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Autore: Taira Croft    28/06/2018    1 recensioni
Come un incontro o delle semplici emozioni possono far riaffiorare ricordi e sensazioni passate è possibile anche riprendersi la propria rivincita e vedere la propria vita da un'altro punto di vista.
6767 parole
Genere: Drammatico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rimpianto delle opportunità perse

 

Nonostante i pregiudizi e gli elogi, Roma per me era un mistero da svelare ed era proprio per questo che volevo visitarla. L’occasione mi venne servita su un piatto d’argento quando il mio relatore di tesi mi consigliò di scegliere proprio La Sapienza per conseguire il mio master in Tecnologie e gestione dell'innovazione, quindi presi la palla al balzo e, dopo aver superato egregiamente il test d’ammissione, affittai una stanza nell’appartamento del mio amico di vecchia data, Niccolò, che si stava specializzando in Ingegneria informatica alla Roma 3.

Ero eccitatissima all’idea di vivere un intero anno in una delle città più famose del pianeta, rinomata non solo per la sua centralità nello spettacolare Mediterraneo ma anche per il suo ruolo d’impatto storico in ogni epoca. Aggiungiamo poi che per molte persone dell’estero è considerata anche una delle città più romantiche ed otteniamo un connubio alquanto allettante al quale non si può di certo dire di no.

All’inizio non nego di essermi persa volentieri per le vie di Roma, essendo restia a chiedere informazioni ai passanti ma anche perché non mi andava di disturbare il mio nuovo coinquilino ogni due per tre. Eppure anche in quel frangente ero felice di potermi godere quei piccoli e semplici particolari che andando di fretta in una routine che non mi sarebbe mai appartenuta avrei perso, come un ghirigoro insolito su un antico muro o una fioriera elaborata che costituiva l’arco d’entrata ad una viuzza di negozi di nicchia. Ad ogni modo, tra distrazioni piacevoli ed impegni irrevocabili, fui costretta a muovermi di continuo dal centro alla periferia della città e viceversa, così nel giro di un mese mi ritrovai a conoscere alla perfezione la mappatura dei trasporti più usati dagli universitari. Mi ricordo però che un giorno, a causa di un professore che mi trattenne eccessivamente oltre l’orario per convincermi di diventare la sua assistente una volta conseguito il master, persi la mia solita corsa e dovetti aspettare alla fermata dell’autobus per più di tre quarti d’ora la coincidenza con la metro che mi riportava vicino casa. E fu proprio in quell’occasione che ebbi uno dei dialoghi più lunghi e incisivi della mia vita, che mai dimenticherò.

Ricordo che l’aria era insolitamente fredda e pesante per essere fine autunno e i pochi alberi che campeggiavano nel centro città erano nudi e distorti in modo parecchio contorto. Che sentissero anche loro freddo come me? Sinceramente avevo timore che piovesse perché il cielo si coprì ben presto di nubi scuri e il vento si alzò, ma fortunatamente uno studente che mi aveva dovuto riconoscere mi offrì gentilmente di dividere il suo ombrello con me, sedendoci vicini e chiacchierando così per tutto il tragitto fino alla fermata della metropolitana. Dovetti ammettere che fu molto simpatico e alla mano, mi trovai molto bene a parlare con lui, scoprendo che frequentava una facoltà molto affine all’oggetto dei miei studi, Biotecnologie, alla Roma 3 e che era stato proprio nella mia area universitaria per chiedere un parere giuridico su alcuni brevetti specifici per invenzioni che aveva intenzione di inserire nella sua tesi di laurea. Molto scrupoloso, se dobbiamo essere più attenti; non era da tutti farsi tanti problemi per una nota a piè di pagina. Comunque ci dovemmo dividere alla fermata: io abitavo in periferia e mi sarei dovuta fare ancora un’ora e mezza di viaggio, lui sarebbe andato dalla sorella che abitava lì vicino.

Mi salutò calorosamente e con una dolcezza in viso che pochi posseggono mi trasmise un senso di pace, ma solo quando ormai stavo per timbrare il biglietto del tram prima del tornello mi resi conto come una stupida che non ci scambiammo i contatti e che nemmeno ci presentammo con il rispettivo nome per poi poterci ritrovare almeno sui social. Ormai era fatta e non potevo più tornare indietro, o meglio diluviava e pensai convinta che aveva già imboccato chissà quale via e a quanta distanza poi, quindi oltrepassai il tornello un po’ sconsolata e mi misi a poca distanza dalla linea gialla di sicurezza aspettando il mio mezzo di trasporto, rimuginando sulla mia troppa leggerezza che alle volte prevaleva sul resto. Cincischiavo con il filo delle mie cuffiette e con la colonna sonora del film The Maze Runner pompato nelle orecchie, un po’ annoiata, notando solo allora la poca affluenza di persone in zona. Effettivamente non era un orario molto vissuto quello e, forse per timore o sentore di un qualche possibile pericolo, un brivido gelato mi risalì per la spina dorsale facendomi fremere.

A causa del nervosismo mi misi a picchiettare con la punta del tacco delle francesine a terra e con una sola cuffietta nelle orecchie che mi incitava a correre più veloce possibile per evitare di essere presa dal mostro che voleva assassinarmi, quando mi sentii stringere alle spalle da due mani calme e ferme e come una molla scattai in avanti verso la linea del tram urlando a squarciagola. Per immensa fortuna, che difficilmente potevo godere di solito, mi sentii strattonare verso il petto caldo di qualcuno prima che il veicolo ad alta velocità mi colpisse con la sua potenza d’impatto. A pensarci non mi importava chi mi tenesse tra le braccia ma il fatto che ero salva mi bastava e avanzava eccome, infatti continuavo a tremare e le gambe a stento mi reggevano.

