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Autore: LaSignorinaRotterMaier    18/06/2018    3 recensioni
[ Classificata 3 al contest Phobos e Deimos 2edition indetto da Meryl watase sul forum di efp. ]
Qualche volta vorrei poter scappare nel mondo della mezzanotte. Quello è un luogo in cui le tenebre saturano l’aria, dove tutto è sempre freddo come il marmo, lì nessuno ha un nome e vivere non è una continua scommessa. Lì, posso nascondere il mio cuore spezzato, che agonizza per sopravvivere. Lì nessuno mi vedrà piangere con le lacrime di un’anima derelitta. Troverò la pace del mio spirito nel buio e gelido mondo della mezzanotte.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nessun contesto
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. World of Midnight .

 
 
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<< Someday I want to run away
To the World of Midnight
Where the darkness fills the air
Where it's icy cold
Where nobody has a name
Where living is not a game
There, I'll hide my broken Heart
Dying to survive
There no one can see my cry
tears of my lonely soul
And I'll find peace of mind
In the dark and cold world of midnight
Midnight.
Midnight.>>
 
 
 
 
Canticchio, dondolandomi avanti e indietro, tremolante come una foglia. Questo è l’unico modo che riesce a calmarmi, mentre i miei occhi aperti sono completamente accecati dal buio che mi circonda. Non vedo niente e continuo con quella cantilena nonostante la mia voce incomincia ad affievolirsi dalla paura, fino a diventare un flebile sussurro.
Dove mi trovo?
La violenta luce di un neon irrompe improvvisamente nel mio campo visivo facendo ridurre le dimensioni delle mie pupille, a tal punto da farmi diventare momentaneamente cieca. Delle mani mi prendono con la forza e mi sbattono su una superficie scomoda.
 
<< Ahahahahah, cazzo! Quindi, le voci sono vere! >> sostiene allegro, mentre preme la mia guancia sul freddo acciaio del tavolo, assicurandosi che io resti ferma.
 
<< Prima che venga il capo, chi vuole divertirsi un pò? >> urla a squarciagola qualcuno, mentre sento in sottofondo delle grasse risate.
 
<< Chi mai tromberebbe con un obbrobrio del genere? Guardatela! Ha delle corna che sbucano dalla testa! >>
 
<< Che cazzo è questa…cosa?! >>
 
Li sento sghignazzare ancora più forte e il mio cuore manca di un battito quando avverto una mano afferrarmi le corna.
 
<< Possono essere molto sexy, invece! >> continua, tirandomi verso l’alto.
 
<< Se ti piace così tanto, allora perché non te la fai? Sperando almeno che abbia una figa! >>
 
Le risate continuano a riempire la stanza e io non capisco il motivo di tutta quella ilarità. Improvvisamente, altre mani iniziano a toccarmi i polpacci e a salire pian piano verso l’interno coscia. Inarco la schiena quando quelle dita sfiorano la mia femminilità e un boato divertito si scatena nella cella.
 
<< Ce l’ha, ce l’ha! >>
 
<< Vediamo se ha anche le tette! >> dice un altro, mentre posiziona le mani sul mio petto e mi stringe forte, facendomi male.
 
<< Spostatevi, maledetti stronzi, voglio farla urlare come una cagna in calore! >> esclama colui che aveva tra le mani le mie corna.
 
Mi denudano completamente e, in preda al panico, tento di nascondere il mio corpo spogliato ma mi tengono ferma e mi spalancano le gambe. Pian piano i miei occhi iniziano ad abituarsi alla luce e riesco ad intravedere delle ombre nere accerchiarmi minacciosamente.
Mi trovo in una cella.
Il mio respiro si fa sempre più corto, soprattutto quando percepisco qualcosa di caldo e duro poggiarsi sulla mia intimità.
L’idea di loro che non spariscono dalla mia vista mi agita, sento una repulsione insopportabile, qualcosa di troppo, un fastidio ed un affanno lacerante che mi serrano la gola, come due grandi mani violente. Distendo e contraggo vigorosamente le dita delle mani e dei piedi mentre i miei occhi sono così spalancati che lacrime disperate scivolano lungo le mie guance sbiancate per la mancanza di idratazione.
Lasciatemi, maledizione! Lasciatemi!
 
<< Cazzo!! Cazzo cazzo cazzo!! >>
 
<< Che le prende?! >>
 
<< Dobbiamo fermarla subito!! >>
 
<< CAZZO!! >>
 
<< ABBATTETEL >>
 
<< Sotto comandante! >>
 
<< Mayday! Mayday! Zerosette è fuori controllo! >>
 
<< Continuate a sparare, maledizione! >>
 
<< Sta cercando di fuggire! >>
 
<< Abbiamo bisogno di soccorsi! >>
 
<< Dannazione, annientatela! >>
 
Teste mozzate.
 
<< Che tu possa andare all’inferno! >>
 
Corpi sfigurati.
 
Il suono dell’allarme mi penetra nei timpani e il mio sguardo si ritrova a fissare un grosso pezzo di vetro, che trapassa il petto di un soldato. Occhi rossi come il rubino e corna lunghe come quelle di un cervo. Chi è quella figura inquietante davanti a me? Chino il capo per guardarmi le mani, le mie mani… grondanti di sangue. Mi si offusca la vista e lancio un urlo disumano, cascando sul pavimento diventato oramai rosso.
Voglio scomparire!
Mi alzo tremante e raccolgo da terra un cappotto militare. Mi copro le spalle e scavalco una finestra.
Il cielo non ospita nessuna stella stanotte, è del tutto oscurato dalle nubi. Salto da un tetto all’altro, in modo da lasciarmi alle spalle l’inferno e cercare il mondo della mezzanotte.
 
Quello è un luogo in cui le tenebre saturano l’aria, dove tutto è sempre freddo come il marmo, lì nessuno ha un nome e vivere non è una continua scommessa. Lì, posso nascondere il mio cuore spezzato, che agonizza per sopravvivere. Lì nessuno mi vedrà piangere con le lacrime di un’anima derelitta. Troverò la pace del mio spirito nel buio e gelido mondo della mezzanotte.
 
