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Autore: Il_Genio_del_Male    01/07/2018    5 recensioni
Quel che è stato perso non tornerà.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Sehun, Sehun
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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All’ombra del sole morente, sul pontile deserto di una cittadina lambita dal mare, stava seduto un giovane. Assorto e contemplativo, fissava alternativamente la tela quasi completa di fronte a sé e il panorama che egli aveva tentato di riprodurre con la maggiore precisione possibile.
Il tramonto era particolarmente suggestivo, quella sera. Nubi impalpabili di un fulgido magenta degradavano nel più vibrante color ambra via via che si avvicinavano all’orizzonte, dove il sole illuminava con la sua ultima luce le onde leggere che increspavano il mare. Una brezza salina scompigliava i capelli corvini del pittore, ne accarezzava il corpo flessuoso e abilmente sottolineato dagli abiti di foggia estiva.

Il quadro procedeva bene; prometteva di diventare un vero gioiello. Il pittore ne era soddisfatto. Era sempre stato il suo sogno, sin da bambino, guadagnarsi da vivere creando cose belle, che arrecassero piacere agli occhi e all’animo di chi le avesse ammirate. Ma quel breve momento di timida gioia non durò a lungo.
Sopraggiunto alle sue spalle, in silenzio, con la vigliaccheria di chi è mosso da intenti perniciosi, un uomo aggredì e immobilizzò il pittore. Per indurlo al silenzio gli serrò la bocca con una mano, e fulmineo gli puntò contro la gola la lama di un coltello.

“Se mi darai il tuo cibo senza protestare, e soprattutto senza gridare aiuto, non ti accadrà nulla di male” gli disse all’orecchio lo sconosciuto.

Eppure il pittore non provò paura; anzi, gli parve vagamente di conoscere quella voce. Scacciò via quel fantasma di passato e sperò di essersi sbagliato. Annuì, promettendo di non reagire, e indicò il fagotto ai piedi del suo sgabello. Il malvivente lo aprì e si servì avidamente del magro contenuto: un tozzo di pane secco e un fiasco d’acqua, un pasto povero che rispecchiava le finanze di chi lo aveva preparato e avvolto con cura la mattina stessa.
Il pittore osò voltarsi per osservare colui che aveva ritenuto necessario minacciarlo fisicamente in cambio di una pagnotta stantia. Il ladro teneva il volto coperto, gli occhi nascosti dal lembo di un cappuccio, e indossava i vestiti stazzonati tipici di uno che non navigava nell’oro. Divorava il cibo con furia ferina.

“Era la mia cena” mormorò il pittore quietamente.

L’altro alzò di scatto lo sguardo, nervoso e pronto ad attaccare. Aveva occhi profondi, neri di paura. “Sono un assassino” lo avvertì. “Se urli non avrò pietà della tua vita”.

“Non griderò. Ma non mangio da ore e quel cibo era mio”.

“Saperlo non mi muove a compassione, ragazzino” replicò l’uomo, in realtà giovane quanto il pittore. Lo scrutò con attenzione. “Sei molto bello. Ringrazia il fato che io sia di fretta e fin troppo affamato, perché avrei potuto rubarti ben altro” lo ammonì, uno sprazzo di cupidigia nelle iridi.

“Non lo faresti comunque. Non c’è alcun onore nel prendere con la forza ciò che si vorrebbe vedersi offerto spontaneamente” sentenziò serafico.

“Mi credi davvero capace di simili scrupoli?” rise, amaro. “Il mio mestiere consiste nel privare le persone del loro bene più prezioso. Un bacio o un boccone di pane, cosa vuoi che siano in confronto alla vita?”

“E ne vai fiero? Ne sei felice?” la domanda arrivò sferzante come uno schiaffo.

I due giovani si guardarono, in aperta sfida. Quelle parole. Un ricordo affiorò infingardo nella mente dell’assassino: vide una coppia di bambini che giocavano in un cortile alberato, i piccoli passi attutiti dall’erba soffice, le corse sfrenate, la gioia semplice dell’infanzia, il cielo sbarazzino di maggio, un’amicizia speciale.

“Da grande farò l’artista. Riempirò il mondo di bellezza!” proclamava un ragazzino.

“Io invece voglio diventare ricco, il più ricco di tutti” affermava il compagno.

“Ma saresti felice?” chiedeva l’amichetto. E lui non sapeva come ribattere.

Ci volle meno di un attimo, il tempo di un sogno. Nel volto armonioso e nella carnagione olivastra del pittore, l’assassino riconobbe il suo grande rimpianto, una memoria potente ma perduta e dolorosa. Il cuore iniziò a battergli furioso in petto. “Jongin” sussurrò. “Sei proprio tu?”

L’altro si adombrò. “Non hai risposto alla mia domanda, Sehun”.

L’assassino distolse lo sguardo. “Non so se esiste una risposta” ammise a bassa voce, vergognoso.

Il pittore sospirò. Poi iniziò a riporre pennelli e colori nella sua bisaccia. “Allora cercala. Quando l’avrai trovata, torna e riferiscimela”.

“Potrei non trovarla mai”. Studiò il dipinto che l’amico stava impacchettando, in procinto di riportarlo a casa. “È stupendo. Ti assomiglia”.

“Grazie” accettò il complimento con dignità. “La prossima volta, chiedi ‘per favore’. Sarò lieto di condividere con te quel poco che ho” gli rivolse un sorriso mesto a mo’ di commiato e si allontanò.

L’assassino rimase a lungo sul pontile, solo. A cosa stesse pensando, nessuno avrebbe saputo dirlo.

 

 

Chiama i ricordi col loro nome,

volta la carta e finisce in gloria.

(F. De André)

 

 

 

 

Se Volta la carta (https://www.youtube.com/watch?v=I-CB-PlPqEc) è la canzone che mi ha ispirato il titolo e la citazione finale, è a Il pescatore (https://www.youtube.com/watch?v=Rhj8Ana41cg) che devo la genesi di questa ficcyna. Grazie -come sempre- al talento di De André.

Una cliccatina è sempre gradita: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.

   
 
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