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Autore: blackjessamine    25/06/2018    6 recensioni
Dudley Dursley non si è mai ritenuto un uomo particolarmente intelligente, ma quando si ritrova legato come un salame in quella che è evidentemente una stanza per gli interrogatori, si rende conto che qualcosa, nel suo piano, deve essere andato storto. Soprattutto perché le stelle dipinte sul soffitto sembrano pulsare e risplendere di luce propria, e i suoi aguzzini attraversano indenni fiamme violette.
A trentacinque anni, Dudley Dursley non è un uomo particolarmente intelligente, ma non è nemmeno il ragazzino arrogante e viziato che per anni aveva chiuso gli occhi davanti alle ingiustizie perpetrate sotto il suo stesso tetto.
Dopo dieci anni di vita perfettamente normale, e tante grazie, Dudley Dursley non avrebbe mai pensato di dover affrontare di nuovo quelle persone armate di bacchette e parole buffe, ma sembra che la vita gli abbia giocato un meschino scherzo del destino, costringendolo ad affrontare i suoi rimorsi e i silenzi che minacciano di soffocare la sua coscienza.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dudley Dursley, Ginny Weasley, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Buckfastleigh, aprile 2015

La cucina del Dartbridge Inn con ogni probabilità non sarebbe mai rientrata nell'elenco dei dieci migliori ristoranti di Buckfastleigh, ma a Dudley ormai non importava. Aveva pranzato lentamente, ma la sua mente non aveva dedicato che pochi, rapidi pensieri alla consistenza stopposa della bistecca che aveva nel piatto. Avrebbe volentieri trangugiato i broccoli scotti e insipidi che restavano nel suo piatto con l'aiuto di qualche bel sorso di birra scura, ma lo aspettava un lungo viaggio in auto e aveva sulle spalle solo poche ore di sonno, e l'ultima cosa che voleva era rischiare di addormentarsi mentre guidava verso Londra. Certo, avrebbe sempre potuto pensare di fermarsi a Buckfastleigh ancora qualche ora, e ripartire nel tardo pomeriggio, come aveva preventivato settimane prima, ma questo avrebbe significato arrivare a Londra troppo tardi per pensare di vedere Rachel. Non che lei lo aspettasse - anzi, quando le aveva detto che quel weekend non avrebbero potuto passare del tempo assieme lei si era rannuvolata tutta, ma poi aveva scosso le spalle e aveva sorriso coraggiosamente - ma proprio questo lo rendeva ancora più desideroso di vedere il suo viso illuminarsi quando se lo fosse trovato davanti alla porta di casa, all'improvviso.
Si riempì la bocca con un'enorme forchettata di broccoli, decidendo che, tutto sommato, avrebbe anche potuto perdere una mezz'oretta per fare una passeggiata in centro: era sicuro che avrebbe trovato qualcosa da regalare a Rachel, per farsi perdonare di quei giorni in cui non si erano visti. Ah, se avesse saputo che in realtà lui era stato nel Devon sei notti, e non soltanto una, ci sarebbe rimasta malissimo!
Fece un cenno alla giovane cameriera, che, senza degnarlo nemmeno di un mezzo sorriso, si avvicinò al suo tavolo lentamente, facendo ciondolare con aria svogliata le braccia abbronzate. Dudley chiese il conto, senza nemmeno dare tempo alla ragazza di informarsi se gradisse qualcosa come dessert - aveva visto quanto erano alte e invitanti le fette di torta sul carrello dei dolci: erano probabilmente l'unica cosa buona di quel posto, e Dudley non era certo di avere la forza di volontà necessaria per respingere un'offerta così succulenta, e al diavolo le raccomandazioni del dottore.
Saldò il conto del pranzo - fortunatamente aveva già sbrigato quella mattina le pratiche per la stanza d'albergo - e reprimendo a stento uno sbadiglio si gettò nella luce grigia di quel primo pomeriggio. Forse avrebbe dovuto concedersi almeno un caffè, si disse, caricandosi sulle spalle lo zaino con i pochi vestiti che si era portato dietro. Pensò alle ore che doveva ancora trascorrere in macchina, pensò al traffico che avrebbe incontrato per entrare a Londra, e a quello che lo avrebbe trattenuto in città, mentre ne usciva per dirigersi finalmente a casa, e a stento riuscì a trattenere un gemito: tutto quello che voleva, ora, era farsi una lunghissima doccia calda, per poi infilarsi sotto le sue lenzuola e dormire per almeno dodici ore. Cosa che non sarebbe mai successa, lo sapeva bene, dal momento che negli ultimi due anni le sue notti erano sempre state costellate da bruschi risvegli e ore trascorse a fissare il soffitto, pensando a tutto quello che nella sua vita gli stava sfuggendo di mano.