 
 

 
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Sono ormai lontana dal laboratorio ma, attratta da un odore pungente, mi trovo ad affondare i piedi nudi e sporchi in sottili granelli scuri. Cosa è questa sensazione?
Cammino a passo lento per razionalizzare quelle strane emozioni ma, qualcosa di liquido e gelido mi accarezza le caviglie. Salto dallo spavento, ritrovandomi col sedere a terra e completamente zuppa. Maledizione, ma dove sono finita?
Rivolgo lo sguardo all’orizzonte e i miei occhi si spalancano di fronte a quella vastità scura. Nell’aria c’è un suono piacevole e rilassante, che riesce a distendere tutti i miei muscoli tesi e contratti dal nervosismo. Mi alzo gradualmente da terra, continuando a tenere gli occhi sbarrati per la sorpresa. Improvvisamente un’ombra all’orizzonte cattura la mia attenzione. Si avvicina pericolosamente a me. Dannazione, come hanno fatto a trovarmi?
Indietreggio, mettendomi immediatamente sulla difensiva ma un raggio lunare esce timidamente allo scoperto, schiarendo la figura alta e slanciata, dai sottili capelli scuri come la notte e la carnagione bianca come le stelle. Non sembra essere uno di quegli uomini nella cella ma, per istinto di sopravvivenza, mi allontano. Nemmeno il tempo di fare dietrofront, che qualcosa mi ferisce il piede e finisco con l’inciampare. Di fretta e furia, afferro l’arto leso, notando che è conficcato un pezzo di vetro nella pelle.
Tremo di dolore ma tento ugualmente di tirare fuori quel frammento trasparente senza successo.
Merda!
Merda!
Merda!
Mi alzo nonostante il dolore ma qualcosa mi tiene stretto il braccio. NO! Non voglio tornare lì!
Non voglio!
Non voglio!
Non voglio!
 
<< Ehi, tutto bene? >>
 
Mi giro di scatto verso quella voce profonda e subito vengo inghiottita da un paio di iridi tenebrosi. Rimango interdetta di fronte a quello sguardo incorniciato da folte ciglia nere, non riesco a staccargli gli occhi di dosso! Il piede pulsa dal dolore e, di fronte a quella straordinaria bellezza, perdo l’equilibrio, finendo col sedere a terra.
 
<< Fammi controllare il piede >>
 
Lo guardo con diffidenza ma lui, senza lasciarsi intimorire, prova a prendere il mio piede ferito. Ritraggo immediatamente l’arto, ringhiandogli contro. Il mio corpo, oramai, è stato programmato per ritrarsi indietro da qualsiasi tipo di contatto con un altro essere vivente. In laboratorio, tutti violavano la mia privacy, ignorando il mio disappunto.
 
<< Non insisto. Ma sappi che non potrai camminare a lungo con quel vetro piantato nel piede >>
 
Non potrò camminare? Come farò a scappare, nel caso i soldati mi dovessero trovare? Maledizione! Cerco di rimuovere in preda al panico quell’affare da lì ma le mie unghie lunghe ed affilate mi stanno mettendo in seria difficoltà.
 
<< Torno subito >>
 
Non gli presto la benché minima attenzione, troppo impegnata ad estrarre quel coccio di vetro dal piede. Ritorna in poco tempo con una scatola bianca e rossa in mano. Tira fuori degli arnesi e, osservandoli per bene, noto che alcuni assomigliano a quelli che gli scienziati utilizzavano su di me in quella maledetta cella. Cosa vuole farmi? Ringhio contro quegli oggetti ma questo non sembra aver messo paura allo sconosciuto. Versa del disinfettante su un batuffolo di cotone e, infine, prende una pinza lunga e sottile, deciso ad avvicinarsi a me. Allontanati, dannazione! Chiudo gli occhi di scatto e un bruciore allucinante mi pervade improvvisamente il piede. Istintivamente, salto addosso a quello sconosciuto, ritrovandomelo sotto di me e con le mie corna puntate contro.
 
<< Devo suturare la ferit- >>
 
Gli ringhio nuovamente addosso, senza lasciargli il tempo di concludere la frase.
 
<< Ripeto: devo suturare la ferita >>
 
Quella insistenza mi irrita.
 
<< Stai perdendo molto sangue, finirai per svenire se non mi lasci operare >>
 
Cosa diamine sta blaterando?  Accidenti, devo assolutamente allontanarmi da qui, non mi fido di lui. Ma il suo viso inizia a diventare offuscato e il tono di voce sempre più impercettibile. Pian piano, le forze mi abbandonano e casco su quel suo corpo muscoloso e umido, perdendo completamente i sensi.
 
  
 
 

 


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È buio. 
C’è un cervo bianco che mi fissa, attentamente.
Rimango paralizzata di fronte a quelle corna lunghe e affilate. Ho paura.
Il cuore batte forte, i miei occhi diventano lucidi. Sono sul punto di piangere. Chiudo di scatto gli occhi, pregandolo mentalmente di lasciarmi in pace e, quando li riapro, noto qualcosa di strano. Il cervo è scomparso ma, al suo posto, c’è un serpente dagli imperscrutabili occhi gialli. Quest’ultimo si lancia contro di me, mordendomi il collo. Tento di allontanarlo ma il veleno che è oramai entrato in circolo, mi brucia le vene e le viscere. Urlo disperatamente dal dolore, finché non vedo il rettile diventare cenere e un’ombra bianca comparire dinanzi a me. Spalanco gli occhi, toccandomi lentamente la testa.
Quelle corna ramificate sono piantate nel mio cranio.
Mi guardo le mani e le unghie sono mostruosamente appuntite.
Quella sagoma sono… io.