“Mi dispiace davvero tanto, non volevo farti spaventare.”

Forse la percepii come una delle frasi più rincuoranti della mia vita perché riconobbi la voce del ragazzo che avevo lasciato poco prima sotto la pioggia e mi fu semplice alzare il viso verso il suo respiro tiepido e sorridergli per ringraziarlo. Non so in realtà cosa gli scattò dentro in quel momento, ma ero troppo contenta di essere al sicuro tra braccia che reputavo sicure anche se sconosciute, per questo non replicai quando percepii le sue labbra sulle mie, anzi approfondii tranquillamente quel bacio carico di tensione e passione dovuta a quello strano e repentino salvataggio.

Staccati l’uno dall’altra lo vidi arrossire curiosamente, io tenni il rigore che mi contraddistingueva capendo però che dare un bacio così in fretta non fu una mossa molto intelligente, quindi mi scostai quel che bastava per mettere delle distanze tra noi evitando ulteriori complicazioni e con più lucidità osservai il blocco notes che mi stava porgendo.

“Lo hai dimenticato nel bus e inconsciamente l’ho infilato nella tracolla. Me ne sono accorto solo quando mi sono messo a cercare le chiavi di casa. Perdonami.” mi spiegò teneramente abbassando lo sguardo a guardarsi le punte dei piedi.

“Tranquillo. Anzi, grazie mille, sei stato di una gentilezza unica. Per me significa tanto questo blocco.” finii col dargli un leggero bacio sulla mascella destra e veloce salii sulla mia corsa prima di perderla salutando il mio nuovo incontro fiduciosa di non averlo turbato troppo.

Mi voltai e mi trovai in un abitacolo semi deserto, vi erano solo una coppia di anziani che si stringevano la mano affettuosamente, lei con la testa sulla spalla di lui, un quartetto di studentesse di Medicina che ripetevano assiduamente senza successo la muscolatura toracica e una sorta di emo/hipster/trash, non sapevo ben definirlo con il suo stile strapazzato, che si drogava di musica da delle cuffie rosse con su disegni di fiamme nere. Io mi sedetti isolata in uno dei due sedili vuoti di fronte ad altri due liberi stendendo ineducatamente le gambe su quello accanto e appoggiando la schiena al palo vicino nella speranza di riposarmi le gambe gonfie della giornata trascorsa in università. Eppure non passarono nemmeno trenta secondi che qualcuno attirò la mia attenzione sedendosi proprio sui quei sedili difronte ai miei.

Fato? La dea bendata, o chi per lei, si stava prendendo troppo gioco di me quel giorno.

Alto, piazzato, di bella presenza, seduto composto nonostante le gambe divaricate, giacca nera in eco-pelle, capelli mossi lasciati al loro stato ribelle, occhiali da sole calati per nascondere le occhiaie dovute agli after continui, l’ultimo I-phone uscito tenuto con entrambe le mani ben delineate che neanche Michelangelo avrebbe potuto dipingere così bene e quel portamento che non passava di certo inosservato. Dopo qualche minuto di silenzio mi ero già dimenticata del resto del vagone e mi ero incantata nel gesto delle sue dita, le quali ravvivavano quegli spettacolari filamenti mori che adornavano il suo capo e sfuggivano al suo controllo. Non c’era altro che lui, anch’io mi ero silenziosamente annullata nell’alternarsi di luci e ombre proiettate tra il tunnel sotterraneo della metro e l’interno del vagone.

Mi accorsi tardi che mi ero soffermata troppo a lungo a scrutarlo involontariamente poiché incrociai i suoi occhi scuri da sopra le lenti quanto alzò lo sguardo dal cellulare per risistemarsi nel sedile scomodo e riporre l’oggetto nella tasca posteriore dei pantaloni. Era qualcosa di assurdamente terrificante e magnifico, il suo sguardo: sapevo qualora fossi caduta nell’eternità di quella bellezza che ne avrei pagato le conseguenze. Così mi volsi lentamente con nonchalance verso il finestrino, come se tutto ciò che mi circondava era in realtà di poca importanza per me, e mi accoccolai meglio nei due sedili poggiando la testa allo schienale nella speranza di non suscitare interesse. Ma fu inutile, mi sentivo perennemente osservata in modo impertinente da quegli occhi non più coperti dalla montatura verde petrolio, sentivo il suo persistente pensiero fisso su di me e la sua insistenza a non mollare la presa. Ciò mi faceva alquanto innervosire.

Tirai fuori il mio tablet per controllare le bozze del nuovo articolo che avrei dovuto consegnare al giornale per il quale lavoravo part-time, cercando ancora di ignorarlo, ma lui non aveva intenzione di cedere anzi il suo sguardo seguiva ogni mio gesto con estrema attenzione e curiosità.

“Potresti smetterla, per cortesia?” chiesi improvvisamente senza pensarci con più dolcezza possibile e con una naturalezza inumana. Non ne ero certa ma probabilmente sgranò leggermente gli occhi e piegò la testa sorpreso dalla mia reazione. La conferma l’ebbi quando distaccai l’attenzione dalle righe davanti a me e mi volsi verso il ragazzo che continuava ad osservarmi ancora più interessato di prima.

