Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Segui la storia  |       
Autore: baka_the_genius_mind    06/07/2009    12 recensioni
10 shot per cinque ragazzi, alle prese con le fasi dell'amore.
Chi sopravviverà?
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


{10} Miseinen (Ruki x Uruha)

Titolo: Miseinen
Sottotitolo: Morte
Rating: Arancione
Segni particolari: ultima shot :( che tristezza, mi sembra ieri di aver cominciato a scrivere questa raccolta, così quasi per scherzo.
Questa shot la dedico ad una persona speciale, ma speciale davvero:

TU


Tu che hai letto, tu che hai recensito, tu che hai messo questa fic fra le tue preferite, tu che...beh, tu :) Grazie a te questa raccolta è stata portata avanti. Grazie.
Note: credo forse la canzone che più mi ha fatto emozionare, di questa fantastica band. Grazie.
A loro devo molto.
Avvertenze: sarebbe carino possedere i GazettE, ma purtroppo non è così (ç__ç); loro appartengono a loro stessi, questa fic non è stata scritta per offendere chicchessia, ma solo per soddisfare la mia mente patologicamente ossessionata dallo yaoi e dalla loro musica (e dal sorriso fossettoso del buon vecchio Yutaka ♥)


La foto raffigurava cinque ragazzi trentenni, anno più anno meno.
All'estrema sinistra della foto Yutaka luccicava di quel suo sorriso gigantesco, le guance paffute solcate da due dolci fossette, gli occhi nocciola brillanti, la zazzera castano scuro spettinata. Accanto a lui Ryo, un finto sguardo glaciale, un sorriso molto strafottente in volto, i capelli biondo paglia striati di nero, la sciarpa blu che indossava gli copriva il mento. Si appoggiava a Yutaka, il quale gli cingeva le spalle con un braccio; le loro guance erano incollate, come francobolli. Uno dei bracci muscolosi di Ryo era attorcigliato al collo di Yuu, che rideva in modo bambinesco, con i denti bianchissimi e scintillanti in mostra e gli occhi semichiusi come un manga. Nonostante facesse di tutto per risultare altero e distaccato agli occhi del mondo, dentro di se aveva un animo candido ed ingenuo come la neve, buono e generoso. Il suo sorriso timido, assieme a quei grandi occhioni neri da Bambi, lo confermava.
Lì accanto c'erano loro.
Takanori e Kouyou.
Immortalati nel bel mezzo di un bacio a dir poco erotico.