 
 
 
Sbarro gli occhi e balzo in piedi, completamente senza fiato. Poggio le mie mani tremanti sulle mie corna, ricordando quel brutto incubo. È come se quel sogno stesse cercando di dirmi qualcosa ma non riesco a comprendere pienamente il suo significato. Mi guardo intorno e mi rendo conto di trovarmi in un luogo sconosciuto. L’ambiente è leggermente illuminato da una luce giallognola, proveniente da un’oggetto a forma di fungo. In laboratorio, la luce artificiale proveniva da dei faretti infissi nel soffitto. È curioso.  Attirata da quella bizzarra forma, mi avvicino e, con cautela, poggio un dito al di sopra della superficie. È sorprendentemente liscia e piacevole al tatto. Continuo a perlustrare la zona con lo sguardo, notando dei disegni strambi spiaccicati al muro. Ad un tratto, una struttura enorme cattura la mia attenzione. Mi avvicino e afferro con attenzione un oggetto squadrato, colorato e con dei strani segni incisi sopra. Cosa sarà?
 
<< È un libro >> ad un tratto, una voce familiare, salta fuori spaventandomi << Hai fame? >>
 
Il mio sguardo perlustra la zona e subito viene invaso da quel ragazzo irritante.
Rimango sulla difensiva, finché non lo vedo posare qualcosa su un tavolino - posta di fronte a qualcosa all’apparenza soffice e accogliente - lasciandomi da sola. Allontano pian piano la distanza tra me e quella grossa ciotola, fino a fiondarmici sopra non appena avverto un delizioso profumino invadermi le narici. Dai miei occhi fuoriescono delle lacrime, non mangio qualcosa di così buono da quando sono viva. In laboratorio, mi somministravano nutrienti per via venosa. Fagocito l’ultimo boccone e sorrido soddisfatta di quel pasto.
 
<< Vedo che ti è piaciuto >>
 
Ricompare quel ragazzo, sbucando da dietro una porta. Salto dallo spavento e mi rimetto sulla difensiva, ringhiandogli ancora una volta contro.
 
<< Non volevo spaventarti >> dice, entrando completamente in stanza << Ho bisogno, però, che tu ti fida di me. Quando ti deciderai a farlo? >>
 
<< Perché dovrei fidarmi di te? >> gli domando, afferrandomi le corna.
 
Come può un comune essere umano non sconvolgersi nel vedermi? È proprio per questo che non riesco a fidarmi di lui.
 
<< Per nessuna ragione, in particolare. Semplicemente, non hai scelta >>
 
Quella risposta mi ha infastidita e non poco. Mi avvicino a lui, puntandogli minacciosamente le corna contro.
 
<< Perché non hai paura di me? >> lo guardo diritto nei suoi occhi impassibili.
 
<< Perché dovrei? >> risponde con un’altra domanda, incrociando le braccia al petto, quasi scocciato << Credi davvero di essere l’unica a rendere sbagliato questo mondo? Anche gli esseri umani hanno la loro parte di colpa. Io e te non siamo così diversi, in fondo >>
 
Lo fisso stranita. N-Non siamo così diversi? Cosa vuole dire? Lui non ha le corna che gli sbucano dalla testa e nemmeno degli artigli che spuntano dalle dita. Mi sta prendendo in giro, forse?
Improvvisamente, la sua mano afferra la mia e, senza che avessi modo di reagire, mi trascina via con lui. Mi sento spaesata. Come può non avere paura di me? Come riesce ad afferrare questa mano assassina, senza esitazione?
 
<< Dimmi, cosa provi quando guardi il mare? >> mi chiede, ad un tratto, mentre siamo fermi di fronte all’immenso.
 
È così che si chiama, allora. Mare. Chiudo gli occhi e ascolto la sua melodiosa cantilena e mi rilasso istantaneamente. I pensieri si alleggeriscono e non posso fare altro che sorridere debolmente a quella bellissima sensazione di pace.
 
<< Anche tu provi dei sentimenti, proprio come un essere umano. È questo il motivo per cui io non potrei mai avere paura di te >>
Lo guardo esterrefatta. Chi diavolo è questo tizio? È la prima volta che qualcuno mi parla come se fossi un suo pari.
 
 

 
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Le sue mani sbottonano lentamente il cappotto militare sporco e impregnato di sangue intanto il rumore dell’acqua che riempie la grossa cisterna in ceramica bianca, non aiuta per nulla a rilassarmi. Ho le guance in fiamme e non riesco a capirne il motivo. Vorrei potermi spogliare da sola ma mi sento inspiegabilmente debole. Oltre alla ferita dolorante, liberarmi di quel comportamento ostile nei suoi confronti mi ha sollevata dalla tensione a tal punto da non riuscire a compiere nessun movimento di senso compiuto.
Mi sento strana.
Cosa mi succede?
Lo vedo prendere un grosso telo bianco e porgermelo, con lo sguardo rivolto al lato opposto al mio.
 
<< Indossa questo >>
 
Afferro quel pezzo di stoffa e circondo il mio corpo nudo, non capendo il perché si stesse comportando in quel modo.
 
<< Riesci a lavare via quel sangue? >> mi chiede, continuando a non guardarmi in viso.
 
<< S-si. Devo immergermi lì? >> gli domando, sperando che ritornasse a degnarmi di uno sguardo.
 
<< Si, ti ho lasciato dei vestiti puliti e il sapone sul bordo della vasca >>
 
<< Sapone? >>
 
Lo sento sospirare e, finalmente, si volta verso di me, serrando le mascelle. Sono proprio una stupida. Devo sicuramente fargli ribrezzo con questo odore di morte addosso. Una fitta dolorosa mi pervade il cuore perché, anche se volessi, non posso negare la realtà dei fatti: io sono una schifosa assassina.
 
<< Il sapone ti aiuterà a togliere il sangue dalla pelle. Strofinalo sulle mani e poi passalo su tutto il corpo >> dice, rivolgendomi di nuovo le spalle << Ti aspetto in salotto >> conclude, andandosene via da me.
 
