Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Hao Sakura    17/06/2018    3 recensioni
"[...] Singhiozzava silenziosa, avvolta nell’oscurità. [...] D’un tratto sentì un rumore farsi strada nelle sue orecchie, un rumore strano, come fossero passi.
Passi?
- C-C-Cosa sei t-tu…? –
- Che maleducata! Non è “cosa”, è “chi”!
[...] - Tu... Hai paura di me? -
- Gli amici non si mentono. -"

---
Spesso le apparenze ingannano, come diceva il saggio: "il diverso fa paura".
E se qualcuno normale incontra il diverso? Potranno mai questi convivere?
Ma le emozioni, i sentimenti sono cosa da tutti, che siano umani, o che siano degli animi buoni con le sembianze da mostri.
Un'amicizia diversa che nasce sotto un diverso cielo stellato, tra un umano ed un mostro apparentemente diversi.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- "tOy r00M" -



 
Tic-tac… Tic-tac…



La minuta figura di una bambina ciondolava pigramente avanti e indietro, andava a tempo col pendolo che le si era costruito in testa; le braccia attorno alle sue gambe e la faccia nascosta contro le ginocchia, il buio non la lasciava dormire, continuava a sentire quell’orologio ticchettare insistentemente, fino a trapassarle con la punta fredda delle lancette il cranio.
 


 
Tic-tac… Tic-tac…
“Come to play with us, PuPpET. C’mon!”
Tic-tac… Tic-tac…
 


Singhiozzava silenziosa e se l’avessero sentita, non sarebbe stata una semplice punizione la loro, ma una vera e propria tortura; un rivolo di liquido scarlatto le percorse dolcemente l’interno coscia, come una carezza benevola di una madre, creando un percorso rosso sulla sua pelle lattiginosa.
E poi un’altra goccia, ed un’altra ancora, la sua caviglia era ormai macchiata.
La piccola si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, il sapore ferroso del sangue che le inondava il palato, faceva così male.
D’un tratto sentì un rumore farsi strada nelle sue orecchie, un rumore strano, come fossero passi.
Passi?


 
Tic-tac… Tic-tac…
“Are you crying? Don’t worry! WE aRe CoMInG fOR YoU.”
Tic-tac… Tic tac…



