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Autore: Fonissa    30/06/2018    1 recensioni
"Il rosso è il mio colore preferito. Ma non il rosso di un pennarello o il rosso del tramonto, ma il vivido rosso del sangue che scorre. Quel bel colore che esce quando il mio coltello affonda nella carne delle mie vittime. Mi sento così bene quando lo faccio, mi sento finalmente me stessa.
Questo lato di me appena conosciuto... perchè non è venuto fuori prima? Eppure è questo che io sono. Non posso scappare a me stessa, devo accettarlo e andare avanti.
Io sono un'assassina"
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando la mattina dopo mi sveglio, ci metto un pò ad aprire gli occhi. La sensazione di un  letto unito e di un morbido cuscino fa in modo che io non voglia alzarmi. Eppure non è passato molto da quando dormivo in casa mia. Solo due settimane erano passate dalla mia prima vittima, ed ero già lontana chilometri da casa. Mi metto a sedere, stropicciandomi gli occhi. Da fuori si sentono le decine di voci degli altri ragazzi. Ieri io e Hiroji siamo rimasti tutto il tempo chiusi in camera. Non ho voglia di vedere altre persone, ma non posso farne a meno. 

All'improvviso la testa di Hiroji appare nella mia visuale.

"Buongiorno." dice sorridendo, in piedi sul letto di sotto e aggrappato con le mani al mio. Aveva insistito per dormire sul letto di sotto, ma non sapevo il perché. 

"B-buongiorno..." dico mentre arrossisco. L'immagine del ragazzo con i capelli biondi scompigliati, l'espressione assonnata e senza le lentine, mi fa battere il cuore forte. Lui mi guarda per qualche secondo, poi passa le sue dita tra i miei capelli.

"Devi aggiustare il colore, si vede la ricrescita scura." mi dice serio. Io ridacchio, balzando giù con un salto.

"Tranquillo, ci penso oggi." 

Qualcuno bussa alla porta, e una voce maschile ci chiede se può entrare.

"Un attimo." esclamo, poi io e Hiroji indossiamo le lentine. Appena fatto, vado ad aprire, ritrovandomi davanti un ragazzo della mia stessa età, i capelli neri erano fin sopra le spalle e gli occhi neri che ci guardavano curiosi. E' anche più alto di Hiroji, le spalle larghe e il fisico snello.

"Che ti serve?" esclamo fredda.

"Ehm... mi chiamo Ryushi. La mia stanza è a fianco alla vostra, volevo solo avvisarvi che stiamo tutti scendendo per la colazione." dice rivolgendomi un sorriso amichevole. Lo osservo un paio di secondi. E' carino, certo, ma Hiroji lo è di più. 

"Va bene, veniamo tra poco."

Faccio per chiudere la porta, ma lui la blocca con una mano, continuando a guardarmi.

"Come ti chiami?"

"Lily." rispondo prontamente. Mentire sul proprio nome è più difficile di quanto si pensi. Prima che Ryushi possa dire qualcosa, Hiroji si piazza in mezzo a noi. 

"E io sono Andrew, suo... fratello. -dice- e ora se non ti dispiace, io e Lily dovremmo cambiarci."

Ryushi arrossisce leggermente, annuendo.

"Si, certo... -poi mi rivolge un'ultima occhiata- allora ci vediamo tra poco, Lily." e detto ciò, se ne va chiudendo la porta.

"Hikaru, non ti avvicinare a quel tizio, non mi convince." mi dice Hiroji mentre prende i suoi vestiti.

"A me non è sembrato sospetto... forse solo un pò strano, ma è uno dei tanti ragazzi di qui."

Hiroji sbuffa, per poi chiudersi nel bagno. Io rimango qualche secondo a fissare la porta confusa. Akio si arrampica sulla mia spalla, richiamando la mia attenzione.

"Tu sai cosa gli è preso?"

Akio emette un verso che interpreto per un 'no'. Sospiro, per poi iniziare a vestirmi anche io. 

Quando siamo pronti scendiamo, trovando la mensa piena di ragazzi di varie età. Quelli più piccoli, fino ai cinque o sei anni, sono sotto il controllo di alcune ragazze, tra cui anche Lin. Io e Hiroji ci guardiamo intorno, cercando un sito dove sederci, fino a quando Ryushi non ci viene incontro. 

"Eccoti finalmente." mi dice sorridendo. Che ha da sorridere così tanto questo tizio? 

"Ci sono anche io." risponde Hiroji. Mi sembra di sentire il suo tono arrabbiato, ma non ne capisco il motivo.

"Ah, certo, scusami. Comunque vi ho riservato due posti e vi ho fatto anche dei vassoi. Dovete scendere più presto, o non troverete quasi niente. Molti si riempiono il piatto anche due o tre volte."

