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Autore: scarletRose88    20/06/2018    0 recensioni
Kiara, principessa del regno di Kiaramher, appartiene ai Livre, stirpe di creature mutaforma discendenti dai leggendari Ordini primi, che un tempo governavano il mondo al pari delle divinità, insieme ai potenti Soel e ai Dewin. Per quanto il mondo dei Primi sia remoto, l’ambizione di Soel e Dewin non si è arrestata nel corso dei secoli minacciando la pacifica coesistenza dei tre, specie dei Livre che sembrano essersi adattati a un mondo senza déi. Accade, tuttavia, che sia proprio un Livre a minare quel delicato equilibrio, proprio all’interno del suo stesso clan.
Nella vita della giovane Kiara compare, infatti, un uomo misterioso, malato di una malattia di cui non può morire a causa della sua immortalità. Il suo nome è Bright. Quest’ultimo, definito con il nome di “Livre Imperfetto”, ordina alla principessa di ucciderlo poiché lei è l’unica creatura al mondo capace di farlo. Kiara è, infatti, la “Livre Divina”, detentrice di due enormi poteri: la Katirya, che può uccidere chi non può morire, e la Sotirya, che invece può resuscitare chi è morto. L’incontro brusco fra i due giovani si evolve in una tenera amicizia, tanto che la ragazza decide di fuggire insieme a lui per aiutarlo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
Nel silenzio notturno si udivano i suoi passi strascicati e il debole suono del mare che s’increspava contro le barche ormeggiate nella darsena. Percepì il verso distante di un gabbiano solitario, il battito deciso delle sue ali, il tonfo delle sue zampe palmate mentre si posavano sulla coffa di una nave. Non distinse alcun suono umano, neppure il suo. Mentre avanzava goffamente attraverso le vie strette e maleodoranti di urina di quella città portuale, gli parve di non avvertire più il proprio fiato, eppure credeva di respirare ancora. Proseguì seguendo l’alitare delle brezze salmastre, voleva raggiungere il mare. Si sostenne alle pareti di pietra da cui si diramavano scarafaggi impauriti. Per un istante credette di essere un insetto anche lui, uno che era appena stato schiacciato. Si trascinava sugli arti fiacchi e spossati, la sua anima era a pezzi, i ricordi svaniti, la ragione vacillante. Sapeva soltanto che stava fuggendo, e che stava fuggendo da se stesso. Raggiunse il molo desolato appena rischiarato dalle lanterne dorate, la brezza lo investì inspirando a pieni polmoni la frescura salina. Si sentì come rigenerato e, d’un tratto, fu colpito da un’immagine, dal frammento di un ricordo: una luce azzurra si accendeva su uno sfondo buio mentre una soffocante calura gli infiammava brutalmente la testa.
Cadde sulle ginocchia e a quel punto non sapeva più se stesse ancora sognando o se fosse tornato alla realtà, quindi si portò le mani alla fronte cercando di sopportare il dolore lancinante. Rivide la luce, sembrava un faro nell’oscurità, cercò di focalizzarsi sulla sua forma allungando una mano come per afferrarla. Indirizzò tutti i suoi sensi verso quel segno, l’udito, il tatto, l’olfatto, la vista; fu però attraverso il suo istinto che lo riconobbe. x. Riconobbe le quattro assi luminose che s’intersecavano, accendendosi d’azzurro. Realizzò dove si trovasse, come se fosse stato appena catapultato da un’altra dimensione. Avvertì il basolato gelido sulla guancia, la schiena era supina, le gambe e le braccia inermi distese senza posa. Non riuscì a muoversi e si limitò a ruotare gli occhi verso una luce simile a quella che aveva sognato. E la rivide, la x. Il suo bagliore lanuginoso si espandeva nell’oscurità che inghiottiva la marea ondosa, e capì che si trattava della debole radiazione luminosa del faro. Si sentì improvvisamente incerto, come se il suo sogno o il suo ricordo − non sapeva bene di cosa si trattasse − non avesse niente a che fare con la sua esistenza. Proprio come quella irradiante sorgente luminosa. 
Chi era? E che cosa ci faceva lì, in un porticciolo a ridosso di un faro solitario?
Si sentì picchiettare su una spalla, una voce rauca e lontanissima colpirono le sue deboli orecchie.
«Ragazzo, che cosa ci fai qui per terra?»
Mise a fuoco e riconobbe le fattezze di un anziano barcaiolo, aveva la pelle imbrunita dal sole, lo sguardo scavato da molte rughe e la corporatura tozza e sghimbescia. Il cuore, che ogni tanto credeva di non sentire più nel petto, prese a battere velocemente quando vide comparire sul quel volto estraneo una smorfia sprezzante.
“Sei soltanto un povero mostro”.
Le mani del barcaiolo presero a scrollarlo mentre sentiva quelle parole trafiggergli il petto.
“Mostro!”
Sentì un nuovo calore avvolgerlo fino a bruciargli ogni residuo della sua umanità. Afferrò i radi e grigi capelli dell’uomo brandendo la sua testa come un trofeo. Si accorse di essere stranamente in piedi e improvvisamente lucido. Ciò non gli proibì di trascinare il vecchio lungo il molo e di percuotergli la testa contro una bitta, più e più volte. Vide il sangue sgorgare fino al suolo e poi sfociare nell’acqua scura della banchina. L’uomo aveva smesso di ripetere quella parola e il suo cuore, dapprima palpitante, si era fermato. Esattamente come il suo. Dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla luce del faro, afferrò il cadavere della sua vittima e, prima di cadere nuovamente nell’oblio della sua infermità, lo gettò in mare mentre realizzava quale fosse davvero il suo scopo, il motivo per cui si trovava lì, nelle antiche terre del Westhen: la principessa Kiara, era lei che stava cercando.
