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Autore: La_Sakura    26/06/2018    5 recensioni
Diciassette anni e una città nuova: una sfida per crescere e maturare, ma soprattutto per fare chiarezza con i propri sentimenti. Queste le premesse all'arrivo di Sakura nella ville Lumière. Ma il detto "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" si rivelerà corretto? D'altronde il suo cuore è già impegnato... oppure la confusione nella sua testa aumenterà, fino a farle dubitare persino dei suoi sentimenti?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luis Napoleon, Nuovo personaggio, Pierre Le Blanc
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sakura no sora - my personal universe'
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Direi che sia la quarta volta (o la quinta?) che osservo il mio abbigliamento, rimpiangendo la divisa del liceo Nankatsu, che non era di certo il massimo in quanto a stile, però mi evitava il problema del “CosaMiMetto?”.

Inspiro e busso lievemente alla porta del preside: attendo qualche secondo stringendo la tracolla della mia borsa Made in Brazil, regalo di Tsubasa e Roberto, quindi timidamente apro la porta.

L’ufficio è completamente al buio, così lo richiudo e mi ci appoggio: sono veramente imbarazzata, forse avrei dovuto chiedere a Louis di accompagnarmi… sbuffò alzando lo sguardo e osservando il lungo corridoio in cui mi trovo, la scuola è fatta a ferro di cavallo su tre piani, non dovrei perdermi, così estraggo dalla mia borsa l’orario delle lezioni e cerco di orientarmi per raggiungere l’aula.

«Mademoiselle Ozora?»

«Oui

Un tizio allampanato, con la faccia spigolosa, mi sorride e mi allunga la mano, che mi affretto a stringere per cercare di non risultare fuori luogo con le usanze occidentali.

«Sono Monsieur Guy Mercier, il preside dell’istituto. Vieni, ti accompagno in classe.» mi dà del tu?

Si affretta a percorrere il corridoio nella direzione opposta a quella da cui sono arrivata, quindi raggiunta la hall sale le scale aggredendo letteralmente i gradini a due a due, tanto che faccio quasi fatica a stargli dietro.

«La nostra scuola vanta pochi studenti del Liceo Nankatsu, so che il professor Yamamoto manda solo i migliori, quindi dovrai sentirti molto onorata di essere qui.» Sì, mi dà del tu…

«In effetti lo sono, Monsieur. È un’opportunità molto importante per me.»

«Très bien, Mademoiselle Ozora.» annuisce, quindi bussa alla porta e senza attendere l’invito a entrare la spalanca. Sento il rumore di numerose sedie che si spostano e un coro che lo saluta in maniera formale.

Inizio a mordicchiarmi le unghie mentre lo sento parlare di scambi interculturali, esperienze di vita, e sussulto quando nomina il Giappone e Nankatsu (come se i miei futuri compagni di classe potessero davvero collocare geograficamente la mia città…).

«Avanti, Mademoiselle Ozora, venga a conoscere la sua nuova classe.»

Ennesimo respiro profondo, stringo la tracolla verdeoro, accarezzo il pallone da calcio gommoso che Daichi ha voluto attaccare alla zip e compio il primo passo verso il mio futuro.

Raggiungo il preside accanto al professore di matematica (le scritte sulla lavagna sono inconfondibili) e solo allora mi volto verso La Classe. Già. Maiuscola. Ansia.

Sorrido mentre mi presento, cercando di sembrare il più serena possibile e, soprattutto, di commettere il minor numero di errori grammaticali.

«Buongiorno a tutti, mi chiamo Sakura Ozora, e vengo da Nankatsu, della Prefettura di Shizuoka, Giappone.»

Mi trattengo dal compiere un mezzo inchino come si dovrebbe fare, e rimango impalata a fissare 22 paia di occhi che mi scrutano con diffidenza.

Il professore di matematica si avvicina a me e mi posa una mano sulla spalla.

«Benvenuta, Sakura, puoi accomodarti là, accanto a Yves. – mi indica un ragazzo biondiccio con il volto ricoperto da acne – E voi date il buon esempio, trattatela bene e non escludetela dai vostri gruppetti.»

Alcune ragazze sghignazzano divertite, mai come in quel momento mi sento a disagio, ma il ragazzo accanto a cui mi ha fatto sedere il professore sembra alla mano, e subito si presenta.

«Mi chiamo Yves, piacere di conoscerti, Samara

«Sakura… – lo correggo, quasi ridendo – Come i fiori di ciliegio giapponese, li conosci?»

Lui scuote la testa, e mentre lo fa gli cade lo sguardo sulla mia tracolla.