Quell'ultima settimana non era stata diversa: la prima notte che aveva trascorso nel Devon era stata una notte benedetta da un sonno ristoratore, ma più i giorni passavano, più la pressione sul suo petto pareva aumentare ogni volta che si stendeva a letto. Del resto, che cosa si aspettava? Aveva riposto tutte le sue speranze in quel viaggio, aveva davvero creduto che avrebbe potuto risolvere qualcosa con quella folle avventura, ma quando era stato chiaro che il viaggio era stato un buco nell'acqua, tutto era precipitato. Questa era la sua grande occasione, l'unica cosa a cui fosse riuscito a pensare per cercare di risolvere quella situazione che da mesi ormai gli toglieva il sonno, ed ora che anche l'ultima speranza si era sgretolata il suo futuro sembrava fatto solo di incertezze.
Scosse la testa, cercando di allontanare da sé tutti quei pensieri: ora come ora, non poteva fare niente per cambiare la sua vita, e allora tanto valeva smettere di pensarci.

Il cielo si stava rannuvolando rapidamente, e Dudley rabbrividì nella sua felpa leggera. Un vento freddo e infido aveva iniziato a soffiare, e probabilmente entro poco tempo avrebbe cominciato a piovere. Avrebbe cominciato a piovere e il suo ombrello era chiuso nell'auto che la sera precedente aveva posteggiato vicino al Dartbridge Inn, ad almeno venti minuti a piedi dalla via dove si trovava in questo momento. Ci sarebbe giusto mancato che se ne fosse tornato a casa con una bella influenza, e allora sì che quel viaggio sarebbe stato un fallimento totale. Sicuramente avrebbe passato le vacanze di Pasqua ammalato, giusto per guarire in tempo per il rientro al lavoro.
Cercò di affrettare un po' il passo, ignorando quella fastidiosa fitta alla milza che provava ogni volta che faceva qualche sforzo fisico superiore alla media. Il grosso sacchetto che teneva sottobraccio, quello con il regalo per Rachel, sbattacchiava fastidiosamente contro la sua coscia destra, mentre si affrettava a raggiungere la sua automobile prima che cominciasse a piovere. Colse un lampo della sua immagine nella vetrina di una libreria, e quasi gli venne da ridere: un uomo di trentacinque anni che indossava una felpa di quando ne aveva venti, accaldato e sudato sotto il peso dei chili che, nonostante la dieta ferrea, proprio non riusciva a perdere. Il suo viso era rosso e congestionato, adombrato dal velo ispido della barba vecchia di qualche giorno. Rachel se ne sarebbe sicuramente lamentata, quando si fosse chinato a stamparle un bacio sulle guance piene.
Cielo, era orribile. E pensare che la sera precedente, in quel pub sperduto in cui era entrato senza speranze, solo per fare un ultimo tentativo, per un attimo aveva davvero creduto che quelle donne potessero essere impegnate a lanciargli sguardi interessati.
Lui se ne stava con le spalle chine seduto al bancone, intento a finire di sorseggiare la sua birra, sconsolato - era chiaro ormai che aveva fatto un buco nell'acqua, nessuno era stato in grado di dargli le informazioni che cercava e presto sarebbe tornato a casa, a mani vuote - quando due donne erano entrate nel locale, parlando fra di loro a bassa voce. Una, la più matura, era piuttosto alta, e indossava un tallieur scuro come i suoi capelli, che portava raccolti in una crocchia severa. Avanzava sicura sui suoi tacchi lucidi e altissimi, e sembrava del tutto fuori luogo in un pub del genere, vestita come se fosse appena uscita da uno studio notarile anche di sabato sera. L'altra invece, una giovane donna dall'aria decisa, portava dei jeans e una felpa verde che doveva appartenere a qualche squadra sportiva che Dudley non aveva mai sentito nominare, e continuava a scostarsi dal viso lunghe ciocche di un rosso fiammante.
