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Autore: Soul of dreams    28/06/2018    1 recensioni
Vi siete mai soffermati ad ammirare le iridi di un suicida?
Si, esatto, quei due frangenti nei quali la gente comune scorge solo vuoto e motivazioni vane, mentre un buon osservatore, invece, sa che non è così. Se si presta attenzione, in quegli occhi, si può trovare il sorriso di un bambino; percepire la luce calda di un tramonto accarezzarti la pelle; perdersi, semplicemente, in un connubio di ricordi nostalgici e tenerezza.
Le pareti del cosmo mutano, facendoti avventurare in luoghi inesplorati.
Sono stata fortunata, da quando ho avuto il privilegio di imbattermi in quei pozzi profondi, la mia vita ha acquisito un qualcosa che non saprò mai spiegare a parole, ma che resterà per sempre confinato nei meandri del mio cuore.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cammino per questi corridoi immacolati con passo cadenzato. La mia mente vortica fra le strade di riflessioni insidiose ed estenuanti.
«Dottoressa Sullivan!», sento urlare all'improvviso.
Mi desto dai miei pensieri e mi volto.
«Richard, cosa succede?», mormoro, notando il ragazzo correre nella mia direzione.
È un giovane tirocinante, interessato alla branca della psichiatria, che ha scelto me come suo mentore.
«Deve venire assolutamente con me, si tratta del paziente della camera 201», esordisce con il fiatone.
Sgrano gli occhi. «Victor...».
Annuisce e, senza più indugi, lo seguo.
Arriviamo nei pressi della sala comune, dove sono presenti delle enorme vetrate dai disegni stilizzati. Quando le ammiro mi sembra di camminare in una vecchia chiesa gotica. I colori imprigionati in queste lastre cristalline sono a dir poco stupendi.
Sono state realizzate con l'aiuto dei pazienti, ognuno doveva dar sfogo al proprio Io, riversandolo su quei piccoli frangenti colorati.
Una cerchia di persone si riversa attorno ad una di queste, tutti fissano dinanzi a me con sguardo preoccupato.
Mi avvicino anch'io e noto la figura di un giovane, dai capelli corvini e gli occhi color ghiaccio, mentre è in equilibrio sul davanzale in marmo chiaro. Sta piangendo. Le sue iridi sono protese a guardare verso il basso, si sbilancia in avanti, lasciando che una sua gamba penzoli nel vuoto.
Gli infermieri, adibiti alla sua cura, cercano in tutti i modi di avvicinarsi e bloccarlo, ma lui prontamente li allontana, urlando.
Noto la figura di un mio collega, Robert, che lo esorta a stare tranquillo, sperando di riuscire a farlo allontanare da quella sporgenza.
Mi faccio strada fra la piccola folla che si è formata, parandomi dinanzi a tutto.
«Victor», esordisco, facendolo voltare.
La sua espressione è sconvolta, i suoi occhi sono confusi, offuscati da pensieri negativi e dolorosi.
«Dottoressa... non si avvicini! Se lo fa, mi butto senza nessuna esitazione», mormora, guardando verso il basso.
«Victor, ascoltami», mormoro attirando la sua attenzione.
Mi sbarazzo del camice, gettandolo al mio fianco. Faccio un passo in avanti.
«Si fermi!», sussurra stordito.
Alzo le mani e annuisco. «Tranquillo, va bene, non cercherò di ostacolarti in nessun modo. Se è questo quello che desideri, non mi opporrò».
Lui sussulta dinanzi a questa mia rivelazione.
«Però, prima che tu prenda la tua decisione, potresti concedermi lo straordinario onore di perdermi un'ultima volta nella tua anima. Sai, forse per te sarà indifferente, perché fra qualche minuto cesserai di essere, ma, invece, per me tale frangente potrebbe dimostrarsi estremamente significativo», dico, fissandolo intensamente.
Lui resta senza fiato, le sue intenzioni iniziano a vacillare.
«Senza nessuna pretesa, possiamo parlare solo come Elisabeth e Victor, nient'altro».
Gli sorrido e mi appoggio al davanzale della finestra adiacente, in modo tale da averlo di fronte. Il suo sguardo resta in attesa, vuole che io gli doni quello di cui ha bisogno per non farlo.
«Signori, gentilmente, potreste lasciarci soli?», affermo diretta al gruppo di persone che si è formato attorno a noi.
Dopo qualche istante di esitazione, tutti si muovono in direzioni diverse, pronti a tornare alle mansioni connaturate alle proprie vite.
Richard si sofferma un'ultima volta sulla mia figura, per poi sorridere e andare via.
Rimasti soli mi volto ad ammirare il meraviglioso panorama che si staglia fuori da quelle lastre sfumate.
I contorni della realtà assumo forme variegate, singolari.
«Sai, la prima volta che me ne resi conto, rimasi totalmente stregata. Come avevo potuto vivere tutti quegli anni senza rendermene conto?
Ricordo ancora quando una semplicemente alba, mi svelò i suoi segreti. Rammento che era buio, avevo paura, il dolore, il desiderio di morte avevano offuscato ogni cosa. Le cicatrici pulsavano sui miei polsi, avevo sedici anni ed ero al mio ottavo tentativo di suicidio».
La sua attenzione è completamente attirata dal mio discorso.
