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Autore: Violet_Pendragon    27/06/2018    0 recensioni
Il destino è qualcosa di strabiliante.
Ti porta a percorrere strade che non avresti mai percorso, ti porta a prendere decisioni che non avresti mai voluto prendere eppure ora sei lì, su quella strada che avresti tanto voluto evitare insieme alla persona che hai imparato ad amare grazie alle decisioni che non avresti mai avuto il coraggio di prendere.
Dal testo:
"Aveva meno di un’ora per farsi trovare fuori di casa con valigie e passaporto in mano e se non si fosse sbrigata di certo non avrebbe mai raggiunto l’aeroporto, eppure sperava proprio che non accadesse, sperava che a causa di qualche imprevisto l’indomani si sarebbe svegliata nuovamente nella sua stanza non a 8.967 km da casa.
Eppure era diretta verso casa."
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[introduzione momentanea/da modificare]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Nuovo personaggio, Park Jimin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                Capitolo 1                               

 

“Ci sono storie d’amore che sono solo storie.

Ci sono storie d’amore che mai saranno storie.

Ci sono storie d’amore che vivono nella loro pienezza senza mai concretizzarsi.

Ci sono storie d’amore che non si vogliono, ma accadono.

Ci sono storie d’amore che ingenuamente non badano al tempo, alla distanza o ad un altro cuore.

Ci son storie d’amore che mai vedranno l’agognata ultima riga delle favole: 

E vissero per sempre felici e contenti.

Ci sono storie d’amore fatte di speranze e mai d’abbracci. 

Sono gli amori impossibili, plasmati su sogni che non si realizzeranno.”

 

La fievole luce del sole illuminò la piccola finestra coperta di rampicanti dalla quale una giovane osservava la città prender vita minuto dopo minuto. 

Dal quinto piano, non che ultimo piano del palazzo nel quale abitata, si riuscivano già a vedere le prime persone uscire di casa dirette verso chissà quale luogo. A inizio novembre Roma era invasa dal un freddo pungente, le foglie avevano abbandonato gli alberi da settimane ormai e il cielo era di un perenne colore grigiastro. 

Erano quasi le sette e Melissa si vide costretta ad iniziarsi a preparare per quella che si sarebbe stata una giornata difficile da dimenticare.

I suoi piedi nudi toccarono il freddo pavimento facendole passare un brivido lungo tutto il corpo, imprecò più e più volte non trovando le ciabatte arrendendosi all’idea di dover arrivare in bagno scalza. Il breve tragitto che separava la sua stanza dal bagno era invaso quasi interamente da vestiti e vari documenti e, a causa di ciò rischiò di cadere più e più volte. 

Aveva meno di un’ora per farsi trovare fuori di casa con valigie e passaporto in mano e se non si fosse sbrigata di certo non avrebbe mai raggiunto l’aeroporto, eppure sperava proprio che non accadesse, sperava che a causa di qualche imprevisto l’indomani si sarebbe svegliata nuovamente nella sua stanza non a 8.967 km da casa. 

Eppure era diretta verso casa.

Tutto era iniziato due giorni prima per colpa di una bozza di troppo.

Quella mattina si era alzata alle sei come di norma faceva tutte le mattine per arrivare in perfetto orario a lavoro. Aveva passato quasi tutta la notte al computer nella speranza di finire un progetto in tempo fallendo miseramente. Verso le quattro del mattino si era trascinata a stento nel letto per poi svegliarsi meno di tre dopo.

Stropicciò gli occhi e si mise a sedere sul letto contemplando la stanza: il muro era quasi del tutto ricoperto da foto incorniciate e vari disegni, alcuni finiti altri incompleti. Dopo quasi venti minuti decisi che era arrivato il momento di alzarsi. La sua casa era piccola, minuscola, eppure confortevole, era composta da tre stanze, un bagno, una cucina e la sua stanza, ma la cosa che amava di quella casa era la spettacolare vista su Roma che si poteva ammirare dalle due enormi finestre presenti nella sua stanza. Si diresse in cucina e mise a bollire un pentolino d’acqua poi torno in camera per spalancare le finestre. Era novembre e l’aria era pungente, ma a lei piaceva, la faceva sentire libera e pulita. Tutte le mattine, infatti, spalancava le finestre e le chiudeva solo quando rientrava per andare al lavoro o all’università. 