 
Si strinse alla parete del muro, come cercando attraversarla, improvvisamente si sentiva intrisa d’uno strano senso di paura. Tremante, si lasciò sfuggire altre lacrime, le catene ai polsi tintinnarono con un macabro stridio, si sentì mancare l’aria, sembrava in un attacco di panico.
- Woah, ma quindi eri tu che stavi piangendo? Non credevo di essere in compagnia! –
Un figura bassa uscì dall’ombra, riuscì a delinearne i contorni grazie alla vista che si era abituata a quella soffocante oscurità, non era umano, quello no di certo, sembrava… Non sapeva definirlo nemmeno lei, esattamente.
La bambina strinse le gambe al petto, titubante, fissava come in trance l’essere che aveva davanti, era poco più basso di lei ed era vestito con abiti colorati, da quanto riusciva a distinguere nel buio.
- C-C-Cosa sei t-tu…? –
Chiese, con una vocina titubante ed impaurita, al che l’esserino sembrò irritarsi leggermente; l’avrebbe considerato anche buffo, se non ci fosse stato il fatto che non sapeva a chi effettivamente lei stesse parlando.
- Che maleducata! Non è “cosa”, è “chi”! E, comunque, se proprio ti interessa, sono un pupazzo, precisamente di legno di acero! –
Puntualizzò, con una strana voce stridula, a tratti bambinesca, ma che lei associò ad un individuo di… Sesso maschile.
Vide due iridi azzurre brillare nell’oscurità, un azzurro più limpido del ghiaccio, una piccola luce a cui potersi aggrappare. Non si accorse nemmeno che il giocattolo aveva poggiato le dita legnose sulla sua caviglia macchiata di sangue, a contatto con la sua pelle le sentiva ruvide, grattavano leggermente. Si ritrasse un poco a quel contatto improvviso, i brividi che percorrevano la schiena in una corsa pazza, strizzava gli occhi sbattuti per paura che potesse farle del male.
- Tu… Hai paura di me…? –
Chiese lui, in un sussurro titubante, riusciva a vedere il suo sorriso precedente spegnersi di botto, come una lampadina quando si preme l’interruttore; il pupazzo allontanò la mano dalla bambina, lasciando ciondolare il braccio lungo il fianco, aveva la sua stessa paura negli occhi, in quell’istante.
- Sanguini e… E hai paura di me. –
Ripeté, con voce cupa, solo che stavolta la sua era un’affermazione.
L’altra lo guardava, la paura stava via via scemando, lentamente, lentamente e più cresceva il senso di colpa. Avrebbe voluto pronunciare quella parola, sarebbe bastato un minimo movimento della labbra, poca voce, per formare quello “Scusa” che non uscì mai dalla sua bocca. A fatica, con le gambe doloranti, si mise in piedi, come un cucciolo appena nato che muove i primi passi e, nonostante un pizzico di terrore le fosse rimasto impresso nel petto, cercò di metterlo da parte, mentre il coraggio tentava di bucare quella tela di angoscia che l’aveva ricoperta.
- Io… Io non sono cattivo. Lo giuro! Non sono come… Mio padre. Non lo sono! –
Appoggiata al muro, ascoltava le sue parole, la mano pallida che sfiorava la ruvida e rovinata parete, abbandonata al suo destino in un lento decadimento; con tutta la forza d’animo che possedeva fece un passo avanti, in direzione del pupazzo, ma una fitta lancinante in mezzo alle gambe la costrinse a fermarsi di scatto: lì bruciava ancora terribilmente.
Avrebbe voluto smentire le sue parole, avrebbe voluto tentare un approccio, avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma le parole le morirono in gola. A denti stretti, cercando di non fare passi troppo lunghi, e la pelle che bruciava come l’inferno, riuscì a raggiungerlo; cauta, gli poggiò una gracile manina sulla spalla, il tessuto che indossava era morbido e caldo: una felpa, probabilmente. L’altro si teneva le mani sul viso, sembrava veramente abbattuto.
- Non… -
Tentò di dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscì solo un sussurro impercettibile, che più che una parola, era sembrato un rantolo leggero, fugace.
Due occhi azzurri, seminascosti nell’oscurità, ora la guardavano interrogativi, lei si sentì mancare il fiato.
- N-Non… Non sei cattivo. –
- Lo dici davvero? -
Intervenne tristemente lui, aveva gli occhi bassi e guardava per terra, incapace di incontrare il suo sguardo.
- Gli amici... Gli amici non si mentono. -
Ebbe titubanza, molta, ma non riuscì a nasconderla, strinse la spalla dura del giocattolo con le unghie, aspettando una risposta, anche un gesto; lui si lasciò sfuggire un sospiro sollevato, anche a tratti incerto, e recuperò il sorriso che aveva prima, la bambina lasciò che le labbra si schiudessero in una “O” di stupore: il suo sorriso era così radioso, senza tracce di malizia, di secondi fini, era come il sole che illumina tutto nonostante l’Oscurità imminente. Sentì la mano di lui poggiarsi sul suo viso, quel viso magro, pallido e vuoto, un guscio senza più involucro, lo accarezzò con una dolcezza che le era sconosciuta, e sentì istintivamente gli occhi inumidirsi, non seppe spiegarsi il perché.
- Quasi dimenticavo… Io sono Dan, ed ho dieci anni. E tu? –
Il pupazzo inclinò il capo di legno da un lato, continuando a sorridere, e lei sentì il suo cuore battere per la prima volta; quel muscolo che solitamente se ne stava immobile, senza vita. Era stato un battito lieve, silente, ma lo sentiva, lo aveva sentito.
- Ärys. Anche io ne ho dieci. –
Rispose semplicemente, e gli angoli della sua bocca andarono ad incurvarsi in un sorriso timido, si sentiva a casa, al sicuro, al caldo. E questo nonostante in quella stanza regnasse un’aria glaciale e fosse completamente buia, inospitale.
- Tu le hai mai viste le stelle? –
Chiese improvvisamente, di punto in bianco, come fosse la cosa più normale del mondo, Ärys si ritrovò destabilizzata da quella domanda; scosse la testa, in segno di negazione, i ciuffetti dei corti capelli castano chiaro sulla sua fronte ondeggiavano ad ogni minimo movimento, come le barche fanno in balìa delle onde del mare.
Dan ne sembrò quasi confortato, ed il suo sorriso si allargò.
- Oh, meno male! Allora non sono l’unico! Sai, mio padre non mi lascia mai uscire da qui, dice che sono ancora troppo piccolo e che là fuori è pericoloso per un bimbo come me… -
- Quindi tu abiti praticamente qui. –
Convenne lei, e quello annuì, sembrava nuovamente affranto; ma cambiavano umore così velocemente i giocattoli viventi?
- Sì, non sono mai andato oltre quella porta. Però ora non pensiamoci, voglio farti vedere una cosa! –
Dan, ripreso il sorriso radioso precedente, afferrò dolcemente la mano della ragazzina, stringendola nella sua; la più alta la trovò stranamente calda nonostante fosse di legno, ma decise di non farci caso, stava cominciando a considerare quel pupazzo magico di per sé.
Ricambiò la stretta con meno foga, anche perché la sua magrezza non la dotava di enorme forza, quindi dovette usare tutte le sue, già limitate, energie per tenersi aggrappata a quella mano, che stava prendendo la forma di un àncora di salvezza, almeno secondo lei.
Nessuno dei due disse nulla, cadde un ulteriore e tombale silenzio, la stanza sembrava essere diventata improvvisamente più visibile persino da quel buio; Dan guidò Ärys, il morbido pavimento simile ad un piumone le solleticava i piedi nudi. Sembrava di essere da tutt’altra parte, non facevano rumore, si muovevano leggeri su quel pavimento che appariva più una gigantesca coperta e che, come una madre amorevole, carezzava il loro cammino con dolcezza, facendo quasi affondare i loro piedi al suo interno.
Né il pupazzo, né la bambina, emisero un solo fiato, non volevano spezzare quel filo sottile di magia che si era formato.
Non le era mai sembrata così grande la stanza dei giochi, sembrava molto più larga e profonda; arrivarono quasi davanti al muro e lì un piccola luce si fece strada tra le loro gambe, un tenera raffigurazione di una stella che segnava loro la strada da seguire, la castana guardava estasiata quel percorso di astri dalle tonalità giallo-bianco formarsi a poco a poco. E poi sulle pareti, e sulle casse contenenti giocattoli. Tutto venne avvolto dalle stelle.
Queste giravano su loro tesse lentamente, ed ondeggiavano da una parte all’altra, ce ne erano una ventina su ogni parete, era come passeggiare in un cielo stellato.
Ärys sentiva la mano del suo amico stretta nella sua, provò un senso di sicurezza mai sentito prima d’ora, lo sguardo vagava per tutta la stanza, e si sentì come intrappolata in un sogno, un sogno dal quale non avrebbe più voluto svegliarsi e, col cuore in gola dall’emozione, seguiva Dan sicura, senza preoccupazioni. Avrebbe giurato che le gambe si stessero muovendo da sole.
Brillavano, vorticavano, le sentiva così vicine, come se le potesse toccare, stringere a sé per avere un minimo della loro calda e confortante luce.
Il pupazzo si fermò, dinnanzi alla parete, dove c’erano altre stelle, l’intera stanza emanava un bagliore astrale, che, nonostante l’oscurità, riusciva a rendere illuminata la stanza, i giocattoli -dai peluche a quelli di legno e di plastica- che prima sostavano nelle ceste e sopra le scatole o per terra, avevano formato un semicerchio dietro ai ragazzi, fissandoli con i loro occhietti vispi ed incuriositi. Un coniglietto sgualcito di pezza si scambiò un’occhiata complice con un soldatino di legno dai baffi neri ed un robottino di colore rosso e nero a carica, lasciandosi sfuggire una sorrisino intenerito.
- Queste sono le stelle. –
- E sono tue? –
Domandò curiosa lei, senza distogliere gli occhi da quello spettacolo meraviglioso, Dan sorrise divertito, un sorriso che andava da una guancia all’altra, uno di quelli veramente contenti; scosse la testa di legno, stringendo più forte la mano della bambina, senza accenno di volerla lasciare.
- No, non sono le mie stelle. –
La guardò con i suoi occhi azzurro ghiaccio, che riuscivano ad emanare un calore ed una serenità che non sapeva descrivere, sapeva solo che era bella; anzi, bellissima. I loro guardi s’incrociarono, ed entrambi sorrisero di felicità.
- Sono le nostre stelle. –
 

