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Autore: Fenio394Sparrow    23/06/2018    2 recensioni
{OC - What If - Poor Sweet Summer Child}
{Si alzò, andando vicino a Gandalf: «Posso provare io?» lui nemmeno le rispose, gettò a terra bastone e cappello, facendosi da parte.
Si schiarì la gola, si posizionò davanti alla porta con le mani sui fianchi e lo sguardo concentrato. Allargò le braccia, le mani aperte e la voce tonante: « Apriti, Sesamo!»
Ovviamente, non accadde nulla.
Ovviamente, fece la figura della scema.
Ovviamente, non demorse.
Osservò con aria pensosa la porta di pietra, borbottando qualcosa qua e là.
«Allora?» fece Boromir, ridacchiando apertamente.}
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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Allora, dov'eravamo rimasti?

Erano tre giorni che camminavano. Tre giorni che ad Arya erano parsi tre anni.

Non solo le grotte erano buie e sinistre, ma anche fetide e difficili da attraversare – più di una volta lei e gli hobbit erano inciampati e i tagli alle mani bruciavano ferocemente ad ogni contatto col terreno. Non avevano bende con cui medicarla, quindi avevano usato delle strisce di tessuto strappate dal suo mantello.
Nella sua mente il pensiero che Balin fosse morto là sotto stava assumendo sfumature sempre più concrete e ciò l’aveva chiusa in un mutismo che faceva male. Tuttavia quel che vedeva – corpi spezzati e decomposti da anni, frecce malefiche infilzate fra le costole, espressioni di terrore sugli scheletri scomposti – non poteva significare altro che qualcosa era andato profondamente storto in quell’avventura, e lei non era sicura di voler scoprire la verità.
Meglio il dubbio. Meglio continuare a macerare quella flebile speranza piuttosto che ucciderla con la verità schiacciante.

A questo pensava mentre Gandalf li conduceva verso una galleria identica alle altre, istruendo Merry su come fidarsi  del proprio naso fosse sempre la scelta più saggia. Arya ridacchiò e accettò la mano di Boromir per scendere da una roccia particolarmente scoscesa. Il contatto con la sua pelle bruciò di meno della pietra scabra e lo ringraziò con un piccolo sorriso.
Gandalf osò un po’ più di luce col proprio bastone ed illuminò le immensità della città dei Nani, Nanosterro.
E che meraviglia, davvero.
Era la seconda volta nella sua vita che Arya ammirava i resti di un antichissimo Regno dei Nani, e nonostante fossero solo ruderi e macerie, era rimasta ancora una volta senza fiato.
Non aveva mai dimenticato i saloni di Erebor. Le immense sale rilucenti di verde smeraldo, blu notte, oro tenue. Eccole lì, davanti a lei, senza gioielli, denaro o piccoli bagliori luminosi. Mille miglia la separavano dalla Montagna, ma poteva davvero dire che c’era differenza fra Moria ed Erebor?
Non si trovava nella Sala più ampia che avesse mai visto?
Non erano i pilastri più solidi e sicuri del mondo, quelli?
Non era metri e metri sottoterra, in un abisso senza fondo?
Non riusciva, forse, a vedere gli spettri dei tempi passati persistere nonostante la distruzione?
Non si vedeva la fine di quell’immensità.
«Ti fa spalancare gli occhi, certo» mormorò Sam.
Tutti quanti si aggiravano con il naso all’aria, gli occhi spalancati e la bocca aperta, nell’osservare le meraviglie – distrutte, dimenticate, profanate, ma pur sempre meraviglie – che si stagliavano davanti a loro.
Avanzando, individuarono una porta nella parete, aperta su una tetra sala di pietra. Un sentiero di cadaveri portava all’entrata. Gimli si lanciò all’interno animato da un terribile presentimento e Arya corse dietro di lui, spinta dalla stessa sensazione.