Si preparò il solito the che le proponeva la dieta per colazione per poi soffermarsi davanti allo specchio: era bassa, tremendamente bassa, gli occhi verdi che da piccola la rendevano adorabile, ora erano taglienti e penetranti, i capelli erano totalmente in disordine e rovinati, ma mantenevano il loro colore ramato che le conferiva un’area quasi nordica. Non aveva un bel fisico e lo ammetteva, con la presenza di quei cinque chili in più di cui non riusciva a sbarazzarsi anche dopo diete e palestra. Guardò l’orologio mentre beveva a forza il the verde senza zucchero, erano appena le sei e mezzo. 

Da quasi un’anno la giovane diciannovenne si era abituata a svegliarsi così presto per aver tutto il tempo per svegliarsi, preparasi con tutta la calma e arrivare in tempo a lavoro mezzi permettendo.

Lavorava in una boutique al centro di Roma, gestita da una stilista coreana che, innamoratasi della città eterna, aveva deciso di aprire un’attività in quella lì per poi prendere a lavorare giovani e promettenti stelle del mondo della moda. 

Melissa era una di quelle stelle nel grande firmamento nel mondo della moda. 

Soo-Yun Jung l’aveva scoperta per caso: era stata chiamata all’ultimo momento come commissario esterno alla presentazione della sua tesina. Aveva scelto di concentrarla sul mondo della moda per poi creare un abito che sarebbe finito in un’esposizione.

La sua tesina non solo ottenne il massimo dei voti, ma il vestito fu così tanto apprezzato che Soo-Yun gli offri un posto di lavoro nel suo negozio. Ovviamente lei accettò senza esitare dato che aveva necessità di soldi per l’affitto della casa e per il suo mantenimento. 

Si fece una doccia veloce, si vestì con un semplice completo nero, si truccò un po’ gli occhi con una sottilissima linea di eye-liner e mascara e uscì di casa. 

Roma era fredda quella mattina, più fredda del solito, Melissa si strinse ancor di più nel pesante cappotto marrone chiaro cercando di non perdere l’equilibrio per colpa dei tacchi.

La sua casa non era lontana dalla metropolitana e, in media, ci metteva cinque minuti ad arrivarci, ma sulla mattina la voglia di camminare era pari a zero. 

“Ancora un’altro giorno poi weekend…”

Si ripeteva mentre scendeva le scale della metro, respirando profondamente l’aria pungente che le faceva male ai polmoni, ma che, infondo, le piaceva. 

Aveva un rapporto amore odio nei confondi dei mezzi pubblici, in special modo con la metropolitana. La mattina era vuota e spoglia popolata da quei pochi mattinieri come lei, mentre la sera mutava totalmente popolandosi di centinaia di persone. Molte volte le stesse persone che incontrava nella metropolitana gli davano l’ispirazione per i sui vestiti, anche solo un dettaglio insignificante agli occhi di tutti lei riusciva a trasformarlo rendendolo un qualcosa di spettacolare.

Si accomodò su un sedile e tirò fuori dalla borsa il telefono e le cuffie, poi si rese conto di aver un messaggio dal suo capo, Soo-Yun. Aprì la chat e lesse per poi imprecare sottovoce; oggi il negozio avrebbe aperto alle dieci a causa di una riunione alla quale Soo-Yun dove partecipare e del quale Melissa si era completamente dimenticata. 

Ormai era quasi arrivata la sua fermata e non le andava di tornare a casa, così decise di continuare il suo viaggio verso il negozio per fermarsi da qualche parte per strada. 

Scese dalla metro e salì le scale che la condussero davanti Piazza di Spagna; per il negozio altri venti minuti di camminata, ma erano solo le otto così decise di fare una passeggiata su Via del Corso. 

I negozi iniziavano ad aprire ed i negozianti erano già impegnati a sistemare tutto per l’arrivo delle persone, i bar erano già tutti aperti così decise che per quel giorno avrebbe dato uno strappo alla regola e avrebbe fatto colazione per bene. 

Entrò in un bar in cui aveva sempre visto entrare molte persone, ma che ora era praticamente deserto; ci passava davanti tutte le mattine e ogni tanto ci buttava l’occhio un po’ per curiosità un po’ per noia. 

