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Autore: Manto    25/06/2018    8 recensioni
♥ Prima classificata allo ‘Zodiac game’ contest indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp, a parimerito con "La ballata di Heer Halewijn" di yonoi
A volte si dice che nemmeno la morte può cancellare un viaggio né interrompere un desiderio; che ciò che siamo e vogliamo rimane con noi per trovare un'altra strada, e la sua realizzazione.
Forse è solo per questo che due anime si incontrano; e forse è proprio per questo che si può ricominciare a vivere, nonostante tutto.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maes Hughes, Nina Tucker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi sotto presentati non mi appartengono. La storia è stata scritta senza scopo di lucro.


♣ Storia partecipante allo ‘Zodiac game’ contest ♣


Your Angel in Call




L’alba è una coperta morbida, una mano materna e un sussurro che si confonde con quelli di chi abbraccia; il cielo delle cinque mattutine è già trionfante di bagliori, poiché il giorno lascia poca vita al buio.
Alexander è sempre il primo a sentire la luce giungere e a sollevarsi dal suo letto di margherite e asfodeli, per poi svegliare Nina leccandole il naso.
Padroncina, è già ora di alzarsi! Andiamo a giocare!, sembrano voler dire gli occhi dolci che incontrano quelli assonnati della bimba, le sue zampe simili a calde braccia quando l’avvolge senza fare male.
«Sì, sì, ora mi alzo», sussurra la piccola, e dopo alcuni attimi, spinta dalle insistenze dell’amico, finalmente sguscia dal lenzuolo di petali che la notte le ha fatto scivolare addosso, salta in piedi e protende il viso verso il suo compagno di giochi. «Sei pronto? Andiamo!», esclama prima di mettersi a correre verso un angolo ancora inesplorato di quella landa sconfinata, in preda all’allegria che l’ha sempre accompagnata… con un unico, rapido sguardo alla macchia buia che fugge alle sue spalle, un debole fantasma che attende di morire nel ventre della pace.



In Paradiso, tra mille fiori in boccio e il battito di altrettante stelle, il dolore sembra lontano: ognuno è affiancato dalle occupazioni che aveva nel suo vecchio mondo e dalle migliori qualità che là lo hanno caratterizzato, così che i sogni e i desideri di un’intera esistenza vivono ancora in lui; così che i giorni sereni leniscono anche il cuore di chi troppo ha sofferto.
Si può cantare senza fermarsi, si può ridere e gridare senza paura di venire sgridati; vecchi amici si ritrovano, le famiglie si riuniscono, la felicità si intreccia e si amplia anche attraverso un solo desiderato, commosso abbraccio prima impossibile.
La breve tenebra non interrompe la festa e anche chi è giunto da solo, come accaduto a lei, non lo è più: nessuno è restio a giocare e tutti sono pronti ad ascoltarsi l’un l’altro, a conoscersi e a passare insieme l’eterno bel tempo.
Le memorie di Nina — ogni immagine del prima — sono fatte interamente di tenerezza: albe tenui e corone di fiori nei giardini di villa Tucker, lunghi riposi con Alexander, dolci sogni capaci di spalancare le porte del sonno e riversarsi nella realtà; ma solo lì si è realizzato il desiderio più sentito, e finalmente può dirsi circondata da tanti amici. Spesso è proprio il suo inseparabile cane a guidarla da loro: come se potesse percepire gli animi più in sintonia con quello della padroncina, conduce questa da piccoli e adulti e le fa incontrare ben più di un semplice sorriso di benvenuto o una mano da afferrare in un girotondo.
