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Autore: Corydona    01/07/2018    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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(Capitolo revisionato)

 

Il vascello con cui Erik era salpato da alcune ore navigava su un mare calmo, increspato appena dal soffio del vento. La nave oscillava dolcemente, cullandolo mentre ammirava la distesa d'acqua, rivolto in direzione dell'isola di Pecama dove sarebbe giunto in tre giorni, stando alle parole del capitano. Temeva, tuttavia, che in quel breve lasso di tempo si potesse scatenare il putiferio nel continente a settentrione. Tremava di rabbia al solo pensiero che durante la sua assenza i cortigiani cmunici potessero tramare alle spalle di Nicola; ma se lui fosse stato presente, si sarebbero comportati in maniera diversa? Non gli era possibile averne la certezza, sebbene sapesse che nello Cmune lui godeva di un prestigio negato all'erede al trono, anche se sapeva che lo doveva solo al suo casato. Si compiaceva di quel rispetto ossequioso, ne era ben consapevole, e in quel momento si accorse come tutti quegli onori sarebbero stati più consoni al principe Lotnevi.

Si ricordò di quell'uomo, che lui non conosceva se non di vista, che gli aveva domandato di prendere in mano le sorti dello Cmune. Lui? Per quale motivo? Con quale diritto?

Nessuno, convenne rimuginando tra sé e sé. In situazioni ordinarie Erik non si occupava di questioni internazionali tra altri regni, ma solo dei rapporti tra il Defi e i suoi confinanti, in attesa che il padre gli consegnasse incarichi più importanti. E il suo viaggio verso sud costituiva un'eccezionalità di cui, lo sapeva, avrebbe dovuto rendere conto al momento del rientro al castello, se non avesse incontrato Tancredi nel Pecama: in quel caso avrebbe avuto un tempo molto limitato per riflettere su quale spiegazione dargli.

Sbuffò stanco e pensò al suo fidato Peves, che aveva lasciato a un servitore della sua casata, con l'ordine di condurlo al castello. Venire a sapere che il destriero era tornato alle scuderie senza il cavaliere avrebbe mandato Alcina su tutte le furie, lo presagiva. La donna già era alle prese con l'animo ribelle della figlia, non avrebbe sopportato l'idea che anche lui agisse impulsivamente senza prima informarla. Ma cosa dirle?

Scosse la testa, voltandosi verso il timoniere che, rivolto in direzione della prua, manteneva la rotta. Erik si perse a osservare il cielo svuotando la mente, adoperando ogni suo sforzo per cacciare lontano qualsiasi pensiero. Il legno su cui si era imbarcato seguitava a ondeggiare, restituendogli una placida sensazione di tranquillità, a cui lui si abbandonò. Si sdraiò sulle assi ben saldate della nave e scrutò le stelle incastonate nella volta accendersi una a una, illuminandosi repentine, come se gareggiassero per stabilire chi fosse più splendente, invano: la luna era la padrona incontrastata della scena, piena e argentea, che toccava con i suoi candidi raggi ogni superficie, ogni volto, ogni increspatura delle onde, circondata dalle sue più pallide ancelle. Il mormorio del mare faceva da sottofondo e le grida stridule dei gabbiani erano scomparse ormai da diverse ore.

Era sul punto di addormentarsi quando udì la voce del capitano, Anselmo Liso, e quella del timoniere discutere tra loro.

«Non credo che sia il caso di cambiare rotta» sosteneva il timoniere.

«Il mare da quella parte non mi sembra affatto sicuro, si muove come se ci fosse qualcosa a ostacolarlo, invece! Se io ti ordino di cambiare rotta, tu esegui!» sbraitò Liso, un uomo attempato e temprato dai lunghi anni trascorsi a bordo. Era il migliore che ci fosse su Selenia, ma Erik lo sapeva solo grazie ai complimenti che il padre aveva elargito copiosi sulle sue capacità di governare una nave e di saper sopperire a ogni condizione avversa; il principe, dal canto suo, aveva pochissime conoscenze nel campo della navigazione e si era affidato a lui, quasi pregando la Luna di vegliare sul suo viaggio, in modo che il capitano non fosse messo alla prova.

