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Autore: Lady R Of Rage    24/06/2018    0 recensioni
Ogni tanto le storie di Lordran hanno un risvolto diverso. Come questa, in cui non è il glaciale Sulyvahn a bussare alla porta di Lothric, ma una religiosa di nome Friede, che impugna una spada d’ossidiana e ottiene i propri scopi non con la manipolazione e i sussurri, ma con la violenza selvaggia di una fiamma nera.
Presto, a Lothric, non c'è che gelo. Gelo sulla pelle di Gwynevere, prigioniera e sfinita, che stringe tra le braccia un marito sempre più consumato e vede in sogno i figli che le sono stati tolti. Gelo sulle membra di Gwyndolin, in fuga in un mondo dove la Luna non splende. Gelo negli sguardi di Vordt e Kendra, costretti a fingere benevolenza verso una tiranna che non fa nulla per piacere. Gelo nelle lingue di Lothric e Lorian, che recitano salmi ascoltando la sorellina piangere. Gelo nell’aria, nella terra, e persino nella Fiamma che lenta si spegne.
Oppure, chissà, nemmeno il gelo di Friede basta a spegnere l’ardore della terra degli uomini, né a contenere grida di rabbia sempre più forti.
[Dark Souls III | AU | Incentrata Soprattutto Su Gwynevere]
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Gwyndolin, il Sole Oscuro
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Alba Di Ghiaccio 

Capitolo I: Ferro, Sangue, Oro

Il castello di Lothric è grande – troppo grande. Come una bisaccia eccessivamente riempita, sembra sul punto di traboccare dalla quantità di cose che lo appesantiscono. Statue di guerrieri decapitati, avvolti nelle tipiche armature fasciate di rosso del posto, che sembrano fissarla al di sotto degli elmi di pietra. Balaustre scolpite, sontuosi lampadari di cristallo grandi abbastanza da ucciderti se le catene non li reggessero, scaffali di libri che paiono altri come giganti. Non vede bene i titoli, ma sa che ben pochi sono libri di fede.
L’unica cosa che a Friede interessa di quell’ammucchiata di cose superflue sono i Serpenti Primordiali di pietra i cuoi grandi occhi scolpiti fissano il nulla dai lati dei corridoi. Deve ammetterlo: una rappresentazione molto realistica. Non capisce se si tratti di Kaathe o del gemello traditore, ma non importa: non è lei, che deve guardarle. Per quanto la concerne, quel castello può anche bruciare appena se ne andrà. 
I Cavalieri di Lothric che non sono rimasti uccisi – almeno un terzo li ha uccisi lei – sono stati radunati e incatenati nel Giardino del Re. Non sono che una ventina, ormai, e li ha sentiti piangere mentre le Sacerdotesse li spingevano a procedere. Friede sa che accanto al Giardino c’è un cimitero: che triste, bizzarra coincidenza. 
Persino la sala del trono è pacchiana, con quei drappi ricamati che pendono dai soffitti, e le brutte sedie di legno sono così intarsiate da sembrare deformi. I cuscini sono comodi, deve ammetterlo, ma nessuno a parte lei ne godrà la morbidezza per un bel po’. 
Una Sacerdotessa attende vicino a una colonna, le mani strette l’una nell’altra. 
-Li abbiamo portati, Sorella.- dice. Friede alza lo sguardo con aria annoiata. 
-Fateli entrare.-
Le porte si spalancano e Friede li guarda procedere, uno dopo l’altro, tenuti ciascuno da una Sacerdotessa della Valle Boreale. Le catene che gli cingono polsi e caviglie producono un fastidioso rumore metallico a ogni passo, e la religiosa sospira di sollievo quando anche l’ultimo arrivato viene fatto inginocchiare. 
A un gesto della sua mano, i cappucci che nascondono i loro volti vengono strappati, e otto occhi sbarrati le si puntano contro. Friede sospira annoiata. Non possono nulla, ormai, nemmeno insultarla: spessi stracci sono legati nelle loro bocche. Sono immobili, incatenati, inermi di fronte a un potere ben superiore al loro. 
