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Autore: DewoftheGalaxy    18/06/2018    1 recensioni
Assisi. Convento di San Damiano. 1225
Francesco è a San Damiano, ospite di Chiara e delle sue consorelle, per riposare e farsi curare da loro.
La sua salute è ormai compromessa da anni ed è proprio qui, nel piccolo convento, che durante l'ennesima febbre malarica i ricordi ritornano.
Ricordi di una vita.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Poi arrivò la guerra.
Ma una guerra, si sa, non scoppia senza una motivazione.
E la motivazione che fece scoppiare la guerra fra Perugia ed Assisi era una rivolta.
Oh sì, una rivolta.

 

 

Era il 1198 quando i cittadini di Assisi si rivoltarono contro i nobili ed il rappresentante dell’imperatore che abitava nella Rocca Maggiore, Corrado di Urslingen.
Avevo sedici anni.
Ricordo gente che brandisce torca, urla, cavalli impazziti e le dimore dei nobili derubate e profanate.

 

 

No, no, che brutti ricordi! Non li voglio! Che se ne vadino, che se ne vadino ora!

 

 

Giro il viso dall’altra parte e un guizzo azzurro attraversa il mio campo visivo.
I tuoi occhi Chiara, i tuoi occhi di bambina, di ragazzina spaventata, quella stessa che avevo incontrato poco prima a prendersi cura dei lebbrosi in segreto. 

 

 

Azzurri come l’ala di una ghiandaia.

 

 

Correvi dietro ai tuoi genitori e alle tue sorelle più piccole, i capelli biondi che si muovevano nel vento.
Ti chiamai: << Chiara! >>

 

 

Tu ti girasti e mi vedesti.
Ci guardammo.
Un incrocio di sguardi, chiaro in scuro, azzurro in marrone.
Il tempo mi parve infinito.

 

 

Accennasti un sorriso nonostante i tuoi occhi emanassero paura per ciò che stava succedendo.

 

 

<< Vieni dentro. >> Fu la voce di tuo padre, che ti spinse dentro la carrozza, a interrompere il nostro legame.
Tu ti affacciasti a guardarmi e i cavalli partirono.
Lontano.
A Perugia.

 

 

Il tempo passò, quattro anni per l’esattezza, prima che le nostre strade si incrociassero di nuovo.
Tu crescevi a Perugia in esilio, insieme a tante altre famiglie nobili lì rifugiatasi, ed imparavi ad essere un vera dama degna del tuo rango. Io nella città nemica a leggere con fervore romanzi cavallereschi e sognare avventure gloriose sul campo di battaglia.

 

 

E quei sogni divennero realtà nel 1202, quando scoppiò la guerra fra Assisi e Perugia.

 

 

Io ero tutto infervorato: grazie all’esser nominato cavaliere volevo diventare nobile e così partii con la benedizione di Maman e Papa per Collestrada, luogo della battaglia, una piana fra Perugia ad Assisi.

 

 

I miei sogni però erano solo bugie.
Lì non c’erano armature luccicanti e bellissime donzelle dalle bionde trecce. Lì c’era l’orrore.
Morte.
Distruzione.
Sangue.

 

 

No! No! Queste immagini non le voglio vedere! Andatevene Via! Via! Non vi voglio!

 

 

Ma non se ne vanno: vedo cavalieri grigi come cadaveri e spade sporche di sangue.
Perché non ve ne andate! Via! Via! Via!

 

 

Ho caldo, caldissimo…..

 

 

Mii sembra di vedere una figura avvicinarsi a me…chi è? È sfocata, come tutte le cose che vedo ora, ma ha qualcosa in mano…cos’è?
È una spada! È un cavaliere perugino e vuole colpirmi.

 

 

Urlo.

 

 

Il mio urlo probabilmente sarà risuonato fra le mura di San Damiano disturbando Chiara e compagne.
Ma è solo un illusione della febbre Francesco! Perché urli?

 

 

Non lo so.

 

 

In quel momento stavo sdraiato sul terreno in attesa della mia morte, vedevo la spada avvicinarsi e brillare alla luce di quel poco sole che usciva dalle nubi grigie.
Chiusi gli occhi.
E sentii il cadavere del perugino cadere sopra di me.

 

 

Cosa?

 

 

Riaprii gli occhi.

 

 

Un cavaliere assisano che conoscevo, Bernardo di Quintavalle, ricco signore di qualche anno più grande di me, mi troneggiava sopra.
Mi diede una mano a rialzarmi.

 

 

<< La guerra non è un posto per ragazzini. >> mi disse prima di ritornare a combattere.

 

 

La guerra non è un posto per ragazzini.

 

 

Quanto era vero.

 

 

Ed io ero solo un ragazzino imbevuto di letture su nobili cavalieri ed amori cortesi.
Di fantasie.
Solo fantasie del mio mondo immaginario.

