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Autore: Hiromi    06/07/2009    9 recensioni
Da un po’ di tempo a questa parte, ossia da quando mi sono finalmente svegliato, ho sempre la tentazione di presentarmi con una bella frasetta ad effetto: "Ciao, sono Kai Hiwatari e sono un idiota." Per una volta, è il maschietto a farsi tutti i crucci mentali per la riuscita di una storia d'amore!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Spero proprio di essere la prima a farti gli auguri, visto che li ho scritti da oggi alle 10

 Allora, prima di tutto ci tenevo a dire che ho scritto questa storia un bel di tempo fa e che, ora che è estate e ho tempo, sono curiosa di vedere un che ve ne pare... Attenzione, qualche personaggio (tipo il protagonista! XD) potrebbe parvi leggermente OOC, è per questo che ho preferito inserire l'avvertimento.

Una volta detto questo, buona lettura.

 

 

 

Innamorato per Caso

 

 

So she said what's the problem baby
What's the problem I don't know 
Well maybe I'm in love 
Think about it every time
Can't stop thinking 'bout it
How much longer will it take to cure this
Just to cure it cause I can't ignore it if it's love 
Makes me wanna turn around and face me

but I don't know nothing 'bout love

 

Accidentally in love – Counting Crows

 

********************

 

Da un po’ di tempo a questa parte, ossia da quando mi sono finalmente svegliato, ho sempre la tentazione di presentarmi con una bella frasetta ad effetto: «Ciao, sono Kai Hiwatari e sono un idiota.». Pensate un po’ che roba.

Beh, credo mi internerebbero subito in un ospedale psichiatrico visto che io, in genere, sono un tipo che non parla molto. Prima credo che Takao direbbe – possibilmente sgranocchiando qualcosa, conoscendo il soggetto – che è la frase più lunga che mi ha mai sentito dire in cinque anni d’amicizia, poi mi ricoprirebbe di domande.

Ma io non ne voglio parlare. Vi basti sapere che sono Kai Hiwatari, e che sono un idiota.

Ovviamente vi starete chiedendo il perché, e io vi rispondo. E con due parole: Hilary Tachibana.

La conoscete, eh? Ma sì, quella brunetta con gli occhi marroni, le gambe lunghe e affusolate, il sedere alto e – okay, stop.

Normalmente non dovrei parlare di lei in questi termini. Anche perché, se lo sa Takao, mi mangia. Letteralmente. Mi mette in mezzo alla sua cena e mi digerisce. Il tipo ha uno stomaco talmente d’acciaio che potrebbe farlo senza ombra di dubbio.

Figuriamoci, da un po’ di tempo a questa parte – esattamente da quando è avvenuto il patatrac – quando si parla di Hilary diventa peggio di papà castoro: non che si metta a raccontare delle storie per farla stare buona, ma poco ci manca, credetemi.

Da quando è successo quello che è successo, ogni volta che Hilary ci viene a trovare qui a casa Kinomiya, ecco che Takao viene posseduto dallo spirito della Santa Inquisizione – ma si, quello del diciassettesimo secolo! – e le fa tutte le domande che gli vengono in mente, finendo sempre per essere spiaccicato al muro da quella furia dai capelli color cioccolato.

Sento il cancello cigolare, segno che si è aperto. “Buongiorno!” una voce dolcissima mi fa alzare lo sguardo e, come al solito, sprofondo in quegli occhi marroni che conosco benissimo e che non smetterò mai di ammirare: per qualche idiota, degli occhi castani sono occhi castani. Basta, stop, punto.

Beh, a dir la verità lo pensavo anche io, prima di conoscere lei. Poi l’ho incontrata e, da quattro anni a questa parte, ogni giorno ammiro quegli occhi e ogni sfumatura che li attraversa.

Mi piacciono proprio, li adoro: innanzitutto, per il taglio. E lei ha un taglio bellissimo: occhi grandi e a mandorla; poi le iridi hanno un colore particolarissimo: color cioccolato con qualche sfumatura dorata che le rende ancora più brillanti. Ma non saprei dire se le preferisco così, al naturale, oppure quando andiamo al mare e il sole si riflette nei suoi occhi, entrandovi dentro come a voler far parte anche lui di quello spettacolo. E così, al sole forte del mare, i suoi occhi diventano color oro, vispi e bellissimi come sempre. Occhi da gatta. E io adoro i gatti, lo sapete, no?

“Ehi, Kai!” con un sorriso radioso mi si avvicina e mi bacia la guancia.

