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Autore: Ily Briarroot    01/07/2018    8 recensioni
La castana continuava a guardarlo seria, sembrava non vederlo neanche. Aprì appena la bocca per parlare, percependo la gola bruciare e il dolore in tutto il corpo.
Fissò ancora una volta la persona che le aveva fatto quelle domande, ancora incerta. Dopodiché parlò.
«Tu... tu chi sei?».
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Timeless
Salvation


Il tempo trascorreva troppo in fretta, ma anche in modo tremendamente lento. In quell'ambiente quasi fuori dal mondo, immacolato, circondato dalle pareti bianche e l'atmosfera sterile, ogni cosa sembrava immutabile. Il respiro mozzato nei polmoni, il lieve tremore delle mani nascoste in tasca. Lo sguardo basso, per evitare di far trasparire l'ansia che gli attanagliava il cuore. Non riusciva a capire, né a essere razionale.
Lui, che faceva della logica lo strumento più importante della vita e che gli aveva sempre consentito di mantenere il sangue freddo, continuava a riflettere senza giungere ad alcuna conclusione che potesse portargli alla mente, nel dettaglio, quel ricordo. 
Le aveva risposto male, quella mattina. Forse troppo. Le familiari frecciatine che si scambiavano, alle quali entrambi rispondevano solitamente divertiti. Nulla di diverso. 
La sua voce malinconica e determinata lo aveva preso in giro, quando lui le aveva chiesto un parere su un caso. Lei si preoccupava, era scontato. E glielo faceva capire a quel modo, forse un po' brusco, ma la conosceva ed era consapevole della maschera che utilizzava per non far trasparire l'agitazione per lui, per il timore che si cacciasse nei guai. 
«
Cosa c'è, Shinichi? Se stai a casa per una volta, anziché andare in giro solo per stare accanto alla signorina dell'agenzia investigativa, magari risparmi la vita a qualcuno» gli rispose sarcastica, mentre iniziava le sue ricerche. Ma quella giornata era cominciata male, preso dal nervosismo innescato dalla solita pista sbagliata quando aveva creduto di essere a buon punto nel rintracciare l'Organizzazione, e anche adesso che era chiuso in quell'ospedale ad attendere notizie quella frase che gli era uscita involontariamente dalle labbra tornava prepotentemente nella sua testa. 
«Ti ho solo chiesto di farmi questa ricerca e non di sentenziare sulla mia vita». 
Già, l'aveva rilegata a una semplice aiutante da contattare quando aveva bisogno, per un indagine o per un antidoto. Poi era successo tutto troppo in fretta, una volta che ebbe riattaccato il telefono. Ai lo aveva raggiunto quasi un'ora dopo, nello stesso momento in cui, in quel maledetto edificio a vetrate presso cui era stato chiamato Kogoro per una consulenza, era riuscito a risolvere il caso. Il tempo di un istante. 
«Ho trovato quello che cercavi» gli disse appena, lo sguardo duro. Ricordava lo stupore per averla vista lì, nonostante la risposta secca di poco prima. Le rivolse appena un sorriso, a disagio, quando vide il colpevole dell'omicidio con uno strano oggetto in mano. Il sorriso sghembo, lo sguardo spietato. Il trentenne lo premette con le dita e qualcosa esplose improvvisamente, creando un boato tremendo mentre pezzi di vetro e di intonaco cadevano al suolo. 
Di colpo, il caos generale. La massa che spingeva, correndo verso le uscite di sicurezza, accalcandosi sulle scale e nei corridoi alla ricerca disperata di una qualsiasi via di fuga. Le travi che si staccavano dal soffitto, le macerie e la polvere che finivano a terra. Una volta sollevato lo sguardo, si era reso conto dei calcinacci che puntavano dritti contro di lui, staccandosi velocemente dall'alto. Non aveva pensato, in quel momento. Aveva percepito appena la voce di Ran che urlava disperata il suo nome, prima di chiudere gli occhi in attesa di un colpo che non arrivò. Aveva sentito un corpo minuto spingerlo via ed era rotolato a terra, battendo i gomiti sul pavimento pieno di polvere. 
Si era sollevato da terra, la vista sfocata a causa del pulviscolo negli occhi e l'aveva vista allora. Distesa sul pavimento, sotto le macerie che avrebbero dovuto colpire lui. Era scattato nella sua direzione senza pensare al resto, sentendo quasi indistintamente le voci di Ran e Kogoro nelle orecchie, al di fuori del suo campo visivo. I capelli castani le ricadevano sul viso, gli occhi chiusi. I vestiti impolverati e una chiazza di sangue sulla tempia. Conan aveva sfiorato appena la ferita che le si allargava sulla tempia, sussultando. Dopodiché le aveva preso il polso, sospirando di sollievo nel constatare la presenza, seppur molto lieve, del battito cardiaco. 
Aveva appoggiato le mani sulle sue spalle, scuotendola. L'aveva chiamata, senza ricevere alcuna risposta. Poi rivide la scena al rallentatore; Ran che correva verso di lui con i paramedici, mentre Ai veniva sollevata e posta su una barella. Si era lasciato trascinare in auto, senza reagire, senza fare nulla. 
E adesso si trovava fuori da quella stanza, con un dottor Agasa affannato che cercava di respirare regolarmente.
Conan spostò lo sguardo su Kogoro, in piedi contro la porta, e Ran, seduta con lo sguardo basso. Respirò a fondo, cercando di trattenere dentro sé la calma che l'aveva sempre contraddistinto. La nuova sensazione che lo stava invadendo da quando era riuscito a razionalizzare il tutto, era strana. Era diversa, un'emozione che aveva provato poche volte nella vita e che era in grado di lasciarlo con le spalle al muro, annientando ogni suo schema o ideale, ogni traccia di tranquillità. Persino gli aforismi di Holmes sull'importanza della calma e della lucidità per un detective, ora sembravano lontani, distanti. Persi. Era un qualcosa che lo stava avvolgendo, consolidandosi man mano che il tempo passava. 
No, pensò, non poteva lasciare che le accadesse qualcosa. Non per colpa sua, non in quella situazione. In seguito capì cosa fosse, quel fastidio all'altezza dello stomaco. Era paura. 
La stessa che lo spingeva a correre da lei, quando qualcosa non andava, e ad assicurarsi che Ai fosse sempre al sicuro. Si sentiva impotente, dietro a quella porta, in attesa di una notizia che non arrivava. 
Era completamente perso nei suoi pensieri, quando un uomo con il camice bianco varcò la soglia, avvicinandosi a loro. Sollevarono tutti lo sguardo di scatto e Agasa fu il primo ad andargli in contro, visibilmente irrequieto. 
«La bambina è stabile e completamente fuori pericolo. Tuttavia non ha ancora ripreso conoscenza, quindi dobbiamo aspettare che si svegli per poter effettuare degli accertamenti a causa della ferita alla testa che ha riportato. Dobbiamo escludere eventuali traumi» spiegò il medico, il tono calmo di chi ha tanta esperienza alle spalle. Fu Ran a parlare dopo qualche attimo di silenzio. 
«Certo, grazie. Possiamo vederla?». 
L'uomo annuì, facendo loro strada nell'ambulatorio. Ai aveva ancora gli occhi chiusi, ma l'espressione del viso meno tesa. Conan osservò le bende bianche attorno alla testa, stringendo i pugni. Di nuovo quella frase tornò a fare male. 