«Bella! Dove l’hai presa?»

«Me l’ha regalata mio fratello, deve averla comprata in un negozio a San Paolo.»

«San Paolo… in Brasile?»

Annuisco sorridendo orgogliosamente, poi gli mostro la pallina che mi ha regalato Daichi.

«Questa invece me l’ha regalata il mio fratellino più piccolo, ha tre anni.»

«Uh, c’è differenza d’età con i tuoi fratelli.»

«Non tanta, Tsubasa ha solo un anno più di me.»

Lo vedo riflettere un attimo, ti prego, fa che non mi dica di conoscerlo… niente calcio, almeno per quest’anno!

«E che ci fa in Brasile?»

Ringrazio mentalmente la mia buona stella, e sorridendo mi accomodo meglio aprendo il quaderno a molle e scrivendo sul cartoncino divisorio il nome della materia.

«Si è trasferito là a 15 anni per diventare un calciatore professionista. Adesso gioca come titolare nel São Paulo F.C. e sta facendo un ottimo lavoro.»

«Non è la squadra allenata da Hongo, l’ex calciatore costretto al ritiro causa distacco della retina?»

Mi volto a sinistra, e da sotto il banco vedo sbucare una testa mora, che quando si alza del tutto mi mostra un volto pulito su cui spiccano due occhi chiarissimi.

«Sì, proprio quella squadra.»

«Allora ho capito chi è tuo fratello.» ed estrae un giornale sportivo, posandolo sul banco e mettendoci subito sopra il libro di matematica per non farsi beccare dal prof.

«Satura, lui è Jacques, il nostro tuttologo del calcio.»

Gli stringo la mano – il calcio farà parte della mia vita anche qui – per poi voltarmi verso Yves e correggere il mio nome.

«Sakura…» sussurro. Lui si batte il palmo della mano sulla fronte e lo ripete a bassa voce un paio di volte, come ad imprimerselo in fronte. Divertita, mi volto verso la lavagna e cerco di concentrarmi sulla lezione.

 

Entro in casa quasi trascinandomi e mi trattengo a stento dall’urlare un “Tadaima!” che Florence sicuramente non comprenderebbe. Mi limito ad appendere la giacca all’attaccapanni e raggiungerla in cucina, dove sta preparando la cena.

«Buonasera.» le dico, sorridendole quando si gira a osservarmi.

«Buonasera a te, grenouille. Com’è andato il primo giorno di scuola? Impegnativo?»

Annuisco sedendomi a tavola e, posandovi i gomiti, mi prendo il mento fra le mani.

«Ho la testa che scoppia…»

«Povera, immagino che sia stancante… ma vedrai che è solo questione di tempo e ci farai l’abitudine. Adesso vai di là a farti un bagno rilassante, e quando avrai finito, ceneremo insieme.»

«Jean non torna?»

«Ha chiamato che farà tardi e non vuole che lo aspettiamo a stomaco vuoto.»

«Allora ti aiuto qui.»

Mi avvicino a lei e osservo ciò che sta facendo.

«È una torta salata. – mi spiega, notando il mio interesse – Pasta sfoglia ripiena di verdure. Ora la metto in forno così tra una quarantina di minuti è pronta. Sicura di non volerti riposare?»

Alzo automaticamente la testa verso l’orologio d’acciaio che troneggia in cucina: le lancette indicano le 18:05, calcolando il fuso orario in Giappone sono le due di notte, mentre in Brasile, se non vado errata, sono le 13, ora di pranzo. Tsubasa potrebbe essere a casa.

«Vorrei poter usare il telefono, se non ti dispiace.»

«Ma certo! La scheda internazionale è proprio lì accanto. Ti ricordi come si usa?»

Annuisco e mi dirigo velocemente verso l’apparecchio: mi accomodo in poltrona e prendo il cordless, quindi compongo il numero della tessera internazionale e infine il numero di mio fratello.

Suona quattro volte prima che qualcuno risponda.

«Olá?»

«Ciao Roberto, sono Sakura. C’è Tsubasa?»

«Ciao, ma che sorpresa! Ma certo, te lo passo subito!»

«Sacchan!»

«Tsu–chan, ciao. Come stai?»

«Io bene, stiamo per andare a pranzo… e tu? Come stai?Com’è andato il primo giorno di scuola?» lo sento sorridere mentre me lo chiede.

«Sono stanchissima, ho il fumo che mi esce dalle orecchie… ma tu come hai fatto ad ambientarti a scuola?»

«I primi mesi sono stati tremendi, lo sai…  ma pian piano ci farai l’abitudine, anche perché sei obbligata a parlare francese dalla mattina alla sera! – ridacchia, prendendomi in giro – Hai già degli amici?» mi chiede poi, diventando serio.