No no no no no no no ti prego ti prego ti prego

Inutile dire che le sue preghiere non furono ascoltate. I corpi dei nani caduti facevano scudo ad una tomba semplice, una singola lastra di pietra con una breve incisione per lei illeggibile. Gimli si accasciò su di essa, gemendo in preda al dolore. Il cuore di Arya batteva all’impazzata. «Che c’è scritto? Gimli, che c’è scritto?»
Il resto della Compagnia entrò nella stanza, preceduti da Gandalf che si tolse il cappello con aria grave. Fu lui a risponderle, percependo il lutto troppo forte per parlare di Gimli. «Qui giace Balin, figlio di Fundin, signore di Moria.»
Arya sentì il respiro mancarle. Un singulto abbandonò le sue labbra prima che le ginocchia cedessero e lei crollasse sotto il peso del dolore che aveva sperato di evitare.
Respirava affannosamente, cercando di recuperare aria e di stare calma, di non farsi sommergere dai ricordi maledetti che la perseguitavano da anni ed ora erano diventati realtà per una seconda volta, strappandole non solo un amico, una guida, un’anima gentile, ma anche una famiglia. Non aveva già sofferto abbastanza per Fili, Kili e Thorin?
Ora li vedeva davanti a sé, esanimi, bianchi e freddi come neve, quasi pacifici nella morte, e si domandava se anche Balin – Balin, dalla barba bianca e il sorriso caloroso, Balin, che aveva sempre un parola gentile, Balin, che la chiamava sempre bambina – si domandava se anche lui avesse avuto quell’aspetto sereno, una volta morto. Ma si può essere davvero pacifici, da morti?
La sua famiglia era stata decimata. Ancora una volta.
Nessuno mi chiamerà mai più bambina.
Inginocchiata davanti alla spoglia tomba di Balin, ascoltava passivamente le parole di Gandalf. Percepì qualcuno posarle la mano sulla spalla e stringergliela con delicatezza, ma non ricavò alcun conforto da quel contatto.
«Dovrebbe essere la scrittura di Ori» mormorò Gimli fra i singhiozzi. Questo ebbe il potere di catturare l’attenzione della ragazza.
Si voltò verso Gandalf, che raccoglieva un enorme libro dalle braccia di un cadavere ai piedi della tomba. «Quello è Ori?» domandò Arya, che nel teschio non vedeva nulla dell’innocenza dell’amico.
Lo sguardo che lo Stregone e il nano le rivolsero fu una risposta sufficiente. Gimli singhiozzava ancora e Arya si rialzò a fatica per andare da lui.

Gli avvolse un braccio attorno alle spalle, asciugandosi le lacrime. Gimli condivideva il suo dolore, o addirittura lo percepiva più vividamente di lei: non sapeva da quanto tempo non lo vedesse, ma era certa che avesse passato diverse decadi con lui, nelle Montagne Blu o nella Montagna Solitaria; era cresciuto con il saggio Balin e il dolce Ori. Arya soffocò un altro singhiozzo.
Anche Boromir aveva poggiato una mano sulla spalla di Gimli e lo guardava con dispiacere.
Gandalf leggeva con voce grave le ultime parole di Ori, membro della Compagnia di Thorin Scudodiquercia.
«Hanno preso il ponte, e il secondo Salone. Abbiamo sbarrato i cancelli … ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi. Non possiamo più uscire. Un’ombra nel buio. Non possiamo più uscire … Arrivano.»
Così si era sentito Ori negli ultimi istanti di vita? Intrappolato, senza via di scampo, il cuore in gola e la paura appollaiata sulla spalla come un avvoltoio? Eppure la mano era rimasta ferma abbastanza per scrivere con estrema chiarezza ciò che accadeva, per esprimere ciò che provava, per dare una voce al male che li attanagliava.
Può un uomo essere coraggioso anche quando ha paura?
Quello è l’unico momento in cui un uomo può dimostrare coraggio.             

Un improvviso clangore li fece saltare.