Dudley si era accorto della loro presenza solo quando le aveva viste allontanarsi dal tavolo a cui erano seduti tre signori piuttosto anziani, con cui avevano parlottato rapidamente, per dirigersi con aria risoluta ad un tavolo proprio davanti a lui. La donna elegante gli aveva lanciato solo un mezzo sguardo poco interessato, ma quella coi capelli rossi l'aveva fissato apertamente, con aria di sfida. Dudley si era affrettato a distogliere lo sguardo - per quanto fossero entrambe a loro modo due donne piuttosto affascinanti, non era certo venuto fino nel Devon per cercare della compagnia femminile. La donna dai capelli rossi si era seduta in modo da dargli le spalle, mentre l'altra si era accomodata con grazia di fronte a lei, facendo per un attimo scivolare i suoi grandi occhi chiari su Dudley.
Le due donne parlavano poco, e lo facevano a bassa voce, ma ben presto Dudley si era reso conto che spesso gli occhi chiari della donna elegante si sollevavano per posarsi qualche istante su di lui, con aria fintamente noncurante. La rossa, invece, era decisamente meno cauta: più di una volta si era voltata a guardarlo, ed ogni volta il suo era stato uno sguardo gelido, come se fosse infuriata con lui. Dopo una ventina di minuti, lanciando a Dudley uno sguardo di fuoco, la donna in jeans se n'era andata con aria fiera, lasciando la sua amica libera di lanciare lunghe occhiate nascoste a Dudley. Lui si era aspettato che la donna lo approcciasse, prima o poi, ma quella si era limitata a sorseggiare una tazza di tè fumante, accontentandosi di osservarlo di tanto in tanto.
Se all'inizio gli sguardi di quella donna così elegante lo avevano lusingato, dopo un po' la situazione si era fatta imbarazzante. Per una decina di minuti Dudley era stato certo di aver in qualche modo attirato l'attenzione della donna, e che le sue occhiate non fossero altro che un modo molto coraggioso e poco sottile di manifestare il suo interesse. Mentre il tempo passava, però, la donna sembrava accontentarsi di rimanere immobile a sorseggiare il suo tè, guardandolo di tanto in tanto con la curiosità che avrebbe potuto avere un biologo davanti ad una specie sconosciuta, più che l'interesse di una donna attratta da un uomo solo al tavolino di un bar.
Dudley non si era mai considerato un uomo particolarmente affascinante, e di certo non lo era quella sera, vestito in tutta fretta con degli abiti comodi e con il viso non rasato. Ad un certo punto la curiosità della donna lo spinse a domandarsi se per caso non avesse qualcosa di ridicolo sulla faccia, o dei resti della cena fra i denti, o se per caso avesse fatto qualcosa di strano e inusuale.
Be', d'accordo, qualcosa forse aveva fatto... era tutta la settimana che faceva cose strane, aggirandosi in tutti i pub del Devon e cercando di attaccare bottone con aria sciolta e a suo agio assieme al barista o a quelli che avevano l'aria di essere gli avventori abituali, sperando di non apparire come uno straniero impiccione. Non credeva davvero che avrebbe ottenuto qualcosa con quegli approcci maldestri - del resto, non aveva nemmeno idea se si trovasse nel posto giusto: aveva viaggiato a casaccio, evitando le strade principali e concentrandosi sui paesini dall'aria più particolare e caratteristica che avesse trovato, perché qualcosa gli diceva che se davvero le persone che cercava vivevano qui, di certo non le avrebbe trovate in posti ordinari.
Per un attimo, un breve, glorioso, attimo, Dudley si convinse che l'attenzione di quella donna poteva essere dovuta proprio alle sue domande: quando erano entrate, lei e la sua amica rossa avevano scambiato poche battute con degli uomini che erano seduti poco lontani dal bancone, mentre lui cercava di chiacchierare distrattamente con il barista. Forse quegli uomini avevano riconosciuto le persone di cui lui aveva parlato, e forse avevano in qualche modo chiamato quelle due donne, che forse avrebbero potuto aiutarlo... Del resto, per quanto quella donna dagli occhi chiari fosse abbigliata in maniera impeccabile, il suo tallieur formale strideva decisamente con l'ambiente circostante. Chissà, forse non si trattava di una donna che era uscita tardi dal lavoro ed aveva incontrato la sua amica senza avere il tempo di tornare a casa a cambiarsi, forse si trattava semplicemente di qualcuno che non era abituato a indossare degli abiti comuni, e così, per quanto avesse curato moltissimo i dettagli, era caduta proprio sulle sottigliezze. Come uno straniero che studi usi e costumi su un libro di testo, e che, nonostante tutto il suo impegno, finisca per tradirsi proprio con i gesti più elementari.