Ad accoglierla fu un cameriere che la fece accomodare ad un piccolo tavolino davanti alla finestra che dava sul corso. 

Ordinò un cappuccino ed un cornetto, che il giovane si offrì di portarle al tavolo senza farla scomodare, e nell’attesa iniziò a guardarsi intorno cercando qualcosa che potesse catturare la sua attenzione e che potesse stuzzicare la sua curiosità. 

Odiava la monotonia, amava le cose diverse, era attratta dalle culture differenti dalla sua e sognava di trasferirsi in un luogo diverso, ma per trasferirsi servono molti soldi e lei, in quel momento non ne aveva. 

La sua colazione arrivò i fretta insieme ad un bigliettino con un numero di telefono sopra; alzò lo sguardo appena in tempo per notare il cameriere che le faceva l’occhiolino. Non sapeva mai come reagire a quelle cose, se sorridere a forza o se ignorarlo del tutto; quella volta decise di dare false speranza al giovane e sorridergli dolcemente. 

Appena quello distolse lo sguardo da lei tornò a scrutare la strada alla ricerca di qualcosa e lo vide:  non si era accorta che davanti al bar c’era un negozio della Puma con le vetrine tappezzate da pubblicità e proprio una di queste pubblicità attirò la sua attenzione. Sette ragazzi orientali posavano per sponsorizzare la nuova collezione della Puma, erano volti già noti eppure non capiva dove li aveva già visti, li osservo a lungo cercando di capire, ma era tutto inutile. Nel frattempo aveva tirato fuori il suo fedele blocco da disegno che portava sempre appresso per iniziare a disegnare i sette sconosciuti. 

La affascinavano molto, agli occhi di tutti erano molto simili fra loro eppure lei riusciva a trovare in ognuno di loro un piccolo dettaglio che li differenziava. 

Li disegnò separatamente e quando arrivò a posare lo sguardo su l’ultimo notò una piccola scrittura sulla pubblicità, una sigla: BTS. 

Andò a cercare su internet, senza alcuna fretta, con una leggera svogliatezza, quei sette l’avevano incuriosito, ma non tanto. 

“Eccoli”

Un sorriso si dipinge sulle sue labbra: erano una idol band sudcoreana. 

Andò ad indagare a fondo sui membri e pian piano che proseguiva nella ricerca scriveva accanto ai disegni il nome di quelli che erano diventati, momentaneamente, i sui modelli d’ispirazione. 

Cercò anche di creare qualcosa adatto al loro stile cercando di capire e rispettare i colori che più portavano, ma si rese conto che si erano fatte le nove e quaranta. Il bar si era popolato di persone così come il Corso, che ora pullulava di turisti ed i negozi erano già totalmente invasi da persone intente a fare compere. 

Si affrettò a mettere il blocco dentro la borsa e a pagare la colazione per poi uscire dal bar.

Era tutto diverso con la musica in sottofondo: le persone sembravano andare quasi a tempo anche se era solo la sua testa a farglielo credere. Sulle note di Sad Story arrivò in ufficio alle dieci in punto con la mente completamente presa da quei sette ragazzi: si loro erano diventati la sua ispirazione. 

Cosi diversi da lei, così pieni di vita, così lontani eppure così vicini.

La butique era aperta, Soo-Yun aveva sicuramente finito prima, così entrò e si diresse nel retro dove era situata la sartoria e il suo studio. 

Di Soo-Yun nemmeno l’ombra, così decise di inchiostrare e colorare i disegni iniziati al bar; oltre a stoffe e macchine da cucire, sulla sua parte di studio c’erano anche materiali per il disegno dato che ogni volta che creava qualcosa doveva prima disegnarlo e colorarlo, poi da quel disegno prendeva spunto. 

Se fosse venuto qualcosa di decente avrebbe presentato quella “collezione” a Soo-Yun spacciandola per il famoso progetto al quale lavorava da mesi.

Sentì un rumore proveniente dall’altra parte del negozio così lasciò i disegni sul tavolo da lavoro e andò a vedere se ci fossero clienti.

Soo-Yun era una donna di quarant’anni dai lunghi capelli neri e intensi occhi del medesimo colore, aveva la pelle di un bianco quasi innaturale e un’eleganza sublime. 

Era una stilista sudcoreana che fino a cinque anni fa abitava a Seoul, ma grazie ad una vacanza in Italia, aveva deciso di trasferirsi a Roma e iniziare una nuova vita. 