Potrebbe esserci qualcosa di più meraviglioso? Per molti cuori no, e tuttavia… tuttavia si può ancora piangere, in Paradiso: una veloce, lieve ombra di malinconia sul viso di chi ha appena raggiunto quei cieli o ha un legame che cerca e ricerca la metà lontana, un’anima che continua a correre tra due realtà e non riesce a trovare il proprio equilibrio.
A volte, quando le sue corse la portano a incontrare alcuni di quei volti fissi sul crepuscolo e distanti dalla comune quiete, anche la piccola ferma l’impeto del proprio entusiasmo; si separa lentamente dalla girandola di voci che la circonda — «Nina, perché ti sei fermata? Non vuoi più giocare?» — e si lascia avvolgere da un silenzio che riguarda solo lei.
«Sei diventata triste.»
Spesso succede come a tutti gli altri: la sensazione svanisce in pochi secondi, come se non fosse mai nata… ma delle occasioni in cui la mancanza è forte come una presenza, di quelle nessuno sa e lei non potrebbe mai spiegare. Semplicemente, è come se non riuscisse a ricordare qualcosa, e questi volesse essere riconosciuto facendo sempre più male; e sì, Nina un po’ diventa triste quando accade, le sue domande cadono tra i colori del tramonto e senza risposte, hanno la forza di lambire un istante delle sue notti.
Alexander sente anche questo e cerca una soluzione: e come le fa trovare nuovi amici, la porta anche da anime anziane che possono comprenderla di più. È proprio in uno di quegli attimi che l’ennesima attesa di comprensione lascia il posto alla concretezza; e la bambina comprende dall’abbaiare improvviso che il fedele amico necessita della sua attenzione.
Un delicato agitarsi di farfalle sorvola la distesa di iris dove Alexander continua a correre, dove una donna siede in solitudine e ride delle sue feste; questa lo accarezza come se lo conoscesse da sempre, e solo quel gesto scatena una reazione intensa nella bimba — non preoccupazione, no di certo, più una sorta di frenesia che la spinge a correre verso di lei il più velocemente possibile, per non lasciare nemmeno un istante di respiro al Tempo. Qualcosa della sconosciuta l’attrae fin da subito, una traccia di famigliarità che smuove la memoria, una particolare gentilezza nei modi; e la sua risata è una nota dolce quando il cucciolone le appoggia la testa sulle gambe. «Sei davvero bravo, Alexander… di certo sarai stato un grande amico per la mia Nina.»
La donna ha il capo chino mentre pronuncia quelle parole, ma passa solo un secondo prima che sollevi lo sguardo, improvvisamente conscia della presenza della piccola, e che la realtà si riduca solo a loro due.
Io non voglio restare sola.
Il pensiero ⸺ il ricordo ⸺ è come una puntura dritta nel cuore e ne scatena altri, insieme a tante sensazioni; e la bimba spalanca gli occhi, indietreggia appena.
Dov’è la mamma? Mi sento sola!
«Amore mio…»
Perché se n’è andata, perché? Non ci voleva più bene, papà?
È avvolta dal sole, eppure i suoi occhi riescono a vedere le grandi sale scure della sua casa e nelle orecchie c’è ancora il risuonare dei passi che cercano quella figura sorridente, improvvisamente scomparsa e lontana; e così il primo ricordo che emerge da un lungo oblio, da una vita spezzata troppo presto, è fatto di silenzio.
Ma ora…
Mamma.
Mamma
Mamma!