Pipino, con un’espressione terribilmente mortificata in volto, teneva in mano il bastone e il cappello di Gandalf, mentre accanto a lui il corpo di un nano, decapitato, crollava dentro il pozzo, seguendo la testa nelle profondità di Moria.
Il frastuono era assordante.
Per ogni pietra o ostacolo che incontrava nella caduta, il suono si propagava amplificato di mille volte e per ogni tonfo Pipino sussultava, conscio di aver appena rivelato la posizione a qualsiasi creatura ostile nelle vicinanze.
E di creature ostili, quel posto ne era pieno.
Una catena e un secchio seguirono a ruota il cadavere. Tacquero solo dopo un'infinità di secondi. Quanto era profondo quel pozzo?
«Idiota di un Tuc! Gettati tu la prossima volta e liberaci dalla tua stupidità!»

Un tamburo.
Gli hobbit si lanciarono occhiate spaventate.
Un altro tamburo, poi altri due.
Venivano dal pozzo. Arya lanciò uno sguardo d’allarme a Boromir, conscia che Legolas e Aragorn avevano fatto lo stesso.
I tamburi continuavano a risuonare sempre più potenti, sempre più frequenti, sempre più vicini.
Sam chiamò Frodo che sguainò Pungolo, illuminata di azzurro. Gli orchi erano vicini.
Boromir si affrettò a controllare uscendo dalla sala.
Fu il sibilo ad avvertirlo. Scartò all’indietro appena in tempo per evitare che due frecce gli si conficcassero in testa. Richiuse il portale di legno marcio grazie all’aiuto di Aragorn.
«E’ un Troll di caverna» li informò in seguito al ruggito bestiale che udirono.
Mentre si affrettavano a sbarrare il portone con tutte le asce che Legolas riusciva a lanciare loro, Gandalf sguainò la propria spada e Gimgli saltò sulla tomba di Balin, inferocito.
«Che vengano pure! Troveranno che a Moria c’è ancora un nano che respira!»
Due, pensò Arya, estraendo a sua volta la spada. Se avesse affermato di non aver paura, avrebbe mentito. Ma aveva preso lezioni apposta a Gran Burrone, aveva imparato qualcosa ai tempi dell’impresa per Erebor, ed ora la sua vita dipendeva dalla lama che stringeva in mano. I palmi bruciavano a contatto col metallo, ma l’adrenalina faceva passare in secondo piano tutto ciò che non fossero i colpi battenti dei nemici sulla porta. Tutti erano pronti a combattere, nessuno escluso. E poi ... e poi quei bastardi dovevano pagare per quello che avevano fatto.

Le prime asce che riuscirono a penetrare il legno fecero saltare Arya. Legolas, con l’arco puntato sull’obiettivo, aspettò che la bestia allargasse il buco, prima di centrarlo con una freccia precisa. Aragorn fece lo stesso, ma prima che potessero incoccare di nuovo, il portone cedette.
Un fiume di orchi e goblin si riversò all’interno della sala.
Uno squittio spaventato le sfuggì di bocca prima di dover parare una stoccata di un orco.
In seguito avrebbe voluto dire che aveva combattuto valorosamente, ma avrebbe mentito.
Combatteva pateticamente. Perfino gli hobbit si erano buttati nella mischia, invece lei rimase lì ad aspettare che venissero da lei, parando fendenti e menando colpi alla cieca, guidata dal puro istinto di sopravvivenza. Uccise con molta fatica diversi assalitori, prima di buttarsi con un urlo verso un orco che stava per colpire Merry alle spalle. Mulinò la lama gridando e la testa del mostro cadde a terra, il suo sangue nero che imbrattò le loro vesti.
Un ruggito improvviso li fece voltare.
Parte del soffitto crollò non appena il troll entrò nella Sala.
Arya sgranò gli occhi e schizzò indietro evitando per un pelo una freccia, andò a sbattere contro un altro orco e lo infilzò senza esitazione, mentre Boromir uccideva l’arciere che aveva attentato alla sua vita.
Legolas scoccò una freccia e colpì al petto il troll che, imbufalito, menò un fendente che quasi schiacciò Sam.
«Scappa!» gridò Arya parando l’ennesima lama, le gambe che tremavano sotto il peso del goblin che la stava spingendo contro il muro.
Costretta alla parete dal peso dell’assalitore opponeva una strenua resistenza all’assalto della lama, ma diventava sempre più difficile, con lui che le ringhiava addosso e le braccia che tremavano sotto il suo peso.
Un gemito strozzato le sfuggì non appena alzò il ginocchio sul basso ventre del goblin e in preda al panico acchiappò un sasso lì vicino e glielo calò sulla testa una, due, tre volte, senza sapere nemmeno lei da dove prendesse la forza. Il suono orribile del cranio che si sfaldava era oscurato dal clangore della battaglia, il sangue nero che le schizzava addosso era viscido e le imbrattava i vestiti.
Quello schifo stramazzò al suolo nello stesso istante in cui il troll distrusse la tomba di Balin.
Arya restò lì, schiacciata al muro, completamente dimentica della battaglia per due secondi, il tempo che ci impiegò il suo cervello a realizzare ciò che era appena successo.
Aveva violato la tomba di Balin.
Aveva violato la tomba di Balin e aveva appena tentato di uccidere Gimli che per pura fortuna era riuscito ad evitare la scure che più volte era calata su di lui.