Quella foto è meravigliosa.
Gli scribacchio velocemente sul bloc notes, porgendoglielo.
Annuisce, poggiando la cornice di semplice legno nero sul cassettone.
“Sono passati i tempi in cui eravamo giovani...guarda che masnada di illustri imbecilli che eravamo!”, rido silenziosamente alla sua frase.
Ricordo con immensa gioia i momenti passati insieme a loro. Posso affermare con una certa sicurezza che sono stati i momenti migliori della mia vita, l'apice della mia gioia. Quel periodo è stato il più luminoso e gratificante della mia vita.
Primo, contrariamente a quanti attribuirebbero la mia felicità alla mia fama, era per il semplice motivo di avere una famiglia; una famiglia vera, senza madri alcoolizzate e padri violenti, un solo agglomerato di fratelli uniti e cuciti assieme a filo doppio dalla musica.
Secondo, per aver conosciuto lui. Non ringrazierò mai abbastanza gli dei del cielo, nei quali tutto sommato non credo, per avermi fatto conoscere una persona meravigliosa come lui.
E terzo, per la musica. La fama era solo relativamente importante a quel tempo; ciò che era realmente lo scopo della mia vita a quel tempo, era poter cantare, sgolarmi fino a sentir bruciare la gola senza che nessun uomo dai miei stessi occhi freddi mi interrompesse con dure percosse perchè disturbavo la partita di baseball. Era importante sentire la musica confluirmi sotto la pelle, alzare lo sguardo ed affrontare il mondo, fiero di quello che ero, di ciò che la musica aveva fatto di me e del dono che gli dei del cielo mi avevano fatto.
Sono passati tanti anni da quell'era d'oro.
Ci siamo ritirati ormai, ma lo abbiamo fatto nel momento giusto, nel momento in cui avevamo capito che tutto ciò che potevamo condividere con il pubblico l'avevamo condiviso, e che ormai a continuare avremmo solo rovinato lo splendido ricordo di noi.
Ci siamo ritirati quando tutto il succo era stato spremuto, quando il piatto forte della serata era stato servito e gli ospiti si alzavano per tornare a casa. Ci siamo ritirati con la piena consapevolezza che non saremmo riusciti ad eguagliare l'apice della perfezione su cui stanziavamo da un bel po' d'anni.
Di questo cerca di convincermi Kou.
Ma io lo sento dentro di me che non è vero.
Sento dentro di me il desiderio profondo di cantare, cantare e cantare ancora; ho ancora tanto da condividere col mondo, tanti obiettivi da raggiungere, tante canzoni da cantare in faccia a milioni di fan, tanta musica che mi scorre dentro e che urla e si dibatte per uscire e mostrarsi a tutti.
Tuttavia mi sono rassegnato. O meglio, sono stato costretto a rassegnarmi.
Kou non fa altro che ripetermi che è stato il momento giusto, che ormai saremmo caduti nel banale, che avremmo perso tutto il rispetto che ci eravamo guadagnati con anni e anni di duro lavoro. Ma lo vedo dal suo sguardo su quella foto, lo vedo negli occhi avvolgenti di Yuu, in quelli nocciolati di Yutaka e in quelli sottili di Ryo, lo vedo che nessuno di loro avrebbe voluto questo. Lo vedo che il desiderio e la voglia di musica è ben presente dentro loro.
Lo so perfettamente che la causa del nostro ritiro sono io. E lo sanno anche loro.
Ovviamente, essendo le persone migliori che conosca e pure i miei migliori amici, fanno di tutto per non farmelo pesare; battute, risa, scherzi non si sono interrotti neanche quando sono stato ricoverato in stato oramai terminale.
So benissimo che il vero motivo del nostro ritiro è la mia impossibilità a emettere suoni che non somiglino al miagolio di un gatto in calore o allo stridore di un violino scordato. O meglio...rumori (perchè di questo si tratta) del genere li accoglierei con gioia.
No.
Io non riesco più ad emettere neanche un sibilo; non parlo e non canto.
Muto.
Era cominciato tutto con un banalissimo mal di gola. Una sciarpa attorno al collo e tanti saluti; Yutaka mi aveva dato (o forse sarebbe stato meglio dire imposto) una settimana di riposo: ero il vocalist, perdere la voce per me era impensabile.
Erano seguite due intense settimane di sciroppi ed antibiotici. Niente.
Continuavo ad avere questo fastidioso bruciore in gola, sommato alla sensazione di aver qualcosa in mezzo all'esofago, che mi impedisse di inghiottire; cominciai, inoltre, ad accusare dolore all'orecchio sinistro. Fischi, scoppi e tuoni mi sembravano amplificati e molto dolorosi. Per non parlare degli acuti distorti delle chitarre elettriche. O dei fischi che il microfono lanciava indignato quando Ryo lo faceva cadere inciampo sul filo
Inoltre, complice della mia intensa vanità che mi costringeva a passare due ore buone al giorno davanti allo specchio, avevo scoperto dei piccoli rigonfiamenti duri come sassi e dolorosi al tatto subito dietro l'orecchio incriminato e sulla nuca.
A quel punto, una visita medica era stata d'obbligo.
Ricordo perfettamente tanti piccoli inutili particolari della mia vita. Per fare un paio di esempi.
Ricordo che quando mia madre mi regalò una scalcagnata chitarra classica di terza mano, facendosi promettere di nasconderla da mio padre, indossava uno scolorito vestito verde spento e i suoi capelli scuri e mossi erano raccolti in una coda disordinata. Sul volto ovale presentava diversi lividi violacei, ma il suo sorriso era luminoso. Ricordo la gamba della sedia su cui mi ero fissato al mio primo live: era un po' scrostata, e parecchio instabile; quando Ryo si sedette sopra, tremolò sotto il suo peso. Ricordo perfettamente la morsa che mi attanagliava lo stomaco e ricordo perfettamente di come Ryo riuscì a distruggerla con un ceffone ben piazzato e una risata sguaiata. Ricordo perfettamente di quella volta in cui una bambina occidentale dai soffici capelli biondi si era appesa ai miei jeans, in mezzo al traffico caotico di Tokyo, scambiandomi forse per sua madre; quando si era accorta dello sbaglio, quel piccolo angelo era scoppiato a piangere, correndo via. L'avevo vista lanciarsi fra le braccia di quella che era la sua vera madre. Potrei descrivervi con immensa precisione com'ero vestito il primo giorno di elementari o cosa mangiavo la prima volta che incontrai Ryo alla mensa delle medie. Ricordo che trasferendomi a Tokyo da Osaka, ascoltavo gli X Japan imbacuccato dentro un cappotto liso e sformato e che il primo dettaglio che notai in Kou fu la piccola e sottile cicatrice che ancora gli riga il polso.
Ricordo molti inutili particolari della mia vita.
Tuttavia la mia mente è sgombra riguardo a quel pomeriggio.
L'unica cosa che ricordo di aver pensato (o forse gliel'ho anche detto, al medico, con un sorriso strafottente e uno sguardo giocoso) è stata: “E' uno scherzo...vero?”







Vero?