«M-Mamma.»
L’altra sorride, si alza in piedi; Alexander si riscuote e si sposta, osserva l’una e l’altra in muta attesa.
La mia famiglia… ho avuto tanti amici, ma una mamma… mamma…
La malinconia non si quieta, ma aumenta; eppure è quasi purificatoria, come se dopo aver raggiunto il suo apice fosse pronta a svanire tra le braccia che l’adulta le tende. Gli istanti da riprendere e rivivere sono tanti; ma di certo nessuno può più negarli o sottrarli, giungono per essere vissuti.
Il corpo di sua madre è morbido, l’abbraccio accogliente; agisce anche se lei ricorda troppo poco, ma sente il benessere di un grande amore scendere fin sotto la pelle.
«Non ho potuto guardarti crescere… mi dispiace, mi dispiace così tanto! Non volevo… non volevo…» Le parole sono frantumate dalle lacrime, colpiscono Nina senza farle male; Nina che ancora rimane in silenzio perché vuole parlare con quelle mani che accarezzano i capelli della donna e trovano in loro un rifugio. Non voglio essere sola, ho sempre pensato; non ho mai voluto esserlo e non lo sarò più, forse.




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A volte lo chiamano “Brigadiere Generale”, come se lì i gradi avessero qualche importanza; qualcuno si sofferma su un “Tenente Colonello”, chi non sa del suo avanzamento e che lui di certo non rimprovera, mentre altri lo salutano con un gioioso “Signor Hughes”; e così può bastare.
Può bastare, quando
le parole che si vorrebbero sentire davvero, sentire sempre o anche solo una volta «Papà, papà, sei tornato!» «Tesoro, perché non ti riposi ancora?» —, sono troppo lontane.
E nonostante in quell’infinità i giorni non abbiano alcuna misura né ci sia più qualcosa capace di ferire, a volte la mente si inganna e il corpo sogna di ritornare indietro, a quando la vita era imprevedibile e senza sconti, a quando c’era qualcuno che, nonostante tutto, lo aspettava sempre.
Un sospiro portato via dal vento, che incrina appena il sorriso e aumenta la malinconia; perché no, vivere in Paradiso non è poi così facile.
Certo, ci sono tante meravigliose persone da conoscere e con le quali passare le giornate, vecchi amici da ritrovare, eventi da raccontare, angoli da scoprire e cose da vedere; c’è tempo per discorrere con quelle foto rimaste nelle tasche della divisa, che nemmeno morte e violenza hanno potuto distruggere, e c’è tempo per immaginare la vita senza lui, per fermarsi davanti a una pigra luna e chiederle come stanno loro, se può abbracciare tutti al suo posto, se prima o poi la pace giungerà veramente. Sono due lati della stessa medaglia: il solare e quello più esitante, l’uomo che di giorno fa esplodere la voce in discorsi animati o davanti alle immagini della sua adorata famiglia, l’anima che sul far della sera soffre ancora un poco; e certe fratture e ferite, quelle solo il tempo le può lenire.
Chi conosce la sua storia comprende anche quel lato e tenta ogni cosa per non lasciarlo affrontare tutto da solo: ascolta ogni sua parola e resta sveglio l’intera notte con lui, perché ciò che non si è ancora detto al mondo è tanto e lo si può fare solo a piccoli passi.
A volte le vicende si assomigliano, sono così unite che ciò che si è perduto si confonde e diventa un’unica, grande assenza: non solo la felicità riesce a vivere lassù, così accade che le sensazioni siano simili a un nemico fumoso e dalle lente azioni, ma capace di colpire nel cuore e non morire.
Poi c’è anche chi, alla fine, la serenità l’ha davvero trovata: ed è di questi che l’uomo cerca le parole con maggiore avidità.
«Sapete, caro signor Hughes, a volte dovreste fissare il vostro sguardo sul mare; lui sì che potrebbe aiutarvi davvero.»
Il tempo di quella conversazione e il volto di chi l’ha espressa si confondono spesso, quando ci ripensa; ma non la dolcezza del tono e la grande forza di parole pronte a donarsi agli altri, senza paura.
Anche io una volta ho ascoltato, aiutato e sorretto un amico; ma quei giorni sembrano ancora più distanti, ora.
«Il mare… perché?»
«Ha molto da insegnarvi, credo. Spesso la vita è dura, spietata e vorace: si prende tutto e non lascia che vuoto, giunge all’improvviso per bruciarti i progetti e portarti via, ti spinge a correre sulla strada dei desideri per poi infrangerla ai tuoi piedi; i militari come noi provano tutto questo sulla propria pelle, così che piangere, perdere e non poter più dimenticare sono tra le prime cose che ognuno impara.
A volte, però, la vita stessa si pente di ciò che ha fatto: osserva il mare, lo ascolta e impara dalla sua voce incessante.
Che cosa fa il mare? Oltre a donare e permettere l’esistenza, anche le sue onde possono strappare, rapire e uccidere; e tuttavia, con i suoi tempi e modi, tutto ciò che ha tolto lo restituisce. Così, a volte accade che anche la vita ci ridia quello che ci ha portato via; e possiamo amare un’altra persona, trovare una nuova famiglia, recuperare la speranza.
Si può dire molto sulla “grazia del mare”, come mi piace definire questa verità; credo in lei anche se non l’ho ancora provata, e allo stesso tempo sono sicuro che chi ne venga abbracciato non possa negarlo in nessun modo: avvolge ogni aspetto della persona, non può essere nascosta.»
Qualcosa di così particolare e desiderabile non può appartenere a tutti, forse non lo riguarderà mai personalmente; ma simili grazie toccano comunque il mondo e le può scorgere in ogni fiore che prende il posto del nulla, in un ciclo infinito che ha in sé tutte le tracce di un perdono.
Chi lo sa, in fondo… forse qualcosa lo sta davvero attendendo, con la sua stessa smania; magari neanche troppo lontano dai suoi occhi.