Dudley si riscosse da questo pensiero: no, se davvero quella donna era venuta fin lì perché aveva capito quello che lui stava cercando, probabilmente a questo punto gli si sarebbe già avvicinata, dandogli o chiedendogli spiegazioni.
Se invece se ne restava ferma lì a stampare l'impronta delle sue labbra rosse sulla porcellana chiara, guardandolo con aria tanto stupita e vagamente divertita, era perché Dudley doveva apparire particolarmente ridicolo, tutto solo ad un pub il sabato sera.
Dudley si affrettò a finire la sua birra, precipitandosi in fretta fuori dal locale, e anche se evitò con cura di incrociare ancora lo sguardo della donna elegante, era certo che i suoi occhi chiari lo avessero seguito fino a quando la porta non si era richiusa dietro di lui. Respirando avidamente l'aria tersa della notte, si affrettò a raggiungere la sua auto per tornare in albergo. A pochi metri dal parcheggio, avrebbe giurato di aver sentito il suono cadenzato di un paio di tacchi che si muovevano poco distanti da lui, ma quando si voltò, la strada illuminata da numerosi lampioni era completamente deserta.
Doveva essersi trattato di uno scherzo della sua immaginazione, del resto cominciava ad essere piuttosto stanco. Ed era estremamente nervoso: l'indomani sarebbe dovuto ritornare a casa, non poteva permettersi altri giorni di ferie, e con quel viaggio disperato aveva dato fondo a tutte le sue speranze di trovare qualcuno in grado di aiutarlo. Da domani, avrebbe dovuto cercare di tenere a bada la situazione da solo, concentrandosi al meglio nel proteggere la sua Rachel dalla tempesta che, ne era certo, negli anni a venire avrebbe totalmente sconvolto le loro vite.

La pioggia sorprese Dudley quando era ancora ad un paio di strade di distanza dal parcheggio in cui, quella mattina, aveva lasciato la sua automobile. Sbuffando e ansimando leggermente, sollevò il cappuccio della felpa a coprirsi la testa, strinse al petto il sacchetto con il regalo per Rachel e si mise a trotterellare in direzione di quel parcheggio un po' isolato, sperando di arrivare prima di beccarsi un raffreddore. Il signor Palmer, il suo capo, non avrebbe sentito ragioni: dopo una settimana di ferie, non esistevano malattie, Dudley sarebbe dovuto andare a lavorare anche ammalato.
Quando finalmente arrivò in vista del piccolo parcheggio semideserto, stava ormai ansimando vistosamente. Decisamente, aveva bisogno di ricominciare a fare un po' di attività fisica, se non voleva ridursi ad essere una palla di lardo con un cardiologo preoccupato entro il suo quarantesimo compleanno.
C'erano solo poche auto posteggiate, e la sua, un'utilitaria di un azzurro cielo sgargiante - oh, sì, si era pentito moltissimo di aver promesso a Rachel che lei avrebbe potuto scegliere il colore della sua nuova macchina, l'anno prima - era decisamente riconoscibile. Quando Dudley si accorse che c'erano due figure appoggiate distrattamente al cofano della sua auto, ebbe come primo istinto quello di aumentare il passo e intimare a quei due di spostarsi. Maledizione, che cosa saltava in testa a quei due idioti di appoggiarsi alle macchine altrui?
“Ehi, che cosa credete di fare?” abbaiò, e quando i due fecero qualche passo verso di lui, Dudley sentì i suoi polmoni contrarsi in uno spasmo di puro terrore. L'uomo e la donna indossavano degli abiti identici, di un curioso blu polvere. Se il lungo mantello che ondeggiava alle loro spalle non fosse stato sufficiente a far capire a Dudley che tipo di persone fossero quei due, i lunghi bastoncini di legno che la coppia puntava con aria minacciosa contro il suo petto cancellò ogni dubbio.