Si alzò in piedi, deciso a scoprire se ci fosse un reale motivo per preoccuparsi. Senza troppe cerimonie, si fece porgere un cannocchiale per scrutare l'orizzonte, aiutato dalla luce chiara del candido astro. Distinse un'ombra scura muoversi sotto la superficie del mare, a poca distanza dalla nave, sebbene per lui fosse difficile stabilire quanto effettivamente fosse vicina; l'unica cosa di cui era certo era che si trattava di un mostro marino.

«Capitano, avete ragione» disse Erik, porgendogli il cannocchiale per permettergli di osservare. «Qualcosa si sta avvicinando.»

L'uomo chiamò un mozzo, più in basso, e gli ordinò di svegliare gli altri marinai sotto coperta, già escogitando un modo per vincere l'imprevisto avversario.

«Litil è sempre stato un mare tranquillo, ora non può spuntare un mostro dal nulla!» continuava a sbraitare il timoniere, inascoltato.

Il principe Inverno rimase immobile con lo sguardo fisso verso il punto in cui aveva scorto quell'ombra, mentre il mozzo eseguiva gli ordini di Anselmo Liso. Il resto dell'equipaggio si mostrò lesto nel levarsi in piedi e accorrere in difesa della nave: uno di loro accese un fuoco, forse per preparare delle frecce infuocate con cui attaccare il mostro, ma non ce ne fu il tempo.

Un tentacolo scuro e dalle enormi dimensioni si scagliò sul ponte della nave, diretto verso l'albero maestro; diversi marinai si avvicinarono per infilzare il tentacolo con le loro spade, o con la prima arma improvvisata che avessero trovato, ma il mostro fu più lesto di loro e con un colpo ne lanciò un paio in mare, mentre altri finirono scaraventati o verso i compagni o contro il legno della nave: a uno di questi, per la potenza dell'impatto, si fracassò il cranio e il sangue iniziò a scorrere abbondante sul suo volto sfigurato.

Erik assisté inorridito alla scena, cercando di rimanere in piedi reggendosi al bordo della nave. Il capitano gli intimò di rimanere lì, al sicuro finché la bestia si fosse concentrata sul ponte.

Questa si slanciò con un maggiore e rinnovato vigore, e con un colpo secco e preciso spezzò in due parti l'albero maestro, che cadde verso la prua. I suoi tentacoli continuavano a scagliarsi contro la nave, cercando di afferrare gli uomini che, armi in mano, provavano a ferirlo; vanamente, perché quello non solo sembrava non provare dolore, ma era come aizzato dalla tenacia con cui le sue prede lo contrastavano.

Il giovane osservava impietrito quella furia, incapace di muoversi e di compiere qualsiasi azione, aggrappandosi ancora alla nave, che oscillava di continuo e in maniera veemente. Vide una quindicina di marinai rimasti radunarsi e portare della legna da avvicinare alle parti della nave incendiate a causa del fuoco acceso poco prima dell'attacco, che però, oltre a non risultare vantaggioso per i difendenti, era anche balzato lontano dalle mani di chi lo aveva appiccato: uno dei tentacoli del mostro si era avvinghiato attorno alle gambe dell'uomo, per stringerlo in una salda presa e scaraventarlo in mare. Costui, dunque, non aveva avuto modo di difendere quello strumento tanto prezioso.

Erik identificò quella creatura come un grunmit, di cui aveva visto solo alcuni disegni in libroni polverosi quando era bambino. Si raccontava che la forza dei suoi tentacoli fosse difficilmente contrastabile, come stava accadendo davanti ai suoi occhi.

Ancora una volta il grunmit si scagliò contro la nave, avvicinando terribilmente le sue fauci ai marinai, che cercavano di eseguire gli ordini del comandante, ossia far avvampare il fuoco finché la bestia non si fosse ritratta dall'attacco; ma questo non accadde.

Un paio di uomini venne afferrato dai tentacoli e trascinato verso la bocca affamata del mostro: le loro grida riempirono l'aria fino a quando non furono inghiottiti, quasi risucchiati dalla bestia marina.

La disperazione iniziava ad avvolgere i rimanenti a bordo, che cercavano ormai solo di mettere in salvo la pelle, nascondendosi negli anfratti o afferrando qualsiasi appiglio sufficientemente solido per evitare di venire catturati.

Solo vane speranze: il mostro continuava ad attaccare, senza alcuna pietà. Come ubbidendo ciecamente all'ordine di uccidere ogni uomo presente sul vascello.

«Principe Erik!»