 Non si era accorta che Melissa era arrivata e continuava a vagare avanti e indietro per lo studio in cerca di una soluzione, ma il suo cervello era bloccato e tutto ciò che usciva dalla sua bocca erano imprecazioni. 

Disperata si mise a sedere svogliatamente su uno sgabello fregandosene della gonna. Le mani si andarono ad intrecciare sul suo viso andando a sbavare il trucco nero sugli occhi, rimase in silenzio a pensare fino a quando non fu distratta da un rumore. Si voltò e notò un telefono e delle cuffie su un tavolo da lavoro. 

Sapeva perfettamente a chi appartenessero così, accennando un sorriso sussurrò il nome del proprietario.

 “La solita Melissa, sbadata come sempre.” 

Si alzò per dirigersi nella direzione dalla quale proveniva la musica per fermarla ; prese il telefono fra le mani e spense la musica, lo posò su quelli che, all’inizio, aveva scambiato per scarabocchi, ma dopo poco si rese conto chetano figure a lei già ben note. 

I suoi occhi si illuminarono, aveva forse trovato una soluzione al suo problema? 

“Melissa!”

La sua voce echeggiò nello studio vuoto e dall’altra parte non ne arrivò nemmeno una sillaba, ma Melissa stava ugualmente attraversando la soglia della porta dello studio ritrovandosi davanti Soo-Yun con in mano i suoi schizzi. 

“Oh Melissa! Tu sei la mia salvezza!” 

La donna le venne in contro e la abbracciò, la giovane non capì il motivo di tutta quella felicità ne di  quell’abbraccio, ma stette in silenzio aspettando una risposta. 

La donna si staccò da Melissa portando davanti ai suoi occhi gli schizzi. 

“Sai chi sono?” chiese Soo-Yun mentre Melissa faceva “no” con la testa.

“Vieni siediti ho una proposta da farti.” 

Disse la donna con un sorriso a trentadue denti facendole segno di sedersi ad uno dei tavoli da lavoro vuoti, ubbidì cercando di capire ciò che le stava accadendo. 

“Melissa tu conosci mio fratello?” 

Il fratello maggiore di Soo-Yun era una delle persone di cui Melissa aveva sentito parlare meglio in quell’ultimo anno di lavoro con la donna. Da quello che aveva potuto capire lavorava nel mondo dello spettacolo, ma non si era capito se era un cantante, un conduttore televisivo o cose simili, o almeno Melissa non l’aveva capito.

“So che lavora nel mondo dello spettacolo, ma niente di più. Perché?” 

Un sorriso si fece strada sul viso della donna. 

“Mio fratello e manager di una band di idol chiamata BTS, sicuramente l’avrò detto qualche volta…” 

“Ecco dove l’avevo già sentiti!”

“Era con lui che stamattina ho avuto una riunione. Sperava che potessi tornare in Corea per qualche settimana per fare da costumista alla sua band dato che il loro costumista si e licenziato proprio vicino ad un concerto.” “E quindi?” Chiese la giovane perplessa. 

“Sono disperati e vogliono un bravo costumista, non il primo che capita, così mio fratello mi ha chiesto se potevo andare la prossima settimana, ma la prossima settimana c’è la Settimana della Moda a Parigi e non posso non andarci è troppo importante, ma non posso lasciare in queste condizioni mio fratello, ed ecco che entri in scena tu!” Disse con un sorriso a trentadue denti. “Io?” 

Soo-Yun portò i disegni sotto gli occhi della ragazza che li guardava perplessa, ragionando sul fatto che doveva andarci più leggera quando inchiostrava.  

“Sono loro i BTS e te ne hai colto l’essenza di tutti e sette! Io li ho conosciuti personalmente e sono stata una loro costumista agli inizi e davvero, wow! Voglio che ci vada tu al posto mio.” 

Melissa per poco non cadde dallo sgabello sulla quale era seduta. “Io? A Seoul? A lavorare per una band? No! Non sono all’altezza. E poi l’incidente…” disse la giovane rabbrividendo. “Invece si! Guarda questi disegni! Hai creato dei capolavori con nulla! Inoltre sai il coreano e…” 

Soo-Yun capì che aveva toccato un tasto dolente.  