Dudley arrestò il suo trotterellare scomposto con uno spasmo, cercando di costringere il suo cervello a lavorare velocemente. Ogni sforzo si rivelò inutile: vedesi puntare quelle due bacchette dritte in faccia fece riaffiorare tutte le paure che con il tempo pensava di aver sepolto, e, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò a lasciar cadere il sacchetto che stringeva tra le mani, sollevando le braccia.
“Bacchetta a terra!”
Esclamò l'uomo con aria decisa, mentre lui e la sua collega gli si avvicinavano lentamente, senza mai abbassare la bacchetta. Dudley, mezzo paralizzato dal terrore, non si mosse di un millimetro: si limitò a fissare quell'uomo, che era di circa una spanna più alto di lui. Aveva il viso spruzzato di lentiggini e una gran massa di capelli rossi.
“Bacchetta a terra!”
Ripeté la donna, lentamente ma con voce che non ammetteva repliche. Mentre i due si avvicinavano, Dudley notò una grossa ed elaborata “A” appuntata sul petto delle divise dei due. Non aveva idea di che cosa significasse, ma gli occhi scuri della donna che gli stava di fronte si stavano riducendo a due fessure minacciose, così Dudley si costrinse a schiarirsi la voce, e a sussurrare:
“Che cosa... che cosa volete da me?”
L'uomo dai capelli rossi, senza mai abbassare la sua bacchetta, si limitò a rispondere:
“Solo farti qualche domanda. Prima, però, fai rotolare lentamente la tua bacchetta verso di noi. Appena avremo chiarito la situazione, la riavrai indietro.”
La sua bacchetta? Davvero quegli... quei... quelle persone credevano che lui potesse avere una bacchetta? Che fosse uno di loro? Oh, santo cielo, ma in che razza di pasticcio era andato a cacciarsi? L'unica cosa vagamente positiva in tutta quella situazione era che, a giudicare dal loro abbigliamento identico, i due sembravano delle figure professionali, e a giudicare dal modo in cui si comportavano forse erano addirittura delle specie di poliziotti. Dudley era certo di non aver fatto niente di male, e chissà, se solo quei due gli avessero dato modo di spiegarsi prima che la situazione degenerasse, forse tutto si sarebbe risolto senza troppi danni. Forse avrebbero potuto addirittura aiutarlo nelle sue ricerche...
Dudley fu riportato alla realtà dalla voce lenta e minacciosa della donna di fronte a lui: era una donnina minuscola, il suo viso illuminato dai piccoli occhi scuri e fiammeggianti arrivava a stento all'altezza del petto di Dudley, ma l'uomo, chissà perché, era molto più spaventato da quell'espressione gelida, che dagli occhi chiari del mago dai capelli rossi.
“Ti conviene obbedire, o potremmo considerare il tuo rifiuto di consegnare la bacchetta un chiaro tentativo di opporsi a due Auror dichiarati. Dopo quello che è successo il mese scorso a Plymouth, non ti conviene metterti nella posizione del criminale. Per l'ultima volta, bacchetta a terra.”
Dudley non aveva idea di cosa fosse un Auror, né aveva idea che loro centrassero qualcosa con l'incendio di quella fabbrica a Plymouth. Sempre che la donna si riferisse a quell'incidente che aveva appestato l'aria della cittadina per un raggio di decine e decine di chilometri, le cui cause sembravano ancora del tutto sconosciute. Quello che era certo, però, era che Dudley non aveva la minima intenzione di essere trattato come un criminale da due... due maghi armati.
Sentì il colore abbandonare del tutto le sue guance, e sapeva che doveva avere un'aria patetica, così tremolante e spaventato, ma si costrinse a richiamare alla mente quel poco che sapeva sul loro mondo, e balbettò:
“Io non ho una bacchetta! Io sono... sono un babbano!”
La sorpresa davanti a questa dichiarazione disegnò una grossa “O” sul viso del mago dai capelli rossi, che abbassò impercettibilmente la bacchetta, prima di tornare a puntarla al petto di Dudley. La donna dagli occhi scuri, invece, parve ancora più irritata da questa dichiarazione.