Arya si avventò su di lui urlando nello stesso istante in cui Legolas scoccava due frecce e lo feriva al petto: crollato a terra, nell’unico secondo di vulnerabilità in cui lo colse, Arya calò la spada sul suo collo e  aprì uno squarcio sulla sua pelle lercia, ottenendo un ringhio ferito come ricompensa. La ragazza provò un moto di selvaggia soddisfazione – non ti azzardare mai più a toccare i miei amici  - ma quell’istante passò, e il troll reagì.
Mosse il braccio con una tale rapidità che Arya non se ne accorse: semplicemente, venne sbalzata via dal suo corpo e rovinò a terra sbattendo la testa, i polmoni completamente svuotati d’aria.
Forse perse la coscienza per un paio di secondi, non avrebbe saputo dirlo. Quando si rialzò, il mondo girava vorticosamente e lei faticava a restare in piedi, i suoni arrivavano confusi alle orecchie e la spada non c’era più, lasciandola praticamente indifesa in mezzo alla mischia.
Una mano piccola la trascinò dietro un pilastro – Pipino? – e le mise una padella in mano. Una padella in mano?
Udì un rumore di pietra che crollava alla sua destra e si sporse appena per capire cosa stava succedendo: sembrava che fossero rimasti pochissimi orchi e che Frodo fosse rimasto isolato dal resto degli hobbit.
Arya uscì allo scoperto e corse verso di lui: «No!»
Ho fatto una promessa, devo proteggerlo, Bilbo, devo proteggerlo …
Il troll si frappose fra lei e lo hobbit, e per sua fortuna, era di spalle.

«Arya, fermati!» la voce di Boromir le giunse inconfondibile all’orecchio e fece esattamente ciò che le era stato ordinato, mentre un coltello che volava talmente vicino a lei da sentirne il sibilo si conficcava in un goblin apparso dal nulla, pronto ad ucciderla.
Facendosi strada fra le creature schifose a colpi di lama, l’uomo la raggiunse e le urlò qualcosa – Arya non capì che cosa – e la spinse dietro di sé quando un altro orco si avventò su di loro.
Non avendo il tempo né la forza di ringraziarlo Arya cercò Frodo, meno confusa di prima, e  voltò la testa verso di lui nello stesso istante in cui il troll gli conficcava una lancia nello stomaco.
Lo hobbit sgranò gli occhi ed esalò un verso sofferente, un gemito soffocato.
Arya boccheggiò come se la lancia avesse trafitto anche lei.
Merry e Pipino si lanciarono sulla bestia trafiggendolo dall’alto, e tutti, nessuno escluso, attaccarono la bestia con fendenti, colpi e grida inumane. Mentre gli ultimi orchi cadevano sotto i colpi implacabili di Boromir e Aragorn, l’unione degli hobbit, la ragazza, Gandalf e Gimli schiacciò la bestia, definitivamente uccisa da Legolas con una freccia ben assestata.
Il troll boccheggiò appena, quasi perplesso, prima di rivoltare gli occhi e crollare con un ultimo verso al suolo, sollevando un nugolo di polvere.
Arya fissò sotto shock il cadavere. Si domandava vagamente quand’è che Merry e Pipino fossero scesi dalla sua schiena e quand’è che la mano avesse iniziato a sanguinarle così tanto …
Aragorn strisciò verso Frodo chiamandolo per nome.
Frodo! Oh no, è morto, è morto anche lui …
L’uomo lo rivoltò sul fianco, in una vana speranza …
Frodo gemette qualcosa, mettendosi faticosamente a sedere. Arya sgranò gli occhi, appannati di lacrime, mentre Sam esclamava: «E’ vivo!»
Tuttavia nessun coro di giubilo si levò dalla Compagnia, troppo provata ed incredula per poter esternare la propria gioia.
«Dovresti essere morto» mormorò Aragorn «Quella lancia avrebbe trafitto un cinghiale …»
«In questo hobbit c’è molto più di quanto non colpisca la vista» Commentò Gandalf ammiccando in sua direzione.
Frodo abbassò lo sguardo ed aprì la camicia, rivelando …
«Mithril» sussurrarono in coro Arya e Gimli, in totale reverenza.
Il nano sorrise con calore. «Tu sei pieno di sorprese, Frodo Baggins»