Melissa non era coreana. Era nata in Italia da madre Russa e padre Italiano. 

Non c’entrava niente con la Corea eppure quando sua madre morì lei aveva solo quattro anni, si è trasferita in Corea con suo padre e la sua nuova fiamma. Per quattro anni ha vissuto in Corea, ma quando compì otto anni il padre capì che non sarebbe mai riuscita a mantenere la figlia lì nemmeno con il supporto economico della nuova moglie alla quale non importava nemmeno della piccola. Suo padre allora riportò in Italia dalla nonna materna mentre lui tornò in Corea. Ogni anno Melissa andava a stare da suo padre per una settimana o meno, per passare lì le vacanze di Natale.

Tutto cambiò l’anno in cui ebbe l’incidete.

“…ed e ben retribuito come lavoro. So che in questo momento hai bisogno di soldi più di chiunque altro. Due settimane, solo due settimane. Il viaggio te lo pagherebbe la compagnia per cui lavora mio fratello.” 

Soldi. 

Aveva bisogno di soldi in quel momento. Molti soldi. 

Sua nonna l’aveva lasciato proprio quando aveva iniziato l’università le cui spese erano molto salate per una ragazza con un lavoro come il suo ed un’affitto da pagare. 

Per non parlare dei vari medicinali e le varie visite che doveva pagare di tasca sua.

“Quanto tempo ho per pensarci?” “La partenza sarebbe lunedì mattina:”

Si poteva vedere da un miglio che Soo-Yun non voleva dirglielo dato che quel piccolo dettaglio avrebbe fatto ritirare chiunque, ma non lei. Per lei i soldi non erano l’unica cosa, erano tutto. Senza quelli sarebbe finita per strada, non le era rimasto nessuno lì. 

“Va bene.” 

“Come?” Soo-Yun non riusciva credere che quelle parole fossero appena uscite dalla sua bocca. 

“Non ci vuoi pensar…” “No non ho niente qui e i soldi mi servono, e poi anche se ci pensassi un giorno o due sarebbe sempre “Si”  la risposta.”

 In quel momento Melissa si sentì per la prima volta adulta. Era una scelta dove chiunque avrebbe esitato, ma era come se, dentro di lei, sapesse che era suo destino andare in Corea, accettare quel lavoro e rivedere suo padre. 

“Melissa sei la mia salvezza! Vado a chiamare mio fratello per dirglielo, tu vai a casa. Mi servono i tuoi  documenti, dobbiamo farti il visto lavorativo subito.” 

Melissa non fece nemmeno in tempo a mettersi la giacca che Soo-Yun stava già parlando al telefono con il fratello. 

Il viaggio verso casa sembrò tremendamente lungo a causa dell’agitazione e dei mille pensieri che giravano per la testa di Melissa. 

Non appena fu davanti al portone del palazzo si levò le scarpe e corse a tutta velocità su per le infinite rampe di scale che la separano dalla sua casa. 

Abitava all’ultimo piano, così quando arrivò davanti alla porta di casa era senza fiato e stremata, tirò fuori le chiavi e non appena entrò si precipitò verso il suo portatile. 

Soo-Yun gli aveva già mandato cinque mail con i vari documenti che gli doveva mandare. 

Tante scartoffie ai suoi occhi. 

 Alle due aveva mandato tutti i documenti a Soo-Yun e la sua casa era un’esplosione di fogli vari dato che aveva ribaltato la libreria per cercare tutto ciò che serviva per fare il visto. 

Pranzò con un po’ di riso in bianco avanzato dalla sera prima e si stese sul letto, c’erano così tante cose da fare, ma c’era anche il sabato e la domenica. 

Decise di mettersi a dormire, ma dopo nemmeno un’ora il telefono squillò. 

“Melissa ci sono novità. Mio fratello è riuscito a fare tutto in poco tempo e mi ha chiesto se potresti partire domani anziché lunedì. Sono più di undici ore di volo da Roma a Seoul, se non ci sono complicazioni, e vorrebbe che lunedì iniziassi a lavorare. Per ciò aumenterà il prezzo.” 

A Melissa era venuto il mal di testa per colpa di quella giornata. 

“Ti servono quei soldi…

…ti servono quei soldi…

…ti servono quei soldi…”

“Va bene.” disse con voce priva di interessa.

