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Autore: Luana89    23/06/2018    1 recensioni
Nessuno può dire cosa succede in quel sottile processo di cambiamento tra la persona che eri e la persona che diventi. Nessuno, oltre te, può tracciare la linea immaginaria dell'inferno. Nessuna mappa. Nessuna via indicativa. Sei semplicemente uscito dall'altra parte, e non ti resta che camminare e sperare. In molti provano a scombinarmi i pensieri, a capire cosa ci sia dentro quel lerciume coperto da strati di capelli e ossa. Fottuti idioti. Nessuno entrerà mai nel mio castello. Nessuno ne varcherà mai nemmeno i cancelli. O forse si, forse tu?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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VI



Vivere da sola aveva adesso i suoi pregi, per esempio se nel cuore della notte mi arrivava una chiamata da infarto non avevo bisogno di sgattaiolare dalla finestra – com’ero solita fare in adolescenza – per non spaventare papà. La mia mente vorticava in un mare tempestoso di pensieri, il fatto che non avesse chiamato lui ma James era abbastanza per mettermi in allarme, che cosa gli era successo? Aveva fatto a botte? Magari durante una rissa avevano uscito i coltelli e .. no no dovevo stare calma, agire d’impulso e farmi divorare dalla paura non era di sicuro il metodo adatto per uscirne indenne. Afferrai la borsa con tutti i miei attrezzi, ricordavo ancora il giorno in cui papà me li aveva regalati, adesso sembrava tutto così lontano. Come se la patina di quel sogno si fosse sporcata lasciando posto alla cruda e nuda realtà.
 
Due colpi alla sua porta prima di sentire da dentro giungere rumori attutiti, sembravano passi strascicati e questo mi confortò; insomma se riusciva a camminare non stava morendo dissanguato in qualche angolo o no? Non capivo perché non fosse andato in ospedale, perché aveva preferito marcire da solo in quella casa. Come sempre. Sembravo non riuscire a trovare un posto accanto a lui, e le nostre parole in quella notte rabbiosa continuavano a rimbombare nelle mie orecchie come le unghie che graffiavano la lavagna. I miei occhi si poggiarono sull’uscio che lentamente si spalancò lasciando il posto al suo viso, la borsa mi cadde dalle mani, soffocai un urlo contro il palmo fissandolo incredula. Teneva una maglia sporca di sangue a coprirgli una parte del viso, il petto nudo era striato di rosso, come se il sangue fosse caduto e raggrumato anche lì.
«Che cosa hai fatto..» tra i due non avrei saputo dire chi in effetti fosse il più sconvolto. Mi fissava quasi come se non mi vedesse.
«Cosa ci fai qui». Il tono basso ma sbrigativo mi fece pensare che non aveva digerito la nostra litigata di qualche giorno prima.
«Secondo te?». Sollevai la borsa in un gesto eloquente spostandolo con poca grazia per immettermi dentro casa. Nonostante la penombra riuscivo a scorgere le sagome dei mobili, degli abiti gettati a terra, l’aveva ridotta ancora un porcile. Come se non riuscisse a vivere nell’ordine, una sorta di complicata metafora dalla quale avrei dovuto dedurre alcune cose. Anzi moltissime cose.
«Chi ti ha chiamata?». La sua voce mi arrivò eccessivamente vicina, voltai appena il viso scoprendolo praticamente accanto a me, ci fissammo con pesantezza finché non lo vidi interrompere quella guerra silenziosa e farsi spazio diretto verso la propria stanza. Lo seguii in silenzio, evidentemente sapere chi mi avesse avvisato non gli interessava poi molto. Camera di Jay era esattamente come l’avevo lasciata, disordine a parte, in qualche modo la parte della casa che sicuramente lo rispecchiava di più. Poggiai la borsa sulla poltrona vicino il letto andando a riempire una bacinella con acqua, cercando asciugamani puliti per pulire la ferita.
«Posso sapere come ti sei ferito?». Lo trovai seduto sul bordo del letto, la poltrona adesso di fronte a lui quasi come se l’avesse preparata in vista del mio ritorno.
«La corsa è andata male». Adesso mi spiegavo anche il motivo per la quale non era andato in ospedale, il fatto che non mi avesse chiamata mi mortificava più di quanto volessi ammettere.
«Non hai mai perso una corsa…», parlai con cautela, ero sicura fosse ancora profondamente arrabbiato per quella perdita e i suoi occhi scavati me lo confermarono piantandosi addosso a me in silenzio. Cosa gli stava accadendo? Notai le pupille lievemente ristrette e un nodo attorcigliò il mio stomaco, fissai le sue braccia illuminate dalla luce artificiale ma non scorsi alcuna ferita, era il caso di sentirmi sollevata? Mi sedetti poggiando la bacinella accanto a lui sul letto, togliendogli la maglia dalla faccia per esaminare la ferita.
«Sei troppo lontana». Aggrottai la fronte fissandolo.
«Cosa? No, sono—» non mi diede il tempo di parlare, la sua mano si intrufolò tra le mie cosce facendomi sobbalzare, avvicinandomi insieme alla poltrona con un gesto secco quando rude. Le nostre ginocchia si scontrarono e urlai quasi di dolore, strinsi i denti fissandolo.
«Perché fai così?»