“Heilà, scricciolo!”
Accolgo con gioia l'entrata chiassosa e disordinata di Ryo; come ogni singolo giorno da quando sono qui, sbatte il ginocchio contro il tavolino davanti al mio letto, imprecando come un camionista.
“Io li denuncio!” esclama irato, brandendo minacciosamente un pugno in aria, mentre con l'altra mano si massaggia il ginocchio.
“Sei il solito fesso!” lo rimbecca nervoso Yutaka, spuntando dietro di lui. Mi da una pena infinita vedere Yutaka ridotto in quello stato. E' sempre stata una persona semplice, dal carattere tranquillo ed affabile, vederlo scontroso e irritato non è piacevole. So che la causa del suo malumore sono io e ciò mi angoscia ancora di più.
Gli rivolgo un sorriso, al quale risponde titubante.
Istintivamente rabbrividisco. Mi porto una mano alla gola, sfiorandomi la cicatrice più lunga, quella che mi riga il collo distorcendo i miei amati tatuaggi fino all'angolo del labbro inferiore: per quanto fior fior di chirurghi plastici abbiano lavorato sul mio viso in modo da non lasciare traccia delle operazioni (in fondo sono pur sempre una celebrità), le cicatrici ci sono, sporgono in fuori come per mettersi in evidenza, col loro bianco colore bitorzoluto: i punti dell'ultimo inutile Metastasi. Una parola potente.
Il tumore aveva già raggiunto fegato e pancreas prima che i medici riuscissero a fare qualcosa di concreto.
“Si può?” il sorriso luminoso di Yuu, fa capolino dalla porta. Entra nella stanza come una ventata d'aria fresca, passando un braccio attorno alle spalle di Yutaka, trascinandolo avanti, come si trascina avanti un bambino timido che non ha coraggio di farsi vedere dagli ospiti dei genitori.
Mi arrampico sui cuscini per mettermi a sedere, ma sono così spossato che riesco a spostarmi di soli pochi centimetri. Effetto delle vagonate di antidolorifici che mi impediscono di contorcermi in preda alle fitte continue e presenti dappertutto nel mio corpo.
Capita spesso che non riesca nemmeno a percepire il contorno della mia figura, ch'io provi una voglia irrefrenabile di mettermi a correre e scalciare, solo per vedere se sono ancora attaccato a questo corpo e che concretamente non riesca neanche a muovere il mignolo sinistro. Non riesco a muovere mezzo muscolo senza provocare delle fitte acuti in tutto il mio corpo, anche solo respirare mi provoca un'intensa stanchezza; rimango da solo io, nel silenzio e nel buio, coi miei pensieri deleteri.
Essere coscienti in mezzo a questa merda è uno schifo, gente.
Preferirei che mi andasse in pappa il cervello, piuttosto che assistere alla progressiva morte del mio corpo.
La mano che Kou mi tende in aiuto, la afferro con forza, regalando al suo proprietario un sorriso genuino.
Neanche un mese prima, quando ancora le speranze mi tenevano tenacemente legato alla rabbia sorda e ceca che mi ribolliva dentro, avrei scacciato con furia quella mano: non sono un infermo, posso fare da solo, non ho niente, sto bene.
Non ho un tumore alla gola che mi sta trascinando verso l'oscurità.
Strano come la vita cambi in un mese.
Una sola parola (neanche due secondi per pronunciarla) per rendermi conto che perderò tutto ciò: Ryo e le sue fisse esilaranti, i sorrisi buoni di Yuu e quelli radiosi di Yutaka. Kou.
Kou e tutto ciò che lo circonda.
I suoi sorrisi, la sua risata, il modo in cui mi bacia dolcemente, o il modo in cui fa finta che sia tutto a posto. Il modo in cui si prende cura di me con le lacrime agli occhi e il modo orgoglioso e dignitoso con cui le ricaccia indietro.
Faccio leva sul suo braccio snello (vedo i muscoli tendersi sotto la pelle bianca) e mi metto a sedere. Lui si siede sullo sgabello accanto al mio letto.
Nonostante all'apparenza mi sembri la quintessenza della scomodità, il posto su quello sgabello è il cosiddetto posto d'onore, riservato solo a lui. Lui solo ci può passare le giornate, le notti, lui solo ci si può sedere sopra con un sorriso stanco e due profonde occhiaie violacee, lui solo – da quello sgabello – può prendermi una mano e portarsela alle labbra.
Nessun altro ha neanche tentato di appropriarsi di quello sgabello.
Non Ryo, ne mio fratello Keiji. Ne la fotocopia sbiadita di quella che un tempo era una donna bella e coraggiosa, una donna forte dal carattere deciso, una donna che – fra le altre cose – è stata anche mia madre.
Quello sgabello è suo.
E' la prova concreta del nostro legame.
Incrocio a fatica le gambe facendo spazio sul letto agli altri; solo Ryo ci si siede come fosse sul divano di casa, scalciando in piedi in avanti. Yuu e Yutaka prendono posto rispettivamente sul tavolo e sull'altro letto, vuoto.
Ad un malato terminale è concessa, la camera singola.

Ryo è il mio migliore amico. Indubbiamente.
Non ho altre parole per descriverlo, e ulteriori precisazioni sarebbe superflue.
E' lui il centro del mio affetto.
Come Yutaka lo è di Kou. E' inspiegabile il rapporto di quei due. Sembrano un unica persona scissa in due corpi. E'...impressionante.
Io ho Ryo, Kou ha Yutaka. E poi c'è Yuu.
Bizzarro Yuu.
Yuu è una di quelle persone – più unica che rara – che sono i migliori amici di tutti. Che sarebbe come dire che non lo sono di nessuno. Regola che trova la sua conferma nell'unica eccezione, nonché prova vivente, che abbia mai conosciuto.
Quando dico che Yuu è amico di tutti, intendo dire che è realmente amico di tutti. Non riuscirò mai a spiegare in modo esauriente ed efficace il ruolo fondamentale che ricopre Yuu all'interno del gruppo. E' il nostro pilastro, il collante, l'ingrediente segreto della formula GazettE.
E con questo non voglio dire che sia una persona sempre allegra e sorridente...dovreste vederlo quanto gli finiscono le sigarette, è uno spettacolo esilarante! Yuu non è un santo, solo la persona più vicina al mio ideale di perfezione.
Lo adoro e ammiro come un dio.
Avrei voluto essere come lui.
Ora che la mia vita è agli sgoccioli avrei voluto viverla con il suo entusiasmo e il suo sorriso.
Scribacchio rapidamente sul mio bloc notes, per poi lanciarlo a Yuu; lui l'afferra con l'automatica naturalezza di un appassionato giocatore di baseball, da una fugace lettura, per poi sorridermi.
“Mi sento un po' triste, piccolo...ma non ti devi preoccupare”, mi porge il bloc notes, regalandomi anche un'affettuosa carezza sulla testa.