Chino il capo, stringendomi nelle spalle. Mi dispiace, mi dispiace di essere quella che sono. Mi avvicino alla vasca e m’immergo dentro, avvertendo tutti i cattivi pensieri sciogliersi pian piano. Prendo il sapone, lo strofino prima sulle mani e infine lo passo sul collo, sulle spalle e lungo le braccia. Il sangue sta andando via e, appena vedo l’acqua limpida macchiarsi di rosso, vado letteralmente in panico. Sfrego energicamente il sapone sulle mani e noto che queste ultime iniziano ad irritarsi.
Sono un’assassina!
Sono una maledetta assassina!
Mi faccio schifo!
Sono disgustata da me stessa e, arrivata al limite della sopportazione, mi alzo dalla vasca con l’urgenza di uscire da lì, di andare da lui e ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per me, prima di andarmene via.
Voglio scomparire.
Lo raggiungo in salotto e lo vedo mentre legge un libro, assorto nella sua lettura. Barcollo di qua e di là, riuscendo a stento a stare in piedi. La ferita al piede inizia a bruciare e, incapace di fare un altro passo, casco a terra, attirando l’attenzione di quello sconosciuto.
 
<< Cosa ti è successo? >> mi chiede, avvicinandosi a me e coprendomi con la sua felpa.
 
<< Io e te non siamo uguali! Io sono una schifosa assassina! Tu dovresti odiarmi e non trattarmi come un essere umano! Smettila di guardarmi come se fossi un tuo pari, io sono un mostro! È questa la realtà dei fat-/ >>
 
La frase viene interrotta da qualcosa di morbido che si posa sulle mie labbra. Rimango immobile, incapace di razionalizzare quello che sta accadendo in quel preciso istante. La sua bocca si stacca dalla mia per qualche secondo e lo vedo con gli occhi lucidi. Ho il fiato corto e la tachicardia, mi sento in fiamme. Ancora. Le sue labbra sono ancora una volta sulle mie.
La sua lingua mi penetra la bocca e la sento muoversi dentro di me, con veemenza. Guidata dall’istinto, assecondo il suo movimento e finisco con le spalle contro il pavimento, mentre lui è sopra di me con il capo chino.
 
<< Ti mostri nuda davanti ad un uomo ed io vedo perfettamente che tu sei una donna >>
 
Semplicemente una donna?
Sono stanca. Che cosa ho fatto per subire questo? Che cosa vuole quest’uomo da me?
Appoggio un avambraccio sulla fronte, coprendomi gli occhi straripanti di lacrime. Ho sempre desiderato il mondo gelido della mezzanotte, isolarmi, scomparire. Ma il cielo continua a mostrarmi questa bellissima scia di stelle luminose e sento il desiderio di poter condividere ciò con qualcuno. Non voglio sentirmi sola.
Le sue mani scendono giù, verso la cerniera della felpa - che è riuscito precedentemente ad infilarmi – e la tira su, coprendo il mio corpo nudo. Mi afferra il polso e io, senza nessuna resistenza, lascio che mi scopra gli occhi lasciandomi cullare dalle sue immotivate premure.
 
<< Chi sei tu? >> gli chiedo, oramai priva di qualsiasi ostilità nei suoi confronti.
 
<< Sono Sasuke >> mi risponde piano, sorridendo amaramente.
 
 
 
 
 
 
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Sono sdraiata sul divano – è così che Sasuke lo ha chiamato – e non riesco a dormire. Continuo a toccarmi le labbra, con la testa piena di ciò che è appena accaduto.
È stato…piacevole.
Mi giro e mi rigiro sul divano tremendamente irrequieta. Decido di alzarmi e inizio a girovagare per la stanza. Non posso fidarmi di lui, è un estraneo, dannazione! Eppure mi lascio trascinare dalla sua bellezza e dalla sua umanità, qualsiasi cosa lui dica o faccia.
Umanità…E se Sasuke, in realtà, non fosse affatto un essere umano? E se fosse come me? Decisa a voler dare risposta a quei miei quesiti, tramite il mio sviluppato olfatto, individuo l’odore di Sasuke e lo raggiungo nella sua camera da letto. Apro e richiudo silenziosamente la porta alle mie spalle. I miei passi sono felpati come quelli di un felino, nel mentre mi avvicino al letto sul quale Sasuke riposa.
Mi siedo a terra, di fianco alla sua sagoma stesa, avvicino le ginocchia al petto e rimango incantata dal suo volto illuminato dal delicato bagliore lunare. Gli libero la fronte da una ciocca di capelli, pensando a quanto fosse bello. I miei occhi squadrano il suo profilo, per poi finire a fissare le sue labbra schiuse. Le mie guance si tingono di rosso al pensiero che quella bocca ha toccato la mia. Anche se è difficile ammetterlo, mi piacerebbe assaporarle ancora. Quel contatto è più intimo di qualsiasi gesto, di qualunque parola. Immergo la mano nei capelli rosati, corrugando lo sguardo dalla rabbia. Vorrei potergli stare accanto come donna ma è impossibile. Io sono un mostro. Respiro profondamente, scacciando via ogni malessere interiore e ritorno lucida sul motivo per cui sono piombata in camera sua. Mi avvicino ancora di più a Sasuke, tentando di trovargli qualsiasi cosa lo rendesse inumano ma, per ora, soltanto una catena attorno al collo è riuscita a catturare la mia attenzione. Afferro delicatamente la catenina, tirandola fuori dalla sua maglia e quello stemma familiare inciso sulla medaglietta metallica mi destabilizza. 
 
<< Che ci fai qui? >>
 
Salto dallo spavento, cadendo col sedere rovinosamente per terra. La voce di Sasuke mi coglie impreparata e, non sapendo come giustificare la mia presenza, resto muta spostando il mio sguardo altrove. Borbotto delle scuse ma vengo prontamente presa per un braccio.
Rimango con la testa china, mentre lo sento alzarsi dal materasso. Mi fa male il petto. Non riesco a respirare regolarmente. Cosa mi sta succedendo? Sasuke mi aiuta ad alzarmi e il mio sguardo rimane fisso su quella collana mentre dei pizzichi mi tormentano lo stomaco.
 
<< Siediti qui >> mi dice, trascinandomi gentilmente sul letto.
Mi siedo e lo vedo mentre si leva la collana da dosso, mostrandomela meglio.
 