Arya, invece, allungò la mano tremante verso di lui, senza davvero rendersene conto, perché erano anni che non vedeva quella cotta di maglia. Quando le dita insanguinate toccarono il prezioso materiale lo sporcarono di sangue rosso e nero; solo allora parve riscuotersi dall’improvvisa trance in cui era caduta.
«Scusa … è che … che io c’ero, quando Thorin l’ha donata a Bilbo. La … la malattia del Drago già aveva fatto breccia in lui, eppure gli regalò lo stesso una cosa tanto preziosa …» 
Una cacofonia di voci interruppe il momento: voltandosi videro l’ombra di altre viscide creature in arrivo.
«Al ponte di Khazad- Dum!»

Uscirono di corsa dalla sala, affrettandosi nell’immensità dei saloni di Nanosterro, ma i versi degli orchi crescevano, e più correvano, più distanza mettevano fra loro e la tomba di Balin, più le grida si avvicinavano. Sembrava che spuntassero dal pavimento, e alla fine li accerchiarono.
Uno spazio di due metri li separava dalle immonde creature: sbavavano, grugnivano, ringhiavano e agitavano le armi in loro direzione, pronti ad ucciderli.
Arya si strinse a Boromir ringhiando a sua volta, perché col cavolo che se ne sarebbe andata con tranquillità. Avrebbe venduto cara la pelle – ci sarebbe voluto poco per strappargliela di dosso, certo -  ma avrebbe reso Balin e Ori fieri di lei.
 Questo posto era perso da secoli, pensò Arya cercando di contare tutti gli orchi e goblin che li circondavano e uscivano da ogni antro della città, perché hanno riprovato a conquistarlo? Hanno gettato via la loro vita invano.
Un ruggito li ridusse al silenzio.
Tutti si girarono verso la fonte del suono, all’estremità opposta della Sala, dove un’enorme luce arancione illuminava i cunicoli.
Ma non era una luce amica.
Tutti gli orchi strillarono come impazziti: correvano, saltavano, si calpestavano l’un l’altro strisciando nei loro buchi per mettersi al sicuro – ma al sicuro da cosa?
Boromir diede voce ai suoi pensieri. «Cos’è questa nuova diavoleria?»
Arya fece scattare lo sguardo su Gandalf, che aveva chiuso gli occhi, incredibilmente stanco. Non le era mai parso tanto vecchio quanto in quel momento. Un altro ruggito scosse l’aria.
«Un Balrog» rispose infine lo Stregone. «Un demone del mondo antico. E’ un nemico aldilà delle nostre forze. Fuggiamo!»
E ti pareva.