I bambini giacciono fianco a fianco, i capelli biondi scompigliati e macchiati di scuro. Il giovane è magro come i cani randagi che si contendono le ossa per strada fuori dalle mura di Lothric; spigoloso, di un pallore malsano. Il maggiore ha spalle forti e acerbi muscoli sulle braccia: Friede scuote la testa disgustata. Ridicolo
Ma non certo ridicolo quanto i genitori La madre indossa un abito bianco ricamato a rose, dalla scollatura profonda, con uno spacco che raggiunge la coscia destra . Prosperosa, dalle curve ben definite, con grandi occhi castani sgranati e incorniciati dalle lunghe ciglia. Il padre, magrissimo e dall’aspetto invecchiato, sfoggia una chiassosa chioma azzurra – perfettamente naturale, le hanno detto, e ben appropriata alla sua fama di ateo. La guancia sinistra è scavata, lo zigomo affilato sporge da sotto la pelle sottile, ma uno spesso gonfiore blu scuro spicca sulla guancia destra. 
-Come mai quel livido?- domanda alla sacerdotessa che lo tiene. L’uomo alza la testa e strilla nel bavaglio. Friede si impone di ignorarlo. 
-Non stava fermo un attimo, Sorella. Continuava a berciare su come noi- storce la bocca -schiavi gli stessimo portando via i figli, li stessimo traviando con la nostra follia, e altre eresie di questa risma. Avevamo ben detto di non essere pietosi.- 
-La fede può essere pietosa.- sussurra Friede. -Ma l’ira divina sa colpire con la forza di una tempesta. E colpirà tutti voi, soprattutto quei due.- 
La madre chiude gli occhi per un attimo, come se l’avesse schiaffeggiata. Il padre ringhia come un drago, ma un nuovo schiaffo lo fa crollare a terra, e là resta, gemendo e mugolando. 
Gli farò tagliare i capelli e radere ogni pelo sul corpo: quell’azzurro è troppo vistoso. Prima, però, bisognerà provvedere al seno di quella. 
-Una regina. Una madre. Eppure andate in giro abbigliata come una ragazza di strada. Perché?-
Non si aspetta che la regina Gwynevere le risponda: almeno dimostra più senso pratico del marito, rimanendo immobile con gli occhi fissi su di lei. Sfrontata. Anche il suo comportamento è in linea con la sua fama: una libertina, così ne parlavano le sacerdotesse, e ne avevano ben donde. 
-Copritela.- ordina, e subito una Sacerdotessa strappa la tovaglia da un tavolo – un obbrobrio di broccato rosso e oro che sembra pesante come una gualdrappa da cavallo – e la pone sul petto della regina, legandogliela dietro al collo come un asciugamano da barbiere. Il re impreca ancora, e la sacerdotessa alle sue spalle gli tira una scudisciata che lo piega in due. La regina soffoca un urlo. 
Questo idiota si farà ammazzare, pensa Friede. I ragazzi tacciono, il secondogenito appoggiato alla spalla del fratello, tremante nella tunica che lo copre. Friede si avvicina, e il tremito dei due si fa più forte. 
-Non temete, figlioli. So che sarete più giudiziosi dei vostri genitori.- Si inginocchia di fronte a loro, sistemandosi il velo e il soggolo. Stavolta sono in due a urlare – il padre e la madre, e Friede capisce tutto d’un tratto cosa trovassero l’uno nell’altra – e a un gesto della mano della religiosa, le urla di entrambi vengono azzittite da un nuovo colpo di scudiscio. 
Friede squadra le teste bionde dei principi. -Tu, ragazzo. Sai parlare?- chiede al maggiore. Il principe Lorian fa cenno di sì.
-Allora parla con me.-
La Sacerdotessa alle sue spalle scioglie il nodo del bavaglio e glielo sfila dalla bocca. Ha labbra molto piccole, il principe Lorian, e le guance di bambino sono arrossate e sudate, ma non c’è  traccia di pianto nei suoi grandi occhi chiari. 
-Siete una chierica?- mormora. 
-Non esattamente.- Friede parla con lentezza. -Sono una signora di Chiesa, ma non proprio una chierica. Una Chiesa molto potente e molto grande.- 
Gli occhi di Lothric e Lorian si sgranano, la bocca del primogenito si spalanca in un’espressione di sorpresa. 
-Padre dice che le persone di Chiesa sono brutti bugiardi. Che dicono cose senza senso per attirare le persone stupide.- 
-È vero, ragazzo?- domanda al principe Lothric. È pallido come un vecchio, e altrettanto magro: sembra che le corde bastino per ferirlo a sangue. -Liberagli la bocca.- ordina alla Sacerdotessa dietro di lui, che esegue prontamente. Riesce a malapena a vedere il volto del bambino, coperto dal cappuccio della tunica che porta. Un bambino così malato è chiaro segno di genitori corrotti. Sempre colpa loro, di quei due libertini senza ritegno né lungimiranza. 
