Con passo lento, l’uomo si avvicina ad una candela e comincia a visionare l’epistola. – Non è possibile… – sussurra. Quelle parole, che nereggiano crudeli contro il biancore sinistro della carta, trafiggono il suo cuore, come la lama di un pugnale. Lugonis, Gold Saint di Pisces, è morto. Il rituale di Pisces lo ha ucciso. Albafica è il nuovo custode della Dodicesima Casa dello Zodiaco Luco, con uno spasmo istintivo e involontario, stringe le dita attorno ai fogli, come un naufrago si aggrappa ai relitti sparsi della nave nella furia di una tempesta. No, non riesce a credere a quelle parole, che pure nereggiano sinistre sulla carta, quasi vogliano macchiarla con la loro crudele verità. Gli sembrano un insulto al loro legame e ai suoi tentativi di guarire suo fratello da quell’orrorifica maledizione. Non vuole accettare quella verità che, implacabile, si pianta nella sua mente. Risuona come una melodia crudele e gli procura dolori strazianti, che si irradiano in ogni parte del corpo. E nessuno dei suoi potenti filtri potrà lenire tali, indicibili tormenti. Tutto, in quel momento, gli sembra ingiusto, crudele, insensato. – Lu… Lugonis è morto… Lui è morto… Perché? Non ho fatto in tempo... – balbetta, gli occhi stralunati e la voce strozzata, ridotta ad un flebile e lamentoso sussurro. Alla morte dei loro genitori, lui si è preso cura di lui e lo ha sempre incoraggiato a perseguire i suoi sogni. Anzi, quando gli ha rivelato il suo desiderio di guarire le persone dalle loro malattie, si è rallegrato. Evidentemente, vedeva nella sua decisione la limpida manifestazione di un animo generoso, insofferente alle ingiustizie. Ma a cosa è servita la sua maestria nella medicina?
Con un gemito di dolore, l’uomo si piega su se stesso, la mano stretta attorno al petto e il volto distorto in una maschera di sofferenza. Desidera urlare, ma la voce è come ferma in gola, incapace di uscire all’esterno. – Ho fallito… Non sono riuscito a mantenere la mia promessa... – soffia e, d’istinto, stringe le lunghe dita a pugno. In un giorno d’estate, aveva promesso a Lugonis, provato da lunghi anni di eremitaggio e sofferenza, che lo avrebbe salvato da quel destino di solitudine. E lui, il cuore colmo di gratitudine, si era lasciato andare e lo aveva abbracciato, ringraziandolo di tale premura. Luco, meravigliato, aveva ricambiato tale abbraccio. Come poteva non bramare la felicità di un uomo tanto gentile e generoso come Lugonis, che aveva rinunciato alla sua serenità, in nome di un ideale tanto alto e aspro di giustizia? Per lui, ogni persona, anche la più ignobile, merita di essere curata dal flagello della malattia. Avrebbe curato anche il peggior criminale, figurarsi un uomo come lui! Inoltre, suo fratello maggiore si era sempre preso cura di lui, mettendo in secondo piano la sua serenità. Aveva sempre occultato il suo dolore e la sua pena dietro una maschera di stoica rassegnazione. E lui, Luco, non aveva saputo ripagare gli anni di affetto sincero, libero da qualsiasi ombra. – Non ho mantenuto la mia promessa… – sussurra, il corpo scosso da brividi. A nulla sono servite le lunghe e faticose notti trascorse sui libri di medicina. Le sue veglie e la sua dedizione non hanno sconfitto il crudele destino legato alla costellazione di Pisces. Anzi, tale sorte ha divorato la vita di Lugonis, come un mostro famelico. Luco si copre gli occhi con le mani e si abbandona al pianto. Sa di non meritare tale conforto, ma la disperazione distrugge le difese del suo cuore e della sua mente. Lugonis è l’ultimo membro della sua famiglia d’origine, perita a causa di una scorreria di briganti, e ne ricorda bene l’affetto e le premure. E’ sempre stato lui a consolarlo, durante le sue lunghe notti, straziate da quei terribili ricordi. Con lui, ha perduto ogni legame con la sua vita passata. Lui, Luco, il guaritore capace di curare ogni malattia, ha fallito. Nulla più gli resta tra le mani, se non la consapevolezza della sua inutilità. La sua esistenza a nulla è servita. A cosa sono servite le sue enormi capacità? Gli isolani lo onorano come un dio, eppure, in questo momento, tale riguardo gli sembra vano. Anzi, è un’offesa alla giustizia. Suo fratello riposa nella terra di Grecia e solo una lapide ricorda la sua esistenza, spesa in nome di un ideale tanto bello quanto crudele.