 

Tic tac… Tic tac…
“iT’S lAtE fOR ThEM NoW”
Tic tac… Tic tac…





 
Angolo Autrice

Ma salve a tutti voi, cari lettori, sono sempre io, la vostra unica, amata ed insostituib-
Maiko: Risparmiaci la recita, vogliamo andare a casa, fa caldissimo qui.
Eh, ma, la mia entrata in scena?
I Dieci: Risparmiaci tutto lo spettacolo teatrale, piccì, e concludi in fretta.
Quel "piccì" mi urta assai.
Irvine: E tu urti noi con i tuoi angoli autrice chilometrici.
*Sbuffa* Dicevo, finalmente mi sono decisa a riprendere la mano con il PC, era troppo che non mi cimentavo nella tesura di una shot, così...
Eccomi qui!
Diciamo che è particolare questa, è la primissima volta che parlo dei miei due bambini qui presenti. Cioè, almeno di Dan, della scema prima avevo già scritto una storia, però, insomma, non mi era mai capitato di introdurli entrambi nella stessa storia; ringrazio la mia carissima Kira03 che si offre di di darmi pareri prima di pubblicare, anche perché non mi piaceva affatto come era uscita, ma vabbe'. xD 
(Donate autostima a Sakura)
Io la finisco qui, che altrimenti mi maciullano male!
Alla prossima!
One kiss

- Hao Sakura

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Hao Sakura