-Lo dice Padre, certo, ma non dovete curarvene.- sussurra il principe Lothric. -A noi piace la Chiesa. Emma è una brava insegnante, e i libri delle religioni ci insegnano tante cose belle. Voi sarete buona con loro, vero? Con Padre e Madre?-
Fosse per lei, Friede li trascinerebbe entrambi in piazza, a pagare con la frusta la loro insolenza. Ma la priorità sono i bambini: è a loro che punta, Friede, e i loro sguardi luccicano di aspettativa. 
-Quanti anni avete, tu e tuo fratello?- 
È di nuovo Lothric a rispondere. -Otto anni. Siamo gemelli. Lorian sa già tirare di scherma, ma Padre e Madre non me lo fanno fare.- 
L’uomo torna a gemere improperi che Friede non ascolterebbe nemmeno se avesse la bocca libera. Aspetta che la Sacerdotessa che lo tiene tiri la staffilata di rito, senza staccare lo sguardo dai bambini. Non sembrano turbati dalle botte che sta subendo il loro padre: neanche sembrano vederlo. Sono così appiccicati l’uno all’altro da sembrare un unico corpo bicefalo. 
-Siete piccoli, ma avete molto potenziale. Starete bene nella Chiesa di Irythill: vi ci porteremo tutti al più presto, e voi due potrete viaggiare in carrozza accanto a me.- 
Lothric e Lorian si guardano, sbattono le ciglia all’unisono: un codice gemellare che, probabilmente, nemmeno i loro genitori conoscono. 
-Farete del male a Madre e Padre, quindi?- insiste Lothric. 
Friede guarda prima l’una poi l’altro, disgustata. La madre potrebbe ancora essere salvabile. Ha piccole labbra a cuore, capelli ondulati marroni come il miele di castagno. Troppo graziosa per la Chiesa, ma ragionevole quanto basta per non dare noie. Il padre, però… 
Friede si volge verso il non più re di Lothric. Se gli sguardi potessero uccidere, sente che sarebbe già morta. Ma di fronte a lei, re Oceiros non è che un vecchio scarno, incatenato e muto, piegato dai colpi che la sua superbia gli fa meritare. Indossa una giacca di broccato blu oltremare, bordata d’oro, una camicia di seta grigia, brache e stivali ricamati, mantello drappeggiato di pelliccia di lupo bianco; i guanti di pelle irradiano la luce di ben dodici anelli, una catena d’oro bianco al suo collo regge un medaglione di zaffiro grande come un occhio umano. Quanto inutile lusso: si abbina perfettamente a quegli orribili capelli blu. Almeno non porta la corona: quelle sono state confiscate a tutti e quattro prima che fossero poste le catene ai loro polsi. Non meritano più niente del genere, né lui né la consorte. 
-Non preoccupatevi, figlioli. Provvederemo come da dovere ai vostri genitori. Nessuna minaccia, però, grava sulle vostre vite. Quindi respirate con sollievo.- 
-Perchè ci avete legati, signora?- domanda ancora Lothric. 
-Sorella, per te.- 
Lothric ripete la domanda in modo corretto, la bocca tremante. Un ragazzino perspicace, con dell’ottimo potenziale. Lorian sembra meno sveglio, ma compensa la magrezza malsana del gemello. Non si richiede poi molto, da un buon re, purché ascolti la voce della sua Chiesa e non si intrometta in questioni che vanno al di sopra della sua testa. Lorian sarà perfetto: possibile che sia davvero figlio di quello là? Friede non si sorprenderebbe se la regina Gwynevere avesse avuto degli amanti. Un eccellente pretesto per castigarla, visto che si rifiuta di farsi provocare. 
Non sono una bella famiglia, i reali di Lothric: è un bene, dunque, che presto siano separati per sempre. I peccatori in basso, i santi in alto, e la Fiamma che si spegne in accordo con i piani del grande Kaathe. 