<< Ti ricorda qualcosa questo stemma? >>
 
Scuoto la testa, anche se provo un’insensata nostalgia.
 
<< Capisco >> mi risponde, sospirando con delusione.
 
<< Cosa significa quella incisione? >> gli domando, per capire il motivo per cui sono pervasa da un’improvvisa tristezza.
 
Lo vedo indossare di nuovo quel sorriso malinconico, chiudendo la collana nel suo pugno. Si accomoda su di una sedia in pelle nera, mettendosi di fronte a me. È agitato. Le sue mascelle strette lo confermano.
 
<< Non ha più alcun significato >> si limita a dire, mantenendo lo sguardo basso.
 
Non vuole parlarne, è evidente. Ma, ho la necessità di sapere di più riguardo quella collana. È così familiare, così inaspettatamente vicina ai miei ricordi. Senza rendermene conto, gli afferro le mani, incitandolo implicitamente ad aprirsi, a raccontare la sua storia. Come tutta risposta, Sasuke si scosta da me, mostrandomi inaspettatamente il retro della medaglietta metallica.
 
<< 28 marzo >> mi guarda diritto negli occhi, mettendomi soggezione.
 
<< Cosa vuol dire? >>
 
<< È una data >>
 
<< Una data? >>
 
Si prende qualche minuto di pausa. Si mordicchia il labbro inferiore, indossando nuovamente la collana.
 
<< Oramai non c’è più modo di tornare indietro >>
 
<< Tornare indietr- >>
 
Vengo interrotta da un forte rumore, simile ad uno sparo. Mi hanno trovata? Mi alzo di scatto dal materasso e mi avvicino alla finestra. La visione di una sottile luce che spacca il cielo in due parti, scuote qualcosa nel mio cervello. Il fiato si fa sempre più corto e il cuore batte all’impazzata, da farmi tremare la gabbia toracica.
 
 
 
 
È buio.
Ho paura.
Mi battono i denti dal freddo.
Mamma, perché non vieni a prendermi?
Questo posto mi terrorizza! Mamma, ti prometto che mangerò tutto quello che mi preparerai, senza fare capricci. Ti prego, mamma, aiutami ad uscire da qui.
Appare una luce.
Mamma? Sei tu? Ma… i tuoi occhi non sono gialli, mamma. No, non sei tu. C’è uno sconosciuto che mi sorride e quel suo ghigno mi inquieta. Dove sei, mamma?

 
<< Ehi >>
 
Un altro sparo.
 
<< Fallo smettere! >> urlo, tappandomi le orecchie e cascando sul pavimento, in preda al panico.
 
 
 
 
Mi prende con la forza. Cerco di resistergli, ma il mio corpo è troppo minuto ed esile per sovrastare la sua forza.
 
<< Lascia stare la mia bambina! >>
 
Mamma! Finalmente sei qui! Mamma, voglio essere tra le tue braccia. Ti scongiuro, salvami da questo estraneo!
Degli spari?
Mamma? Perché sei stesa per terra? Mamma? Svegliati! Non è il momento di dormire! Voglio stare con te! Mamma! Mi stanno portando via! Mamma! Per favore, alzati… Mamma!

 
 
 
 
Non voglio provare ancora questo dolore al petto. Non ne posso più! Aiutatemi… Aiutatemi! Qualcosa mi afferra la spalla e nella mente appaiono immediatamente quei occhi gialli e ipnotici come quelli di un serpente.
Maledizione, lasciami stare! Portami indietro dalla mia mamma!
 
<< S-Sakura >>
 
Quella voce mi riconduce immediatamente alla realtà. Sgrano gli occhi alla vista del volto sofferente di Sasuke. Mi sale il panico e tento di avvicinarmi a lui ma, la mia mano è incastrata dentro qualcosa di duro ma al tempo stesso viscido.
Sasuke? Sputi sangue dalla bocca, cosa ti sta succedendo? Respiro affannosamente e nemmeno il rumore della pioggia che batte sulla finestra riesce a rilassarmi. Sasuke? Perché mi guardi con quegli occhi spenti? Sasuke! Del sangue cola dal suo addome, fino a macchiare di rosso il lucido pavimento bianco.
 
<< Sasuke? >> urlo, dalla disperazione.
La mia mano rimane ancora dentro il suo ventre. Non riesco a muoverla. Cosa ho fatto?
 
<< Non voglio che tu muoia! Sasuke, cosa devo fare? Ti prego, dimmelo! >> grido, mentre piango sul suo petto << Ci siamo già smarriti una volta, non voglio perderti ancora! >>
 
<< T-tira fuori la mano >> dice, improvvisamente Sasuke, con voce flebile, simile ad un sussurro << Donami…un po'… del tuo… sangue >> conclude.
 
Nelle condizioni in cui è, non riuscirebbe a berlo autonomamente. Guardo le sue labbra schiuse e fatica a respirare. Maledizione, devo sbrigarmi! Mi mordo il labbro inferiore a tal punto da farlo sanguinare e mi avvicino alla sua bocca, baciandolo. Il mio sangue entra direttamente dentro di lui e pian piano estraggo la mano dal suo addome.
Mi allontano da Sasuke e la mia attenzione si sposta immediatamente sul suo ventre. Quel liquido rosso continua a fluire… N-Non ha funzionato!? Ritorno a fissarlo, in preda al terrore. Il suo capo è chino e un rivolo del mio sangue gli scende dal labbro.
 
<< Sasuk- >>
 
Il suo urlo improvviso, m’interrompe. Sta impazzendo di dolore. Mi porto le mani davanti agli occhi, non avendo il coraggio di guardarlo così sofferente. È tutta colpa mia! Lui è in quello stato per colpa mia! Io non dovrei essere qui, non sarei dovuta entrare nella sua vita. Le sue grida smettono di riempire la stanza, dandomi la forza di guardarmi intorno.
 
<< Sto…Sto…bene >> dice Sasuke, avendo il respiro affaticato ma riuscendo ad alzarsi in piedi.
 