Certe risposte giungono senza un vero preavviso: all’abitudine si sostituisce l’inconsueto e alle convinzioni la novità, tutto muta nel volgere di un istante, minuto oppure ora.
Le cinque di quel particolare mattino non sono diverse da quelle dei giorni precedenti, eppure basta che i piedi di Hughes lo portino a passeggiare, assorto nella contemplazione dell’aurora, in una zona del Paradiso prima mai raggiunta; basta questo perché Alexander venga svegliato dal fruscio dei passi tra i fiori e sollevi il capo, per poi scodinzolare alla vista del nuovo arrivato e corrergli immediatamente incontro — basta questo perché Nina apra gli occhi e, invece che richiamare l’amico, si blocchi davanti allo sguardo smeraldino che osserva con sorpresa l’affettuoso cagnolino tentare una sorta di abbraccio.
«Hey, hey, calma! Devi essere un gran coccolone, tu», mormora l’uomo mentre accarezza il pelo candido dell’animale e rischia di perdere l’equilibrio sotto il suo impeto giocoso; e a quel punto la bimba raggiunge entrambi e si stringe al collo del compagno, mostrando poi il suo migliore sorriso. «Lo scusi, signore, ad Alexander piace tanto giocare e non si ferma davanti a nessuno», esclama con una punta di preoccupazione — fantasma che Hughes elimina con una risata sincera.
«Non mi ha disturbato, affatto!», replica questi mentre osserva meglio la piccola; ed è in quel momento che il sole si fa più forte e splende loro in fronte, così che Nina è costretta a stirare appena la bocca in una smorfia… ed è così che il mondo si ferma, anche se solo per un istante, e Hughes vede in lei un volto diverso.
Elicia… bambina mia.
«Tutto bene, signore? È diventato pallido, qualcosa non va?» La premura porta la bimba a spalancare gli occhi e ad afferrare una mano dell’altro, per fermare un tremito improvviso; e anche se lui si riprende subito — ha il suo stesso sorriso, e occhi così simili… —, non accenna a lasciare la presa.
«È tutto a posto, piccolina, sto bene», le mormora poi l’uomo; lei esita come a voler aggiungere qualcosa, per poi annuire lentamente. Sotto la pelle sente scorrere malinconia e bisogno di tempo; percepisce tante cose e come tutte le volte comprende, quindi il suo volto si illumina di nuovo. «Se vuole può giocare con me e Alexander! Ha già la nostra simpatia», mormora con tutta la sua allegra gentilezza: non c’è luce più forte di quella che espande intorno. «Non… non vuole?», riprende dopo poco, ora dispiaciuta dall’ininterrotto silenzio dell’altro; e allora questi sospira per un attimo, il tempo di un pensiero. «Scusami, non… ecco, per qualche secondo mi hai ricordato qualcuno di importante», mormora, «importante e troppo lontano.» Le dita stringono più forte le fotografie ben protette e le estraggono dalla tasca; la bimba si alza sulla punta dei piedi per guardarle, ormai presa dalla curiosità per badare ad altro, così che passano solo rapidi istanti e una semplice domanda… e il mattino non tarda a illuminare le loro figure, quella di uno intento a raccontare animatamente e l’altra ad ascoltare con attenta ammirazione; il primo più vicino a casa, la seconda che quella semplice parola, casa, la vive per la prima volta.
E scorre il mezzogiorno, giungono il pomeriggio e il tramonto: sotto le luci della prima sera le parole non accennano a fermarsi e si continua a ricordare, a immaginare e chiedere, a capire.
Signor Hughes, lei deve avere un cuore davvero grande.