«A parte Napoléon?» lo stuzzico, sapendo che quel ragazzo non lo convince del tutto. Lo sento sbuffare per evitare di rispondere.

«I miei vicini di banco sono simpatici, uno è fissato col calcio e ha sentito parlare di te, mentre l’altro non ha la più pallida idea di cosa sia… e non riesce a pronunciare il mio nome… – sospiro sconsolata – Oggi mi ha chiamato Samara, Satura, Sodoma… ehi, non ridere! Non è carino prendere in giro la tua sorellina!» ma le mie labbra si piegano all’insù, è impossibile non essere contagiati dal proverbiale buonumore di Tsubasa.

«Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Ora scusami ma devo scappare, ti prometto che ti chiamo con più calma e chiacchieriamo! Ciao Sacchan!»

«Ricordati che sono cinque ore avanti!» ma ormai ha riagganciato. Scuoto la testa e torno da Florence con il sorriso stampato sulle labbra.

«Ah, chiamare il tuo petit–ami ti rende così felice, n’est–ce pas

«Petit–ami?» ripeto, non sicura di aver capito.

«Sì, insomma… il ragazzo che porti nel cuore.»

Quando capisco cosa sta cercando di dirmi, arrossisco vistosamente e agito le mani davanti a me.

«No, no, nessun petit–ami! – esclamo, visibilmente in imbarazzo – È mio fratello che mi fa questo effetto!»

«Uh, allora scusami per aver pensato a un fidanzato. Il fatto è che quando parli di casa tua è come se i tuoi occhi si riempissero di malinconia…»

Mélancolie... mi segno mentalmente questa parola perché penso che possa tornarmi utile. Cerco di sorriderle, e vorrei anche spiegarle cosa provo ma non è semplice, così mi limito ad assentire col capo.

«Mélancolie…» ripeto.

 

La vedo asciugarsi le mani nel grembiule, poi si avvicina a me e mi prende la testa tra le mani per poi depositarmi un bacio sulla nuca, un gesto che mi ricorda così tanto mia madre da farmi riempire gli occhi di lacrime. Le scaccio via deglutendo rumorosamente e la ringrazio mentalmente, mentre Florence torna a occuparsi della cena. 

Direi che sia la quarta volta (o la quinta?) che osservo il mio abbigliamento, rimpiangendo la divisa del liceo Nankatsu, che non era di certo il massimo in quanto a stile, però mi evitava il problema del “CosaMiMetto?”.

Inspiro e busso lievemente alla porta del preside: attendo qualche secondo stringendo la tracolla della mia borsa Made in Brazil, regalo di Tsubasa e Roberto, quindi timidamente apro la porta.

L’ufficio è completamente al buio, così lo richiudo e mi ci appoggio: sono veramente imbarazzata, forse avrei dovuto chiedere a Louis di accompagnarmi… sbuffò alzando lo sguardo e osservando il lungo corridoio in cui mi trovo, la scuola è fatta a ferro di cavallo su tre piani, non dovrei perdermi, così estraggo dalla mia borsa l’orario delle lezioni e cerco di orientarmi per raggiungere l’aula.

«Mademoiselle Ozora?»

«Oui

Un tizio allampanato, con la faccia spigolosa, mi sorride e mi allunga la mano, che mi affretto a stringere per cercare di non risultare fuori luogo con le usanze occidentali.

«Sono Monsieur Guy Mercier, il preside dell’istituto. Vieni, ti accompagno in classe.» mi dà del tu?

Si affretta a percorrere il corridoio nella direzione opposta a quella da cui sono arrivata, quindi raggiunta la hall sale le scale aggredendo letteralmente i gradini a due a due, tanto che faccio quasi fatica a stargli dietro.

«La nostra scuola vanta pochi studenti del Liceo Nankatsu, so che il professor Yamamoto manda solo i migliori, quindi dovrai sentirti molto onorata di essere qui.» Sì, mi dà del tu…

«In effetti lo sono, Monsieur. È un’opportunità molto importante per me.»

«Très bien, Mademoiselle Ozora.» annuisce, quindi bussa alla porta e senza attendere l’invito a entrare la spalanca. Sento il rumore di numerose sedie che si spostano e un coro che lo saluta in maniera formale.

Inizio a mordicchiarmi le unghie mentre lo sento parlare di scambi interculturali, esperienze di vita, e sussulto quando nomina il Giappone e Nankatsu (come se i miei futuri compagni di classe potessero davvero collocare geograficamente la mia città…).