Scattarono in avanti, le gambe di nuovo pronte e reattive come mai lo erano state nella vita. Arya non aveva la più pallida idea di cosa fosse un Balrog, ma non aveva nessuna intenzione di scoprirlo.
Seguì Aragorn e Gandalf attraverso dei corridoi, con Boromir ad aprire la fila: scesero lungo una scala ripida e scoscesa, ma il gondoriano si era spinto con fin troppa foga e  sarebbe caduto, non fosse corso Legolas a soccorrerlo. Arya soffocò un grido non appena una freccia rischiò di colpirle il collo.
Altri maledettissimi orchi sui bastioni alla loro destra. Seguì Boromir verso il ponte, attraversando altre pericolosissime scale – inciampando più volte – evitando le frecce e spingendo gli hobbit a correre davanti a loro per poterli tenere al sicuro.
Infine, giunsero al ponte. Una piccola striscia di terra rossa in bilico su uno strapiombo senza fondo. Per un istante, per un solo e brevissimo istante, Arya contemplò l’idea di sporgersi un po’ di più, senza sapere il perché, poi Gimli la strattonò per un braccio e la trascinò verso l’altro capo del ponte, relativamente al sicuro. «Un disturbo così grande per un ponte così piccolo.»
Stava per darsela a gambe verso la sicurezza vera, quando con il Balrog si palesò davanti a loro. Arya ringraziò tutti i santi nei quali non credeva per essere dall’altro capo del ponte, lei e i suoi amici … tranne Gandalf. Anche Frodo se ne accorse.

Diede una gomitata a Boromir e indicò lo stregone che affrontava da solo la bestia. Era così alta, grossa, spaventosa: bruciava intensamente, e nelle fiamme sembrava rigenerarsi senza mai crollare, le corna ricurve come quelle di un ariete e le fauci ruggenti spalancate, pronte ad avventarsi sullo stregone che, minuscolo, si stagliava contro di lui.
Arya voleva fare qualcosa, voleva aiutarlo, voleva correre in suo aiuto, ma le gambe sembravano ancorate al terreno e lei, da  brava codarda, stava tremando come una foglia. Ho paura.
«Tu non puoi passare!»
Il Balrog si accese di fiamme più vivide, avanzò ignorando l’avvertimento di Gandalf.
«SCAPPA GANDALF!» Urlò la ragazza, ma il suo grido venne ignorato tanto dal demone quanto dallo stregone.
«Sono un custode del fuoco segreto, e reggo la Fiamma di Anor. Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla, FIAMMA DI UDUN!»
Il Balrog spalancò le ali e calò dall’alto la spada infuocata che si disintegrò sullo scudo di luce evocato da Gandalf. Evocò una frusta e avanzò verso di lui, il ponte che minacciava di crollare sotto il suo peso.       «TU! NON PUOI! PASSARE!»
Infilzò il bastone nel terreno e il ponte crollò sotto il peso del demone che aveva tentato di avanzare verso di lui. Per un attimo, la battaglia sembrò vinta. Per un attimo, Gandalf si erse solitario sul ponte, esausto e sollevato, prendendosi un istante per respirare. Per un attimo, Arya si concesse di sorridere, la paralisi improvvisamente svanita.

Poi dall’abisso la frusta si avvolse attorno alla caviglia dello stregone, tirandolo sul ciglio del ponte. Ad Arya restò impresso quanto vibrasse luminosa e nitida nell’oscurità, quanto sembrasse stranamente aggraziata nella sua malvagità. Gandalf tentò con tutti i modi di aggrapparsi al ciglio dello strapiombo, ma le mani scivolavano sulla polvere e gli appigli si sgretolavano nell’aria, ogni aiuto o mano amica troppo lontana per fare la differenza. Boromir bloccò Frodo che si era lanciato verso l’amico urlando il suo nome.
Gandalf risuonava nella mente di Arya come un pensiero ossessivo, un pensiero che in quei due istanti venne ripetuto più di mille volte, Frodo che esprimeva a voce ciò che per lei era troppo doloroso da esternare.
Assistette ad occhi sgranati come la consapevolezza fece breccia nello sguardo dello stregone, come la paura rivelasse gli occhi azzurri dello stregone, tanto abituati a sorridere e ad avere il controllo della situazione, per quello che erano veramente: gli occhi spaventati di chi non sa cosa lo aspetta nell’abisso, ed Arya capì in quell’istante cosa avesse deciso di fare. «No, Gandalf. Ti prego.»
«Fuggite, sciocchi!» e si lasciò andare.
«NOOOOOO»
Gandalf …