 
 

(           JAY       )

 
Una domanda semplice con un’infinità di risposte al suo seguito però, e tutte impossibili da esprimere ad alta voce. Ritrovarmela lì in piena notte non era stata sicuramente la miglior sorpresa dell’anno, ero sicuro l’avesse avvertita James, Peter non era il tipo anzi lui mi avrebbe fatto marcire soffocato dal mio stesso sangue per punirmi.
«Sai suturare?». Inarcai il sopracciglio (quello buono) parlandole in maniera arrogante, ogni volta che la fissavo mi tornava in mente lei che si lasciava sfiorare da quelle mani estranee. Sapevo di non avere il diritto di sentirmi geloso, eppure non riuscivo a farne a meno. Alice non si scompose né mi rispose, suppongo fosse troppo avanti per quei giochetti infimi e da bambini, dimenticavo spesso che lei a differenza mia aveva intrapreso la strada che conduceva alla maturità, mentre io restavo solo e bloccato nei miei tredici anni aggrappato alla gonna di mia madre, fissando il mondo con gli occhi sporcati da un’innocenza mai avuta. Odiavo la mia vita, odiavo tutto, odiavo me stesso e odiavo lei per essersene andata. La immaginavo ancora penzolare dal soffitto, mi ero fatto una dose un’ora prima avevo pensato subito a quella che al mio viso rotto e nel momento del culmine l’avevo vista penzolare. I suoi piedi sporchi a qualche metro dal pavimento, li avrei baciati e bagnati delle mie lacrime se solo fossi stato lì. Mi domandavo spesso cosa facevo mentre mia madre era intenta a togliersi la vita, stavo ridendo? O parlando con qualcuno? Pensavo ad Alice? O magari ero direttamente insieme a lei? Non riuscivo a ricordare un singolo fotogramma di quella giornata, come se fosse iniziato tutto dall’ingresso dei poliziotti in casa mia.  
«Farà un po’ male..» le osservai le labbra così vicine alle mie, soffiavano aria pulita ma non abbastanza da scacciar via quella marcia dentro i miei polmoni. L’ago perforò la mia pelle, strinsi i denti socchiudendo gli occhi, le sue mani fresche su di me erano come un balsamo lenitivo. Restai fermo a subire quella punizione, ritardando il momento in cui l’avrei vista voltarmi le spalle e andare via.
 