-Voglio solo che stiate buoni, ma tu e tuo fratello mi sembrate beneducati abbastanza da essere liberi di muovervi. Non posso dire lo stesso dei vostri genitori, purtroppo.-  
Lancia uno sguardo prima a lui e poi a lei – il re schiuma nelle catene, la pelle sudata che brilla quasi quanto quegli inguardabili capelli; la regina serra le labbra sulla stoffa che la zittisce, impassibile, sfacciata – e si convince, più che mai, che devono sparire
-Questo è quanto. Portateli via, lasciatemi sola con i giovani principi.- 
Quando le Sacerdotesse trascinano via Re Oceiros e la Regina Gwynevere, nemmeno lui riesce più a combattere. Cammina curvo, zoppicando sulla gamba destra, sangue che gocciola da sotto la coda della giacca, e si contenta di strillare insulti soffocati col poco fiato che gli resta. La regina resta più calma e si lascia trasportare, ma volta di tanto in tanto la testa, gli occhi sbarrati e fissi sui bambini, finché la Sacerdotessa alle sue spalle non le raddrizza il collo di forza. Lothric e Lorian. liberi dai ceppi, si abbracciano sulle scale.
-Dove li portano?- domanda Lorian. 
Friede si china perché le vedano il volto. -Non preoccupatevene, adesso. Non gli faranno del male, a meno che non si comportino in modo inappropriato. Voi verrete con me: vi porterò a Irythill, alla Chiesa dove svolgo le mie funzioni.- 
I bambini sobbalzano. Lorian allarga le braccia davanti a Lothric. -Non vogliamo andare via. Questa è casa nostra. Dobbiamo vincolare la Fiamma, lo dicono Madre e Padre.- 
-Non urlare, Lorian, o lei ti punirà.- esclama Lothric. 
Il piccolo è senz’altro il più giudizioso. -Ti punirò di certo, se non ti comporterai bene. Farete un viaggio piacevole, vi faremo accompagnare da persone fidate. E forse, se tutti sarete obbedienti, potrete vedere i vostri genitori.- 
Le sembra di vedere gli occhi rossi e sottili del grande Kaathe che la fissano, lassù oltre le finestre, e la voce graffiante, elegante, del Cacciatore di Oscurità, che le sussurra che ha agito correttamente. Sente un moto d’orgoglio, seguito dalla giusta vergogna: non bisogna ringalluzzirsi, nemmeno dopo una vittoria. Deve essere stato quell’orribile e rigonfio castello a traviarle la mente. 
Si rivolge a una Sacerdotessa: -Siano condotti qui Vordt e Kendra. Accompagnino loro i giovani principi alle loro camere. Dite ai servitori di preparare la carrozza per domattina.- 
-Non sono mai salito su una carrozza.- esclama Lothric. 
-Io sì.- fa Lorian. -È divertente. Magari possiamo sederci vicini, se la signora ce lo lascia fare.-
-Non signora, Lorian. Sorella.-
Le labbra di Friede si piegano in un sorriso placido. È davvero il più giudizioso. 

-Sei un idiota. Un emerito idiota.- Gwynevere stringe il panno come se fosse il cuore pulsante della stessa Friede, e l’acqua insanguinata gocciola dalla stoffa fino alla ciotola per terra.
-C’erano i bambini. Non potevo- AH!- Oceiros tiene in bocca una manica della sua giacca e la morde con forza mentre Gwynevere gli tampona la schiena. -Non potevo lasciarla agire in silenzio.- 
Sette croste per sette scudisciate: non sono molto gravi, ma l’odore del sangue penetra in profondità nelle narici della regina, e più volte deve trattenersi dal vomitare mentre cura le ferite di quello sconsiderato di suo marito. 
-Pretendi che lasciassi correre? Sottomettermi a una schiava qualsiasi? Oh, no. Non mi avranno.- 
-Non è una gara a chi urla di più, questa.- Anche dopo essere usciti dalla sala del trono, Oceiros aveva continuato a imprecare e divincolarsi. Ogni imprecazione un colpo, ogni colpo una nuova imprecazione. -Dobbiamo riavere i nostri figli. Come faremo, dimmi, se ti fai frustare a morte prima?-
-Non è niente.- ansima Oceiros. -Sono più forte di quanto lei creda. Guarirò, amore mio. La schiava è spacciata. Ha colpito anche te, no?-
Sì, ma una volta sola, non sette. Gwynevere rotea gli occhi e squadra gli squarci nella pelle pallida della schiena di Oceiros. Nemmeno un suo Tepore Curativo è bastato a guarirli: si chiede terrorizzata che razza di fruste usino quelle maledette Sacerdotesse, e quanti colpi potrà sopportare suo marito prima di cadere a pezzi. Si infetteranno, lo sa bene. Non bastano un panno umido e dell’acqua tiepida per chiudere delle ferite come quelle. Per lo meno, adesso Oceiros ha la schiena pulita, anche se le macchie scure sul lato posteriore delle brache hanno un aspetto indecente, e la camicia gli si è talmente appiccicata alla pelle da doverla grattare via con le unghie in più punti. Tutto da buttare: la camicia era seta di Mirrah purissima, ma a Friede non importerà. 
