Crossover
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Autore: EliChan    06/07/2009    0 recensioni
[Bleach e Saiyuki]
Le cose ai Gotei si sono appena sistemate, dopo che il tradimento e la fuga di Aizen hanno scatenato il caos. Da pochi giorni è apparsa una strana porta, nella foresta alla periferia dei distretti più poveri del Rukongai e molti Shinigami hanno iniziato a fare sogni strani.
La situazione allarma gli alti gradi dei Gotei, che ordinano ai sottoposti di fare rapporto di quegli strani sogni ed intanto viene studiata quella immensa porta che sembra colleghi il loro mondo con una dimensione mai esplorata da nessuno Shinigami.
Qualsiasi sia la causa di quei sogni, si trova aldilà di quella porta, e così alcuni Tenenti e Capitani vengono chiamati ad indagare.
Genere: Generale, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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01. Incubi.

Primo capitolo di una crossover di Saiyuki e Belach che avevo voglia di scrivere da tempo, ma che si è “materializzata” solo questa mattina. Cosa succederebbe se la Soul Society venisse collegata al Togenkyo? Ovvero come unire le due serie per me più prolifiche di fan fiction in una sola storia, e vedere un po’ dove può andare a parare.
Inutile dire che la storia probabilmente verterà sui rossi (e, “amando” io Gojyo non poteva essere diversamente XD), ma cercherò come possibile di tenerla un po’ più equilibrata.
Come al solito le mie fanfic sono completamente ShouneneAi/Yaoi-Free (spiacente per le amanti del genere, ma io proprio lo detesto), e per qualsiasi fan di RenjixRukia o similia sappiate fin da subito che se è un bacio che volete vedere, vi conviene leggere dell’altro, perché a me piacciono molto di più come “fratello e sorella” più che come amanti :E.

Non sono esattamente sicura dell'esattezza "storica" di alcuni dettagli (per esempio di quando sono state fatte le ferite alla guancia di Gojyo nel manga, se prima o durante quello specifico attacco della madre), quindi chiedo già venia per eventuali errori, nel caso fate come se avessi "romanzato" un po ;P.

In ultimo una piccola nota sui simboli che uso. Semplicemente per dire che i discorsi tra "" sono parlati, mentre quando uso «» si tratta di cose pensate o di discorsi fatti tramite il pensiero.

Enjoy!

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Sangue. Il pavimento era coperto di sangue.
Il piccolo corpicino di un coniglio era straziato e ora giaceva a terra sul pavimento dell’entrata, tra i fiori strappati e sparsi per la camera.
Si avvicinò timidamente, prendendo l'animaletto con le piccole mani tremanti, mentre, nella stanza accanto, quell'uomo cercava di calmare sua madre, di nuovo in preda ad una crisi di pianto isterico.
Guardò il batuffolo di pelo bianco inzaccherato di sangue rosso vivo e nella testa gli rimbombava la voce della donna.
«Se tu non fossi mai nato! Se tu fossi morto! Lui sarebbe ancora mio!»
Gli parve di sentire di nuovo gli strattoni e i colpi ricevuti poco prima da quella furia in lacrime.
Si lasciò cadere seduto a terra, stringendo a sé quel corpicino esanime.
Per quanto ci provasse, ogni volta che cercava di farla stare meglio finiva solo per peggiorare le cose.
Riaprì gli occhi. Ora era in soggiorno e non c'era più traccia del coniglio.
Sangue. C'era di nuovo sangue tutt'intorno. Si guardò le mani grondanti. Alzò lo sguardo terrorizzato alla ricerca di qualcuno che lo aiutasse, che lo prendesse e lo portasse via da lì perché lui non sentiva la forza nemmeno di alzarsi in piedi.
Non c'era nessuno. Solo il corpo inanime di quella donna, e una quantità assurda di sangue, come se non fosse tutto reale, come se fosse lui ad immaginare quella coltre purpurea coprire ogni cosa, oggetti, pavimento, muri.