“Come non detto!” sospirai arresa in una frazione di secondo e ricominciai ad occuparmi del mio lavoro.

“Il problema è che non riesco a non ammirare l’opera magnifica di un pittore.” azzardò questo complimento fallendo miseramente di entrare nelle miei simpatie e scaturendo in me una risatina smorzata, ma in compenso mi fece udire una voce così cristallina e sicura di sé che non sembrava appartenergli. Sembrava che la sua anima fosse distorta dalla sua persona, come se delle onde elettromagnetiche lo attraversassero e dissociassero le due cose rendendole distinte e non più complementari.

“Guarda che non mi riferivo a te, ma alla tua cover.” disse quasi acido indicando “Il bacio” di Klimt sul retro del mio tablet. Che figura di cavolo che stavo per fare! E per giunta non seppi che altro dire se non un apatico e debole “Ah” fuoriuscito per sbaglio dalle mie labbra. Insomma, se volevo risultare migliore di lui avevo toppato alla grande. L’unica cosa da fare ora era proseguire il viaggio in un silenzio imbarazzante aspettando che scendesse alla sua fermata.

Quando il mezzo si fermò per la prima volta sospirai tra me e me aspettando l’istante in cui il ragazzo avesse alzato il suo fondoschiena e fosse sceso, ma per mia sfortuna restò lì e solo l’altro ragazzo in fondo al vagone si tolse le cuffie e scese. La seconda fermata mi rese così tesa e piena di nervosismo non vedendo nessuno lasciare l’abitacolo che mi costrinsi a stare seduta composta su uno solo dei due sedili. Alla terza finalmente vidi che la coppia di anziani si alzò, seguita dalle studentesse, per lasciare il vagone e il ragazzo difronte a me che riponeva nuovamente il telefono nei pantaloni per alzarsi anche lui. I miei muscoli si distesero e si rilassarono in quel momento, come se mi fossi liberata di un enorme peso, ma si contrassero nuovamente con più tensione di prima vedendolo spaparanzato sul sedile accanto al mio con la schiena appoggiata al palo imitando la me di poco prima. Non saprei definirmi se non scioccata in quel momento per la scena che mi si propose in tutta la sua stranezza e inadeguatezza. Mi sentivo a disagio per la sua irriverenza e purtroppo, dovevo ammettere anche, ineguagliabile bellezza ma ero anche irritata dalle stesse qualità poiché mi sentivo impotente ed inferiore in confronto alla sua massiccia presenza.

Ebbi l’impressione di soffocare non appena vidi le porte chiudersi, era come se l’aria in quel luogo si fosse prosciugata e lui avesse una sorta di predisposizione a sopravvivere in quelle ardue condizioni. Ma fu ancora peggio quando azzardò di nuovo a chiedermi, in un tono meno grave: “Studi arte? Perché alla Sapienza non vi sono corsi di laurea del genere.”

Stranamente ripresi a respirare e cacciai con un istinto quasi schizofrenico il tablet in borsa quando vidi che continuava ad indicare in modo insistente la cover. Mi girai con tutta l’eleganza di cui disponevo al momento, nonostante l’irritazione che mi assaliva, e lo fissai tra l’incuriosita e la scioccata.

“Chi ti dice che studio alla Sapienza?” chiesi mal celando un po’ d’astio.

Lui sorrise beffardo non facendosi ingannare dal mio tono di voce e incrociando le braccia al petto replicò: “La domanda era un’altra. In ogni caso, per assicurarti che non sono uno stalker, oggi ero in università e ti ho visto presiedere ad una conferenza di economia passeggiando per i corridoi.”

Mi aveva vista, tanto valeva dirgli subito la verità piuttosto che rigirarci intorno, magari avrei ricevuto qualche informazione utile su di lui. “Sto conseguendo il master in Tecnologie e gestione dell'innovazione nell’Ateneo, per l’appunto. La cover è solo l’espressione della mia sensibilità verso le cose degne di ammirazione estetica.” aggiunsi precisando.

“Parli più come una legale e non come chi cerca di conciliare il commercio e lo sviluppo tecnologico.” avanzò leggermente deluso portandosi a sedere composto con i gomiti poggiati sulle ginocchia ed osservandomi fisso negli occhi “Comunque, soddisfo la tua curiosità repressa dal tuo orgoglio e ti informo che non sono uno studente della Sapienza bensì della NABA milanese.”

Ed ecco svelato il mistero per il quale il mio insolito interlocutore era tanto interessato alla mia cover. Si dice che le persone cerchino sempre i propri simili e pensando che io avessi quella stessa propensione all’arte che deve avere uno studente della Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano aveva così attaccato bottone. Ma a pensarci bene, che ci faceva alla Sapienza di Roma? Esclusi il fatto che fosse romano, il suo accento era prettamente calabrese nonostante qualche interferenza sonora dell’idioma lombardo.

“E la Sapienza a quale onore doveva la tua presenza? Vorresti iscriverti lì?” chiesi minando la conversazione con frecciatine tra le righe nella speranza che si allontanasse da me poiché avevo ancora timore di lui, o comunque mi dicesse qualcosa con cui potermi tranquillizzare. In realtà non capivo il reale motivo perché io diffidassi inconsciamente di lui, ma ero sempre e comunque in allerta.