Nemmeno Artorias in persona, ridotto in questo stato, riuscirebbe a combattere come di dovere. Gwynevere guarda suo marito con tristezza e gli prende la mano. 
-Cosa gli farà, quella? Ai nostri bambini?-
-Secondo te cosa gli farà? Li indottrinerà. Ce li ha portati via per prenderseli, e se li terrà stretti con le sue menzogne da religiosa.-
Gwynevere sospira: l’ultima cosa che vuole fare in quel momento è sentire Oceiros che blatera scempiaggini. Eppure, le parole del marito sembrano risvegliare un senso di pericolo dentro di lei: che sia di regina o di madre non riesce a capirlo. 
Sarebbe così facile, così dolce, mettersi a dormire e far sparire tutto, ma persino la loro camera appare estranea. Arazzi, suppellettili d’oro massiccio, coppe e piatti cesellati, scatole colme di bracciali, collane e anelli, gli abiti negli armadi, il baldacchino del loro letto, le tende di seta ricamata alle finestre: tutto è stato portato via, e della camera regale non resta che lo scheletro. Persino il suo Anello della Principessa del Sole le è stato strappato dalle dita. Non quello di Scaglie di Drago, che Oceiros si è infilato nello stivale prima che le Sacerdotesse lo vedessero. Ora è tornato al suo anulare, e le dita della sinistra lo rigirano su e giù in una danza nervosa. 
Catene chiuse da lucchetti tengono chiuse le finestre e la porta che dà al balcone, e da dietro le mura che danno al corridoio si sentono le voci sommesse di due Sacerdotesse che confabulano. Oceiros siede sul divano, privato dei cuscini di broccato azzurro e coperto alla bell’e meglio da un drappo marrone: i pantaloni insanguinati sono gettati per terra ai suoi piedi, sostituiti da un paio di brache di cotone da poco. Gwynevere è in camicia da notte, avvolta in una coperta di lana grezza, ma nonostante tutto si sente gelare. È come se fosse già a Irithyll ancora prima di partire. 
-E allora che facciamo?- 
Si sente stupida mentre pone la domanda: come se Oceiros ne sapesse più di lei. 
-Non lo so!- strepita infatti. -Non lo so. Quella gente va abbattuta, a colpi di spada e di lancia.-
-Che non abbiamo.- puntualizza Gwynevere. -Dobbiamo lasciare che Friede ce li faccia vedere. È l’unica cosa da fare. Dobbiamo parlargli, dobbiamo fare in modo che non dimentichino.- 
-Secondo te che cos’è, Friede?- sussurra Oceiros sbarrando gli occhi. Gwynevere lo squadra. 
-Ci sono due tipi di religiosi, amore. Quelli che si trattano troppo bene e quelli che si trattano male. Friede che cos’è, secondo te?- 
Un altro delirio dei suoi: come se ne avesse bisogno. -Ho sonno, Osi. Ti prego, non adesso.- 
-D’accordo, va bene. Non arrabbiarti. Aiutami a salire da te, ho male alla schiena.- 
Gwynevere sospira, ma gli porge lo stesso le sue mani, e quella stretta ossuta la fa sentire almeno un po’ più coraggiosa. Almeno non è da sola, ha qualcuno vicino per tenerla al caldo. 
Oceiros giace prono, ed è strano da guardare dopo anni passati a dormire accanto a lei schiena in giù. Le piaghe scoperte luccicano, l’odore di sangue fresco le pizzica il naso. Gwynevere si sdraia al suo fianco e avvolge entrambi nelle lenzuola. Il rosso delle piaghe di Oceiros brilla come un rubino anche al di sotto della stoffa leggera. Servono delle garze, ma non ci sono. L’unica è resistere: purché si possa, e la possibilità le appare ogni secondo più tenue. 