«Domani avrai il livido sicuramente, ne hai già uno all’altezza dello zigomo». Toccai la parte interessata con le dita tremanti, non mi interessava molto della cicatrice in realtà.
«Metterò qualcosa..», restai seduto mentre la guardavo riporre ogni cosa nella borsa e richiuderla, le sue mani si bloccarono e i suoi occhi bevvero dalla mia figura china.
«Avevi intenzione di sparire? Non cercarmi più e tanti cari saluti?». Il fatto che non si fosse alzata andandosene via non sapevo bene se mi procurasse più gioia o sgomento.
«La fai passare come un’idea veramente brutta». Il mio tono strascicato seguì il suo sguardo ferito.
«Vorrei capire cosa succede, cosa ti ho fatto esattamente per renderti così». Non c’era bisogno di chiarire il concetto di ‘’così’’ sapevamo bene entrambi cosa intendesse dire. Non potevo risponderle, non era così semplice per me, per noi, dirle tutto ciò che avevo dentro. Mi alzai mettendo una distanza esigua tra i nostri corpi, aprendo la porta finestra e lasciando che la brezza calmasse la mia ansia. Stavo rientrando in paranoia? Rovistai nel cassetto del mobile estraendo una bustina di erba, iniziando a prepararla. Sentii la sua figura alzarsi e venirmi vicino, si poggiò allo stipite con la schiena, restando semplicemente a guardarmi.
«Smettila». non ne potevo più.  
«Di fare cosa?». Lo sapeva bene ma fingeva. Ed era questo il problema principale tra noi, giocare a chi recitava meglio quelle parti che c’eravamo cucite addosso ormai anni fa. La brace si illuminò, inspirai il fumo buttandolo fuori pochi secondi dopo, guardandolo sparire verso il cielo.
«Dovresti tornare a casa Alice». Non la guardai continuando a fumare in silenzio, cercando un conforto e una tranquillità nell’erba che ero sicuro non sarebbe arrivato.
«E se volessi stare qui con te?». Chiusi gli occhi respirando profondamente, quando li riaprii i miei occhi contenevano tutte le cose che non ero mai riuscito a esprimere.
«Guardami negli occhi e dimmi che non hai provato ad andare avanti lasciandomi indietro». Sobbalzò a quelle parole fissandomi e scuotendo il capo.
«Non l’ho mai—» non la feci neppure continuare, diedi un calcio alla porta che tremò nel silenzio ancora più assordante.
«Lo hai fatto. Con quel tipo, tu lo hai fatto. Ed è giusto così probabilmente, ma smettila di tornare sempre qui e da me. Se devi andare avanti fallo e basta.» gettai la sigaretta ormai consumata oltre la ringhiera.
«Ti sei mai chiesto il perché io voglia andare avanti?». La sua voce tremante mi indisponeva, aumentava solo i miei sensi di colpa.
«Perché è giusto?»
«No, NO. Non perché ‘’è giusto’’, perché sono stanca di aspettarti. Sono stanca di fare quel fottutissimo gioco dello specchio, sono stanca di sollevare sempre la mano sbagliata». Le sue lacrime ruppero la bolla di cristallo, allungai una mano ma lei la scostò con uno schiaffo allontanandosi da me.
«Alice..»
«NON VOGLIO CHE MI TOCCHI. Se mi tocchi è tutto inutile, finiresti per abbracciarmi e io finirei per cedere, non è ciò che voglio. Jay, non sono i tuoi abbracci quello che voglio». Mandai giù il bolo di saliva, faticavo a respirare, perché proprio adesso? Perché non prima, quando saperlo mi avrebbe forse salvato dal commettere per l’ennesima volta l’errore più grande della mia vita.
«Ho passato gli ultimi dieci anni a ripetermi  quanto fosse vitale sollevare il braccio sbagliato di fronte a te, perché non eri, non sei e non sarai mai alla mia portata». Serrai la mandibola colmando le distanze tra noi, era così vivida lì ritta di fronte a me da bruciarmi quasi gli occhi. Come poteva pensare non l’avessi mai vista davvero? «Non c’è stato giorno in cui non ti abbia vista Alice, sei diventata l’unica cosa bella della mia vita. A sedici anni pensavo fosse gratitudine e invidia, a diciotto ho capito quanto avessi sbagliato». Non riuscivo a sentirla piangere, era come se ogni singhiozzo mi scavasse dentro lo stomaco, raschiasse fin dentro le profondità lasciandomi agonizzante. Le mie labbra si avventarono sulle sue, sentii le sue mani aggrapparsi al mio collo, la sollevai quasi di peso e la sua schiena aderì all’armadio mentre sollevavo il suo vestito toccando le cosce adesso avvolte ai miei fianchi.
«E’ sbagliato». Ansimò quelle parole tra un bacio e l’altro, anche volendo in quel momento non sarei riuscito a fermarmi.
«Lo so». La trascinai verso il letto, il suo corpo toccò le lenzuola morbide e il mio la sovrastò. La fissai stesa, con i capelli sparsi sul cuscino a formare una sorta di corona, il vestito del tutto sollevato lasciava poco all’immaginazione.
«Jay—» il mio bacio la rapì ancora una volta, mi ero chiesto per anni se il suo sapore fosse stato un semplice miraggio, se avessi immaginato tutto lì in quel campetto da basket. Le sue mani si poggiarono al mio petto scostandomi quasi a forza.
«Che c’è..», la guardai e temetti di sciogliermi, la vidi in difficoltà mentre umettava le labbra rosse a martoriate dai miei baci rendendomi ancora più smanioso.
«Non l’ho mai fatto». Lo disse come fosse la vergogna più grande, la sua colpa più nascosta. Le mie labbra tremarono appena prima di sfociare in una risata. Seppellii il viso contro il suo collo provando ad attutire i miei singhiozzi. «Posso sapere cosa diamine c’è da ridere? TOGLITI SUBITO.»
«No non rido di te, è solo che..» provò ad allontanarmi tirandomi con forza i capelli, le bloccai i polsi sopra la testa mettendomi a cavalcioni su di lei. «E’ solo che quando stavo in prigione temevo arrivasse qualcuno, e che quel qualcuno ti avrebbe toccata.. e baciata». Mi avvicinai ancora, non si ritrasse e le nostre labbra schiuse combaciarono alla perfezione.
«Pensi non l’abbia mai fatto perché mi è mancata l’occasione?» mi fissò con quegli occhi chiari e grandi, mi sentii minuscolo. «Non l’ho mai fatto perché volevo te.»
Pensai di dover fuggire, pensai di non poterla rovinare così, di non poterci rovinare così. Eppure non ci riuscii, non con lei a fissarmi in quel modo, non con le sue mani che accarezzavano la mia schiena strappandomi brividi di piacere. Non potevo perché non c’era mai stato qualcosa che avessi desiderato di più, perché i miei occhi avevano sempre visto solo lei. Ricordai Chicago ancora una volta, gli occhi grandi di Shanti così simili ai suoi, mi ero lasciato trascinare in quel vortice per sopperire la sua mancanza; come poteva essere sbagliato quindi?
 