Arya percepì distintamente il suo cuore andare in pezzi. Non fosse stato per Aragorn alle sue spalle sarebbe caduta e lì sarebbe morta, tanto per quel che le importava non avrebbe fatto differenza. Le frecce arrivavano da ogni dove e all’improvviso smisero di piombarle addosso e Arya non capì il perché: solo quando la luce del mondo esterno l’accecò capì di essere finalmente fuori da quella tomba maledetta. Capì di star urlando, invece, solo quando la gola iniziò a bruciarle. A bruciarle così tanto che le lacrime che solcavano il viso lercio di sangue e fuliggine le facevano il solletico. Anche qualcun altro stava urlando – Gimli, le pareva – ma alla fine dei conti che importanza aveva? Gandalf era morto, Balin era morto, Ori era morto, Fili, Kili e Thorin erano morti e metà della sua famiglia era stata spazzata via come insetti da schiacciare. In quel momento, in quel preciso momento, Arya si sentì più sola che mai, e forse singhiozzò il nome di Bofur e Dwalin fra i singhiozzi, non avrebbe saputo dirlo.

Le parole che Aragorn pronunciava erano senza senso per lei, non lo sentiva e non aveva intenzione di farlo – sarebbe dovuto morire lui al posto suo, lui o Boromir o Legolas o chiunque altro, non Gandalf  - poi qualcuno la prese per le spalle e la rimise in posizione eretta – quand’è che era caduta in ginocchio?
«Arya, Arya smettila»
Non fu tanto per l’ordine, quanto per la persona che pronunciò quelle parole. Gimli la guardava dritta negli occhi, lo sguardo appannato di lacrime esattamente come il suo.
«A che serve?» chiese Arya con voce roca. Neanche quando andava allo stadio si riduceva così. «A che serve, è morto, è morto, sono tutti morti …»
«Moriremo anche noi, se non ci mettiamo in marcia. Dobbiamo onorarli tutti: Gandalf, Balin e Ori. Se resteremo qui, saranno morti invano.»
Al che Arya scoppiò un’altra volta in lacrime e lo abbracciò di slancio, perché anche lui aveva perso parte della famiglia, una famiglia troppo ottimista morta per un sogno condannato in partenza. Gimli aveva ricambiato la stretta e non aveva detto niente, ma non c’era bisogno di parole. Una consapevolezza si era fatta strada in lei, e non aveva il coraggio di esprimerlo ad alta voce.

L’inverno è arrivato.








NdA
Ma salve. Quanto sarà passato? Tre anni? Wow. Posso solo dire ... wow. Questa storia, questa serie, ha un posto speciale nel mio cuore. Arya e la compagnia, entrambe, hanno davvero un'importanza madornale per me. Ci penso sempre, anche se non scrivo quasi mai lol.
Ragazzi, quanto tempo. E che persona diversa ero, tre anni fa.
Alcuni capitoli erano dedicati ad una delle persone che amavo - e probabilmente amo ancora - di più al mondo, e che ora è quasi un'estranea, se non addirittura una nemica, per me. Eppure quanto vorrei poter agitare una bacchetta magica e tornare a come eravamo prima. Poterle dedicare i capitoli, ridere, scherzare con lei, parlarle di questa storia. Ma non è questo ciò che conta. Ciò che conta è il capitolo, dedicato alla mia amica Lina, che non ha MAI smesso di credere in me e in Arya.
Vi piace? Ne è valsa la pena? xD
Non sono molto brava a scrivere scene d'azione, e questo ha davvero poca introspezione, ma ho fatto del mio meglio  e ne sono soddisfatta. Voi?
Un abbraccio,
Feniah

 
   
 
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