“Assolutamente no! Il futuro e grandioso chirurgo che sarà mio fratello mi ha ordinato di portagli la pennetta USB lasciata a Catanzaro, sapendo che sto salendo nuovamente a Milano.” confessò scimmiottando il fratello e la sua scelta di vita “E perché un’economa calabrese avrebbe scelto proprio quell’Ateneo?”

Mi sorpresi del fatto che riconobbe la mia origine così facilmente, d’altra parte era improbabile che fosse diversamente. Risposi arrossendo leggermente: “In realtà è stato un suggerimento del mio relatore di tesi, inoltre ho sempre desiderato visitare la capitale.” Il tutto risultò più una confessione che una risposta vera e propria, ma sorvolando il silenzio che stava per calare chiesi imbarazzata: “Si sente tanto la mia cadenza?”

“In realtà no, si nota appena.” sorrise con una luce vivace negli occhi scuri “Probabilmente il fatto che hai frequentato l’università al nord ti ha cambiato la pronuncia.”

“Invece supponi male. Mi sono laureata alla Magna Graecia di Catanzaro, ma in contemporanea ho frequentato un corso di dizione. Odiavo il fatto che la mia cadenza mi oscurasse alcune locuzioni della lingua italiana. Ora mi diverto a parlare nel mio dialetto a casa con amici e parenti e gestisco meglio anche l’esposizione orale agli esami.” dissi rendendomi conto solo dopo di essermi rilassata e girata a mezzo busto verso di lui reclinando il capo sulla parete. Il tutto sorridendo come un’ebete che si era presa una piccola rivincita.

“Perché non l’unical?” mi chiese sorpreso.

Per me era una cosa ovvia, ma risposi ugualmente. “Per più di un motivo. Come città distrae lo studente poco avvezzo allo studio, soprattutto nel primo anno, nonostante dia un’ottima preparazione nelle materie ingegneristiche. Avrei inoltre speso soldi inutilmente: l’Ateneo in questione si trova troppo vicino per prendere una casa in affitto e troppo lontano per permettermi quattro ore di viaggio ogni giorno, andata e ritorno, a mio parere. E tanti altri piccoli aspetti che insieme fanno tanto.”

“Sembri una che pianifica tutto nei minimi dettagli.”

“Sembri uno bravo a estrapolare informazioni dagli altri.” replicai subito d’impulso constatando che non faceva altro che ascoltare senza esporsi troppo.

Un “Perspicace” risultò ovvia come sua risposta, ma non mi scomposi. Anzi mi alzai e mi sedetti dove prima c’era stato lui, spaparanzandomi a mia volta con grande menefreghismo e poggiando i piedi sul sedile difronte, quello su cui ero seduta io. Non sembrava affatto risentito, piuttosto l’avrei definito sorpreso e divertito, infatti mi imitò e mise a sua volta i piedi sul sedile accanto al mio.

“Quindi sei qui per fare lo schiavetto a tuo fratello?” spiccai un po’ acida con l’intento di scalfire quella sua apparente difesa perfetta di superbia che ora si notava meglio nel suo sorriso beffardo. Ricevetti in cambio solo un altro sorriso più euforico che possedeva qualcosa di malevolo nel celare malamente quei perfetti canini bianchi.

E quando pensavo che non mi avrebbe più risposto cominciò a giocherellare con l’orlo dei miei pantaloni in maglina color tortora, stentai a star ferma sul sedile. Il contatto con la mia pelle nuda era freddo ma piacevole, evidentemente era esperto nel tastare i punti giusti, tant’è vero che non mi accorsi che l’interezza delle dita della sua mano destra avevano completamente avvolto la mia caviglia e aveva tentato di sfilarmi la francesina blu. Eppure era difficile farmi fessa: sfilai il piede dalle sue dita e velocemente gli bloccai il polso con il tacco sulla seduta del sedile blu.

“Sei banale nelle domande e non sai stuzzicare verbalmente il tuo interlocutore, ma non sei niente male… addosso. Anzi se ti togliessi qualcosa saresti ancora più interessante.” tentò di essere sensuale e accattivante ma risultò solo volgare risalendo con l’altra mano tra le mie cosce.

Stavolta risi io beffarda, anche perché si era rivelato per il Don Giovanni spudorato che era, mentre in modo fulmineo gli tiravo un calcio dritto sulla mascella con il tacco sinistro. Lui si ritrasse immediatamente portandosi le mani alla faccia dolorante, ma poiché avevo paura di una suo contrattacco mi fiondai in piedi davanti a lui sperando realmente che l’attacco fosse la miglior difesa.

“Sbagli di grosso a pensare che io sia una povera indifesa.” gli ringhiai altera bloccandolo con un ginocchio tra le sue gambe sull’ormai calda plastica blu.

“L’ho constatato” biascicò a causa del dolore, una volta ristabilizzatosi e ripreso dalla botta. Mi fissò truce con uno sguardo che non sapevo ben decifrare se fosse omicida o voleva più semplicemente scoparmi lì seduta stante, come se la mia reazione lo avesse ancora più eccitato o comunque indotto a sentire pulsioni primitive verso di me. Invece si addolcì improvvisamente afferrandomi velocemente le mani e traendomi a sé in modo stranamente protettivo e delicato, facendomi poi sedere sulle sue ginocchia. Rimasi pietrificata in primis ma poi mi rassicurai, forse troppo ingenuamente, alle sue parole.

“Mi hanno respinto, è vero, ma mai nessuna si era permessa di toccarmi… così. Per questo non farò nulla di cui potrei pentirmene. E tranquilla ti tengo ferma le mani solo perché ci tengo ai miei connotati e non vorrei che finissi per cambiarmeli.”