“Non dire niente”
Non che avessi nessunissima intenzione di parlare, comunque. Anzi.
Mi precipitai in bagno e vomitai il panino al tonno che Kouyou mi aveva obbligato ad ingollare, preoccupato dalla mia magrezza. Effettivamente erano un bel po' di giorni che quella strana e fastidiosa protuberanza in gola mi toglieva l'appetito. E il fatto che la suddetta protuberanza mi impedisse di cantare, mi rendeva ancora più mogio e meno affamato. E sempre più nevrotico.
Ma la chioccia/Kou non aveva ammesso repliche; mi aveva piantato lo sguardo addosso, costringendomi a mangiare quel fottuto panino (che in effetti era davvero buono) fino all'ultima misera briciola. E questi erano i risultati.
L'immagine di quella disgustosa palla nera mi sconvolgeva. E la consapevolezza che quella merda stava dentro la mia gola e non aveva nessunissima intenzione di uscirci, mi fece vomitare anche l'anima.
Maledetto Kou. Maledetto lui e i suoi panini al tonno.
Credo che la potenza di quel mio insulto mentale lo avesse raggiunto. Sentii la sua goffaggine precipitarsi in bagno, urtando tutto ciò che di urtabile c'era in corridoio.
“Taka? Taka?! Merdaccia troia, rispondimi porco cazzo!”
Ecco la finezza da scaricatore di porto racchiusa dentro alla bambola di porcellana.
Altro conato; inghiottii febbrilmente, scosso da un brivido violento. Il mio amico mi afferrò per le spalle, scostandomi i capelli dalla fronte imperlata di sudore.
“Taka?”
“Ho quella merda in gola...” sussurrai in un flebile sibilo, così fioco che Kouyou dovette chiedermi di ripetere.
Freddo. C'era freddo in quella stanza. Un freddo bestiale che mi gelava le ossa.
Tremiti mi assalivano le spalle. Paura. Una fottuta ed intensa paura.
“Quella merda è dentro la mia gola!” gli urlai in faccia. Mi portai le mani al collo, d'un tratto totalmente terrorizzato. Con gli occhi spalancati vidi il marmo bianco del mio bagno scorrere rapido, mentre mi accasciavo a terra.
Gridai, mentre le mie unghie curate mi penetravano la pelle.
“Toglila, Kou!” lo guardai implorante, stringendomi il collo “Toglila...TOGLIMI QUESTA MERDA DALLA GOLA!!”

Quella fu la nostra prima volta.
Un po' traumatica se volete. Violenta e disordinata, dettata più dal reciproco bisogno di qualcuno, che dal vero desiderio carnale. Almeno da parte mia. Avrei dovuto accorgermi della dolcezza dei suoi baci, ma in quel momento avevo i pensieri sconvolti da tutt'altro. Mi prese con forza bruta, facendomi urlare come un agnellino al macello. Che paragone scabroso.
Io avevo bisogno di qualcuno che mi salvasse.
E lui aveva bisogno di salvarmi.
Non mi ero mai accorto che fosse così penosamente e sfacciatamente innamorato di me, quello era un pensiero che non mi aveva mai nemmeno sfiorato. Ma nell'istante stesso in cui lo capii, e ci volle ben più di una selvaggia e disperata scopata, mi sembrò che il mio amore per lui ci fosse sempre stato, che fosse sempre esistito e mi diedi dell'idiota totale per non essermene accorto prima. Abbiamo passato assieme sette anni, e ancora adesso mi angoscia terribilmente pensare che se fossi uscito prima da quel guscio avremmo potuto passare molto più tempo assieme.
Piansi fino a sentirmi stremato quella notte, fino ad abbandonarmi inerme fra le sue braccia, lo sguardo assente perso in pensieri densi di terrore.
Raggiunsi l'orgasmo in lacrime, esausto di quell'ondata di sentimenti che non riuscivo a capire e ad arginare. Kou piangeva silenzioso accanto a me, stritolandomi nel suo abbraccio.

Non era stata una decisione presa da entrambi.
Anzi. Proprio non mi aveva consultato, come se il mio parere fosse ininfluente.
Ma in quei sette anni in cui riuscii a sopravvivere, a fuggire dal cancro e a vivere – relativamente parlando – in pace, non è passato giorno senza che posassi lo sguardo su di lui e lo ringraziassi della decisione che aveva preso da solo.
Quando, la mattina dopo quella notte, mi trascinai in cucina con addosso la sua camicia, lui aveva appena posato il cellulare sul tavolo. Aveva gli occhi stanchi, cerchiati da profonde occhiaie.
Quando avevo palesato la mia presenza con un sonoro quanto finto colpo di tosse, lui si era girato a guardarmi.
“La ditta finirà i lavori entro tre giorni”
Gli avevo risposto con uno sguardo vuoto.
“Vengo a vivere qui”