Venne richiamato dalla voce del capitano Liso proprio nel momento in cui era riuscito a muoversi, giungendo sino al ponte e sguainando la spada per colpire i tentacoli del grunmit, che stringevano in una ferrea stretta corpose componenti della nave, insieme ai marinai, per trascinarle sul fondo del mare, rendendole relitti destinati all'oblio.

L'uomo tentava strenuamente di mantenere unito l'esiguo equipaggio sopravvissuto per organizzare una difesa che, ormai, appariva impossibile. La nave oscillò per un colpo inferto dalla bestia marina, e il principe Inverno finì tra le braccia di un mozzo, che lo rimise in piedi e lo spinse verso il comandante.

«Principe, voi dovete mettervi in salvo» disse Liso, conducendolo in gran fretta dal lato opposto del ponte dove, Erik ignorava come, era pronta una scialuppa. «Con un po' di fortuna troverete aiuto!»

«Non posso andarmene da solo!» ribatté lui, ben conscio, però, di non avere scelta: quegli uomini non avrebbero mai abbandonato la lotta contro il mostro marino, difendendo la loro nave fino all'ultimo respiro. Perciò, con il cuore in gola, lasciò che in due lo aiutassero a gettare la scialuppa in mare.

Poi remò solo, allontanandosi velocemente, contro le onde che lo sballottavano da una parte e dall'altra; tutte le sue energie erano concentrate nel porre una distanza sempre maggiore tra sé e quello che i suoi occhi continuavano a vedere, nella speranza che il buio della notte lo favorisse nonostante la luce lunare.

Il grunmit sembrava sul punto di avere la meglio sull'equipaggio che lo aveva condotto sin lì. Poi cosa avrebbe fatto? Erik tremò all'idea di poter divenire il dessert del mostro e i suoi muscoli si sforzarono ancora di più, ubbidendo al suo istinto di sopravvivenza.

Dal mare si sollevavano schizzi d'acqua salata che lo colpivano sul viso e sugli occhi, senza che questo permettesse al principe di perdere tempo. Ormai aveva trovato un ritmo regolare, ma fu proprio quando si accorse di essere a un buon punto della fuga che il vascello su cui aveva navigato nelle ultime ore venne spezzata in due e trascinato sul fondo del mar Litil.

Il gorgo che si generò per sua fortuna non lo coinvolse, già tanto lontano si era spinto; il principe guardò impietrito gli ultimi resti della nave essere inghiottiti dal mare, mentre le sue braccia si muovevano automaticamente, senza che lui avesse bisogno di controllarle.

Non pianse, ma il suo cuore si strinse in una fredda morsa. Erano stati colti alla sprovvista, quasi impreparati, e Anselmo Liso era ormai un relitto del passato. Aveva udito delle grida di terrore, che erano riecheggiate come le ultime che quelle gole avrebbero emesso. Il suono di una morte atroce.

Il giovane non si era accorto dell'arrivo di un mercantile che, dopo averlo affiancato, lo aveva superato, diretto impavido verso il grunmit che già si preparava a gustare un nuovo e inatteso pasto. Non appena la nave fu abbastanza vicina, il mostro si slanciò, ma il timoniere eseguì un'abile e rapida manovra che ingannò l'avversario, portandolo appena a sfiorare il legno.

Erik temette per la sorte di quelli che sarebbero potuti essere i suoi salvatori: se questa fosse stata la stessa dell'altro equipaggio? Una nuova paura gli strinse il cuore: se il mercantile fosse stato affondato, il suo stesso destino non sarebbe stato differente.

Il grunmit si nascose in acqua, come elaborando un nuovo attacco, mentre sulla nave accesero dei fuochi; il medesimo stratagemma che aveva ordito l'astuto, ma beffato, capitano che aveva navigato sotto i vessilli dei Primavera-Inverno. Erik non poté non domandarsi se in quel caso il piano sarebbe andato a buon fine.

Ma i marinai del mercantile si dimostrarono più pronti della precedente preda del grunmit e, come questo si slanciò con ogni suo tentacolo, gli impedirono di lasciarsi afferrare: il principe, che aveva smesso di remare incuriosito dalla battaglia che si infiammava improvvisa davanti ai suoi occhi, aguzzò la vista per spiare il ponte della nave, vuoto. Gli uomini erano radunati a prua e poppa, da cui scagliarono contro il mostro marino delle lance con la punta infuocata: queste si conficcarono nella carne del mostro marino, ferendolo persino sul capo. Il contrattacco improvviso aveva messo la bestia fuori gioco, probabilmente uccidendola.