 

 

Il mondo vero era un altro e me ne stavo rendendo conto in quella battaglia.

 

 

Sento una sensazione in gola e poi in bocca.
Sputo sangue.
Emottisi. L’hanno chiamata i tanti medici che mi hanno curato finora. Sputare sangue misto a catarro.
Ormai ci sono abituato.

 

 

Anche in guerra c’era sangue…sì c’era…

 

 

Comunque Assisi perse e vi furono pochissimi morti ma molti prigionieri, fra cui anch’io e visto che ero figlio di un ricco fui gettato in prigione insieme ai più benestanti. E fu lì, nelle celle di Perugia, che ti rincontrai Chiara.

 

 

Tu venivi a dare pane ai prigionieri insieme a tua madre Ortolana e alle tue sorelle Penenda, Caterina e Beatrice.

 

 

<< Francesco? >> Fu l’unica parola che dicesti vedendomi tra le sbarre.

 

 

<< Chiara? >> Risposi io.

 

 

Ci sorridemmo ma il tuo volto fu subito velato da preoccupazione.

 

 

<< Sei…sei andato in guerra?! Stai bene?… >>

 

 

<< Beh se sono qui e riesco a parlarti! >>

 

 

Ridemmo.
Non ci vedevamo da anni, da quattro anni per l’esattezza, eppure lì sembravano solo pochi giorni. Forse già allora cominciava a mostrarsi il nostro magico legame?

 

 

Notai un piccolo libro emergere fra le pieghe della tua veste verde chiaro

 

 

<< Che libro hai lì? >> Chiesi io. << È un libro sui cavalieri? >> 
Già solo al vedere un libro dovevo pensare che era sui cavalieri…Ma all’epoca pensavo solo a quello?

 

 

Tu ridesti leggermente.

 

 

<< No, è il Vangelo! >>

 

 

<< Il Vangelo? >>

 

 

<< Sì il Vangelo, vorresti leggerlo? >> Me lo passasti fra le sbarre. << Ma mi raccomando: non farti vedere dalle guardie! >>

 

 

Sentimmo la voce di tua madre Ortolana risuonare nel corridoio.

 

 

<< Chiara! È ora di andare! >>

 

 

<< Vengo madre! >>

 

 

Mi sorridesti un’ultima volta e mi diedi il pane.

 

 

<< Ciao Francesco, alla prossima. >>

 

 

Ti alzasti e corresti via, lanciandomi un tuo ultimo sguardo azzurro.

 

 

<< Alla prossima…Chiara. >>

 

 

Nonostante la lettura del Vangelo prendesse la maggior parte delle mie giornate ( ora lo leggevo con occhi nuovi e le sue parole mi entravano nel cuore) in prigione capivo di non stare bene.

 

 

La mia salute cagionevole ora soffriva di quel luogo malsano: faceva freddo, sia di notte che di giorno, vi era sempre un tanfo di umidità e in giro circolavano topi.

 

 

D’improvviso invece del caldo estenuante che provo sempre sento freddo.
Freddo.
Quello stesso freddo della prigione, quello delle pietre gelide e delle notti nebbiose.

 

 

Mi copro completamente con la coperta lasciando scoperto solo il viso.
È un freddo….non lo so come sia, la mia mente in questo momento non riesce a formulare niente.
So che sto tremando dal freddo, tremando come un pulcino bagnato, tremo…

 

 

Solo ora però sento quanto sono sudato per questo febbre.
Oh mamma…

 

 

<< Freddo…fa freddo…ho tanto freddo…>>

 

 

Sento una mano calda, ma di quel caldo sano di quando stai bene, posarsi sulla mia fronte gelata e per poco mi fa smettere di tremare.
O almeno credo che la mia fronte sia gelata, la percepisco così anche se di sicuro sarà bollente.

 

 

Sei tu Chiara, lo so e mi pulisci la bocca dal sangue di poco fa.

 

 

<< Stai calmo Francesco, è solo un sintomo della febbre. >>

 

 

Lo spero.

 

 

Nel frattempo ricordo i giorni in prigione, dove i miei compagni piangevano e dicevano di sentirsi abbandonati.
Eppure io ero felice e, nei momenti in cui non leggevo (o rileggevo ) il Vangelo, guardavo l’azzurro del cielo oltre l’unica piccola finestrella quadrata della nostra cella.
E ridevo.
E sorridevo
E gioivo

 

 

<< Ma non lo sapete che io diverrò un gran principe e che tutto il mondo si inchinerà davanti a me? >> Rispondevo ai miei compagni che mi chiedevano perché fossi così felice.

 

 

Perché mentre la mia anima scopriva un nuovo mondo e il mio corpo cadeva vittima delle febbri, lassù nell’azzurro vedevo forse un presagio di quel vago avvenire.

 

 

 

 

 

 

   
 
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