 

L’aria fredda le riempì i polmoni facendola tossire corposamente. Tremava, nella sua testa migliaia di pensieri le si presentavano davanti, migliaia di rischi, di cose che sarebbero potute andare male, ma ormai era fatta, non poteva tornare indietro. 

Si strinse forte nella sciarpa ed inspirò profondamente cercando di tranquillizzarsi. 

Alle cinque e mezza precise un’elegante macchina nera laccata le si fermò davanti, dopo pochi secondi un’uomo imponente ne usci e le si avvicinò. Melissa lo osservava cercando di nascondere la sua ansia mista a preoccupazione fissandolo dritto negli occhi.

“Signorina Melissa Ivanov?” 

Sentendo pronunciare il suo nome annuì. 

“Prego salite, sono stato incaricato di condurla all’aeroporto… Ci penso io alle valige voi sapete.” Disse sorridendogli.

Melissa ricambiò il sorriso e salì sulla lussuosa macchina lasciando i bagagli nelle mani dell’uomo. 

Si era portata solo una valigia e un bagaglio a mano dove aveva messo tutte le cose elettroniche sperando che all’aeroporto non ci fossero stati problemi.

Il viaggiò fu silenzioso, Melissa non degnò il conducente del suono della sua cristallina voce e il conducente non cercò in nessun modo di iniziare una conversazione. 

Arrivarono all’aeroporto alle cinque e cinquanta precise, e lo trovarono già popolato da persone; c’era chi andava e chi arrivava, chi dormiva su una scomoda sedia in attesa del proprio volo, chi faceva colazione e chi litigava con le assistenti all’imbarco. 

Per un viaggio come quello Melissa si era messa comoda: portava un maglione a collo alto rosa chiaro, dei pantaloni neri e un paio di scarpe basse bianche. Per il freddo e per il fatto che non sarebbe mai entrato in valigia, sopra portava un cappotto lungo marrone chiaro che esaltava ancor più la sua bassa statura. I capelli erano raccolti in una coda bassa, non troppo stretta, alla quale delle ciocche ribelli erano sfuggite ricadendole sul volto..

Il check-in fu veloce dato che poche erano le persone che partivano per Seoul a quell’ora. 

“Ecco a lei il biglietto signorina. Gate numero nove. Buon volo!”
Le disse la giovane donna dietro la scrivania sorridendogli. 

Inspirò profondamente e si avviò; non le piaceva volare, non per così tante ore di seguito. 

La attendevano più di undici ore di volo nelle quali sperava di poter conoscere meglio i famosi BTS.

Poco prima di dare il biglietto all’hostess controllò il posto che non si era curata di vedere prima. 

“Prima classe. Non badano a spese.” 

Si accomodò al suo posto e iniziò a sistemarsi il più comodamente possibile prima della partenza. 

“Signori e signore è il comandante che vi parla. Siete sul volo diretto Roma-Seoul. Ciò significa che non ci saranno soste di alcun tipo. Vi auguro un buon volo.”

La voce echeggiò nell’aereo e tutti alzarono lo sguardo cercando di capire da dove provenisse tranne Melissa che aveva già messo le cuffie isolandosi da tutto. 

L’aereo decollò alle sei e venti verso Seoul, il sole era sorto, non c’era vento, si prediceva un viaggio lungo e tranquillo. 

Viaggiare in prima classe era tutt’altre cosa che viaggiare in quella economica: i sedili erano più comodi e spaziosi, su ogni sedile c’era un piccolo tablet sul quale potevi vedere un film o altro. Melissa aveva tirato fuori il portatile appena gli fu presso per cercare più informazioni sui sette ragazzi. Non aveva idea di come avrebbe lavorato con loro: se a diretto contatto o no. Non le andava di sprecare tempo se si fosse avverata la seconda opzione, voleva arrivare preparata. 

Cercò di tutto: dai colori che preferivano ai cibi che odiavano, studiò i loro balli, i loro movimenti, la loro struttura e la loro parte comica. Ogni tanto le strappavano un sorriso o una risata e pian piano si sentì felice di aver accettato il lavoro. 

Dopo tre ore al computer la testa iniziò a fargli male, così decise che era il momento di fare una pausa; non si era accorta che alla sua sinistra c’era il finestrino dal quale riusciva a vedere tutto: campi, città, montagne e molto altro. Le dava un senso di pace immenso quello spettacolo e, senza che se ne rendesse conto, sprofondò in un lungo sonno. 

