Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Francine    28/06/2018    2 recensioni
Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi.
(Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65)
Fĕbrŭāre in latino significa espiare, purificare, che è quello che fa la febbre al nostro organismo per liberarlo da virus e batteri. Questa vuole essere una raccolta di bozzetti sul grande male di stagione, nel mese dedicato all'espiazione per eccellenza. Fisica o morale che sia.
[Saint Seiya, Lost Canvas, Episode G, Episode G Assassin]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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★ Iniziativa: Questa storia partecipa al Flu&Fluff a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 644.
★ Prompt: #19 A si ammala in piena estate.
 






10. Febbre a 90° Reloaded



 


Prompt:Febbre quartana/ Fandom: Saint Seiya - post Hades /Personaggi: Saori Kido, Cancer Death Mask


 
Sorseggi senza fretta un bicchiere di tè alla menta. Non hai certo premura di rientrare al Santuario che, oltre le colline sullo sfondo, è flagellato da una febbre che, anche stavolta, non durerà a lungo.
Una furia – una smania – di un rosso un po’ stinto aleggia alla Decima Casa.
E poi ci sono i lamenti ed i pianti e le maledizioni che si levano dall’Ottava, dalla Quinta e dalla Terza Casa.
Sudori freddi alla Seconda Casa –  ché il ricordo del Maracanà è ancora vivo e vegeto e dolorosamente vivido.
Il delirio febbricitante all’Undicesima, quella fierezza che solo un vero Gallo possiede – nonostante le testate generose lo accomunino ad un caprone isterico.
La barocca sontuosità russa che fa incedere il Cigno come se fosse Nure’ev sul palco del Bol'šoj.
L’orgoglio dei piccoli, irriducibili, irrefrenabili samurai che avanzano meticolosi verso la meta.
La fierezza dei Vichinghi che si leva dalla Dodicesima Casa, come un soffio che profuma di resina di pino, biscotti allo zenzero e salmone marinato all’aneto, con buona pace dell’aroma fragrante delle rose.
E, alla Quarta, il silenzio indispettito di chi è rimasto a casa a guardare. E si chiede, con una punta di meschinità, che cosa ci sia, poi, di così divertente in ventidue uomini in mutande che rincorrono un pallone...
Il sorriso atarassico di chi è alieno a certe umane faccende – facezie, insiste a chiamarle lui –, Shaka ha evitato di sussurrarti che passerà – Mu è finito a guardare le partite assieme ai Santi di Bronzo. Per curiosità, dice lui. Perché un uomo è pur sempre un uomo, dici tu. –; l’hai imparato da te.
È quello che si chiama esperienza, giusto?, e l’esperienza ti dice che una febbre quartana come quella che sta flagellando il Santuario è solo rognosa. Passa da sé, con una bella sudata, una sana dose di batticuore, qualche brutto sogno e, per alcuni, un risveglio che lascia un sapore amaro in bocca. Ma passa.
«Speriamo solo che non si verifichino incidenti proprio adesso.»
Ai piedi un carico di sacchetti e sacchettini, bottino di un pomeriggio di shopping per le boutique di Licabetto, e una sigaretta accesa per inganno, Death Mask filosofeggia, un sorriso a fior di labbra che non si decide a mostrare.
Dovesse saltar fuori Yngve…
«Sarebbe… increscioso», conclude, quasi augurandosi l’esatto contrario.
«Sembra quasi ti dispiaccia», lo pungoli sorseggiando il tuo tè.
Lui si esibisce in un sorriso da faina, luccicante come una tagliola nell’erba alta.
«Dispiacermi? No, e perché mai?», ti risponde, socchiudendo appena le palpebre. «I crucchi sono fuori dai giochi, il sole splende e tu sei qui con me. E se i miei compagni non fossero… come dire?... ecco, sì, disponibili…»
«Ti toccherebbe risolvere la faccenda da solo, temo», e sbirci da sotto le ciglia scure la sua espressione da galletto afflosciarsi come un soufflé che ha aspettato troppo.
No, non ne sarebbe affatto contento.
«Temo anch’io», ribatte, tanto per mantenere il punto. «Pazienza. La Valle dell’Ade è stupenda, in questa stagione…»
E, osservando il fremito della cenere che cade dalla sigaretta, sai che no, non accadrà nulla di tutto ciò. Perché è su di quelle facezie – come le liquida Shaka – che si regge il mondo. Che continua a girare lo stesso, ci mancherebbe, palloni che s’insaccano nelle reti avversarie o meno; ma quelle facezie sono una boccata d’ossigeno, per i mortali – okay: per gli uomini mortali, rettifichi tra te e te – che le rispettano e le proteggono come fossero una pace olimpica. E nessun Olimpio sarebbe così pazzo da far scendere in campo i propri guerrieri con un occhio al nemico e l’altro al televisore.
Neppure il Guerriero, pensi. Sorseggiando il tuo bicchiere. Un po’ di shopping, ecco quello che ci vuole. La versione della casa di una pasticca di paracetamolo in dose da cavalli. Sì, shopping, istituto di bellezza e una bella cenetta fuori. Al braccio di Marco. Tanto lui non ha una nazionale per cui tifare, no? Sarebbe da sciocche non approfittarne…
 

Quattro anni fa scrissi questa sciocchezzuola all’alba dei mondiali brasiliani. All’epoca, ancora non potevamo sapere che la Germania avrebbe rifilato un clamoroso 7-1 al Brasile (a casa loro, per altro), che la Svezia, toma toma cacchia cacchia, ci avrebbe silurato alle qualificazioni, che la Corea del Sud avrebbe mandato a casa i Crucchi, ma la solfa resta la stessa: date ad un uomo una partita di calcio in tv, e questi seguirà ventidue uomini in mutande (venticinque, contando l’arbitro e i due guardalinee) correre appresso ad un pallone, nazionale o non nazionale, armatura o non armatura…
   
 
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