Paragonai il suo corpo nudo a un’opera d’arte, andava oltre le semplici aspettative che una mente marcia come la mia poteva partorire. Il sapore della sua pelle mentre ne leccavo ogni fessura, mentre baciavo ogni centimetro ogni spicchio di quella pelle pallida come la luna alta nel cielo. Le sue mani riuscivano a darmi piacere in modi che non pensavo fossero possibili, era come se sentissi ogni singola cosa attorno a me, come se ogni suo bacio, ogni sfregamento delle nostre pelli valesse cento volte di più. Persino il modo in cui le sue dita si muovevano sulla mia erezione mi mandava ai matti, sentivo la pelle andare a fuoco e continuavo a fissarla dall’alto ammirando le guance che non smisero mai di arrossarsi.
Entrai dentro di lei lentamente, sentivo la sua carne resistermi e spingermi quasi fuori. I suoi muscoli irrigiditi mentre l’ennesima spinta più forte delle altre mi portò a farla mia, strappando un grido di dolore a lei e un ansimo di piacere a me.
Le sue unghie sulla mia carne, graffiavano la mia schiena, le mie dita suoi suoi fianchi la stringevano possessivamente ne modellavano la pelle quasi fosse creta nelle mie mani mentre mi sussurrava di non fermarmi, di continuare a spingermi dentro di lei ancora più a fondo. Mi sentivo schifosamente eccitato, me ne vergognavo quasi, il modo in cui la desideravo e il non volerla sporcare con i miei pensieri. Leccai il suo collo lascivamente, ne morsi la pelle lasciandole un livido che mi augurai vedesse quanta più gente possibile, la sentii afferrarmi i glutei e stringermi le cosce con forza attorno ai fianchi, le sue urla e i miei gemiti supposi avessero svegliato i vicini.
 
 
La fissai con occhi socchiusi da sotto il cuscino finché non la vidi sbattere il piede contro la poltrona e imprecare in una lingua a me sconosciuta. Mi sollevai appena grattandomi la guancia, sentendola ispida.
«Si può sapere che cazzo fai all’alba?». Si voltò quasi spaventata nel trovarmi sveglio, il che era paradossale visto che avevamo fatto l’amore fino a mezzora prima.
«Ho scordato di avere una presentazione all’università, se la manco posso giocarmi la laurea». Tipico di lei fare il melodramma per le stronzate, sorrisi assonnato lasciandomi ricadere sul cuscino, il suo, ne sentii l’odore e la mia mano scattò automaticamente ad afferrarle il polso. Urlò di sorpresa ricadendomi addosso.
«Jay, devo andare ok?». La sua risata mi spinse a prenderla poco sul serio mentre le rubavo un bacio infilandole una mano sotto il vestito, la toccai attraverso la stoffa delle mutandine strappandole un gemito di piacere.
«Vuoi sul serio lasciarmi qui da solo?». Mi morse le labbra come a punirmi, stringendo le dita sottili sul mio polso quasi a voler fermare quelle carezze sempre più intime.
«Non fare il bambino, con me non attacca. Passo da te stasera..». Mi scostai sorridendo ambiguamente.
«E’ così quindi? Mi usi per il sesso? Sono scioccato». Mi beccai uno schiaffo sul petto e una risatina.
«Ebbene si, fai il tuo dovere stallone». Ammiccò provocante alzandosi e sfuggendo alle mie grinfie, la vidi sparire dopo avermi lanciato un bacio che finsi di afferrare al volo. Adesso solo provai a mettere ordine tra i miei pensieri senza grandi risultati, se me ne pentivo? No. Anche se ammetto che forse avrei dovuto farlo, quanto ci avrei messo a rovinare tutto? Forse quella era la volta buona per cambiare, per smetterla con tutte quelle stronzate.. il telefono squillò e il nome di Safari balzò ai miei occhi. Era la prova del nove? Bastava chiudere la chiamata senza rispondere, morire in quel letto per le crisi d’astinenza e poi risorgere dalle mie stesse ceneri. Dovevo farlo per lei.
 
