che fu cercato allora e ciò che fu trovato solo ora. >> ringhiò allora l'uomo, abbandonando i suoi toni bassi. << Il ragazzo non fa ancora parte della polizia, non davvero e mai lo farà, perché è un criminale e la sua fedina penale non potrà mai essere cancellata. Questo può voler dire che aiuterà chi di dovere a scoprire tutti i segreti del Circolo e tutto l'esercito di suo padre, come può voler dire che tacerà su molti nomi per rispetto o per ciò che lo lega ad essi.>>
Gli altri due non osarono parlare e lui si calmò, poggiando la schiena contro l'imbottitura della poltrona verde scuro.
Prese un respiro profondo. << Non cominceranno subito ad indagare sul diario, sono state date disposizioni precise, il quaderno attualmente non è neanche a New York.>>
<< E dov'è?>>
<< Quantico. Lo hanno mandato al quartier generale dell' FBI, ricordiamoci che tra quei nomi ci sono serial killer e assassini a pagamento che hanno fatto vedere le stelle al Bureau più di una volta, non perderanno l'occasione di capirci qualcosa e metterli dietro alle sbarre grazie al libretto degli assegni di Asmodeus e soprattutto senza dover dare altri meriti alla polizia.>> fece spiccio Burning muovendo una mano con noia.
<< Hai pensato all'eventualità che qualcuno già dietro a quelle sbarre possa cantare?>> domandò Gash sedendosi sulla scrivania di Branble e ricevendo in risposta un'occhiata ammonitrice.
<< Giù da qui. >> gli intimò infatti. << E non penso che qualcuno si sognerebbe di tradire il capo.>>
<< Forse un tempo no, ma ora le cose sono cambiate. Potrebbero voler un salvacondotto o magari vendicarsi di colui che non gli ha salvato la pelle.>> l'uomo si strinse nelle spalle ma non accennò a muoversi.
<< Ti sbagli, scommetto che Asmodeus ha ancora molti appoggi e che nessuno si sognerebbe di tradirlo. A meno che non si voglia ritrovare con un cappio al collo dentro la propria cella.
Ti ho detto di scendere, non sei più leggero come un tempo e per di più ti sei seduto sui documenti.>>
<< Che vuol dire che non sono più leggero come un tempo?>>
<< Smettetela di bisticciare come bambini!>> tuonò il terzo.
Gli altri due si zittirono e Gash scese dalla scrivania scivolando lentamente con i piedi a terra.
Fissò l'uomo in giacca e cravatta, lo scrutò con attenzione, cogliendo frammenti di espressioni, rughe marcate e invisibili contrazioni del labbro.
<< Cosa sai che non ci hai ancora detto?>> domandò quasi timoroso di ricevere risposta, ma con un tono di voce fermo e perentorio, di chi è abituato a dare ordini e a vederli eseguiti all'istante. Sapeva con certezza che non avrebbe funzionato su di lui, che non gli avrebbe risposto perché intimorito dalle sue parole ma solo ed unicamente perché voleva comunicare loro la cosa e si era finalmente deciso a farlo.

Il solito vecchio Burning.