– Pa… Padrone… Si sente male? Che succede? – domanda una voce infantile flebile, risuonante di timore. L’uomo, lento, si volta e i suoi occhi stralunati, umidi di lacrime, si riflettono nelle iridi cerulee di Peukos, lucide di preoccupazione. Ai suoi piedi, sul pavimento, dimenticate, giacciono delle erbe e dei fiori policromi. Confuso, il guaritore fissa il suo assistente. Quando è entrato nella casa? Peukos, di solito, è vivace e rumoroso e il suo sorriso illumina ogni ambiente. Eppure, in quel momento, non è riuscito a sentire nulla. Gli è sembrato di essere precipitato in un abisso privo di luce. Un effimero sorriso solleva le sue labbra. Se fosse entrato un guerriero a lui superiore, avrebbe potuto prendere la sua vita senza alcun problema Il bambino, timoroso, fa un passo, poi si blocca. Cosa è successo al suo padrone? Che cosa lo ha fatto stare male? E come può lui, ancora all’inizio del suo apprendistato, aiutarlo? Gli fa male vedere Luco così tormentato e triste, ma, per quanto si sforzi, non riesce a trovare un modo per rimediare. – State male per colpa mia? – balbetta poi, sempre più angosciato. Ne è sicuro, deve avere agito male. Lo stato del suo maestro è colpa sua. Ma cosa ha fatto? Non gli sembra di avere sbagliato…
Sentendo quell’invocazione accorata, Luco solleva la testa e i suoi occhi incontrano le iridi chiare del bambino, tremolanti di spavento Per alcuni istanti, lo guarda, poi un mesto sorriso balena sul suo viso. – Povero Peukos… – sussurra, una luce d’amarezza negli occhi, rossi di lacrime. Non ha compiuto nessuna mancanza, anzi è mostrato un assistente diligente e desideroso d’apprendere… Ma, in quel momento, straziato dal dolore, non si è curato di lui. L’oscurità ha avvolto la sua persona, quando è venuto a conoscenza dell’infausta sorte di Lugonis. Gli è sembrato che ogni parte della realtà svanisse, ingoiata da quell’abisso tormentoso. Quasi con fatica, si alza, si avvicina a Peukos e gli posa la mano destra sulla testa, in una lieve e carezza affettuosa. Il piccolo spalanca gli occhi, sorpreso. Sembra che il maestro non lo incolpi di nulla… Ma la domanda resta nella sua mente. Che cosa è successo? – Non preoccuparti… Tu non mi hai dato alcun motivo per sentirti in colpa, Peukos. Ciò che mi fa male, non dipende da te. – spiega, la voce flebile e stanca. Il bimbo tace. Il suo padrone non desidera confidarsi con nessuno e lui rispetterà il suo desiderio. – Posso aiutarla in qualche modo? – chiede. Desidera essere utile al suo padre adottivo, ma non sa cosa fare. Come può alleviare, anche se per poco, le sue sofferenze? Luco accenna ad un sorriso. Quanta bontà è celata nel cuore del suo piccolo allievo… – Resterai con me? – domanda. Forse, il suo assistente può dare una direzione ad una vita che gli sembra priva di uno scopo… Lui desidera diventare un guaritore e le sue conoscenze possono giovargli. Peukos, per alcuni istanti, resta immobile, come sorpreso. Poi, comprende e un sorriso ravviva il suo viso. – Resterò. Non temete, padrone. –