La sua ferita è completamente rimarginata. Le labbra mi tremano e, senza riuscire più a trattenermi, le lacrime scendono copiose sulle mie guance arrossate. Non m’importa sapere come fossi riuscita a guarirlo, lui è qui, con me!
Sasuke si sdraia lentamente sul letto, troppo stanco e affaticato per pronunciare qualsiasi parola. Mi siedo, quindi, affianco alla sua figura stesa, vigilando su di lui, affinché non gli succedesse più nulla.
 
 
 
 
 
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<< Perché non riesci a capirlo? Se sono ancora vivo è grazie a te >>
 
<< Tu stavi morendo grazie a me! Se non fossi ritornata lucida io… io sicuramente non sarei stata capace di fermarmi >>
 
<< Ma lo hai fatto, ti sei fermata >> dice, mentre tira un sospiro seccato << È inutile continuare questo discorso >> conclude, innervosendosi.
 
Siamo in salotto e lui sorseggia del liquido scuro, cercando di rilassarsi ma, senza successo. La ferita, seppur cicatrizzata, sembra fargli ancora troppo male. Infatti, questo non gli permette di essere completamente autonomo nella deambulazione. Lo guardo, corrucciando la fronte: non sono un’eroina, dannazione! Gli ho perforato lo stomaco e lo ho ridotto in fin di vita… Perché si ostina nel guardarmi in quel modo?
 
<< Piuttosto, vorrei sapere… >> dice, improvvisamente Sasuke, poggiando la tazza sul tavolino posto di fronte a lui << Cosa ti ha fatto perdere il controllo? >> continua, guardandomi fisso negli occhi.
 
Ho un groppo alla gola che non mi permette di parlare. Aspetta paziente, quasi esitante, ma non ho idea di cosa dirgli, perché nemmeno io so cosa è appena accaduto.
 
<< N-non lo so >>
 
Lo vedo mentre abbassa lo sguardo e la sua frustrazione mi confonde. Quasi come se non avesse scelta, con estrema difficoltà, si alza e, mantenendosi lo stomaco, fa per andarsene ma sento la necessità di dovergli dire qualcosa; qualcosa che non riesco più a trattenere dentro di me.
 
<< Forse… >> dico, guardando esasperata la sua schiena << Forse, ci conosciamo già? >>
 
Solo in quel momento mi degna del suo sguardo e io non riesco a sorreggerlo. Mi guardo intorno, imbarazzata.
 
<< Cosa ti fa pensare che già ci conosciamo? >> mi risponde, avendo le braccia conserte.
 
<< Io…Io ho già perso il controllo in passato, ma questa volta la tua voce è riuscita a calmarmi >> avvicino le mani al petto << La tua presenza mi fa sentire come a casa. Non so spiegarti bene… Scusami >> 
 
Rimane in silenzio, come se stesse aspettando che io continuassi il discorso.
 
<< Hai citato un nome, prima >> proseguo << Chi è? >> domando, incuriosita.
 
<< Sei tu >> ribatte subito, mentre si accomoda sul divano, stanco di stare in piedi.
 
<< Sono… io? >>
 
<< Si, tu sei Sakura Haruno >> risponde Sasuke, portandosi le mani sulla catenina per sfilarla e mostrarmi nuovamente il retro della medaglietta.
 
<< 28 marzo?  >> gli chiedo, corrugando la fronte nel mentre sfioro con le dita quell’incisione.
 
<< È il giorno in cui sei nata >> mi dice, lasciandomi tenere la collana tra le mani.
 
<< Che vuoi dire? >>
 
<< Che eri un comune essere umano, Sakura. Ma sei stata trasformata in un homunculus >>
 
<< Homunculus? >>
 
<< È una forma di vita artificiale, concepita dall’unione di un essere umano e un animale >>
 
<< Per… Perché sono stata trasformata in un homunculus? >> il fiato inizia a farsi corto ma cerco di mantenere la calma. Non voglio perdere di nuovo il controllo.
 
<< Per dimostrare che la vita può essere ricreata a proprio piacimento >> dice; riesco ad intuire del disprezzo nelle sue parole.
 
<< Ma… ma perché proprio io? >>
 
Sasuke si sistema meglio sul divano, serrando le mascelle dal dolore per quella fastidiosa infezione.
 
<< Per nessun motivo in particolare. Sei… >> s’interrompe, improvvisamente << Siamo soltanto dei sopravvissuti della guerra >> si corregge, ingoiando un groppo di saliva formatosi dal nulla.
 
<< Soltanto dei sopravvissuti della guerra? Non…Non capisco >> mi tocco le tempie doloranti. Non riesco a razionalizzare quello che Sasuke mi sta dicendo.
 
<< Dodici anni fa, ci fu un devastante conflitto mondiale che portò via molte vite umane >> generalizza Sasuke, con espressione rabbuiata << I bambini furono gli unici ad essere stati risparmiati ma, furono resi oggetti di esperimenti per i governi vincitori >> concluse, corrugando la fronte e chiudendo gli occhi per il forte dolore causato da quei strazianti ricordi.
 
Mi vengono in mente le immagini di mia madre fucilata, nel tentativo di salvarmi da quell’uomo dagli occhi gialli, simili a quelli di un serpente. Raccolgo le ginocchia al petto, mentre sono seduta sul divano, accanto a Sasuke. Non ci sono parole per descrivere quello che sento. Avverto soltanto tanta rabbia, un forte odio che mi sta divorando fin dentro le viscere.
 
<< Dove sono gli altri? >>
 
<< Alcuni sono morti durante le varie sperimentazioni. Altri, invece, sono stati abbattuti >>
 
<< Abbattuti? Perché? >> dico, girandomi di scatto verso di lui, che ha la testa poggiata sul morbido schienale del divano.
 
<< La loro indole violenta li ha condannati, avevano ormai perso per sempre la loro coscienza >>
 
Ritorno a guardare davanti a me, riflettendo sulle mie momentanee perdite di lucidità. Ho ammazzato delle persone, sono arrivata al punto di colpire mortalmente Sasuke… Perché io sono ancora viva?
 