<< Ho ricevuto una chiamata.>> cominciò e lasciò la frase in sospeso, come aspettandosi che solo quello potesse spiegare l'arcano e che loro due capissero al volo.
Quando non accadde, continuò. << In molti l'hanno ricevuta.>> altra pausa. << Praticamente tutti.>>
Quella specificazione non piacque a nessuno e Branble si mise ancora più dritto sulla poltrona.
<< Tutti? A me non è giunto nulla.>>
<< Neanche a me.>> fece Gash, poi parve illuminarsi. << Ce l'hai ancora.>> disse come un accusa sorpresa e incredula.
Burning annuì piano. << Non avrei mai potuto disfarmene...>>
<< Ti rendi conto quanto hai rischiato? Avrebbero potuto trovarlo, indagarti, farti un mare di domande e allora la storia sarebbe potuta finire solo in un modo.>> continuò sempre più infervorato l'uomo.
Branble gli posò una mano sul braccio e guardò con apprensione l'altro.
<< Hai davvero rischiato molto. Perché?>> domandò solo.
Burning alzò lo sguardo, freddo e duro come lo era sempre stato. << Sapete perfettamente perché.>>
<< Ci pensi ancora?>> sospirò Gash guardandolo ora privo della rabbia di prima.
L'uomo annuì. << In ogni caso sono stato fortunato. >> sorrise amaramente e abbassò gli occhi mentre una patina di opacità gli calò sulle iridi. << Ho avuto un colpo di fortuna, ma l'importante è che almeno uno di noi l'abbia tenuto, così ha potuto rispondere alla chiamata.>> Si fermò e rialzò la testa per scrutarli nel profondo delle loro anime, per leggere nelle loro menti ciò che nessuno osava dire. << Per fortuna uno di noi l'ha tenuto a portata di mano.>>
Gash abbassò la sua di testa e Branble guardò altrove.
<< Non c'è bisogno che ti spieghi perché l'ho tenuto.>> fece quest'ultimo a voce bassissima.
Burning annuì e guardò l'altro.
<< Io il mio l'ho nascosto, così che nessuno potesse più trovarlo...ma sì, anche io non ho avuto il coraggio di buttarlo.>> poi sospirò e tornò ad incrociare il suo sguardo. << Scusa, non avevo il diritto di scoppiare a quel modo.>>
L'uomo annuì piano. << Siamo tutti con i nervi a fior di pelle. La cosa importate ora è averlo saputo, da adesso in poi possiamo preparaci.>>
<< Direi che dovremmo anche impedire che le indagini inizino subito, non credete?>> domandò Branble lasciandosi sprofondare nella poltrona girevole. << Qualcuno potrebbe consigliare all'FBI di non permettere l'avvio delle indagini finché non sarà stato decifrato il diario.>>
<< Ma serve anche a noi. >> fece giustamente notare Gash.
L'altro annuì. << Potremmo studiarne delle copie.>>
<< E chi è il genio che fotocopierebbe una cosa di quel valore, rischiando che le informazioni giungano a chi ne capisce qualcosa?>>
<< Qualcuno che vuole a tutti i costi sgominare l'intero Circolo.>> sibilò Burning. << Abbiamo tempo, questa volta ne abbiamo da vendere e non sbaglieremo.>>
Si alzò dalla poltrona e si diresse alla finestra dove prima sostava Gash. Fissò il buio e le ombre più dense che si disegnavano tra i palazzi della città.
<< La chiamata è stata fatta, New York sta per ripopolarsi di tutti i demoni del Principe.>>




 


















Salve.
Questa storia è il continuo della long “Una pista che scotta, la cui lettura è consigliabile per comprendere le dinamiche tra i vari personaggi e ciò che li ha portati dove sono ora.
Dopo gli eventi della precedente estate i ragazzi sono pronti ad affrontare la loro nuova vita ed il nuovo lavoro che li aspetta, gettandoli ancora una volta nel mondo dell’investigazione poliziesca in modo ufficiale, con tutte le beghe e le gioie che questo lavoro comporta.
Ma su di loro aleggia ancora il famoso Diario di Asmodeo, ritrovato alla conclusione del Caso Fell, che non aspetta altro che essere aperto e rivelare al mondo tutti i nomi dei seguaci del Principe.
Ritroveremo vecchi e nuovi amici, daremo uno sguardo alle loro vite oltre il lavoro e fin troppo spesso dentro di esso.

Il rating arancione è soprattutto per la presenza di turpiloquio, frasi e comportamenti razzisti, sessisti, possibili scene di violenza, come risse e simili. Si tratteranno anche tematiche delicate, come abusi su minori, omofobia, ricatti, minacce, violenze fisiche, guerra ed ovviamente omicidi.
Nulla verrà descritto nel dettaglio per non turbare i lettori più sensibili e permettere a tutti la lettura, ma è innegabile la presenza futura di quanto sopra elencato.

Per il resto, un ben tornato a chi ha già seguito le avventure del nuovo Tenente Lightwood e della sua squadra mal assortita, un benvenuto a chi li conosce per la prima volta.

TCotD.

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