Quando si svegliò scoprì di aver dormito solo per due ore scarse e che l’attendevano ancora sei ore di volo, così decise di mangiare qualcosa, ma non c’era niente che la convincere così si accontentò di una bottiglia d’acqua e di un cioccolatino. 

Le rimanenti quattro ore le passò ad ascoltare le loro canzoni: alcune le piacevano altre no, ma era solo una scusa per capire quanto ancora capisse il coreano. 

Erano tre anni che non andava in Corea ormai. 

“Signori e signore tra venti minuti atterreremo al Incheon Airport alle ore 00:20 coreane, 17.20 italiane. Buona serata e grazie per aver scelto Korean Air.”

L’atterraggio fu tranquillo e senza tanti problemi. 

 Melissa venne svegliata da un’hostess dato che l’ultima mezz’ora di volo l’aveva passata dormendo, velocemente si mise il cappotto e riprese il suo bagaglio a mano per poi avviarsi verso l’uscita.

Era stordita, un po’ per la stanchezza un po’ per il sonno che si portava. ma rimase meravigliata: l’aeroporto era molto più grande di come lo ricordasse e pieno di persone. Melissa riuscì a distinguere quasi subito un’uomo con in mano un cartello dove c’era scritto, male, il suo nome in caratteri grossi. 

“Signorina Melissa salve! Mi manda l’agenzia a prenderla, prego mi segua. I bagagli le verranno portati in hotel.” 

Annuì evitando di parlare coreano dato che era ancora assonnata e stordita per poi seguire l’uomo verso una macchina nera laccata.

“L’aeroporto è a 16 minuti di macchina da Seoul quindi ci arriveremo in macchina. Prego da questa parte.” 

Le spiegò l’uomo facendole strada. 

Il viaggio dall'aeroporto a Seoul non fu del tutto tranquillo: l’uomo cercava di capire chi fosse e perché era lì, se ci si poteva fidare di lei e delle sue capacità oppure no. Normalmente quel genere di domande l’avrebbero irritata, ma era ancora stordita dal volo e rispondeva senza farsi molte domande. 

“Ci scusiamo per averla fatta partire un giorno prima, ma non sappiamo quanto tempo le possa servire per fare i costumi.” “Non c’è alcun problema.” Disse sfoderando il suo miglior coreano. 

“I ragazzi sono impazienti di conoscerla! Insistevano sul venire loro a prenderla, ma l’avrebbero stressata troppo con le loro domande…”

Come se te non lo stai facendo già”

“…E poi ora lei è stanca e deve solo riposare. Eccoci arrivati! L’hotel non dista molto dalla BigHit, domani le farò vedere tutto, ma ora andiamo.” 

L’hotel già da fuori era molto lussuoso, ma non aveva prestato troppa attenzione e non sapeva dove si trovava effettivamente. 

Le diedero la chiave della sua stanza che si trovava al 12° piano e le dissero che i suoi bagagli erano già stati portati in stanza. 

Salutò l’uomo, del quale non sapeva neppure il nome, e scomparve dietro le ante dell’ascensore.

Appena arrivò nella stanza se ne fregò delle condizioni in cui si trovava e si buttò sul morbido letto con tutto di scarpe. 

Era a Soul. 





[Nota dell'autrice]
Se sei arrivato/a fin qui grazie per aver letto questo primo e frettoloso capitolo!
Se nella storia invece del nome della protagonista (Melissa) trovate un altro nome è perchè inizialmente era il nome originale. 
Questa storia è stata ripescata dai meandri del mio computer e rileggendola mi ha fatto tornar voglia di scrivere. 
La storia in se parla di Melissa, una giovane stilista italiana, alle prese con il gruppo di idol più famoso al mondo, ma non è solo di una storia d'amore, ma andrà anche a trattare di altri aspetti della vita dei ragazzi e della ragazza. Saranno presenti molti colpi di scena!! Spero con tutta me stessa che possa piacervi, sperando di non risultare una stora banale e già sentita.
Errori di grammatica e/o di battitura saranno presenti e scusatemi davvero ;-; 
Cerco di presatre attenzione, ma non ho molto tempo libero e solitamente scrivo di notte :'')
Al prossimo capitolo!! 

 

 

 

   
 
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