“Mi devi cinque galeoni, Carter”
Esclamò una voce acuta ed estremamente melodiosa alle spalle di Dudley, mentre qualcosa di duro e appuntito andava a posarsi alla base della nuca di Dudley, premendo così forte che anche attraverso la stoffa ormai zuppa del cappuccio della felpa l'uomo riuscisse ad avvertirlo distintamente. La sorpresa e lo spavento furono tali che Dudley non riuscì a trattenersi: prima di rendersene conto, aveva fatto un balzo in avanti, strillando come una bambina che avesse visto un ragno.
Fu una questione di secondi: i maghi davanti a lui reagirono alla sua mossa sconsiderata, ci furono voci concitate e lampi di luce accecanti. Qualcosa di caldo, rosso e luminoso colpì Dudley in pieno petto, mandandolo lungo e disteso sull'asfalto. Lo zaino alle sue spalle attutì appena la caduta, evitandogli di picchiare la testa contro l'asfalto bagnato, ma prima che potesse reagire, il respiro ancora corto e strozzato per il dolore, sentì una piccola mano stringersi con forza attorno al suo polso.
Dudley cercò di liberarsi, riparandosi istintivamente il viso con il braccio che ancora aveva libero, ma la stretta attorno al suo polso sembrava quella di una tenaglia d'acciaio. Improvvisamente, tutto intorno a lui si fece scuro, e la poca aria che era rimasta nei suoi polmoni venne spremuta a forza fuori dalle sue labbra, mentre una morsa fredda e gelida cominciò a premere contro di lui da ogni parte.
Non poteva respirare, non vedeva niente e non poteva nemmeno aprire gli occhi. Sentiva solo quella stretta inesorabile attorno al suo polso, e quella pressione insopportabile che sembrava voler ridurre il suo corpo il polvere. Improvvisamente Dudley fu certo che quella sensazione terribile poteva significare solo una cosa: stava morendo. Stava morendo nel parcheggio mezzo deserto di una cittadina del Devon, e nessuno sarebbe stato in grado di spiegare alla sua Rachel perché lui si trovasse lì e che cosa gli fosse successo.

Note:
Ah, la sensazione di avere uno spazio completamente bianco sotto le dita...
Che dire? Innanzitutto, benvenuti.
Questa breve storia si scava la sua strada nella mia testa da ormai diversi mesi, ma mi sono imposta di non pubblicare nulla finché non avessi terminato la mia prima fatica, “La danza delle spade”. In realtà, memore di alcuni errori commessi nella stesura di quella storia, mi ero imposta di non pubblicare niente finché non avessi terminato almeno una prima bozza di tutta la storia, ma la voglia di avere un confronto è troppo grande. In ogni caso, ho circa metà della storia già abbozzata da qualche mese, quindi direi che almeno in parte ho ascoltato la voce della mia coscienza.
Che dire, se qualcuno di voi arriva dalla mia prima long, sappiate che qui il registro sarà del tutto diverso: ho bisogno di scrivere qualcosa di decisamente più leggero, con meno paletti, più corto, e che mi dia la possibilità di divertirmi e di giocare con un paio di idee che mi frullano nella testa da tanto tempo, senza alcuna pretesa. Cercherò di restare quanto più aderente possibile al canon, per quello che sappiamo di ciò che è successo dopo la fine del settimo libro (sì, The Cursed Child per me è solo un incubo da cui non mi sono ancora svegliata, quindi non lo prenderò minimamente in considerazione), ma mi riservo di prendermi qualche libertà, se necessario, in tutta leggerezza.
Mi rendo conto che l'idea di fondo della storia (di cui ancora non ho accennato, perché per qualche capitolo vorrei restasse una sorpresa) non è per niente originale, ma avevo voglia anche io di dare la mia versione.
Probabilmente questa mini-long sarà un po' meno curata rispetto a “La danza delle spade”, ma davvero voglio prenderla più che altro come un divertissement, un gioco.
Spero in ogni caso che abbiate voglia di farmi sapere che cosa ne pensate di questo mio piccolo esperimento, senza aver timore di esprimere anche opinioni critiche: senza critiche, non si cresce, e io ci tengo in ogni caso a migliorarmi.
Ora la smetto, 'ché le note rischiano di diventare più lunghe del capitolo stesso!
   
 
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