Voci concitate provenivano dall'esterno. Qualcuno aveva visto Jien correre verso il bosco, col volto pieno di lacrime e le mani piene di sangue.
Jien. Era stato lui a salvargli la vita, a toglierla alla madre prima che l’accetta lo colpisse.
E ora era scappato, lasciandolo da solo con una massa di gente che non vedeva l'ora di impiccarlo, malgrado i suoi otto anni.
Il ricordo fresco del volto del fratello solcato dalle lacrime lo costrinse in piedi.
Andare via. Solo questo poteva fare.
Era nel folto del bosco, più lontano di quanto si fosse mai spinto, quando finalmente smise di correre.
Le braccia gli formicolavano, la testa girava, il viso in fiamme per quelle ferite che non aveva nemmeno sentito riaprirsi. Si asciugò la gola e la guancia con il dorso di una mano e rimase stupito nel vederla di nuovo inzaccherata.
In fondo anche il suo sangue era rosso, in questo era uguale a tutti gli altri.
-
Renji si svegliò di soprassalto, trafelato ed ansimante.
Erano diverse notti ormai che il copione era lo stesso. Per quanto cercasse di andare a dormire presto, puntualmente si svegliava nel cuore della notte con il cuore in gola per quell'incubo a cui non riusciva a dar spiegazione.
Capiva che nel sogno quella donna era sua madre, ma la cosa non era di grande aiuto.
Lui non ricordava nulla dei suoi genitori o della famiglia nel mondo materiale, era troppo piccolo quando era arrivato alla Soul Society per potersi ricordare qualcosa. Eppure sentiva che non era un ricordo suo. C'erano troppe cose strane.
Non sembrava per nulla il periodo Tokugawa e non assomigliava nemmeno al Giappone.
Allora perché diavolo continuava ad avere quell'incubo? E perché lo spaventava tanto?
La sveglia interruppe di colpo i suoi pensieri.
Le sei. Come al solito il tempo si prendeva gioco di lui, e così in un batter d'occhio aveva perso un'altra nottata di sonno.
Iniziava a non poterne più di quella storia.
Di solito ci metteva tre quarti d'ora buoni a sentire la sveglia e la puntava con grande anticipo, ma ormai era sveglio e non gli piaceva troppo l'idea di star lì a rimuginare su quel sogno.
Controvoglia si trascinò fuori dalle coperte, con movimenti lenti e pesanti.
-
"Nottataccia?"
La voce di Matsumoto sembrò volergli trapanare la testa, già fin troppo dolorante.
Alzò di malavoglia il volto dal tavolo, strizzando gli occhi alla luce.
Accanto a lui, al tavolo riservato ai tenenti, si erano già sistemati Kira, Hinamori e Hisagi, mentre Kotetsu e Ise si avvicinavano chiacchierando amabilmente.
"Che ore sono?", domandò a stento Renji, cercando di aprire gli occhi malgrado la luce gli facesse ancora male.
"Le sette e un quarto.", rispose Ranjiku, sedendosi di fianco a lui ed iniziando a mangiare.
All'improvviso qualcosa colpì Renji alla schiena e gli si aggrappò alle spalle, causandogli una fitta di dolore alla testa.
Yachiru si sporse dalla schiena dell'uomo, allungando una mano a rubargli un pezzo di tayaki dal piatto.
"'Giorno Yachiru.", bisbigliò dolorante Renji, coprendosi il volto con una mano.
"Da quanto sei qui?", gli chiese Matsumoto, mentre passava una tazza di the alla bambina ancora inerpicata sulla schiena del ragazzo.
"Le sei e mezza credo."
"Hai fatto di nuovo quel sogno?", chiese stupita Hinamori.
"Non me ne parlare, quel dannato incubo sta diventando un ossessione. Non ne vuol sapere di lasciarmi dormire.", mormorò, appoggiando di nuovo le braccia al tavolo.
