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Autore: Lidzard    21/06/2018    4 recensioni
Michifer AU
'' La gente fa caso solamente alle immagini delle cose. Nessuno fa caso alle cose stesse. '' -Kurt Vonnegut Jr.
Lucifer è un soldato, la sua famiglia è radicata nell'esercito da che ha memoria, il suo destino sembra già essere scritto e si arrende ad esso, abbandonando sogni, speranze ed ambizioni in un vecchio cassetto della mente. I colori e le luci svaniscono lentamente, finché non rivede la torre. Nella torre incontrerà un uomo, e la possibilità di un destino diverso, più luminoso, si affaccerà alle porte della sua coscienza. Riuscirà il misteriomo uomo della torre a far tornare Lucifer al suo vecchio splendore?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lucifero, Michael
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Matrioska

Ero seduto in treno al solito posto vicino la finestra, stavo andando via di nuovo, ed ogni volta era come cadere.

Ritrovarsi soli in un abisso, sapere di star per schiantarsi, senza appigli, il pensiero di non poter risalire il baratro.

Oblìo. Assenza di speranze o di alcun tipo di luce. Mi dicevo che dovevo farlo, poi sarebbe tutto finito, in un paio di giorni l'accademia non sarebbe più stata la mia meta.

Come al solito era tutto buio. No.. spento. Era tutto spento e le luci al neon insopportabilmente forti rendevano ogni colore più freddo, e gli occhi azzurri già sensibili alla luce mi pizzicavano, infastiditi. Mi sentivo spossato, perso. Avevo ormai percorso così frequentemente quel cammino, all'andata ed al ritorno, senza mai tornare abbastanza, mai del tutto, perdendo a poco a poco pezzi di me, che oramai avevo perso me stesso.

Mi sentivo un corpo senz'anima. Iniziai a dubitare persino di averne mai avuta una. E non vedevo luci, non vedevo nessun colore.

È incredibile quanto profondamente ci si può sentire persi, non bisogna sottovalutare i treni in questi casi. Seppure siano posti piuttosto scomodi, sporchi e rumorosi, i treni continuano a muoversi, mentre tu sei fermo all'interno, come un amico che fa le cose per te quando tu sei troppo rotto per farle da solo.. con una sola differenza. Ai treni non importa chi sei e cosa fai per loro, loro si muovono sempre, ti portano dove devi andare, non si aspettano nulla da te e non ti aspettano mai.

I treni seguono un percorso prestabilito che è quello e non muta con te. Potrai sentirti perso ed arrivare comunque a destinazione, magari lasciando in treno una parte di te, negli occhi di uno sconosciuto, nel riflesso ghiacciato di un vetro rotto abbandonato in un angolo polveroso, nel sorriso sfuggente di uno scolaro abitudinario che ti sorprende, perché affascinato dalla tua divisa.

Non c'è niente di affascinante nella guerra, o nell'istituzione militare. Non ho mai avuto l'ardire di dar voce a questo mio punto.. ma è tutt'ora un pensiero martellante nella mia coscienza, o nei brandelli che ne sono rimasti.

Ero lì seduto con gli occhi puntati fuori; ogni tanto perdevo la concentrazione e la vista mi si sfocava, lasciandomi cieco e confuso. Gli occhi aperti, nessuna immagine impressa nella retina. Ero tanto stanco.

Mi sentivo un cadavere, era come se avessi perso infine anche l'ultimo pezzo.

Un tempo ero una matrioska, ma una volta salito sul primo treno, involucro dopo involucro, ho dovuto buttar fuori tutte le copie che contenevo. Fuori sembravo a strati, un oggetto interessante e misterioso, ma dentro non c'era che aria fredda vorticante nel buio. Non un emozione, non un colore, non uno spiffero di paura fra le fessure dell'anima.

Non c'è bellezza in questo.

Osservai meglio il profilo di alberi spogli corrermi via da sotto lo sguardo, man mano che il «tram tram» aumentava. Il brusío si acquietava.

Ma sì, il rumore era micidiale.

Il fracasso delle rotaie e degli ingranaggi del treno rispecchiava ormai il suono dei miei pensieri, essi erano assordanti, continui, forti, implacabili. Pensai di essere all'inferno, mentre un lieve e rivelativo lamento mi risaliva in gola.

"Non essere recidivo"

Le dita abbandonate in grembo in procinto di ridisegnare i contorni del mio viso esangue, fino ad avventurarsi nella foltezza del biondo che mi accomuna ai miei fratelli, anche noi frutto di una creazione in serie. Evidentemente nostro padre ci fece con uno stampino.

Lo sentivo chiaramente, quel significante brandello di me, sgretolarsi e lasciarmi, l'ennesimo vuoto a riempirmi, a occupare il mio cuore. Stavo per essere annullato. Stavo forse per essere finalmente ciò che mio padre avrebbe voluto, sarebbe stato così fiero.

Di colpo fu diverso. Ero sempre seduto nel treno col brusío solito ed il vuoto dentro ed il tram tram nella testa. Ma adesso era diverso. Fu un attimo.

Un'eco di luce bianca, lontano, un leggero filamento, un viaggiatore solitario di qualcosa che avrebbe dovuto essere più lucente, più bianco ancora, più grande. La Torre.

Quella torre che fin'ora sapevo esserci, ma che era solamente una fra le mirìadi di informazioni inutili raccolte nella mia continua osservazione fuori quella finestra, che fin'ora era rimasta spenta ed anonima nel paesaggio monotono.

Essa era alta, sottile, luminosa nel buio. Non interamente luminosa, ma come fosse un vessillo di speranza, alla maniera dei fari sulle isole petrose e spoglie, o come una cattedrale gotica, essa era proiettata verso l'alto, più come una guglia, ma più maestosa, oltre ogni immaginazione.

La luce si concentrava nell'unico piano visibile in cima, che era come un'ampolla di carattere futuristico, si spandeva in orizzontale, come fosse un'enorme lampadina a led.

Mi colpí. E così come era arrivato, in punta di piedi sulle soglie della mia coscienza, l'attimo passò.

 

   
 
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