La mia risposta fu più simile ad uno sbuffo che ad un riso ironico, ma dopo tutto compresi che quello era il suo modo migliore per scusarsi e ringraziarmi per non avergli fatto ancora male. Così decisi io di scusarmi per avergli procurato quel livido che già stava spuntando tra la leggera barba incolta e tentai di alzarmi, ma le sue mani e le sue braccia mi tennero ferma dov’ero.

“Non andartene. Mi piace il tuo profumo ed anche le tue misure.” finì sorridendo e ammiccando giocosamente, riscuotendo solo disapprovazione da me, ma dovetti ammette che anche lui aveva un odore irresistibile. Stringendomi ancora a sé sentii la morbidezza della sua peluria giovanile sulla mascella e l’inebriante e persistente profumo di cannella e caffè; i muscoli ben definiti ma non da culturista facevano di lui un perfetto salvatore se si fosse presentata l’occasione e quegli occhi, quei stramaledetti occhi che tendevano al nero pece sapevano di casa e di ricordi che tendevano a riaffiorare pungenti.

“Anche tu devi essere delizioso, non ho dubbi.” finsi di beffarmi di lui, giusto per alleggerire la tensione che stava quasi svanendo, ma in realtà avevo dato voce ai miei pensieri. Inoltre lui si sentì forse anche autorizzato a guardarmi con quello sguardo da cagnolino che gli uomini assumono quando si perde la testa per il gentil sesso, ma non credetti proprio che si trattasse di quello.

In ogni caso, riuscii a sgattaiolare fuori dalle sue grinfie e a risedermi come ero prima, rimisi tranquillamente le gambe sul sedili di fronte e mi sistemai in panciolle come meglio potevo vista la durezza della plastica. Lui invece continuava a fissarmi curioso, come se ci fosse qualcosa che volesse chiedermi ma che non aveva il coraggio di fare, come se stesse cercando di scrutare qualcosa al di là di quella che apparivo all’esterno.

“Che c’è?” sbottai non potendo più sostenere il suo sguardo indagatore su di me.

“Non ti si addice.” rispose semplicemente con la più inimmaginabile tranquillità.

Sapevo bene che si riferiva sia al mio modo di sistemarmi sul sedile che al modo rude di approcciarmi. Ciò non m’irritò, dopo tutto era vero, forse mi punse, eppure non mi era mai importato di ciò che pensava la gente sul mio conto. Stetti in silenzio per un po’, senza nessun apparente motivo, perché non sapevo se avrebbe continuato a parlare, se avrei dovuto rispondergli e soprattutto cosa e come rispondergli. In sostanza e soprattutto in apparenza era vero che non ero la solita ragazzina che si faceva beffa delle regole etiche della società ed alzava anche i piedi sulle sedute, ma non ero neanche quella precisina che sclerava se il suo outfit da signora in carriera non era perfettamente curato nei minimi dettagli per dimostrare a chi le stava davanti che lei era quello che era e nessuno poteva contestarla. Insomma, io potevo essere definita quella ragazza insolita perché non si amalgamava mai con un genere ben definito di persona poiché oscillava, a seconda delle giornate, tra più modi di essere, nonostante facesse completamente suo quello stile sempre diverso ogni giorno. Ebbene sì, ero influenzata dal tempo! Mi piaceva vivere alla giornata e decidere sul momento cosa ne sarebbe stato della mia vita. Ma questo lui non l’avrebbe mai capito, neanche in trent’anni…

“Non sai nulla di me. Come fai a dare giudizi?!” controbattei un po’ acida corrucciando la fronte.

“È molto semplice! Hai una dialettica che invidio nonostante, ogni tanto, esca fuori la tua anima ribelle. Possiedi un eleganza, anche nello sguardo, che fa rabbrividire e al contempo stesso eccita e attira. Sai come mostrarti senza essere volgare e non so se è una tua tecnica ma sei di quella giusta ingenuità che induce l’altro ad avvicinarsi e ad aiutarti. Attiri davvero gli uomini in trappola, persino io poco fa credevo che non fossi capace di stuzzicare ed invece mi hai volutamente sfidare per avere una reazione da me. Poi osservandoti meglio, sei effettivamente una donna di successo e non è possibile che tu sia solo una specializzanda, ma al contempo ti lasci trascinare dai tuoi stessi gesti da ormai vecchia teenager svampita e menefreghista.”

Cazzola! In neanche mezz’ora aveva capito tutto di me. Non potevo negare che il mio carattere tendeva alla sindrome di Piter Pan e si notava tranquillamente a miglia di distanza ma come avesse fatto a decriptarmi in così poco tempo resta ancora un mistero per me. Io che erroneamente tendo a sentirmi superiore agli altri, non perché credo che lo sia davvero bensì perché lo uso un po’ come contrattacco alle avversità, non avrei mai pensato di trovarmi di fronte un tipo del genere, in grado di non farmi ragionare in modo lucido sulla mia prossima mossa e depistandomi su quelli che, da lunghi minuti, credevo fossero indizi giusti per comprendere chi lui era. Ed invece era stato proprio lui a fregarmi e a vincermi sul mio stesso gioco nel minor tempo che mai nessuno avrebbe potuto fare.

