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Autore: LolStory    22/06/2018    0 recensioni
Vedo il suo sorriso.
Riapro gli occhi. Continuo a vivere incubi, da sveglio o da addormentato. La mia vita è un incubo.
Tic toc: sono già le tre.
Mi tiro su, passandomi una mano trai capelli. Non valeva la pena rimanere a letto per pensare. Giro appena il volto, guardando la mia figura dallo specchio accanto al letto.
Vedo un uomo. I capelli scuri e disordinati, gli occhi verdi sono spenti. Ha delle occhiaie veramente profonde, la pelle è diafana, troppo per una persona viva. Non mi riconosco in quella figura e probabilmente non mi avrebbe riconosciuto neanche lei.
Tic toc: abbasso lo sguardo, coprendomi gli occhi con una mano. Quanto mi fa male la testa, dio.
Tic toc: Quanto odio questo dannato orologio.
Tic toc: Quanto ho amato questo dannato orologio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tic toc: un ricordo.
Tic toc: un altro ricordo.
Tic toc.
Chiudo gli occhi. Li stringo il più possibile. Voglio solamente dormire. Vi prego, fatemi dormire.
Vedo il suo sorriso.
Riapro gli occhi. Continuo a vivere incubi, da sveglio o da addormentato. La mia vita è un incubo.
Tic toc: sono già le tre.
Mi tiro su, passandomi una mano trai capelli. Non valeva la pena rimanere a letto per pensare. Giro appena il volto, guardando la mia figura dallo specchio accanto al letto.
Vedo un uomo. I capelli scuri e disordinati, gli occhi verdi sono spenti. Ha delle occhiaie veramente profonde, la pelle è diafana, troppo per una persona viva. Non mi riconosco in quella figura e probabilmente non mi avrebbe riconosciuto neanche lei.
Tic toc: abbasso lo sguardo, coprendomi gli occhi con una mano. Quanto mi fa male la testa, dio.
Tic toc: Quanto odio questo dannato orologio.
Tic toc: Quanto ho amato questo dannato orologio.
I ricordi iniziano a salire a galla. Uno dopo l'altro, come se mi stessero facendo vedere dei pezzi di video di una storia che non mi appartiene. E in tutti c'è lei.
Lei che imbarazzata mi si presenta, con un piccolo inchino. Quegli occhi marroni da cerbiatto che mi hanno fatto perdere la testa, che mi guardano: felici, tristi, dispiaciuti, divertiti. I suoi dannati occhi che rispecchiavano esattamente la sua anima.
Noi che passeggiamo. Lei che mi sorride e allontanandosi fa una piroetta su se stessa, incrociando le braccia dietro la schiena, ricominciando a camminare, leggermente più avanti di me, mentre mi parla di tutto quello che avrebbe fatto, dei suoi progetti, di come trovava tutto così bello. Io restavo indietro, a guardarla. I capelli castani legati in uno chignon disordinato, con qualche ciocca che sfuggiva di qua e di la, il lungo vestito che ballava con lei. Sorridevo e, puntualmente, lei si girava verso di me, guardandomi con aria serena, per poi sorridere, prendermi la mano e aumentare il passo, quasi correndo, mentre mi tenevo il cappello per non farlo cadere.
La vedo saltellare felice, nella stanza al tempo vuota che è ormai la mia stanza, sorridermi allegra, mentre si avvicina per lasciarmi un bacio sulle labbra e abbracciarmi. Le sussurro che ce l'abbiamo fatta. Dopo tutte le difficoltà, ora avevamo un posticino tutto per noi.
Poi ha iniziato a stare male. Continue nausee, giramenti di testa... Iniziavo a preoccuparmi veramente, così chiamai un medico. Li lasciai soli e quando entrai nella camera da letto, la vidi immobile, le braccia lungo i fianchi. Pensai al peggio e le chiesi cosa fosse successo. Iniziò a ridere, mentre qualche lacrima le sgorgava dagli occhi, mentre mi saltava al collo, sussurrandomi che era in dolce attesa. Questa notizia mi riempì il cuore. La presi dai fianchi e la feci volteggiare in aria, per poi attirarla a me e ringraziarla.
Tic toc: Quanto l'amavo.
Iniziai a lavorare di più, avevamo bisogno di più soldi per comprare le cose che servivano al bambino, o alla bambina. Lei mi diceva spesso che desiderava una femminuccia, mentre si accarezzava il ventre. Io sorridendo le dicevo che avrebbe sicuramente avuto l'imbranataggine della madre. Lei di tutta risposta mi faceva la linguaccia, per poi rispostare lo sguardo sul ventre, con un mezzo sorriso. Per il lavoro spesso ero fuori casa, trascurandola abbastanza. Cercavo sempre di farmi perdonare per la mia assenza, ma lei mi sorrideva e solamente guardandola, sapevo che dovevo stare tranquillo. Lei sapeva che lo facevo per noi.
Tic toc: una carrozza passa accanto alla finestra.
Lo scricchiolio delle ruote.
Sento la testa esplodere.
Vedo lei. Lei che si china, dolorante, mentre si tiene la pancia ormai più che evidente. Io che faccio fermare una carrozza. Noi due che saliamo sulla carrozza per raggiungere la levatrice.
Mi sorride, con gli occhi lucidi. E' felice, ma ha paura. Le stringo la mano, dove lascio un bacio, sorridendole. Incito il cocchiere ad andare più veloce e lui mi accontenta.
Le sussurro parole di conforto. All'improvviso il normale scricchiolio delle ruote, il rumore degli zoccoli dei cavalli, che si interrompono all'improvviso. I cavalli che nitriscono spaventati, iniziando a correre. Troppo veloce. La corrozza si inclina, sorressa da una sola ruota. Vedo lei terrorizzata. Non per se. Non per me. Cerco di far peso, per far tornare la carrozza in una posizione normale. La ruota si rompe. La sento urlare.
Tic toc: addio.
L'ultimo ricordo che mi permetto di avere è quello di lei, che gira tra i vari empori. Tutta eccitata e fomentata. Mi indica un orologio. Dice che le piace tanto. Lo prendiamo.
Tic toc.
Mi alzo, stringendo i pugni.
Quanto la amavo.
Quanto odio quella carrozza.
Quanto amavo questo orologio.
Quanto odio il suo ricordarmi che il tempo passa.
Quanto odio.
Lascio la mia rabbia sfogarsi e l'orologio cadere a terra.
Niente tic toc.
Era ora di non far passare più il mio tempo.
   
 
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