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Negli infiniti giorni che seguono, Nina non esita a cercare tra prati e persone quegli occhi buoni e chiedere loro una nuova storia, di parlarle di nuovo di Elicia — «Di certo saremmo state amiche!» — e di Glacier — «Ha un sorriso molto dolce, come quello della mamma…» —, di amicizie lunghe più di un’esistenza; e mentre intreccia corone di margherite per Alexander o sfiora quelle immagini, la sua mente rincorre la voce di Hughes e la propria memoria, tentando di farle coincidere. A volte l’affetto che popola i ricordi dell’uomo lo trova anche nei suoi; in altre occasioni è invece costretta a fermarsi, il cuore divenuto improvvisamente pesante.
Quelle sensazioni non sono più qualcosa che il Paradiso può solo evocare: sono ancorate nel prima, in ciò che la mente ha celato e lasciato irrisolto, e nella lieve tristezza che si palesa davanti alla gentilezza del narratore.
È strano il modo in cui guarda all’uomo, pari a quello di chi trova qualcosa che ha sempre cercato e mai avuto, e che oltre a essere felice si chiede: “Perché non sei giunto prima? Perché solo adesso… ora che molte cose non possono più cambiare?”
Spesso le parole di Hughes la portano davvero lontano, a vivere una nuova vita piena di calore e di presenza, e di quello che lui è così bravo a donare: amore. Amore… fortunato chi lo dà, ma ancor di più chi lo riceve con forza dopo aver vissuto di soli fantasmi; fortunato chi riesce a trattenerlo e viverlo ancora, nonostante il dolore.
«Ancora una storia, per favore!»
L’uomo non esita mai davanti a quelle richieste, l’accontenta con gioia; eppure nulla sfugge ai suoi occhi, la curiosità con cui lei beve ogni frase e anche quella piccola traccia scura che a volte le attraversa il volto, ciò che ferisce un po’ anche il suo. Conosce la storia della bambina, perché sia lì e come ci sia giunta, quali ombre incombano sul suo piccolo capo; e per questo si chiede come riesca a sorridere nonostante tutto, a non avere paura del mondo e continuare a fidarsi di chi la circonda.
«Non ha ricordi della morte, una mano pietosa sembra averli cancellati», gli sussurra un giorno la madre della piccola, in un mattino in cui quest’ultima è troppo distante per sentirli e il vento aiuta a coprire il mormorio della rivelazione, «… eppure, in qualche modo, suo padre continua a mancarle: lo vedo da come ti guarda quando parli di tua figlia, di come osserva gli altri padri che sono qui. E credo che non possa che essere così: Nina è troppo piccola per odiare e comprendere davvero quello che le è successo, e a portare il peso di certe verità bastiamo noi adulti. Era così innocente, la mia bambina… voleva tanto bene a quel mostro, e lui l’ha ripagata in questo modo.»
Certe domande rimarranno per sempre senza risposta: totale distanza e incomprensione non ci permettono nemmeno di immaginarle, anche se rabbia e dolore nascono da sé come fiori spontanei; così che non sono unicamente le somiglianze tra Nina ed Elicia a spingere Hughes a giocare a lungo con lei e
farla ridere il più possibile, ma un impeto che si potrebbe definire
solo paterno, protettivo e disinteressato, che sorge per riparare a un torto una colpa altrui, ma dalla quale non si può rimanere lontani.
N
o, l’uomo non può evitare di ascoltare quel pianto silenzioso: l’incubo di ogni cuore che ama, che sente e soffre con gli altri, che non accetta il già dato e non si arrende facilmente. Non c’è bisogno di grandi azioni, ma di presenza costante: di sicurezza, calore e ascolto, di una mano che stringe un’altra nel buio e conduce fuori da esso, di un abbraccio rassicurante.
C
hi potrebbe riuscirci meglio del cuore di un vero genitore?
Il male è lontano, piccola; il male non esiste più.
Nina ha tanta paura della solitudine; spinto da ciò e contro ciò, lui inizia a combattere quella paura durante il giorno come nella notte, e quello che ha già fatto una volta, in un altro mondo, lo compie qui: diventa un riferimento, una stella ferma a illuminare il cammino e aiutare gli smarriti.
Anche se solamente nell’inconscio, lei prova ancora il terrore di perdere tutto; lui tenta ogni cosa pur di regalarle una memoria fatta di sole e speranza, custodendo la visione del viso sempre più libero da angoscia, di ogni parola meno oscura e finalmente libera di essere.
Lo scorrere dei giorni, la delicatezza e la perseveranza non ostacolano il percorso, ed è così la grazia del mare si svela, senza implorarla e all’improvviso: creduta irraggiungibile, è in realtà talmente vicina da smuovere l’animo, poiché parte dell’animo stesso; la grazia del mare — ritrovare il proprio posto e comprendere come ognuno possa essere il nuovo inizio di un altro, come una mano tesa non rimanga mai vuota né ignorata — ha i propri tempi per mostrarsi, ma non dimentica nessuno.
Basta solo un pomeriggio e un istante, il tempo di scoprire Nina pacificamente addormentata sotto la propria giacca, per comprendere quanto nulla sia stato perduto e tutto sia destinato a venir salvato; e nient’altro deve essere più aggiunto.
«Sorridi, piccola Nina», sussurra allora, prima di sdraiarsi a sua volta sul morbido prato e fissare il cielo viola. Gli incubi sono lontani da lì, le ombre in fuga: nessun fantasma a languire nell’inquietudine, la loro pace prossima e compassionevole. «Sorridi sempre e non temere nulla, perché sono giorni di luce quelli che ci attendono.»
Non avrei mai creduto di diventare l’angelo custode di un altro angelo… ma il nostro cuore è così, capace di meraviglie e infinito; forte come il mare, e la sua grazia.








NOTICINA FINALE ♥


Il titolo è ripreso dal ritornello di “Guardian” di Alanis Morisette, fonte d’ispirazione per la storia.

   
 
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