Mi odio quando faccio così.
Che poi non è neanche un qualcosa di voluto.
Vorrei dare una scrollata al mio corpo, dirgli che solo un idiota come lui può essere così sfinito dopo una giornata intera passata a letto a far niente.
Odio questo fottutissimo corpo malato.
“Sei stanco?”
Cerco di mugugnare un diniego, ma ciò che ne esce è uno di quei gemiti lagnosi che fanno i bambini assonnati che non vogliono andare a dormire. E che risultano – udite, udite – patetici. Troppe cose stanno diventando patetiche nella mia vita.
Vedo Kou lanciare un occhiata un po' avvilita ai miei band-mates, un occhiata che vorrebbe cortesemente invitarli ad uscire dalla stanza.
Yuu è il primo ad afferrare il concetto.
Si alza poggiando una mano sulla spalla di Yutaka.
“Dai, ti porto a prendere un caffè” mormora al suo orecchio con un sorriso stanco. Che anche Yuu si sia stancato di sorridere? Mi sembra, quantomeno, improbabile.
Yutaka annuisce al suo nuovo angelo custode. Yuu si sta facendo in quattro per non fargli mancare il calore che solitamente gli riservava Kouyou.
Yuu gli stringe una spalla. Poi si volta verso di me con un sorriso, passandomi il dorso della mano su una guancia.
“Ci si vede, Taka”, cerco di sorridergli, ma non ci riesco.
Confido nella sua incredibile capacità di leggere gli sguardi delle persone.
Ryo mi lancia uno sguardo malinconico; mi passa una mano fra i capelli, con un sorriso sfiancato. Poi si alza e se ne va, seguito da Yuu e Yutaka.
Anche lui si è stancato di sorridere. E questo lo trovo intollerabile.
Abbandono la testa contro la montagnola di cuscini, con un sospiro esausto.
Kou mi asciuga velocemente la lacrima dispettosa che mi sono lasciato sfuggire.
“Coraggio, cucciolo...coraggio” mormora flebilmente, sedendosi sul letto, accanto a me.
Lo guardo.
Sono stanco.
E sono stanco di essere stanco.
Con l'ennesimo patetico gemito lagnoso, e con l'ennesimo stanco movimento della mano, gli indico il bloc notes, che Yuu ha lasciato sul comodino. Kou me lo porge, assieme ad una penna che sbuca quasi per magia dalla tasca dei suoi jeans.
Da quando ho smesso di parlare casa nostra è sommersa di pezzi di carta e penne. Fa uno strano effetto vedere tutti le mie parole trascritte con la mia grafia nervosa e traballante.
Arrivato a questo punto, le speranze di rivedere la mia casa, la nostra casa, rasentano lo zero. E questo mi spiace. Avrei voluto riviverla ancora, quella notte.
L'ultima.


Sbuffai una risata amara.
“Kou, la finisci?” adesso che ricordo, la mia voce si era affievolita già allora. Non era rimasto nulla della potenza, dell'intensità disarmante, delle note sensuali che la mia voce riusciva a produrre e che io amavo emettere.
Il passaggio dall'indebolimento alla scomparsa era stato breve e tremendamente doloroso.
Sobbalzò alle mie spalle. Si sentiva al sicuro, nella penombra della stanza, nei suoi singhiozzi silenziosi. Era notte inoltrata e credo che confidasse nel fatto che solitamente le sedute di chemio mi lasciavano un ammasso stremato di muscoli doloranti e che quindi dormissi alla stragrande. Lo sentii tirare su col naso, come un bambino colto in fragrante con le dita dentro al barattolo di marmellata.
“Non piangere Kou”
Si avvicinò a me, facendo frusciare le lenzuola. Sentii il suo respiro sulla mia pelle nuda e rabbrividii. Mi voltai lentamente, preparandomi psicologicamente a quello che avrei visto.
Un drammatico tripudio di bellezza, un quadro meraviglioso, dipinto e tessuto coi malinconici sentimenti del pittore, il suo viso piangente era un bellissimo strazio. Gli accarezzai le guance bagnate, gli zigomi, le palpebre tremanti e le labbra socchiuse in ritmici e deboli singhiozzi. Gli sfiorai le spalle, le clavicole, assaggia la pelle del suo collo con le labbra, scivolai leggero sul suo torace magro.
“Ti amo, Kou...ti amo”
Le sue lacrime silenziose si moltiplicarono in risposta alle mie parole.
Lo sapevamo entrambi che quella era l'ultima notte che avremmo passato assieme.
Cioè, nessuno dei medici l'aveva detto espressamente, ma lo sapevo che la mia malattia aveva oramai raggiunto lo stato terminale e che il ricovero del giorno dopo avrebbe sancito la fine della mia vita. Lo sapevo che non avrei mai più rivisto nulla che non fosse stato le pareti bianche della mia stanza e la cuffietta verde dell'anestesista, e questo lo sapevo anche lui.
Gli sollevi il mento con due dita.
Metastasi.
Con i pollici gli asciugai le lacrime.
Metastasi.
“Faresti l'amore con me, hitoshii hito?”
Metastasi.
Entrò dentro me con dolcezza, soffocata a forza dentro ad una foga disperata. Quando gli feci cenno di muoversi, mi torturò di spinte forti e profonde.
Metastasi.
L'orgasmo ci sorprese entrambi in lacrime, col grido del nome dell'altro sulle labbra, coi cuori sanguinanti e le menti alla deriva.
Metastasi.
“Taka, non mi lasciare”
“Non te lo posso promettere”
Metastasi.
Rimase dentro di me tutta la notte, e l'alba ci sveglio stretti in un abbraccio disperato.
METASTASI.