Nonostante ciò, la mia mente e la mi memoria fremevano incessantemente per farmi riaffiorare un determinato ricordo dei tempi delle medie, come se in quel preciso momento mi servisse e fosse essenziale perché io potessi venire a capo del dilemma. Peccato che il mio cervello non connetteva poiché mi ritrovai il ragazzo a pochissimo centimetri di distanza da me intento a sovrastarmi su quegli stessi sedili.

D’istinto gli tirai un calcio nel costato pregando di non avergli fatto troppo male, in fondo mi era quasi simpatico. Quasi. O meglio, mi incuriosiva la sua mente e non volevo per niente al mondo perdermi l’occasione di studiarla, anche perché a quanto avevo capito di lì a poco sarebbe tornato in quel di Milano e mi sarebbe stato difficile adempiere al mio intento. Lui si accasciò tenendosi la pancia con entrambe le mani e piegandosi sui sedili di fronte, ma ebbe comunque la forza di avvisarmi in tempo con un gesto della mano che sulla mia borsa si era poggiato un enorme ragno amaranto con venature grigie. Mi maledissi mentalmente poiché capii che voleva solo salvarmi da quella creatura velenosa e scattai indietro per evitare che mi saltasse addosso. Cercai il modo migliore di agire e non so come ma con il tacco feci cadere il ragno grande quanto un pugno a terra che subito corse verso il mio compagno di viaggio. Mi presi di panico non volendo che gli facesse ulteriori danni di quanto io non ebbi già fatto ed afferrai febbricitante il mio pesante blocco notes e glielo scaraventai addosso con tutta la violenza che potei. Lo beccai al primo colpo, povero ragno, ma il ragazzo ora era per così dire salvo.

“Scusami davvero. Non era mia intenzione farti del male, mi ero solo spaventata.” tentai malamente di rimediare al danno ormai commesso aiutando anche a far rialzare il ragazzo che come una saetta mi avvolse tra le sue braccia e mi spinse verso la parete del silenzioso vagone.

Con una luce che indicava un’immensa voglia di possedere mi disse: “Questo almeno me lo devi.” e puntò sulle mie labbra senza pensarci due volte.

Mi dispiaceva davvero ma non lo avrei baciato. Volsi il capo di lato e me lo scollai di dosso senza remore. In silenzio mi risedetti al mio posto e stranamente lui non replicò imitandomi.

La linea dura di chi ha perso un’importante match era disegnata sul suo viso contrito ed io mi sentivo leggermente in colpa. Non sapevo che fare ed il silenzio stava per consolidare con noi un legame troppo forte che non avrei mai voluto, così per distrarmi cercai nella mia borsa proprio il blocco notes che poco prima avevo scaraventato a terra ma di cui non ricordavo il gesto per qualche motivo e diventai quasi isterica tirando tutto fuori non trovandolo. Lui invece dal canto suo rise di gusto come un idiota e fu lì che il ricordo riaffiorò.

Due ragazzini nell’ora di italiano che annoiati dalla lezione di una megera giocavano a tris nonostante le occhiatacce dell’insegnante poiché il ragazzo non era al suo posto bensì stava facendo compagnia a quella singolare ma ecclettica ragazzina di cui era follemente e segretamente innamorato. Destino voleva che la ragazzina, troppo giovane per essere giudiziosa, non voleva legarsi a nessuno così proprio in quell’ora nel momento di più assoluto caos degli alunni indisciplinati quando il ragazzo finalmente si dichiarò, lei rispose semplicemente che voleva stare da sola. Nel corso degli anni si pentì di quella scelta ed il ricordo di lui, che in realtà alla ragazza interessava come più che semplice amico, purtroppo svanì lasciando un enorme e significativo vuoto in lei.

Sbiancai e rabbrividii capendo perché quella persona tanto attraente per il genere femminile mi affascinava. Me, che non mi soffermavo mai alle apparenze e che ero diventata più giudiziosa di quello che doveva essere una ragazza della mia età. Persi un battito mentre mi sorrideva, subito dopo aver raccolto da terra l’oggetto della mia inutile ricerca, e si beffava di me rievocandomi alla mente ogni piccolo momento e ogni piccola sensazione passata insieme a lui. Volevo solo scappare da lì. Pensavo fosse ormai una sezione ormai relegata del mio passato.

“Secondo me, dimenticheresti anche la testa se non fosse attaccata al tuo collo.” continuò a ridere di gusto tenendo la risma di fogli rilegati con un laccio grigio tra le dita. Me lo stava per ridare in dietro quando un bagliore fulmineo passò dai suoi occhi e gli intravidi malizia pura. Rise beffardo e ritirò indietro la mano, tentai ovviamente di essere più veloce avendo compreso le sue intenzioni e strapparglielo via, purtroppo era più agile di me. Mi bloccò con un ginocchio, come se ora dovessi essere io a prenderle di santa ragione e mi impedì anche solo di sfiorarlo. Si sporse in avanti sfidandomi e tirando in dietro il blocco notes affinché io non potessi toccarlo, guardandomi con aria di sfida.

“Ora mi diverto!” disse ridendo.

“Non oserai” sibilai in risposta stringendo a fessure gli occhi.

“Oh sì invece! Credi di potermi fermare? Ho già aperto una pagina.” mi avvisò mostrandomi il pollice tra due fogli.