~~~
La brezza notturna accarezzava le tende della portafinestra trascinando l’odore del Mare Calmo fino alle narici della principessa addormentata. Sentì i brividi sulla pelle e cercò le lenzuola ritirate fino ai piedi, continuando a tenere gli occhi chiusi. Si mise seduta e cercò gli orli della coperta, intanto si era resa conto che la portafinestra era aperta, allora comprese le ragioni del suo fastidioso risveglio nel cuore della notte. Dopo aver risistemato le lenzuola, tornò a guardare con un cipiglio verso la portafinestra, intenzionata a chiuderne i battenti e poter finalmente sprofondare nel sonno. L’indomani l’attendeva all’alba, per la lezione di storia, la signorina Reville, una donna totalmente incapace di sorridere. A ripensarci, forse sarebbe stato meglio che non fosse sopraggiunto il nuovo giorno. Stropicciò gli occhi per scrutare meglio nella bluastra luminosità del chiaro di luna e allora sentì che il cuore aveva fatto una capriola. Si spinse all’indietro fino a sfiorare la testiera d’avorio del letto e si accorciarono i respiri.
Qualcuno era entrato nella sua camera e stava in piedi, davanti alla portafinestra aperta. Le tende oscillanti non sembravano quasi sfiorarlo e per un istante credette che fosse un fantasma.
Scorse i capelli arruffati, le spalle curve ma ampie e le braccia distese lungo i fianchi. Ora poteva sentire anche il suo respiro, sembrava affannoso. Attese qualche minuto ma poiché non lo vedeva muoversi, decise di avvicinarsi lei stessa. Si incamminò sui piedi nudi evitando di provocare qualche rumore nel timore di spaventarlo. Inspiegabilmente non voleva che quell’intruso se ne andasse senza avere prima potuto scoprire che cosa fosse venuto a fare nel suo castello. Si fermò a una decina di passi quando finalmente scorse le fattezze del volto. Era un giovane uomo, dal viso spigoloso e smunto, le labbra sottili e lo sguardo severo. Due profonde occhiaie gli solcavano gli occhi, mentre le gambe tremanti sembravano incapaci di sostenere il suo peso. Deglutì accorgendosi di provare tanta pena per quello sconosciuto. Fece per parlare ma lui la anticipò, tendendo una mano verso di lei. Smise di respirare.
«Tu sei la principessa di questo paese… Kiara?»
La sua voce era roca e non più intensa di un bisbiglio ma bastò a farla rabbrividire, soprattutto quando aveva pronunciato il suo nome. Sbatté gli occhi dalle spettinate ciglia scure e, indietreggiando di un passo, annuì.
A quel punto, il tono della voce salì di qualche nota e aggiunse: «Se sei davvero tu, ti prego, uccidimi».
Mentre elaborava il contenuto di quelle parole sentì un brivido alla base del collo e fu solo allora che la sua attenzione si focalizzò sui dettagli della persona che le stava di fronte. Esaminò con attenzione le mani strette a pugno, spostando poi lo sguardo sul petto ansante sotto l’enorme camicia azzurra e quindi sulle gambe asciutte e tremanti che sbucavano al di sotto. Indossava il tipico camice dei degenti di un ospedale, poteva notare i legacci annodati sul suo dorso che svolazzavano nella brezza notturna. Era malato e probabilmente era appena scappato dall’ospedale dove era stato ricoverato.  
«Hai capito quello che ho detto?» tornò a dire più ostile nel tentativo di ridestarla, «Devi uccidermi, solo tu ne sei in grado. Il Libro dell’Ordine dei Livre non mente».
Kiara sussultò indietreggiando ancora: «Che ne sapete voi del Libro dei Livre?» domandò suonando incerta, suo malgrado.
Le mani del giovane le afferrarono entrambe le spalle scuotendo l’anima già in subbuglio. «Non ha importanza, adesso! L’unica cosa che conti per me è morire. Ti supplico, ragazza, poni fine alle mie sofferenze...» disse crollando poi su un ginocchio.
Lo fissò dall’alto in basso a occhi sbarrati. Chiunque fosse quell’uomo conosceva il Libro del Sapere della sua famiglia, ma riteneva improbabile che potesse esserne entrato in contatto. Riacquistando fermezza si rivolse al giovane intruso parlandogli con tutta la gentilezza di cui era capace: «Io non so chi siate, signore, ma davvero non posso aiutarvi, non nella maniera che intendete voi, almeno».
Serrò le mascelle irritato e si alzò arrancando verso una parete, allora si voltò verso il balcone. «L’unica creatura che può uccidermi è una ragazzina paurosa, davvero ironico» commentò fra sé e sé mentre stringeva le dita sulla balaustra, quindi si rivolse per l’ultima volta alla principessa. «Non mi arrenderò, tornerò, finché non avrai esaudito la mia richiesta».
Lo vide saltare dalla balconata, attonita. Tremava. Come poteva un estraneo introdursi in casa sua, che tra le altre cose era persino il castello reale, ed esortarla a commettere un omicidio? Tornò al letto con il cuore palpitante, sapeva che non sarebbe riuscita a dormire ormai, per il resto della notte.
  
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