"È un periodo che tutti fanno sogni strani, ma il tuo è di certo il più ostinato.", commentò Hisagi, con un evidente sbadiglio.
"Credete che sia connesso a quella strana porta?", domandò Kira, riponendo in ordine meticoloso le stoviglie appena usate.
"Lo spero.", mugugnò Renji, appoggiando nuovamente la testa alle braccia.
"Mi é giunta voce che il Generale abbia deciso di mandare qualcuno ad indagare e pare che abbia scelto gli alti gradi che sembrano avere un collegamento più forte con quei sogni.", commentò Matsumoto.
"È già strano fare rapporto sui propri sogni, decidere una spedizione in base a questi mi sembra un tantino eccessivo.", continuò Hisagi, alle prese con Yachiru che, usando le spalle di Renji come trampolo, tentava di rubare anche a lui la colazione.
"Aspetta, vuoi dire che è per questo che scriviamo rapporti da una settimana?", chiese stupito Renji, voltandosi verso Matsumoto.
"E indovina chi ci dovrà andare.", lo punzecchiò mandandogli un bacio ironico.
"Oh no...", mormorò avvilito lui, battendo senza forza la testa sulle braccia.
"Beh, guardala dal lato positivo, forse così tornerai a dormire senza problemi.", continuò la donna accanto a lui.
"O forse peggioro.", sbraitò in un mugugno Renji, abbandonandosi sul tavolo.
-
Mezza giornata più tardi Renji era ad aspettare gli ultimi preparativi per la partenza.
Il Generale e i Capitani li avevano sfiniti di raccomandazioni.
A quanto ne sapeva Renji, non era mai capitato un evento simile e nessuno sapeva cosa potesse aspettarli dall'altra parte di quella strana porta.
Ma non era questo il pensiero che continuava a ronzargli in testa, e non era nemmeno l'incubo a dargli così fastidio in quel momento. Era una strana discussione avuta poco prima con Rukia a disturbarlo e a distrarlo dal Capitano Ukitake che si stava ancora impegnando a raccomandarli di stare particolarmente attenti.
Tipico. Per una volta che riusciva ad avvicinarla avevano finito per litigare. Lei aveva insistito perché lui rimanesse nei Gotei, accennando a un sogno che aveva fatto quella notte, ma il discorso era degenerato in fretta, tanto che alla fine Rukia se ne era andata senza nemmeno accennare un saluto. Questa volta, complice la stanchezza, Renji era riuscito a risponderle davvero male. Si ripensandoci se l'era meritato lo schiaffo.
Si passò soprapensiero il dorso della mano sulla guancia ancora rossa e dolorante. Per un attimo gli sembrò di essere di nuovo quel bambino, con le mani coperte di sangue.
Solo il tempestivo intervento di Hisagi, che lo chiamò ad alta voce proprio in quel momento gli impedì di mostrare quel terrore che la visione gli stava provocando.
Hisagi gli porse una borsa di tela, identica a quelle che erano state date a lui, al Capitano Toshiro e al Capitano Kenpachi, come sempre accompagnato da Yachiru.
"Tu che ci fai qui?", chiese stupito.
"Ti faccio da baby-sitter.", rispose Hisagi in tono canzonatorio.
"Divertente... e chi viene per badare a te?", commentò sarcastico Renji, afferrando la borsa e guardandosi attorno.
In risposta ricevette solo un gestaccio.
"Scherzi a parte siamo già tu, io, il Capitano Kenpachi con Yachiru ed il Capitano Toshiro. Tutta gente che sa farsi notare molto bene, non proprio perfetta per stare sotto qualche genere di copertura.", continuò più pensieroso.
Un gesto di richiamo attirò di nuovo la loro attenzione sul Capitano Ukitake.
"Dato che il Tenente Hisagi si è appena aggregato alla missione, chiedo gentilmente al Capitano Kurotsuchi di ricapitolare in che cosa consiste.", esordì l'uomo, per poi lasciare la parola al collega.