Rabbrividii al pensiero che potesse capitare proprio lui su alcune pagine di quel che era un raccoglitore di ricordi. Saltò indietro sulla seduta e perse quasi l’equilibrio sbilanciandosi per via del tram ancora in corsa, ma non fu sufficiente a destarlo dal suo intento; infatti si aggrappò al palo più vicino e ruotando intorno ad esso si catapultò dall’altra parte del vagone. E come lo prendevo adesso? Non dovevo assolutamente fargli vedere il contenuto, era un oggetto privato. Così lo rincorsi e tentai di arrivare a prendere il plico, peccato che lui era più alto di me e nel tendermi verso la sua mano alzata i nostri corpi cozzarono. A quel contatto massiccio e possente retrocedetti all’istante per tentare una via più fattibile. Salii sulla seduta vicina e mi diedi la spinta per arrivare al libro senza toccare nient’altro di lui, anni e anni di ginnastica artistica dovevano pur servire a qualcosa, ma ancora una volta lui fu più svelto di me e si ritrasse in tempo. Allora adirata mi catapultai verso di lui che si trovava già dalla parte opposta del vagone e come una bambina piagnucolante tentavo di afferrare l’oggetto conteso.

“Un diario segreto forse? Confessioni piccanti o scomode? O dichiarazioni d’amore?” mi scherniva tenendo il plico in alto, lontano da me, e sorridendomi beffardo e alla fine, con entrambe le braccia in alto, riuscì ad aprirlo proprio sotto i miei occhi che tendevano all’insù.

In un primo istante il silenzio calò, potei vedere il suo volto mutare da un’espressione galvanizzata ad una sorpresa per poi essere meravigliosamente e seriamente interessata a ciò che vedeva. Le sue labbra carnose si schiusero in tono con i suoi occhi esterrefatti che osservavano rapiti quei fogli interamente bianchi vergati di bozze di disegni architettonici e non. La pagina che riuscì ad aprire però raffigurava un ragazzo col capo chino intento a scrivere su di un foglio una lista non significante.

“È meglio di ogni cosa che potessi mai immaginare.” gli sfuggì ancora con le braccia tese “Sai anche dipingere per caso?” chiese tranquillo sedendosi e sfogliando l’album ormai scoperto.

Tentai ancora un’ultima volta di recuperarlo ma lui mi schivo di nuovo e mi arresi definitivamente. Sbuffai ormai stanca e mi sedetti di fronte osservandolo fogliare con attenzione maniacale le pagine bianche che per me erano solo scarabocchiate in chiaro scuro, ma lui evidentemente ci trovava molto più se si era preso la briga di stare in silenzio ad esaminare l’intero album.

“Ci provo alle volte…” risposi molto atona, senza più alcuna preoccupazione e sentimento verso le sue azioni. Aspettavo solo il momento in cui il tram fosse arrivato alla mia fermata e avrei potuto scendere tornando a casa.

Non negavo alla mia coscienza che mi faceva un qualche effetto stare lì con lui, dopo tutto era uno dei miei primi amori, se non il primo vero in assoluto. Ricordai anche episodi successivi, quando ci incontravamo per i corridoi dell’istituto multi-disciplinare − ­­­io facevo l’indirizzo economico/management e lui il grafico – e mi evitava come la peste proprio per orgoglio passato imbarazzandomi come non mai. In cuor mio non sapevo come avessi fatto a dimenticarlo eppure il mio subconscio, forse per autodifesa o per importanza reale, lo aveva cancellato letteralmente via; infatti non pensai mai più a lui dopo l’ultimo nostro avvistamento se non da diedi minuti a quella parte. Il pensiero di lui che di lì a poco mi avrebbe di nuovo schernito riconoscendomi era l’unica cosa che mi teneva ancora sull’attenti.

Improvvisamente chiuse il libro e me lo porse senza espressione in viso, o meglio sembrava che mi scrutasse, che cercasse qualcosa di più in me ma che non avrebbe mai trovato. Riposi il blocco notes nella mia borsa e mi sistemai meglio sulla seduta accavallando le gambe, sicuramente più rilassata di prima, presi un respiro e voltai la testa evitandolo come all’inizio della corsa, senza motivo apparente, tentando ancora di evitarlo. Anche se questa volta era differente: ora sapeva tante cose di me anche se non ricordava chi ero e quale ruolo avevo nelle nostre vite, poteva anche smettere di osservarmi e cercare di carpire qualcos’altro di me. Ma come al solito su di lui mi sbagliavo sempre su quale fosse stata la sua prossima mossa.

Mi osservava insistentemente, lo percepivo anche se ero voltata, e ciò mi arrossiva irrazionalmente in modo sempre maggiore. Non sapevo cosa fare o cosa realmente volevo fare poiché era capace, come in passato anche allora, di mandare il mio cervello in tilt catastrofico. Sapevo solo che di lì a poco sarei stata di sicuro in una posizione scomoda da affrontare.

“Il tuo modo di osservare, il tuo modo di inquadrare le cose che poi imprimi su carta, il tuo modo di approcciarti, la tua finta arroganza, la tua infinita sensibilità per le cose degne di attenzione, il tuo modo di colorare in modo essenziale il mondo che ti circonda e il tuo fuggire da questo stesso mondo, mi ricorda in modo così aggressivo una persona che pensavo di aver lasciato indietro nella mia vita. Ma evidentemente mi ero sbagliato. Eppure oggi non capisco come persone identiche a te possano riuscire singolarmente ed eccellentemente a risplendere in un mondo di malati.”