«Avanti, Mademoiselle Ozora, venga a conoscere la sua nuova classe.»

Ennesimo respiro profondo, stringo la tracolla verdeoro, accarezzo il pallone da calcio gommoso che Daichi ha voluto attaccare alla zip e compio il primo passo verso il mio futuro.

Raggiungo il preside accanto al professore di matematica (le scritte sulla lavagna sono inconfondibili) e solo allora mi volto verso La Classe. Già. Maiuscola. Ansia.

Sorrido mentre mi presento, cercando di sembrare il più serena possibile e, soprattutto, di commettere il minor numero di errori grammaticali.

«Buongiorno a tutti, mi chiamo Sakura Ozora, e vengo da Nankatsu, della Prefettura di Shizuoka, Giappone.»

Mi trattengo dal compiere un mezzo inchino come si dovrebbe fare, e rimango impalata a fissare 22 paia di occhi che mi scrutano con diffidenza.

Il professore di matematica si avvicina a me e mi posa una mano sulla spalla.

«Benvenuta, Sakura, puoi accomodarti là, accanto a Yves. – mi indica un ragazzo biondiccio con il volto ricoperto da acne – E voi date il buon esempio, trattatela bene e non escludetela dai vostri gruppetti.»

Alcune ragazze sghignazzano divertite, mai come in quel momento mi sento a disagio, ma il ragazzo accanto a cui mi ha fatto sedere il professore sembra alla mano, e subito si presenta.

«Mi chiamo Yves, piacere di conoscerti, Samara

«Sakura… – lo correggo, quasi ridendo – Come i fiori di ciliegio giapponese, li conosci?»

Lui scuote la testa, e mentre lo fa gli cade lo sguardo sulla mia tracolla.

«Bella! Dove l’hai presa?»

«Me l’ha regalata mio fratello, deve averla comprata in un negozio a San Paolo.»

«San Paolo… in Brasile?»

Annuisco sorridendo orgogliosamente, poi gli mostro la pallina che mi ha regalato Daichi.

«Questa invece me l’ha regalata il mio fratellino più piccolo, ha tre anni.»

«Uh, c’è differenza d’età con i tuoi fratelli.»

«Non tanta, Tsubasa ha solo un anno più di me.»

Lo vedo riflettere un attimo, ti prego, fa che non mi dica di conoscerlo… niente calcio, almeno per quest’anno!

«E che ci fa in Brasile?»

Ringrazio mentalmente la mia buona stella, e sorridendo mi accomodo meglio aprendo il quaderno a molle e scrivendo sul cartoncino divisorio il nome della materia.

«Si è trasferito là a 15 anni per diventare un calciatore professionista. Adesso gioca come titolare nel São Paulo F.C. e sta facendo un ottimo lavoro.»

«Non è la squadra allenata da Hongo, l’ex calciatore costretto al ritiro causa distacco della retina?»

Mi volto a sinistra, e da sotto il banco vedo sbucare una testa mora, che quando si alza del tutto mi mostra un volto pulito su cui spiccano due occhi chiarissimi.

«Sì, proprio quella squadra.»

«Allora ho capito chi è tuo fratello.» ed estrae un giornale sportivo, posandolo sul banco e mettendoci subito sopra il libro di matematica per non farsi beccare dal prof.

«Satura, lui è Jacques, il nostro tuttologo del calcio.»

Gli stringo la mano – il calcio farà parte della mia vita anche qui – per poi voltarmi verso Yves e correggere il mio nome.

«Sakura…» sussurro. Lui si batte il palmo della mano sulla fronte e lo ripete a bassa voce un paio di volte, come ad imprimerselo in fronte. Divertita, mi volto verso la lavagna e cerco di concentrarmi sulla lezione.

 

Entro in casa quasi trascinandomi e mi trattengo a stento dall’urlare un “Tadaima!” che Florence sicuramente non comprenderebbe. Mi limito ad appendere la giacca all’attaccapanni e raggiungerla in cucina, dove sta preparando la cena.

«Buonasera.» le dico, sorridendole quando si gira a osservarmi.

«Buonasera a te, grenouille. Com’è andato il primo giorno di scuola? Impegnativo?»

Annuisco sedendomi a tavola e, posandovi i gomiti, mi prendo il mento fra le mani.

«Ho la testa che scoppia…»

«Povera, immagino che sia stancante… ma vedrai che è solo questione di tempo e ci farai l’abitudine. Adesso vai di là a farti un bagno rilassante, e quando avrai finito, ceneremo insieme.»

«Jean non torna?»

«Ha chiamato che farà tardi e non vuole che lo aspettiamo a stomaco vuoto.»