Volevo che rimanessero ancora un po'.
Scrivo rapidamente sulla prima pagina libera che trovo; mi trovo a rivedere le precedenti conversazioni fra me e il mio angelo. Scritte sulla carta ci sono solo le mie battute, ma le sue me le sono impresse a forza nella mente, me le sono registrate come una melodia, che riascolto fino all'infinito.
Riascolto le sue parole, la sua voce bassa e roca quando il dolore diventa insopportabile, quando la nausea mi impedisce perfino di reggermi in piedi, quando non sono occupato ad implorare un dio in cui non credo di darmi la morte.
Kou legge le mie parole e fa un enorme sospiro.
A volte dimentico che forse lui soffre più di me, in questa situazione.
“Taka...devi riposarti.”
Quello che più mi manca, nelle conversazioni, è poter interrompere la gente. Era una cosa che mi riusciva benissimo e che dava dinamica alla conversazione.
I botta e risposta non riesco più a farli.
Proprio adesso vorrei interrompere le sue parole. Ma non mi riesce neanche di tappargli grossolanamente la bocca con una mano: solo scrivere mi prosciuga tutte le mie ultime energie, figuriamoci alzare una mano.
Non è che riposandomi guarisco.
E tutte le sfaccettature che avrei potuto dare a questa frase: scocciata, divertita, malinconia...non posso dare la giusta intonazione alle mie parole.
Kou sospira ancora, corrugando la fronte.
Indossa una paio di jeans qualunque, comuni e una maglietta nera larga e sformata. Il volto liscio e delicato è contratto da smorfie addolorate e coperto da una corta peluria; i capelli biondo miele, motivo di vanto incredibile ed oggetto di buona parte della sua attenzione quotidiana, sono sottili e spettinati, castano scuro nell'abbondante parte di ricrescita, biondo spento nei rimasugli di tinta.
Mi mancherai, Kou.
E' in quel momento, quando il blocco scivola dalle sue dita tremanti e cade a terra, che Kouyou crolla. Definitivamente.
Vedo la sua facciata cadere.
Sono settimane, mesi, che si tiene su per miracolo, ma fino ad ora ha resistito a tutte le batoste psicologiche che gli abbiamo dato io e la mia malattia. Ma una facciata crepata non può resistere a lungo.
Scoppia in un pianto disperato, nascondendo il viso fra le lenzuola; il suo corpo magro al quale tante volte mi sono spudoratamente appoggiato è ricurvo, sull'orlo di spezzarsi: ora come ora non sarebbe capace di sostenere neanche il peso di una piuma, figuriamoci quello della mia angoscia.
Faticosamente porto una mano fra i suoi capelli.
Vorrei abbracciarlo, sussurragli che è tutto okay, che non si deve preoccupare, vorrei asciugargli quelle lacrime strazianti e baciare quelle labbra carnose. Vorrei sentire ancora una volta il suo sapore, ma so perfettamente che quella notte ho perso tutto questo.
Non riesco neanche a dirgli che lo amo.


“E a quel punto gli dico: 'Cara mia, il sentimento è del tutto reciproco!'...”
Tutti e quattro scoppiano a ridere.
Scuoto la testa, abbozzando un sorriso divertito. E' sempre stato un pagliaccio Ryo, un fenomeno da baraccone, una di quelle persone che, per esempio, ad una festa catalizzano tutta l'attenzione delle persone e che sono la causa di tutte le risate. Con le sue battutine, le sue colossali stronzate, le sue fisse esilaranti, quando si sta accanto a Ryo è impossibile rimanere seri per più di qualche minuto.
Persino in una situazione come questa.
Sono stanco, esausto a tal punto che il solo sforzo per tenere alzate le palpebre o per tendere le labbra in un fiacco sorriso mi sfianca. Ma devo resistere.
L'orario di visita termina fra quindici minuti, io devo resistere fino alla fine.
Posso perdere la mia vita, la mia famiglia da un momento all'altro, non posso togliermi quindici minuti assieme a loro solo perchè sono stanco.
Vedere Kou così allegro e apparentemente spensierato è migliore di tutti i litri di medicinali che mi sparano in vena e che credo stiano cominciando a perdere il loro effetto. Ne è la prova il leggero pizzicore, tanto mirato quanto doloroso esattamente nello sterno.
Che maledetto bastardo.
Mi corrode dall'interno, senza farsi vedere. Vigliacco.
Continuo a sorridere stancamente, mentre Ryo ne racconta un'altra delle sue. Tutti scoppiano a ridere, ma io non li sento, vedo solo vagamente i contorti sfumati dei loro colpi.
Gemo.
Le mie palpebre crollano, mentre il dolore dentro al mio torace esplode in milioni di schegge bollenti. Un urlo mi squarcia i pensieri.
Mi ritrovo da solo, nel buio più totale e nel silenzio più oscuro che abbia mai visto. Attorno a me il nulla. Il dolore nel mio petto è scomparso: avverto solamente un debole formicolio.
Mi guardo introno, ma l'unica cosa che vedo è il mio corpo, il resto è avvolte nelle tenebre più fitte.
D'un tratto, proprio come un fulmine nel cielo nero e temporalesco, una scarica elettrica mi attraversa il corpo, facendomi esplodere i muscoli dal dolore.
Spalanco gli occhi e una luce bianca come solo una luce può essere mi acceca. Chi è che fischia? Dev'essere quell'imbecille di Ryo. Socchiudo gli occhi e me lo trovo davanti al naso.
Ovviamente non capisco che è lui dall'aspetto. Mi rendo conto che quell'ovale dagli sfocati color biondo platino e corvino è realmente il mio migliore amico dalla sua voce che, seppur flebile, arriva alle mie orecchie.
“Non morire, Taka...ti imploro, non morire adesso...”
Se potessi scegliere quando morire, mio caro Ryo, sceglierei di non morire mai e di rimanere immortale come Elvis o hide. O Jim Morrison. O Jimi Hendrix. O Sid Vicious, lo stesso Vicious di cui tu hai il poster appeso in camera, come il dodicenne punk dai rabbiosi capelli neri che eri quando ti ho conosciuto.
Lo capisci questo, vero Ryo?
Di nuovo il buio. Chi è che fischia in modo così assordante? Dei del cielo, piantatela di frantumarmi i timpani!
Un'altra scarica ustionante mi invade i nervi, che esplodono e urlano. Urlo anche io, credo. Sento un urlo bestiale e disumano, cavernoso, un urlo denso di sofferenza.
Poi il silenzio.
Cerco di aprire gli occhi, ma è tutto buio. Sbatte le palpebre fino a farmele bruciare indolenzite, ma è tutto buio.
Non li vedo. Chi ha spento la luce?
Kou? Fatemi vedere Kouyou.
Sento vagamente l'urlo lamentoso di qualcuno. E' la mia anima?
Una voce bassa e cadenzata.
Il calore che mi avvolgeva il fianco sinistro scompare, come anche la mano che stringeva la mia. Piagnucolo, tendendo una mano nel vuoto. Afferro a casaccio un qualcosa di caldo e morbido, e con le ultime forze prego gli dei che sia la mano di Kouyou mentre la penetro con le mie unghie, mentre sento il fischio affievolirsi e la mia coscienza spegnersi lentamente.
Avverto vagamente qualcosa di liquido che mi scivola dagli occhi e qualcosa di vischioso che mi macchia il mento, e poi ancora uno sprazzo di luce così intensa che rischio di soffocare e poi...