Una voce giovane gridava ordini: che si preparassero nuove lance con cui accertarsi della morte dell'avversario, che venisse preparata una leva con cui sollevare il bottino nel caso in cui fosse caduto in acqua.

Erik si lasciò sfuggire un sorriso, dettato da un lato dal piacere che provava nel vedere il grunmit non compiere più un solo movimento, dall'altro perché immaginò che solo la follia di un ragazzo, a cui quella voce sembrava appartenere, avrebbe potuto spingere un intero equipaggio a scontrarsi contro una bestia simile.

Una nuova pioggia di lance, sebbene meno fitta della precedente, si abbatté sul mostro marino, decretandone la sconfitta.

Il principe si animò all'improvviso: quel mercantile sembrava fare al caso suo, se fosse diretto nel Pecama. Intuiva che gli uomini a bordo fossero senza paura del pericolo, come il recente combattimento aveva appena dimostrato, ma non era esclusivamente quello il motivo per cui riprese a remare, diretto verso la nave: si sentiva attirato, come da una forza invisibile che, oltre alla fiducia, gli suggeriva che farsi accogliere lì non sarebbe stato un errore.

Si fece forza e remò fino a raggiungere la nave vittoriosa, illuminato nome più solo dalla luce lunare, ma anche dalle torce del vascello.

«Capitano, uomo in mare!» gridò un'altra voce giovane, rivolta verso l'interno.

L'Inverno sollevò lo sguardo, incrociando quello di un ragazzo alto e robusto, con spalle larghe e torso nudo. Gli venne lanciato il capo di una corda, che lui utilizzò per salire sulla nave.

La prima cosa che notò una volta a bordo fu la composizione dell'equipaggio: probabilmente non c'era un solo membro che avesse superato i vent'anni. Comprese l'entusiasmo con cui era stato sconfitto il grunmit, l'aria di gioia che si respirava su quel mercantile illuminato e, mentre il ragazzo che lo aveva aiutato a salire sulla nave recuperava la corda, comprese la necessità di dover porre al sicuro la propria traversata.

«Devo parlare con il capitano» disse con tono sicuro, lasciando trapelare la sua abitudine a dare ordini.

Quello fece un cenno di assenso con il capo, scorgendo dei movimenti alle spalle di Erik. «Sta arrivando.»

Il principe si voltò proprio nel momento in cui un giovane alto, dalla pelle abbronzata e gli occhi scuri, saliva le scale fino alla prua, dove lui si trovava. Il volto appariva rilassato, forse l'aver vinto un mostro marino gli aveva donato una sensazione di tranquillità.

«Abbiamo raccolto un uomo in mare?» chiese al suo marinaio, non appena li raggiunse.

«Sì, capitano.»

«Bene, allora vai a dare una mano agli altri con quel calamaro che abbiamo pescato. Avremo da mangiare per qualche giorno.»

«Agli ordini!»

Non appena il giovane si allontanò ed Erik rimase solo con il capitano, quest'ultimo gli rivolse un sorriso gioviale.

«Perdonatemi. Ho dovuto mandarlo via in fretta» disse alludendo al marinaio «perché vi ho riconosciuto subito, principe Erik. Volete che il resto dell'equipaggio lo sappia?»

Il nobile rimase per un istante senza parole, più confuso che pronto a rispondere. Era già la seconda volta che durante il viaggio nel Pecama qualcuno lo riconosceva, dopo l'amico di Susanna; e questo iniziava a fargli dubitare sulla sensatezza delle proprie azioni.

«Non importa che l'equipaggio lo sappia, ma che io arrivi sano e salvo a destinazione» rispose. Poiché le sue parole gli erano suonate fredde nel momento stesso in cui le aveva pronunciate, cercò di mostrarsi ben disposto verso l'altro, rivolgendogli un accenno di sorriso. «Con chi ho l'onore di parlare?»

Gli occhi del capitano si illuminarono alla domanda, come se non attendesse altro. «Virgilio Gredasu, al vostro servizio.»

Dal ponte lo richiamarono, chiedendogli come sistemare i tentacoli del grunmit nelle botti vuote, al che lui rispose gridando di chiedere al suo secondo, visto che era impegnato.