— Pronto?
 
 
 
***
 
 
L’officina deserta mi accolse pochi istanti dopo, non vedevo James da quella famosa notte, un forte rumore attirò la mia attenzione, fissai la chiave in metallo rotolare a terra seguita dall’imprecazione di una voce familiare.
«Ehi». Lo vidi sollevare la testa di scatto per fissarmi, reclinò il capo quasi incredulo.
«Che cazzo ci fai tu qui?». Mi aspettavo un’accoglienza simile, allargai le braccia sporgendo le labbra in un’espressione costernata.
«Non so, chiedere umilmente scusa per l’auto e prometterti che alla prossima corsa vincerò?». I suoi occhi azzurri ebbero un bagliore sinistro.
«Pensi sia questo che voglio?». No, lui voleva io stessi bene, come potevo spiegargli di averci provato sul serio?
«Va tutto bene James, sul serio..», era la stessa risposta che davo a me stesso ogni volta che stavo per farmi, ironico no?
«Bucarti quindi è una specie di nuovo passatempo che non porterà alcuna conseguenza?». Raccolse la chiave inglese e io pensai volesse usarla per spaccarmi la testa. I punti tirarono dolendomi.
«Quindi che vuoi fare? Non parlarmi più? Finisce qui insomma, vent’anni d’amicizia ed è stato bello finché è durato». Sorrisi in maniera meschina, sapevo com’era fatto e infatti schivai l’oggetto volante poco prima che mi aprisse in due la faccia.
«Sei un fottuto pezzo di merda, sono passati dieci giorni dalla corsa e ti presenti solo ora?»
«Ho avuto altre cose da fare, e poi sapevo che mi avresti ucciso se fossi venuto quella notte stessa». Mi fissò con un mezzo sorrisino falso.
«Altre cose, tipo? Spero non intenda bucarti in qualche viuzza che odora di merda». Okay, iniziavo a innervosirmi pure io.
«Vuoi fare a botte quindi?». Annuii togliendomi il giubbotto che gettai a terra, sollevando le maniche della camicia, non ebbi comunque il tempo di completare perché il bastardo mi si avventò contro a tradimento.
 
 
«Credo mi si siano aperti due punti», toccai il sopracciglio dolente e sentii già le urla di Alice perforarmi il timpano.
«Dovevo aprirti il culo». La sua voce affannata seguì uno sputo, si asciugò il sangue dal labbro passandomi una soda ghiacciata che poggiai alla guancia.
«Sto con Alice, credo». Non lo guardai ma ero sicuro più o meno dell’espressione che avesse in quel momento.
«Quindi i miracoli accadono?  Non pensavo che chiamarla quella notte sarebbe servito», colpii la sua gamba col mio piede senza metterci troppa forza. Avevo i vestiti a brandelli, ero stanco e sudato, le mie forze in quel periodo andavano diminuendo.
«Penso sia solo l’ennesima cazzata che faccio.»
«Lo è, ammesso tu non decida di cambiare vita. Pensi di poterlo fare per lei?». Bevvi un sorso della soda sentendo la gola bruciare. Potevo farlo? In realtà volevo, lo volevo con tutto me stesso, ma i mostri alle mie spalle continuavano a strattonarmi e tirarmi, continuavano a urlare la notte senza darmi tregua.
«Penso dovrei cercare Peter, lui di sicuro non farà a cazzotti con me». Lo fissai in tralice e lo vidi sorridere gratificato quasi come se gli avessi fatto un complimento.
«Lo trovi stasera al campetto». Annuii soddisfatto alzandomi e scrollandomi di dosso la polvere.
«Inizia a sistemarmi l’auto, alla prossima corsa ti farò rimpiangere tutte le tue calunnie.»
«Scommetterò contro di te». Urlò quelle parole poco prima che varcassi la soglia, sollevai il dito medio senza voltarmi sentendo la sua risata accompagnarmi.
 
 
Ho capito una cosa in mezzo a tutto questo schifo, l’ho capita adesso e in pochissimi giorni. Non hai bisogno di essere un eroinomane, un alcolizzato o un reietto della società per sperimentare L’Estremità. Ti basta semplicemente amare qualcuno.
 
 
  
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