Takanori Matsumoto morì a marzo, nel bel mezzo della fioritura dei ciliegi.
La sua gigantografia spiccava in un tappeto di rose bianche, il suo sorriso impertinente visse ancora una volta, derise apertamente la schiera di persona che piangevano la sua morte. La sua voce suonò stranamente e fastidiosamente metallica, attraverso le casse.
Le note astratte ed intense di Miseinen suonarono per l'ultima volta.

“Ho bisogno di stare da solo”
Gli altri annuirono, incapaci di emettere suono.
Erano le prime parole che Kou diceva dopo quella notte e probabilmente, almeno per un paio di settimane, sarebbero state le ultime.
Ryo aprì la bocca.
Ryo Suzuki era stato il migliore amico di Takanori, e lo si vedeva, lo si vedeva da quello sguardo affranto e profondamente avvilito, lo si vedeva benissimo che molto probabilmente non si sarebbe più ripreso. La persona su cui aveva sfogato tutto il suo amore fraterno non c'era più e lui si sentiva in balia del dolore, come un naufrago in mezzo alle onde.
Non ci sarebbe voluto tanto perchè Ryo si lasciasse sopraffare da quegli enormi cavalloni.
E spesso, la volontà di un naufrago di rimanere attaccato alla vita non è sufficiente.
Ryo Suzuki richiuse la bocca, incapace di proferir parola.
Yutaka volse lo sguardo altrove.
Yutaka Uke preferì non guardare il suo mondo, il mondo che aveva costruito con fatica e sudore, - la sua famiglia - andare a rotoli. Volse lo sguardo altrove, incontrando lo sguardo sorridente de impertinente, libero da lenti artificiali che ne modificassero il colore, di quello che era uno dei suoi migliori amici. Lanciò uno sguardo davanti a sé.
Non solo aveva perso Takanori, il fratello più caotico ed irresponsabile della famiglia, ma anche Kouyou, il più onesto e dolce. Non era così stupido da pensare che Kou si sarebbe mai ripreso dalla morte di Takanori.
Yuu sorrise.
Yuu Shiroyama regalò al mondo uno dei suoi sorrisi scintillanti, mentre tutto attorno a lui piangeva disperato.
“Non lo fare”
I tre quinti ancora in vita dei GazettE lo guardarono.
Ma il suo sguardo si volse verso Kouyou Takashima.
“Non fare l'errore di crederti l'unico annientato dalla sua morte”, il sorriso di Yuu si pietrificò “Non lo fare” mormorò con voce rotta.
Kouyou si voltò verso il collega chitarrista.
Disperato.
In balia di un dolore così intenso e potente che rischiava di ucciderlo. Così bisognoso di una mano a cui aggrapparsi e così orgoglioso che non l'avrebbe mai ammesso.
Yuu fece due passi verso di lui. Due passi che, soli, bastarono ad infrangere le alte mura di dolore che Kouyou aveva eretto attorno a sé nell'istante stesso in cui la mano di Takanori aveva stretto la sua, per poi scivolare dalle sue dita e cadere senza vita sul lenzuolo, mentre il fischio assordante del suo cuore fermo gli perforava i timpani.
“Non ce la faccio...”
“Devi farcela...devi farlo per lui, Kou...Takanori non lo vorrebbe...”
Kouyou Takashima si sciolse in un mare di lacrime, mentre cadeva addosso a Yuu, in un abbraccio addolorato. Yutaka si avvicinò coprendo con una veloce falcata, la distanza che lo separava dal suo fratello più caro. Yuu si fece da parte, mentre un urlo strozzato e cavernoso, l'urlo di una bestia ferita, rigava l'aria umida di quella mattina di marzo.
“Non voglio vivere...non voglio vivere se lui non c'è...”
“Kouyou, ti supplico...”
“Non voglio vivere...”
“Fallo per noi” Yutaka gli prese il volto fra le mani, costringendolo a specchiarsi in quegli occhi nocciola e lacrimanti “Fallo per me, e per Yuu e Ryo...noi non siamo lui, ma ti amiamo...fallo per noi Kou, ti imploro...”
Ryo volse lo sguardo altrove. Mentre una cascata di lacrime gli inondavano il volto, volse lo sguardo verso il sorriso sprezzante e beffardo del suo migliore amico.
“Lui diceva sempre che sarebbe rimasto...”
I tre si voltarono verso il bassista.
“Diceva che sarebbe rimasto...che sarebbe diventato una leggenda e che non sarebbe morto mai...” si voltò verso i suoi amici, mentre un timido e sofferto sorriso gli distorceva il volto in lacrime “...diceva che non dovevamo piangere al suo funerale, perchè sarebbe nata una leggenda...” sbuffò una risata “...lo diceva sempre, quel coglione...me lo ripeteva fino allo sfinimento, mentre moriva...”
Kou lo fissò a lungo, per poi aprirsi in un sorriso doloroso.
“Che imbecille, eh?”
Ryo rise, soffocando nelle risa i suoi singhiozzi.