Ti ho solo chiesto di farmi questa ricerca e non di sentenziare sulla mia vita

Doveva svegliarsi e guardarlo, doveva farlo. Non aveva avuto il tempo neanche di chiederle scusa. Era arrivata lì e basta e adesso si trovava sdraiata su un letto del Beika General Hospital soltanto perché era corsa a salvarlo. Nonostante tutto, l'aveva raggiunto e aveva sacrificato la sua vita per lui. Di nuovo. 
Conan si avvicinò al letto, lasciando gli altri impietriti e dispiaciuti dietro sé. Le sfiorò appena la mano, notando poi il pallore del suo volto. Rimase un secondo in silenzio, dopodiché respirò a fondo. 
«Ti avevo detto di non farlo mai più. Ricordi?» le mormorò appena, ignorando se i presenti lo avessero sentito o meno. Le strinse appena le dita cercando un conforto, seppur minimo, nella speranza che lei aprisse gli occhi. 
«Dai, svegliati». 
Agasa gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Nessuno dei due si sarebbe allontanato da quel punto se lei non si fosse svegliata, lo sapeva. Ogni minuto in più era un peso in gola che non riusciva a deglutire. 
Poi, all'improvviso, Ai mosse le dita in modo quasi impercettibile. Fece lo stesso con le palpebre dopo qualche attimo e fu questo accenno a ridargli un po' della lucidità che aveva perso, mentre una minuscola traccia di sollievo gli scaldava le gambe e il corpo.
«Ai?». 
Fu allora che lei aprì appena gli occhi. Li socchiuse a causa della luce accecante della stanza, nel tentativo di mettere a fuoco le persone che aveva intorno. Una lacrima sfuggì veloce e nascosta dal volto di Agasa, mentre Ran e Kogoro sorrisero all'unisono. 
La bambina li scrutò uno per uno, confusa. Subito dopo, il suo sguardo si perse negli occhi del bambino accanto a lei che le teneva la mano. In una situazione normale, Conan si sarebbe scostato immediatamente dall'imbarazzo e da quell'affetto profondo del quale non si era neanche accorto, ma adesso andava bene così. 
«Ai, come stai? Tutto bene?» le chiese, sorridendole sinceramente. La castana continuava a guardarlo seria, sembrava non vederlo neanche. Aprì appena la bocca per parlare, percependo la gola bruciare e il dolore in tutto il corpo. 
Fissò ancora una volta la persona che le aveva fatto quelle domande, ancora incerta. Dopodiché parlò. 
Un tuffo al cuore, poche parole.
«Tu... tu chi sei?». 





************


Note dell'autrice
Eccomi con un'altra fanfic a capitoli! Credevo non ne avrei scritte altre tanto presto e invece sono ancora qui... in questo periodo ho una voglia matta di scrivere, purtroppo per voi. xD 
Non voglio anticipare nulla, anche se credo abbiate già intuito cosa accadrà. Volevo ipotizzare una situazione simile, nel quale Shinichi si troverà solo ad affrontare tutto. Come al solito vi ringrazio anche nel caso vogliate lasciarmi una recensione! A presto :3
  
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