«Lo sentivo, ero convinta. Il mio momento era arrivato, in quella fredda giornata di Gennaio ero certa che sarei riuscita ad arrestare ogni cosa. La sofferenza, quei pensieri contorti, la perdita, tutte quelle accezioni sbagliate. Sarei stata libera, nulla poteva più fermarmi».
«Cos-cosa te lo impedì?», mormora il giovane a pochi passi da me, sedendosi sul ripiano in marmo.
«Su questo frangente la mia mente ha un punto di vista incerto. Non sono sicura se la telefonata partì da me o fu mia madre a chiamarmi, fatto sta che risposi. Volevo dirle addio, che la colpa non era sua, ma che il mio cuore era franato, non era più in grado di battere.
Ricordo ancora il suono delle sue lacrime. Non l'avevo mai vista così.
Mi disse che aveva bisogno di me, che le cose prima o poi si sarebbero aggiustate, che non potevo andarmene. Chi sarebbe stata la guida, la forza per i miei fratelli?
Pianse tanto, mentre l'impotenza cadeva sulle sue spalle.
Io ero da sola a casa e lei, con la mia famiglia, era lontana, non poteva raggiungermi.
Se in quel secondo la mia volontà avesse agito, lei avrebbe custodito quel sentimento di frustrazione in eterno. Avrei ucciso anche lei e io la amavo. Non volevo farle del male, non volevo che né lei né i miei fratelli soffrissero.
Così interruppi la comunicazione, posai tutto quello che ti contundente avevo preparato e uscii in giardino.
La notte stava scomparendo, lasciando spazio ad un nuovo giorno di sorgere.
Mi soffermai sulle sfumature rosate del cielo.
Erano bellissime, non l'avevo mai notato e in quel momento fui felice di non essere andata fino in fondo. Mi resi conto che, in questo modo, mi sarei preclusa tante cose. C'era ancora così tanto da vedere», sorrido, accarezzando con la mente quei frammenti di passato.
«Fu doloroso?», mormora.
Incastro le mie iridi alle sue e mi avvicino, sedendomi al suo fianco.
«Maledettamente doloroso, è come se ogni giorno un acido corrosivo dilaniasse le mie vene, ma nonostante questo una forza, a me sconosciuta, mi sussurrava continuamente dal profondo del mio Io: “Non temere, andrà tutto bene. Tieni a mente il tuo obiettivo e fa che esso divenga reale.”
Il mio desiderio di morte si trasformò in un dono, divenne come degli occhialini speciali che mi permisero di filtrare le cose di questo mondo e apprezzarne la bellezza collaterale. Già, quella meraviglia delicata che ti dona una ricchezza che mai nessuno potrà strapparti».
«Bellezza che ho scorto anche in te. La prima volta che ti vidi, stavi dipingendo. Tutti erano intenti nel farlo, ma tu sei stato l'unico a colpirmi. Mentre tutti si soffermavano sui contorni per poi impreziosirli con la tempera, tu eri diverso. Preferivi non rinchiuderti in delle barriere, ma lasciare che i colori prendessero vita, che brillassero nella loro grandezza. Che urlassero le proprie ragioni, motivazioni che solo alla fine si sarebbero adattate a dei confini sfumati, intenti a marcare, con più precisione, quello spettacolo stupefacente. Ovviamente per le persone comuni questo può essere considerato come un qualcosa di banale, ma non per chi indossa quelle lenti speciali che ti permettono di andare oltre».
Mi discosto da lui, ritornando nel punto dove ero, quando sono arrivata. Gli tendo la mano e resto in attesa.
«Victor, anche tu possiedi questo privilegio. Devi solo imparare a guardare, non voglio mentirti, ciò sarà estremamente difficile, ma quando avrai capito come si fa, tutto perderà importanza. Ci sarà solo tanta bellezza, qualsiasi siano le incombenze della vita, fidati di me», affermo con enfasi.
La sua espressione è tranquilla, ha smesso di piangere. Le spalle sono rilassate, così come i suoi lineamenti.
Poggia i piedi a terra e chiude la finestra per poi avvicinarsi velocemente a me.
Mi abbraccia, nascondendo la testa nell'incavo del mio collo.
«Grazie per avermi permesso di ammirare il mondo dalle tue iridi. Farò di tutto per costruirmi degli occhialini miei. Quando i brutti pensieri mi assaliranno, cercherò di tenerlo a mente».
Si stacca da me, mentre ci incamminiamo verso l'esterno.
Vi siete mai soffermati ad ammirare le iridi di un suicida? Si, esatto, quei due frangenti nei quali la gente comune scorge solo vuoto e motivazioni vane, mentre un buon osservatore, invece, sa che non è così. Se si presta attenzione, in quegli occhi, si può trovare il sorriso di un bambino; percepire la luce calda di un tramonto accarezzarti la pelle; perdersi, semplicemente, in un connubio di ricordi nostalgici e tenerezza. Le pareti del cosmo mutano, facendoti avventurare in luoghi inesplorati. Sono stata fortunata, da quando ho avuto il privilegio di imbattermi in quei pozzi profondi, la mia vita ha acquisito un qualcosa che non saprò mai spiegare a parole, ma che resterà per sempre confinato nei meandri del mio cuore.

  
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