"Come sapete questa porta è apparsa circa una settimana fa, in concomitanza con un ondata anomala di sogni e incubi tra gli Shinigami capaci di Shikai. Dopo i dovuti studi, ieri è stata mandata una squadra di ricognizione che ha avuto il compito di verificare la compatibilità dei nostri strumenti. Oltre ad aver confermato che i telefoni con vi abbiamo equipaggiato sono in grado di comunicare perfettamente con la nostra base operativa, è stata anche evidenziata una fonte anomala di reiatsu, che siete chiamati a verificare. Oltre a questo abbiamo bisogno di rapporti dettagliati su quel mondo, per capirne la natura e i motivi dell'apparizione di questa porta. Avete tutte le informazioni che vi possono essere utili nei dossier che trovate tra l'equipaggiamento. Domande?"
Hisagi alzò la mano.
"Come dobbiamo comportarci se incontriamo qualcuno?"
"C'è la possibilità che in quel mondo i corpi spirituali vengano percepiti come materiali, quindi non date per scontato che non vi si possa notare. In ogni caso cercate di mantenere un atteggiamento non ostile e di mimetizzarvi tra la popolazione autoctona. Vi é permesso fare uso della forza solo in risposta a una minaccia concreta o ad un attacco effettivo. Non sappiamo se la comparsa del portale sia dovuta ad azioni ostili nei nostri confronti e non sappiamo nemmeno se sia voluta. Ricordate che andate ad indagare, non a combattere. In questo momento dobbiamo assolutamente cercare di evitare un'altra guerra."
"E per il sigillo?"
"Abbiamo deciso che affronterete questa missione come se fosse nel mondo materiale, quindi per il momento lo avrete. In ogni caso, non sapendo che pericoli potreste affrontare, nei vostri apparecchi è stato installato un dispositivo che potrà revocare automaticamente il sigillo componendo il numero che vi è stato appuntato. Confidiamo che ne facciate uso solo in caso di pericolo effettivo."
Un bagliore alle sue spalle fece voltare il Capitano verso la porta, dove alcuni suoi sottoposti avevano appena finito di lavorare per aprire il passaggio.
Uno di loro fece un cenno positivo per indicare che i preparativi erano terminati.
Renji aggrottò le sopracciglia, chiedendosi una volta di più perché diavolo toccasse partire anche a lui malgrado non fosse al massimo della forma. Tutto quello che voleva era potersene tornare a dormire, magari senza incubi a svegliarlo.
Rukia, nascosta dietro a uno degli alberi che incorniciavano la radura, fissò attentamente la scena, seguendo con lo sguardo ogni gesto dell'amico, fino a quando non oltrepassò con gli altri la porta e questa non venne chiusa.
Si lasciò cadere seduta a terra, con la schiena appoggiata al tronco.
Alla fine non era riuscita ad avvertirlo del pericolo che poteva aspettarlo dall'altra parte, di quelle persone che se la sarebbero presa con lui.
Quando lui le aveva malamente ricordato che non era per il suo rango militare che era stata lasciata al sicuro a casa, ma per quello sociale, lei non ci aveva visto davvero più. Sapeva che non era invidia quella che l'aveva fatto parlare a quel modo, ma sentirsi sbattere in faccia la realtà che la faceva vergognare tanto le aveva fatto dimenticare il motivo per cui aveva cercato il ragazzo.
Ora si sentiva preoccupata e agitata e iniziava a chiedersi perché fosse stata così stupida da non parlarne neppure al proprio Capitano.
Suo fratello non l’avrebbe mai ascoltata, ma forse il Capitano Ukitake avrebbe potuto fare in modo di lasciare Renji nei Gotei.
Si strinse le gambe ripiegate con le braccia, raggomitolandosi ai piedi di quell'immenso albero, che la faceva sentire più minuta di quanto non fosse.
Sentì a stento la propria voce rotta da un nodo in gola che non riusciva a sciogliere.
"Stai attento, Renji."

  
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