Io sento tutto: quel profumo che sa così di lei farsi sempre più vicino, le sue labbra morbide premere contro la mia guancia, la solita scossa che sento quando ci sfioriamo che mi attraversa, e la parte sfiorata da lei bruciare di un fuoco che non fa male; è più come lava incandescente che si nasconde, ma scorre inesorabilmente sotto la pelle.

“Accidenti!” esclama, ridendo e allontanandosi. Deve averla sentita pure lei, quella piccola scarica elettrica, ne sono sicuro. Poi tira fuori dalla busta bianca che porta in mano un cornetto e me lo porge. “Tranquillo, non l’ho fatto io!” mi fa, schiacciandomi l’occhiolino, accennando alle sue disastrose capacità culinarie.

Con un cenno la ringrazio, poi inizio a mangiarlo, visto che ho fame: mi sono alzato presto questa mattina, scoprendo che il frigorifero era praticamente vuoto, visto che ho sentito Daichi e Takao alzarsi per uno spuntino, questa notte.

Mi accorgo solo quando la vedo entrare che ha anche dei sacchetti, nelle mani. Mi alzo: chissà cos’ha avuto in mente…

Entro subito dopo di lei e sorrido impercettibilmente quando la vedo riempire il frigorifero: ha fatto la spesa! Ma come diavolo faceva a sapere…

“Sai, sarei venuta prima se non avessi incontrato la signorina Rumiko.” Mi dice, mettendo nel frigo delle lattine di birra. “Figurati, mi ha detto di aver visto, verso le due di notte, la luce della cucina accesa. È stato per questo che ho deciso di comprare qualcosina all’alimentari qui all’angolo. Lo stretto indispensabile, perché non avevo molti soldi con me…” fa, stringendosi nelle spalle, come a scusarsi. Io sto zitto: parlare non è nel mio stile.

La osservo mentre prende un piatto dalla credenza e vi posa gli altri cornetti in maniera coreografica. Canticchia tra sé e sé un motivetto e i capelli, legati in una coda, si muovono a tempo con i movimenti appena percettibili della testa.

I suoi occhi brillano e, quando incontrano i miei, il sorriso che mi regala le illumina il viso come un lampo di sole.

La porta scorre e non ho bisogno di voltarmi per riconoscere i passi di Rei, il mio migliore amico.

Kai, Hilary, che ci fate qui?” chiede, entrando in cucina.

“Sono arrivata cinque minuti fa.” Spiega lei, accompagnando con le dita una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio; poi gli racconta della nostra vecchia vicina di casa zitella, e sento Rei ridacchiare.

“Hai fatto benissimo, sei stata gentile.” La ringrazia. “Posso prenderne uno?” chiede poi, accennando ai cornetti. “Ho piuttosto fame.”

Ma certo!” fa Hilary, prendendosi un bicchiere di vetro dalla credenza. “Li ho comprati per voi!”

“Ah, allora posso stare tranquillo!” scherza il mio migliore amico, beccandosi un fazzoletto appallottolato in piena testa.

Hilary gli mostra la lingua, fingendosi offesa. “Ma guarda un po’ te che devo sentire!” esclama, mettendosi le mani sui fianchi. “E, comunque, ti informo che il mio corso procede alla grande! Giuro che quando finirà – ossia tra due mesi – vi preparerò una cenetta per dimostrarvi i progressi!” dice, riferendosi allo scherzo che Takao le ha fatto quattro mesi fa quando, per il suo compleanno, le ha regalato un corso di cucina di sei mesi.

Hilary l’ha presa come una sfida, e lo sta frequentando veramente. Ovviamente si è già vendicata, regalando a Takao, il mese scorso, due pillole di viagra.

Daichi e Max lo stanno ancora prendendo in giro.

Mentre la guardo scambiarsi frecciatine con Rei, noto qualcosa luccicare al suo braccio destro. So bene cos’è: è il bracciale d’argento che le ho regalato io.

Mentre Takao risparmiava per regalarle quel corso di cucina, io mi ero accorto che lei passava tutti i giorni davanti la vetrina di una gioielleria, e che contemplava sempre quel bracciale che poi io le ho comprato.

Quando lo ha scartato, ricordo che lo ha preso in mano come se non credesse ai propri occhi, e ha chiesto a sua madre di metterglielo con le mani che tremavano; poi mi ha guardato con gli occhi brillanti ed è corsa ad abbracciarmi. Ricordo che sentire il suo corpo premere contro il mio per la prima volta, e le sue braccia attorno al collo era stata un’emozione fortissima, che non credevo di poter provare. Quando poi premette le sue labbra sulla mia guancia, credetti di essere in paradiso.