<< Tu sei il miglior homunculus mai riuscito in tutti questi anni >> esordisce, improvvisamente, come se mi avesse letto nella mente.
 
<< Se sei un sopravvissuto della guerra come me e non ti hanno ammazzato ancora, vuol dire che non sono l’unico esperimento riuscito >> controbatto, stringendo tra le mani la sua collana.
 
<< Io non sono un homunculus >>
 
<< Allora chi sei? >>
 
<< Sono colui che ti ha creata >>
 
 
 
 
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Senza pensarci due volte, sono scappata da Sasuke, sfondando una finestra: non sono più al sicuro accanto a lui. Corro più veloce che posso, mentre la pioggia batte su di me, come se una miriade di pugnali mi stesse trapassando il corpo. Digrigno i denti, piangendo lacrime amare per la ferita al cuore che Sasuke mi ha procurato. Fa male, fa dannatamente male. Improvvisamente, delle luci mi accecano e, mettendo a fuoco l’ambiente intorno a me, mi accorgo di essere circondata da dei soldati.
 
<< Se farai un solo passo, apriremo il fuoco >>
 
Rimango immobile, guardando quella schiera di militari con davanti degli scudi antisommossa. Sono in trappola.
Porto una mano sul petto, stringendo tra le dita la felpa di Sasuke.
I soldati mi abbassano il capo, con violenza.
Ho paura.
Mi ammanettano i polsi e infilzano il mio collo con l’ago di una siringa.
Inizia a girarmi la testa. Respiro affannosamente, mentre proteggo nel palmo della mia mano la collana di Sasuke. Anche se per qualche istante ho creduto di potercela fare, che con lui avrei potuto ritagliarmi un piccolo posticino in cui stare, capisco in realtà che mi sono solamente illusa.
 
<< Dottor Uchiha! Signore, abbiamo catturato la cavia numero zerosette >> sento udire da qualcuno, seppur in maniera disturbata.
 
<< Somministratele altra morfina >> dice, con voce rauca.
 
<< Agli ordini, dottore >>
 
Il mio cuore ha un sussulto appena giro lo guardo verso la sua direzione. Il suo viso è pallido e sofferente con delle gocce di sudore che gli scendono dalle tempie. La ferita gli fa ancora male? Non sarebbe dovuto venire qui. Non avrei mai dovuto dargli fiducia. Vorrei essere con mia madre, lassù, nel meraviglioso mondo della mezzanotte.
 
 
 
 
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<< Il referto medico indica quanto supposto: il soggetto presenta sia cellule staminali umane e sia quelle appartenenti al Cervus elaphus >>
 
<< Inoltre, ha preservato le caratteristiche fisiche tipiche di una donna umana >>
 
<< Ha un moderato indice di violenza. La sua selvaticità è stata confinata solamente ad alcune aree del cervello >>
 
Il loro chiacchiericcio mi sta martoriando la testa, svegliandomi totalmente. Apro di scatto gli occhi e la luce bianca dei neon invade le mie iridi, facendomi restringere le pupille. Sono intrappolata su di un letto, con delle fasce a tenermi ferma. Dove diavolo sono?
 
<< L’effetto della morfina è svanito. Dottor Uchiha, possiamo somministrarle un’altra dose? >>
 
Sasuke Uchiha… Nella mia mente compaiono le immagini dei momenti passati con lui e la rabbia prende possesso di me, fino a farmi agitare sulla barella.
 
<< Uscite tutti fuori >>
 
<< Ma dottore, è pericol- >>
 
<< Ho detto di lasciare la stanza, subito >>
 
Non appena la porta si chiude, vedo Sasuke avvicinarsi e io, d’impulso, gli ringhio contro. Non è spaventato da me, nonostante il suo viso è maledettamente pallido. Sembra essere sul punto di svenire ma riesce a farsi forza, sedendosi lentamente su una sedia in velluto rosso.
 
<< Liberami, maledetto! >> esclamo, tentando di svincolarmi da quei lacci stretti.
 
Sasuke rimane impassibile, nonostante si mantiene l’addome, serrando le mascelle perché pervaso da un forte dolore.
 
<< Durante una conversazione, è buona norma…  >> dice, mentre prende dalle tasche del suo camice bianco, una custodia in pelle nera << … far terminare il discorso al tuo interlocutore e solo successivamente, fare i tuoi dovuti interventi >>
 
<< Mi hai illusa! >> replico, trucidandolo con lo sguardo.
 
<< Non ti ho illusa >> e poggia quell’astuccio scuro su una coscia, prendendo da un cassetto dell’ovatta e del disinfettante.  
 
<< Come puoi negare l’evidenza?! >>
 
<< È una semplificazione quella che hai fatto >> inizia a dire Sasuke, mentre tira dal contenitore, una piccola siringa.
 
<< Una semplificazione? Che vuoi dire? >>
 
<< Che se fossi rimasta lucida, ora non saremo qui >> conclude incolpandomi.
 
Lo guardo mentre si avvicina pericolosamente a me, al fine di sedersi sul mio stesso letto. Mi bagna il braccio con un batuffolo di ovatta umido di disinfettante e, nonostante cercassi di intimidirlo con le mie minacce, riesce ad infilare l’ago della siringa nella pelle, facendomi male.
 
<< Cosa mi stai iniettando? >> gli chiedo, sentendomi improvvisamente debole.
 
<< Un agglomerato di neurotrasmettitori, che ti porterà ad una morte apparente >>
 
<< M-Morte apparente? >>
 
<< Stai tranquilla. >> mi dice, allontanandosi dal letto << Devi fidarti di me >>
 
 
 
 
 
 
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È buio. Non riesco a orientarmi. Dove mi trovo? Continuo a camminare e sento i miei piedi affondare nella sabbia, come se stessi passeggiando su soffice velluto. Delle docili onde mi accarezza le caviglie, facendomi rabbrividire dal freddo. Imperterrita, avanzo senza conoscere la destinazione ma, improvvisamente, attorno a me si espande una luce…
 
 
<< Sakura? >>
 
Pian piano i miei sensi riacquisiscono sensibilità e, debolmente, apro gli occhi, lasciandomi invadere dalla luce solare. Un bip intermittente cattura la mia attenzione. Con estrema lentezza, volto il capo verso la fonte di quel suono e vedo un macchinario che segna la mia frequenza cardiaca. Immediatamente, mi agito sul letto, impaurita da tutto quello che mi circonda.
 