Io annuisco, seguendo Ryushi fino ai nostri posti. Io mi siedo in mezzo ai due ragazzi. Davanti a me c'è un vassoio con pancake. Subito inizio a mangiare, godendomi ogni morso. Era da quando ero andata a casa di Hiroji che non facevo un pasto decente. 

"Se posso chiedervelo... come mai siete qui?" ci chiede Ryushi dopo qualche minuto. Io guardo Hiroji, che inizia a parlare.

"Un giorno ci siamo svegliati, e ii nostri genitori non c'erano più. Li abbiamo aspettati per un paio di giorni ma niente. Probabilmente, non avevano abbastanza soldi per mantenerci." dice, senza alzare lo sguardo dalla sua colazione. 

"Ah... mi dispiace."

"Tu, invece?"

"I miei genitori non erano di questo paese, erano cinesi. Mio padre è morto per un incidente sei anni fa, mia madre si è suicidata poco dopo. Vivo qui da allora."

Lo fisso mentre racconta la sua storia. Anche lui è orfano, come me, ma non posso dirlo. 

"Allora... conoscerai bene questo posto." dico, cercando di rimanere con la mia espressione impassibile.

"Esatto."

"Come fanno a mantenere tutti questi ragazzi?" 

"Oltre i soldi che l'istituto riceve dalla città, ci sono molte donazioni."

"Il conto bancario di questo istituto sarà enorme..." aggiunge Hiroji.

"La direttrice è di vecchio stampo. Tiene tutto in cassaforte, nel suo ufficio."

Io e Hiroji ci scambiano uno sguardo. Era quella l'informazione che volevamo. Rivolgo uno sguardo alle ragazze che si occupano dei bambini più piccoli.

"Quelle sono volontarie o vengono pagate?"

"Metà e metà. Qualche volta, le volontarie rimangono anche a dormire, ma di solito ci sono solo la direttrice e Lin."

Abbozzo un sorriso per poi ricominciare a mangiare. Il fatto che di notte ci siano così pochi adulti, non può far altro che avvantaggiarci.

"E il marito della Yang?" chiede Hiroji.

"E' morto anni fa per malattia... nemmeno io l'ho mai conosciuto."

A quel punto, chiesi a me stessa di farmi un esame di coscienza.  Stavo mentendo a un ragazzo che non aveva più i genitori, proprio come me, e stavo programmando di derubare un centro di accoglienza per minori. Ero una brutta persona, lo riconoscevo. E allora perché non provavo niente? Perché non avevo nemmeno un briciolo di rimorso? Più il tempo dal mio primo assassinio passava, e più sembravo trasformarmi. Solo stare al fianco di Hiroji mi faceva battere di più il cuore. 

Finita la colazione, Ryushi mi propone di passare la mattinata nel cortile.

"No -risponde Hiroji al posto mio- io e Lily abbiamo delle cose da fare."

Io lo guardo stranito, ma Ryushi mi si avvicina, sussurrando:

"Per caso tuo fratello è molto protettivo con te?"

Ma prima che possa rispondere, Hiroji mi afferra per il polso, trascinandomi su in camera. Appena siamo dentro mi libero, guardandolo male.

"Si può sapere cosa ti prende?"

"Cosa prende a me? Sei tu che stai facendo amicizia con un ragazzo che non vedremo mai più in vita nostra!"

"Amicizia? Di cosa stai parlando? Sto solo cercando di raccogliere informazioni!"

"Si, certo. L'ho visto lo sguardo che gli hai rivolto quando ha detto di essere orfano. Non ti ho mai visto provare pietà e compassione nemmeno per le tue vittime."

A quel punto mi blocco. Non me ne ero resa conto. Davvero mi ero ammorbidita solo per aver trovato qualcuno come me? Ma dicerto, non posso far passare liscio questo comportamento a Hiroji.

"Prima di tutto, abbassa la voce, ci manca solo che ci senta qualcuno. Secondo, scusami tanto se mi ha colpito il fatto che Ryushi fosse orfano, ma sai com'è, lo sono anch'io. Non tutti hanno avuto la possibilità di avere un'infanzia serena, tu non ti sei trovato all'improvviso un assassino in casa!"

Hiroji mi guarda a occhi sgranati, per poi abbassare lo sguardo.

"Non era questo quello che intendevo."

"E allora cosa? Perché ti comporti così?" 

A quel punto, Hiroji si avvicina a me con uno sguardo strano, che non gli avevo mai visto. Credevo seriamente che avremmo iniziato una lotta, ma tutto quello che fa è poggiare le sue labbra sulle mie. 

  
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