{terminata alle ore 19:40 del 6 luglio 2009, ritocchi e correzioni esclusi, ascoltando Miseinen dei The GazettE}




Adesso mi metto a piangere.
Mi mancherete. Mi mancherà entrare nel mio account e gongolare come una matta nel vedere che qualcuno ha recensito, mi mancherà rileggere otto volte il testo alla ricerca di errori che, alla fine, rimangono comunque perchè non li vedo, mi mancherà cercare le parole adatte per rispondere, mi mancherà fare il codice htlm a mano...ahhh, mi mancherà tutto ciò.
Però! Non disperate gente, perchè Mya tornerà alla riscossa ù.ù

Recensioni:

Shinushio: marito mio *-* a parte il fatto che mi hai resa la moglie più felice del mondo quando hai aggiornato, oggi pomeriggio, ma poi...tutti quei complimenti...guarda che poi mi monto la testa ù.ù
Aishiteru caro mio ♥

Narah: *---------* ma certo che ti sposo ♥

Aredhel Noldoriel: Se tu sei banale e ripetitiva io cosa sono che ad ogni recensione positiva non riesco a fare altro che ringraziare? Grazie, grazie ed ancora grazie (:

irisviola: spero non rimarrai delusa dai miei prossimi lavori...ci sto lavorando appunto perchè venga fuori bene, ma scommetto che verrà fuori una di quelle cose melense e diabetiche in cui io sono campionessa xD
Grazie, grazie mille (:

LadyWay: Zitti tutti ù.ù Non era semplice indovinare, in fondo, anche se erano solo due le coppie rimaste ù.ù
Anch'io sono bimbi-dipendente ** Anche se il mio cuginetto la prima volta che l'ho preso in braccio mi ha lanciato un urlo in growl nelle orecchie (ò.ò) che a momenti divenivo sorda xD Però sono una bimbi-dipendente lo stesso ù.ù
I'll be back (è giusto vero? Perchè non sono una cima in inglese xD) Tornerò. Regreserò. [e qui le mie conoscenze di lingue si fermano xD]
Grazie mille ♥

misa_chan: Massì, Reita fa tanto il figo ma in realtà è tenero come il burro ù.ù e a vedere quel tenerone di Uruha non può che sciogliersi ù.ù
Grazie della recensione carissima (:

Deneb: ribadisco, per me Reita fa tanto lo spaccone e il figo ma in realtà è sensibbbbile e tenerone ** beh, a me le cose diabetiche mi vengono su così, ma per scrivere qualcosa di vagamente serio mi devo mettere seriamente d'impegno ò.ò
Ohhhh, ancora giganteschi complimenti per la fic...sono così felice che la palla sia passata a Kai (io adoro Kai, nel caso tu non te ne fossi resa conto ù.ù)
Un bacione ♥

Riot Star: la scimmietta cappuccina xDDD
Tu chiedi scusa? E io che non trovo il tempo neanche di leggere i capitoli della tua fic T^T Ahh, che tristezza, il tempo è tiranno con entrambi cara mia T^T
Ma adesso mi fai piangere...cioè, tu che dici che vorresti essere brava come me? Cioè, cose dall'altro mondo, tu che hai scritto una long-fic da urlo letteralmente.
Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie e ancora grazie ♥
Ti amo ù.ù Decisamente ù.ù






Eccoci qua.
Allora...innanzitutto ringrazio così da subito chiunque recensirà quest'ultimo capitolo della mia raccolta. Vado molto orgogliosa del mio lavoro. Molto. Ed è una cosa più unica che rara xD
Se troverò il tempo (ne dubito, ma ci proverò) mi sforzerò di rispondere ad ogni recensione via mail ed a ringraziare personalmente chi ha recensito e sostenuto il mio lavoro.
Poi, ringrazio infinitamente chi ha messo questa raccolta fra le proprie preferite anche senza commentare, ovvero Aletheia, Archangel Reliel, Aredhel Noldoriel, botsuraku, DarkKiller, fliss90, Isult, kinokochan, LadyWay, misa_chan, NekoChiaki, OkuChan, Riot Star e xiao4sheng.
E anche a chi ha solamente letto la mia raccolta e l'ha apprezzata.
Grazie. Grazie e ancora grazie.
Non ho parole, solo....GRAZIE.

A presto,
Mya.
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: baka_the_genius_mind