<< Calmati, Sakura >> dice, mentre qualcuno imprigiona il mio volto nelle sue grandi mani << Sono io, Sasuke. Mi riconosci? >>
 
I suoi occhi scuri sono in contrasto col il suo incarnato chiaro e marmoreo. Lo guardo fisso negli occhi, tremante di paura. Chi sei tu?
 
<< A quanto pare, ha di nuovo perso i suoi ricordi >>
 
<< Sapevo che sarebbe successo >> quello sconosciuto mi lascia andare il viso, sconfortato dalle parole appena pronunciate da una voce in lontananza.
 
Mi alzo a sedere, mettendo a fuoco l’ambiente intorno a me. La stanza è ampia e ad un lato del muro ci sono delle finestre alte e larghe che lasciano intravedere il mare. Sorrido alla vista di quello spettacolo, incantandomi per quella vastità che luccica sotto i raggi del sole.
 
<< Il tuo esperimento ha avuto successo! Complimenti! >> la sua voce è poco distante da me << Finalmente non dovrai più portare sulle spalle il peso di quello che il bastardo di Orochimaru ti ha costretto a fare >>
 
Mi alzo dal letto, avvicinandomi a quelle vetrate giganti. Voglio raggiungere il mare! L’estraneo di prima, intuendo le mie intenzioni, apre la porta-finestra, lasciandomi uscire.
 
<< Ho fallito >>
 
<< Cosa vuoi dire, Sasuke? >>
 
<< Ho fallito… >>
 
<< È impossibile! Hai manomesso il suo sistema immunitario, affinché eliminasse le cellule staminali del cervo. Le abbiamo trapiantato anche gli organi compromessi dall’immunoterapia, in modo da ripristinarne le funzionalità… Questa volta ti stai sbagliando, Sasuke. Non puoi aver fallito! >>  
 
Un malessere improvviso m’impedisce di raggiunge l’acqua cristallina dell’oceano. Mi inginocchio sulla sabbia, sputando sangue dalla bocca. Un dolore insopportabile mi pervade lo stomaco… C-Cosa mi sta succedendo? Ad un tratto, delle braccia vengono in mio soccorso, sorreggendomi la schiena.
 
<< Non si sarebbe dovuta muovere dal letto. Dobbiamo portarla sub-/ >>
 
<> lui mi abbraccia forte e quel suo calore diventa inaspettatamente familiare << Lei sta morendo…  >>
 
Improvvisamente, nell’angolo buio della mia mente appaiono dei ricordi di due persone.
 
<< Morendo? Cosa stai dicendo? >>
 
<< Esattamente quello che ho detto, maledizione! Il suo corpo sta rigettando gli organi trapiantati, stanno andando in necrosi >>
 
<< Cazzo! Cosa stiamo aspettando, allora? Portiamola in sala operatoria! Teniamola ancora in incubazione finché non troviamo nuovi donatori! >>
 
<< Andrà a finire sempre alla stessa maniera… >> dice, affondando il suo volto, nei miei capelli.
 
<< Sa…kura…>> la sua voce è rotta dal pianto << Per…donami >>
 
Sto per morire, vero?
Per questo piangi così forte e mi tieni stretta a te, come se stessi cercando di trattenermi ancora in questo mondo.
Sei tu il responsabile della mia imminente morte, lo leggo dalla tua disperazione.
Delle lacrime scendono sul viso, nonostante in quel momento stessi indossando un flebile sorriso. Quanto vorrei poterti consolare e dire che non m’importa più nulla di quello che mi hai fatto. Tu mi hai trasformata in un mostro ma, nonostante questo, mi hai sempre vista come un essere umano. Non hai mai avuto paura di me. Di fronte alle difficoltà, sei sempre stato presente, come un luminoso faro nell’oscurità.  Mai mi sarei aspettata che qualcuno potesse piangere per me e non immagini nemmeno quanto sia confortante aver potuto lasciare una mia piccola impronta su questo mondo. Nel tuo oscuro mondo. Non ho la forza di poterti dire tutte queste cose, per favore Sasuke, non piangere.
 
<< Sa…suke >> dico, istintivamente << Gr…Gra…zie >>
 
Lo sento irrigidirsi ma, infine si rilassa, avvolgendomi calorosamente a sé. Mi lascio inebriare dal suo profumo, dalla sua essenza. La imprimo nei miei ricordi, in modo che possa riconoscerlo in un’altra vita e stare per sempre con lui.
 
<< Sasuke… >> dice Naruto, mentre appoggia una mano sulla spalla di Sasuke << Ti procuro un telone per avvolgere il corp- >>
 
<< Non serve nessun telone, Naruto >> lo interrompe, con voce tremante << Lascia che i suoi occhi siano ancora rivolti al cielo, ad ammirare per l’ultima volta il suo amato mare … >>
 
 
 
 
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Someday I want to run away
To the World of Midnight
Where the darkness fills the air
Where it's icy cold
Where nobody has a name
Where living is not a game
There, I'll hide my broken Heart
Dying to survive
There no one can see my cry
tears of my lonely soul
And I'll find peace of mind
In the dark and cold world of midnight
Midnight
Midnight.
 
 
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L’ANGOLO DELL’AUTRICE.
 
Hey Guys! Come va? È da un po' che non mi faccio viva! Mea Colpa!
Volevo fare una precisazione: la canzone che ho inserito nella storia è di Minako Obata – World of midnight. E’ stupenda e vi lascio il link se volete ascoltarla 😊 https://www.youtube.com/watch?v=VSEk-iM_emI
 
Bando alle ciance, spero che questa one-shot drammatica vi piaccia!
Alla prossima, ragazzi!
Un bacio
 
LaSignorinaRotterMaier.
   
 
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