-Andrà bene.- sussurra prendendo la mano del marito. -Non avere paura.-
-Io non ho paura. È quella che deve averne.- Oceiros accarezza il dorso della mano di Gwynevere. -Tu hai paura. Lo vedo nei tuoi occhi. Perché? Cosa potremmo temere, noi?-
Qualunque cosa si nasconda dietro quella porta. Ma Gwynevere sa che c’è per ogni regina un momento in cui deve dimenticare cos’è la paura. -Passerà.- 
Guarda negli enormi occhi blu del marito – un blu profondo, notturno, che ben si accorda con l’azzurro metallico dei suoi capelli – e lo trae a sé per un lungo e caldo bacio. Non sa quanto tempo potrà passare fino al prossimo: accarezza i capelli di Oceiros e percorre con le labbra schiuse tutta la circonferenza delle sue. Sottili, morbide, circondate dalla barba ruvida e curata. Familiari
-Dobbiamo andarcene, va bene?- ansima appena si allontanano. -Riuniremo un esercito, migliaia di cavalieri solo per noi, e la destituiremo. Resta con me.-
-Ti amo, Gwynevere.- le stringe forte i polsi e aggrotta le sopracciglia. -E li riprenderemo, i nostri figli. Dammi retta.- 
Sì, è quello di cui ha bisogno: la volontà feroce, testarda, del suo amato. Si è mostrata fin troppo condiscendente: Friede è appena arrivata, non può aver già vinto. Vuole almeno crederlo, e dire a sé stessa che Lothric e Lorian non sono ancora fuori dalla sua portata. 
Vorrei che Gwyndolin fosse qui: nemmeno lui si arrenderebbe. Il suo algido fratellino attende ad Anor Londo, lontano come la Luna che gli da potere, l’ultimo dei suoi fratelli assieme a una sorella scomparsa e un primogenito dimenticato, e l’unico ancora là per lei. Ogni tanto era sceso a visitarla, ed era stato impeccabile nei panni dello zio affettuoso e del cognato gentile, ma non era mai rimasto più di qualche giorno. E così sarebbe stato. Non è più quella, la mia famiglia: il mio posto è a Lothric, con i miei figli e l’uomo che amo, e rimarrà il mio posto finché il Sole continuerà a sorgere. 
Giacciono assieme, lei e Oceiros, come se fosse una notte qualsiasi; le loro mani si stringono ancora quando il sonno li coglie. 

A.A.:
Ho avuto quest'idea rimuginando su un AU in cui scrivere qualcosa di diverso sulla Famiglia Lothric, e in particolare su Gwynevere, che ho scoperto essere un POV davvero piacevole dopo Catene Blu. Così mi è venuta un'idea, apparentemente semplice: un AU in cui Sulyvahn e Friede si scambiano di posto e hanno l'uno l'obbiettivo dell'altro. In tal caso, il Pontefice cabarettista si trova ad Ariandel con... beh, Ariandel, e la suora irritante prende il controllo di Lothric. A differenza di Sulyvahn, perciò, Friede usa un attacco immediato in cui imprigiona atrocemente i leader (appunto, come fa con Ariandel nel gioco originale) anziché anni di manipolazione, leccamento di piedi e altre cose poco carine. Quelle saranno destinate sempre al dolce Ariandel, e diciamocelo, almeno lui sta bene. Così eccoci qua: la Chiesa Nera si è unita alla Chiesa della Profondità – le loro origini sono le medesime, ma si vedrà come mai Sulyvahn è rimasto a casa anziché fuggire e diventare Gran Sacerdote – Kaathe diventa la divinità numero uno della zona assieme ad Aldrich, e Gwynevere dovrà cavarsela da sola. 
La storia non ha una trama prestabilita, anche se molti punti sono già ben chiari, e per ogni capitolo ci saranno due POV, uno di Gwynevere e l'altro di un altro personaggio, che potrà essere Friede, Oceiros, Lothric, Gwyndolin, Kendra (sì, è chi pensate voi, finalmente ha un nome), Vordt o altri ancora. 
Questa storia è ambientata inoltre, almeno adesso, molto prima degli eventi di Dark Souls III, cosa che si evince dalla giovane età dei principi gemelli, dalla favella e locomozione di Lorian, dall'aspetto umano e dalla mente (più o meno) lucida di Oceiros, e dal fatto che al momento non sembra esserci alcun/a terzogenito/a. Il rating è per ora arancione, ma potrei alzarlo. Hint hint
Infine, per i fan dell'Archivio degli Incontri: non è morta, continuerò ad aggiornarla ogni settimana. Il capitolo ottavo arriverà un po' in ritardo, ma a parte quello non la mollerò. Ho ancora diciotto prompt da vedere, e pretendo di completare la raccolta come si deve. Il gran finale con Nito Cupcake Burrito s'ha da fare. 
Un abbraccio a tutti quanti e grazie per chiunque voglia seguirmi in questa bizzarria. 
Lady R. 
  
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