Mi bisbigliò un ringraziamento alle orecchie, poi mi sorrise ancora. Ricordo di essermi accorto che i suoi occhi splendevano, non si limitavano a brillare. Era stato come se le stelle luminose di quella sera avessero deciso di trasferirsi lì di proposito, affinché tutti potessero ammirarle meglio.

“Cos’è tutto ‘sto casino?” biascica una voce familiare.

Hilary si volta verso la porta della cucina. “Oh, vi siete svegliati!” con ampie falcate, giunge verso la porta e butta le braccia al collo a Takao, scoccandogli un bacio sulla guancia. Gli sussurra qualcosa nell’orecchio e lui le dice qualcosa che gli vale una pacca sulla spalla.

Takao ride ed entra, seguito dagli altri; si sono svegliati tutti, persino Daichi. Vedendo i cornetti, ognuno fa la stessa battutina che ha fatto Rei; Hilary finge di esasperarsi, ma poi ride con gli altri.

I ragazzi fanno colazione insieme, con me che li osservo. Le loro chiacchiere e le loro risate si mescolano, si confondono tutte in un allegro insieme; è la risata di Hilary che non si confonde che, squillante e bellissima com’è, non riesce ad integrarsi, ad immettersi nella mischia.

È come uno squillo di trombe, un trillo di campanelli: non c’è altro che possa farmi sentire il cuore così leggero.

“Okay, adesso che ne dite di allenarci un po’?” propone Takao, alzandosi in piedi. Tutti annuiscono e si alzano; io faccio lo stesso. Vedo Max porgere la mano a Hilary per aiutarla ad alzarsi e lei dedicargli un sorriso.

Okay, adesso basta guardare lei; basta pensare che Max è dannatamente fortunato; basta continuare a desiderare che i suoi sorrisi siano tutti rivolti a me.

Ma chi voglio prendere in giro?! Non posso, non riesco, non voglio non guardarla più. Oramai non ci riesco nemmeno, quindi neanche ci provo.

È come se fosse una calamita; ormai la mia testa e i miei occhi si muovono da soli, la cercano in maniera automatica.

In giardino ci dirigiamo verso il piccolo campo di beyblade, e subito Takao mi si piazza davanti. “Partitona?” mi fa, con un sorriso che mostra tutti i suoi trentadue denti.

Io lo guardo: è sempre stato il mio sogno batterlo ufficialmente ad un torneo di beyblade, e un’esercitazione non mi farà certo male. Quindi scrollo le spalle, ma lui, che è mio amico da tanto, sa bene che ho accettato.

Ci posizioniamo davanti il campo, e lanciamo i beyblade. Dranzer attacca Dragoon ripetutamente ma, quando Takao ordina al suo beyblade di contrattaccare, il mio bey perde spazio. Io non mi arrendo e cerco di pensare ad una strategia. Quando la elaboro, è Dragoon a vacillare, questa volta e, con la coda nell’occhio, vedo Hilary aiutare il prof a raccogliere dei dati.

Ad un certo punto, un rumore fastidioso mi giunge alle orecchie.

Oh, no. Ditemi che è un incubo, vi prego.

E, invece, non lo è.

Vedo una macchina rossa, sportiva, fermarsi davanti al cancello di casa Kinomiya. A bordo c’è il coglione più coglione della terra, che guarda verso di noi con aria strafottente e il ghigno di chi sa che è riuscito ad avere qualcosa che io in particolare ho rifiutato. E, ahimè, non ha tutti i torti.

Vedo Hilary alzarsi con un sorriso e correre verso la macchina. Si sporge verso lo sportello per baciarlo (e io distolgo lo sguardo stringendo i pugni) e il coglione le dice qualcosa. Lei annuisce e torna da noi.

“Ragazzi, io vado. Sonny ed io andiamo alla festa in piscina di un suo amico. Ci vediamo domani, okay?” ci manda un bacio con la mano, poi si volta ed io la guardo salire sulla macchina, sbuffando.

Io sono un fascio di nervi. Avrei voglia di sbattere la testa al muro e dirmi da solo quanto sono idiota, tanta è la rabbia.

Anche se l’allenamento non è finito, richiamo Dranzer e lo conservo.

Sonny. Che diavolo di nome è Sonny?! Un nome da coglione, ecco che nome è!

I miei compagni d’avventura mi guardano, ma non commentano; sanno già, sanno tutto.

Giro sui tacchi e me ne vado, senza dire niente, dritto verso il belvedere. Lì riuscirò a pensare e a tormentarmi per benino.

 

Continua…

 

   
 
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