«Allora ti aiuto qui.»

Mi avvicino a lei e osservo ciò che sta facendo.

«È una torta salata. – mi spiega, notando il mio interesse – Pasta sfoglia ripiena di verdure. Ora la metto in forno così tra una quarantina di minuti è pronta. Sicura di non volerti riposare?»

Alzo automaticamente la testa verso l’orologio d’acciaio che troneggia in cucina: le lancette indicano le 18:05, calcolando il fuso orario in Giappone sono le due di notte, mentre in Brasile, se non vado errata, sono le 13, ora di pranzo. Tsubasa potrebbe essere a casa.

«Vorrei poter usare il telefono, se non ti dispiace.»

«Ma certo! La scheda internazionale è proprio lì accanto. Ti ricordi come si usa?»

Annuisco e mi dirigo velocemente verso l’apparecchio: mi accomodo in poltrona e prendo il cordless, quindi compongo il numero della tessera internazionale e infine il numero di mio fratello.

Suona quattro volte prima che qualcuno risponda.

«Olá?»

«Ciao Roberto, sono Sakura. C’è Tsubasa?»

«Ciao, ma che sorpresa! Ma certo, te lo passo subito!»

«Sacchan!»

«Tsu–chan, ciao. Come stai?»

«Io bene, stiamo per andare a pranzo… e tu? Come stai?Com’è andato il primo giorno di scuola?» lo sento sorridere mentre me lo chiede.

«Sono stanchissima, ho il fumo che mi esce dalle orecchie… ma tu come hai fatto ad ambientarti a scuola?»

«I primi mesi sono stati tremendi, lo sai…  ma pian piano ci farai l’abitudine, anche perché sei obbligata a parlare francese dalla mattina alla sera! – ridacchia, prendendomi in giro – Hai già degli amici?» mi chiede poi, diventando serio.

«A parte Napoléon?» lo stuzzico, sapendo che quel ragazzo non lo convince del tutto. Lo sento sbuffare per evitare di rispondere.

«I miei vicini di banco sono simpatici, uno è fissato col calcio e ha sentito parlare di te, mentre l’altro non ha la più pallida idea di cosa sia… e non riesce a pronunciare il mio nome… – sospiro sconsolata – Oggi mi ha chiamato Samara, Satura, Sodoma… ehi, non ridere! Non è carino prendere in giro la tua sorellina!» ma le mie labbra si piegano all’insù, è impossibile non essere contagiati dal proverbiale buonumore di Tsubasa.

«Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Ora scusami ma devo scappare, ti prometto che ti chiamo con più calma e chiacchieriamo! Ciao Sacchan!»

«Ricordati che sono cinque ore avanti!» ma ormai ha riagganciato. Scuoto la testa e torno da Florence con il sorriso stampato sulle labbra.

«Ah, chiamare il tuo petit–ami ti rende così felice, n’est–ce pas

«Petit–ami?» ripeto, non sicura di aver capito.

«Sì, insomma… il ragazzo che porti nel cuore.»

Quando capisco cosa sta cercando di dirmi, arrossisco vistosamente e agito le mani davanti a me.

«No, no, nessun petit–ami! – esclamo, visibilmente in imbarazzo – È mio fratello che mi fa questo effetto!»

«Uh, allora scusami per aver pensato a un fidanzato. Il fatto è che quando parli di casa tua è come se i tuoi occhi si riempissero di malinconia…»

Mélancolie... mi segno mentalmente questa parola perché penso che possa tornarmi utile. Cerco di sorriderle, e vorrei anche spiegarle cosa provo ma non è semplice, così mi limito ad assentire col capo.

«Mélancolie…» ripeto.

La vedo asciugarsi le mani nel grembiule, poi si avvicina a me e mi prende la testa tra le mani per poi depositarmi un bacio sulla nuca, un gesto che mi ricorda così tanto mia madre da farmi riempire gli occhi di lacrime. Le scaccio via deglutendo rumorosamente e la ringrazio mentalmente, mentre Florence torna a occuparsi della cena.



* Molto bene, signorina Ozora



Ciao a tutti, e bentornati. 
Sono davvero emozionato all'idea di pubblicare questa storia: giaceva nel cassetto da anni, e adesso finalmente vede la luce. Vi avviso già, è praticamente completa, sto mettendo a punto gli ultimi dettagli ma la storia c'è! Quindi niente ritardi, niente mancati aggiornamenti, niente di tutto ciò.
La mia piccola Sacchan la conoscete già, quindi... ci vediamo lungo il percorso, avremo di che parlare!
Enjoy
Sakura chan
   
 
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