«Perdonatemi, Maestà» si scusò con il suo ospite, tendendogli la mano, che Erik strinse.

La presa di Virgilio era molto solida, e le mani curate del principe quasi soffrirono per quel rude contatto.

«Eravate sul vascello affondato?» domandò il capitano. L'Inverno annuì e, pur non avendo molta voglia di parlarne, raccontò brevemente come si era svolto il primo attacco del grunmit.

«Posso ospitarvi sulla Millenaria» disse Virgilio, non appena il resoconto fu terminato. «Noi siamo diretti nel Pecama, a Punta Salina, ma se preferite possiamo attraccare nel porto di Zichi.»
Erik elaborò molto velocemente quell'informazione. Punta Salina era nel regno del Mare e più vicino alla sua personalissima meta di quanto lo fosse la capitale del regno d'Estate.

«Punta Salina va bene.»

«Perfetto!» esclamò cordiale il capitano.

Quella sua euforia non poté che mettere il principe di buon umore. Era raro vedere qualcuno che mostrasse con tale libertà il suo stato d'animo, che, date le condizioni, non poteva non essere dei più allegri. Avvertì istintivamente una simpatia per quel Virgilio: qualcosa gli suggeriva di poter riporre in lui la sua fiducia, anche per viaggi futuri, anche se, alzando lo sguardo, non c'erano stemmi di nessun regno sulle vele. Il che poteva indicare due cose: o erano dei trafficanti indipendenti, oppure degli aspiranti pirati.

Due categorie di cui aveva imparato a diffidare. Eppure qualcosa del clima sereno e gioioso che si respirava sulla Millenaria gli fece abbassare la guardia. Si stava ponendo nelle mani di qualcuno che entrambi i suoi genitori avrebbero disapprovato, ma Erik non credeva affatto di essere in pericolo.

«Purtroppo ho solo una cabina per gli ospiti ed è già occupata» disse Virgilio, aggrappandosi a una fune e lasciandosi dondolare. «Spero che per voi non sia un problema condividerla.»

Il principe tentennò di fronte a quell'offerta. Con chi avrebbe avuto a che fare? Sebbene sentisse una fiducia istintiva nei confronti del capitano, la cautela gli consigliava di pensarci su.

«A meno che non vogliate dormire sottocoperta insieme ai marinai» aggiunse l'altro con un sorriso, quasi di scherno.

«La cabina condivisa andrà benissimo» decise Erik all'improvviso, rispondendo a quel sorriso.

Scesero sul ponte, senza che qualcuno li degnasse neanche di un'occhiata; il che fece piacere all'Inverno, perché significava che a quei ragazzi non importava chi fosse appena salito sulla nave e che perciò non lo avrebbero infastidito.

Intorno a loro, i marinai si davano da fare per trasportare pezzi di grunmit; qualcuno correva dal cuoco di bordo portando in braccio brandelli di tentacoli, altri ne chiudevano parti in alcune botti di legno che altri ancora portavano sottocoperta... Altri lo stavano ancora estraendo dal mare, sotto lo sguardo vigile del capitano in seconda, con cui Virgilio aveva scambiato brevi parole.

Mentre il capitano lo conduceva sottocoperta, il principe tastò il pugnale di Ariel sotto il mantello. Era ancora in suo possesso, in attesa di restituirlo alla proprietaria dopo aver ottenuto delle spiegazioni.

Virgilio si fermò soltanto quando si trovò di fronte a una porta chiusa, prima di rivolgersi ad Erik.

«Devo avvertirvi che i miei ospiti sono qui in segreto. Devo chiedervi di mantenerlo, perché si tratta di una questione molto delicata. Posso fidarmi di voi?»

Il principe di Defi dovette trattenersi per non esternare la propria meraviglia. Il capitano di una nave di trafficanti gli chiedeva la fiducia? Non sarebbe dovuto essere lui a domandarla?

Annuì, silenzioso. Virgilio lo scrutò in volto per un istante, forse preoccupato, prima di bussare alla porta.

 

 


Angolino autrice
Questa è la prima vera scena di azione che scrivo e non sono sicura della resa logica di ogni particolare. Quindi sentitevi liberi di farmi sapere se qualcosa non vi convince o se va sistemata ;)

Ps. Secondo voi chi sta per incontrare Erik?

 

(Ultima revisione: 29/05/2020)

   
 
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