Le sue parole mi spiazzarono. Che era possibile avermi riconosciuta? Sperai proprio di no, sarebbe stato scomodo e inopportuno in quel momento. Mi voltai e lo fissai impaurita negli occhi, così scuri e profondi. Avevo sempre avuto paura di sprofondarci dentro e che lui se ne fosse accorto deridendomi. Ma in un momento di lucidità mi accorsi di essere in un brutto scherzo della vita. Io ero lì ed anche lui, ma fino ad allora non avevo ragionato per niente sulle nostre vite. Insomma le cose si erano capovolte senza accorgermene, non solo per noi due ma per tutti coloro che in passato mi mettevano soggezione. Nella vita eravamo cambiati, ognuno aveva preso le sue strade e aveva fatto le sue scelte. Ognuno di noi era diventato qualcuno ed io in passato avrei pensato di non poter arrivare da nessuna parte ed invece era successo esattamente il contrario.

Ora io non potevo effettivamente sapere come si sarebbero ancora evolute le cose, ma lì li vedevo chiaramente tutti seduti in quel vagone, tutte quelle persone che mi facevo sentire in un certo qual senso inferiore, tutti ad osservarmi muti e in silenzio perché non capivano come io avessi fatto ed in realtà era un mistero anche per me. Eppure ancora nessuno di loro era diventato qualcuno, nessuno aveva finito gli studi, io stavo già facendo una magistrale dopo una laurea a pieni voti in tempo record, nessuno aveva trovato casa, io avevo casa ed un lavoro in una delle università più prestigiose d’Italia a soli ventidue anni con un appartamento condiviso ma di tutto rispetto, loro ancora cercavano la propria strada da percorrere, io in pochi anni la mia strada me l’ero costruita.

Scoppiai a ridergli in faccia percependo ogni persona scomparire per il senso di fallimento che li assorbiva in fretta. Lui mi guardò allucinato con un punto di domanda spiaccicato in faccia pensando che fossi davvero impazzita.

“Da dove ti esce fuori questa perla filosofica ora?” gli chiesi calmandomi e diventando ad un tratto così seria da farlo spaventare.

“Ma cos…” balbettò non capendo cosa intendessi.

Così mi avvicinai a lui e molto provocante mi sedetti sulle sue gambe, aprendo le mie e facendo fiorare i nostri nasi, nonostante non sentissi nulla di ciò che doveva essere attrattivo in quella situazione. Lui al contrario sentendosi autorizzato mise le mani sui miei glutei per reggermi e sentì un po’ amaramente il tram che rallentava la sua corsa.

“Cosa pensi delle opportunità perse? Nessuno può poi migliorare la sua vita ed essere migliore di come si era previsto?” gli chiesi seria turbandolo gravemente e sentendo la sua presa allentare.

Solo dopo qualche attimo di tentennamento mi rispose, non tanto sicuro di ciò che stava per dire. “Le occasioni perse sono perse e non si può più tornare indietro. È ovvio che la vita sia migliore avendo fatto subito delle ottime scelte. Sì, si può migliorare dopo che si raddrizza il tiro ma non di tanto.”

Mi scostai subito dopo la sua risposta e mi rimisi in piedi afferrando le mie cose, avendo sentito il mezzo arrestarsi, ed una volta in piedi, uno di fronte l’altro, gli sorrisi tranquilla.

“Sei acerbo! È per questo che non riesci a vedere realmente come sono. E pensare che fino a poco fa ridevi sotto i baffi e ti prendevi gioco di me perché ti credevi superiore, ma guarda meglio chi ti sta davanti, soprattutto delle scelte che quella persona ha fatto e ti sentirai in realtà un deficiente. È vero che le occasioni una volta passate sono perse, ma una persona determinata e con un preciso obbiettivo in testa può capovolgere la sua vita da un momento all’altro.” finii lasciandolo interdetto e varcai la porta del tram scendendo come un felino dal mezzo, seguita da lui come se fosse un cagnolino.

“Ma che hai in testa?” mi chiese non comprendendo davvero a cosa mi riferissi, ma subito dopo gli si accese una lampadina in quell’angolo buio di materia grigia e mi porse l’unica domanda che realmente valesse la pena fare: “Chi diamine sei?”

“Come? Non sei tu che carpisci ogni cosa delle persone che ti stanno davanti? Eppure dovresti sapere alla perfezione chi io sia!” lo schernii. Lui rabbrividì e intuii che qualcosa si era spezzato e non era più lo stesso.

Il tram ripartì veloce e sfrecciò nell’aria come una freccia scoccata con tutta la tensione nel braccio che un arciere affamato possa avere in una magra caccia, allo stesso modo lui scattò in avanti scampando allo schizzo della rotaia contro la pozzanghera a terra e mi si avvicinò ancora confuso. Allora tirai fuori dallo scompartimento ripiegato sul fondo del blocco notes uno dei disegni che non vedevano la luce da anni ormai. Ritraeva una mano ben delineata che a sua volta scriveva su di un foglio con una calligrafia invidiabile un preciso nome, una firma, Andrea.

Glielo porsi dicendogli: “Le cose si sono capovolte, Andrea.” mi voltai e girai l’angolo sentendomi osservata.

Me lo immaginavo che esaminava il foglio in tutte le sue sfaccettature, analizzandolo e chiedendosi perché lo conoscessi e perché io avevo una cosa così identificativa per lui. Solo alla fine avrebbe notato la firma alla base del foglio, infatti sentii i suoi passi veloci dietro di me, una voce affannata che gridava il mio nome: “Taira”


Taira Croft

   
 
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