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Autore: Stephanie86    03/07/2018    1 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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16

 

“E quindi uscimmo a riveder le stelle.”

[Dante Alighieri, La Divina Commedia; Inferno, XXXIV]

 

 

 

Storybrooke.

 

- Belle?

La porta sbatté alle spalle di Tremotino, mentre lui avanzava di qualche passo. Le assi di legno scricchiolarono sotto i suoi piedi. Sembrava non ci fosse nessuno.

Fuori aveva smesso di nevicare nel momento esatto in cui Ade era morto. I nani si stavano dando da fare per riportare un po’ di ordine in città. Spalavano la neve, accumulandola ai bordi delle strade. Gli Azzurri erano andati dritti all’istituto della Madre Superiora a recuperare il piccolo Neal.

Nel cielo veleggiava ancora l’Aurora Boreale.

- Belle, sono tornato.

- Lo vedo. – rispose Belle, uscendo dal retro. Era terribilmente seria, pallida e con gli occhi cerchiati.

Anzi, non era solo seria. Era furibonda. E Tremotino capì che sapeva già tutto. Tutto di lui, tutto ciò che era accaduto negli Inferi.

Lui estrasse il pugnale e lo posò sul bancone, davanti alla moglie. Lo lasciò lì. Belle vi posò gli occhi. La lama scintillò brevemente nella penombra. Il nome dell’Oscuro risaltava sullo sfondo nero.

- Riprenditi il pugnale. – disse, invece, Belle.

- Quello che ho fatto... l’ho fatto per te. Per nostro figlio. Ade mi aveva in pugno, non potevo permettere che...

- So benissimo che cosa è successo, Tremo. Malefica è stata qui. Mi ha mostrato ogni cosa. – Belle gli fece vedere un vecchio acchiappasogni. – Un piccolo incantesimo. Sai, Tremo, hai minacciato sua figlia.

- Minacciato? È Lilith che ha minacciato me. Se te lo ha mostrato, dovresti saperlo. Ha parlato di Neal a sproposito, usandolo per convincermi a condurla nell’Oltretomba e poi ha minacciato di farti del male!

- Lo credo bene, Tremo. Hai vanificato il sacrificio di Emma. E per cosa? Per il tuo grande amore. Il tuo vero amore. Il potere. – Belle buttava fuori ogni parola come se gli stesse lanciando contro delle pietre. Lo raggiunse, fermandosi di fronte a lui. Non smise di guardarlo nemmeno per un secondo. I suoi occhi azzurri erano pieni di amarezza e lacrime. Li aveva già visti, così. Quando lo aveva condotto al confine di Storybrooke e poi lo aveva esiliato, usando il pugnale. - Poi, negli Inferi, hai fatto di peggio. Malefica ti ha osservato. Più volte. Hai stretto un accordo con tuo padre, perché ti aiutasse con Ade. In cambio, tu lo avresti riportato in vita.

- Non gli avrei mai permesso di tornare in vita, Belle. Io stavo...

Ma Belle non gli permise di difendersi. – Non solo. Hai cercato di trascinare anche Killian Jones nei tuoi piani. Hai fatto leva sul fatto che Lilith avesse ucciso Emma per ottenere il suo aiuto. Avresti sacrificato Lilith. Ma Killian ha rifiutato l’accordo. E poi hai evocato lo Spettro... sei stato tu. Ade voleva usarlo contro i suoi nemici e ha raccontato che era stata Cora, ma in realtà... sei stato tu. Hai proposto tu di evocarlo. Era Lilith l’obiettivo dello Spettro, ma ne hai perso il controllo.

- Volevo aiutarli a riportare indietro Emma Swan e liberarmi di Ade. Lilith è pericolosa, Belle. Una vita per una vita... non mi divertiva, ma eravamo lì per la Salvatrice. Normalmente... non si può tornare indietro. Qualcuno deve morire. L’Anti Salvatrice...

- Non la chiamare in quel modo. – lo interruppe Belle. – E vattene via. Ho bisogno di restare sola.

Tremotino allungò le braccia, ma lei si ritrasse. - E il bambino?

Belle non gli rispose.

 

 
- Mamme!

Emma aprì gli occhi, scoprendo di essere ancora abbracciata a Regina.

Solo che non era più nell’Oltretomba. Era a Storybrooke.

Era nello stesso punto in cui si trovava quando era morta. Davanti al lago, che era la porta per raggiungere il regno di Ade. L’erba era coperta da un pesante strato di neve fresca. Gli alberi erano spogli e dai rami cadevano blocchi di neve. Però l’aria era limpida e il cielo non era rosso, ma azzurro.

E c’era qualcosa... dei colori che danzavano. Tendaggi colorati sospesi nel cielo.

Credette d’immaginarseli, ma anche Regina li stava osservando, perplessa.

Henry si precipitò da loro, correndo. Quando le raggiunse era senza fiato e le abbracciò entrambe.

- Siamo tornate. – mormorò Regina, stringendo suo figlio. Ancora stentava a crederci. Solo un attimo prima erano in balia di Cerbero. Solo un attimo prima Emma giaceva a terra, esanime, appena cosciente, appena in grado di inghiottire un pezzo di ambrosia.

Invece ora era lì, con la sua giacca rossa. Una giacca rossa intatta. Lo strappo provocato dagli artigli di Cerbero era scomparso.

- Ce l’abbiamo fatta. – disse Emma, sorridendo e prendendole la mano.

Mary Margaret teneva in braccio il piccolo Neal. Appoggiò la mano libera sul viso della figlia.

- Come sapevate che eravamo qui? – chiese Emma.

- C’è sempre qualcuno che sa dove ti trovi. – rispose David.

Lily aveva un aspetto di gran lunga migliore rispetto all’ultima volta che l’aveva vista. – L’ho sentito. È stata... una sensazione.

- Papà... stai piangendo? – chiese Emma, guardando David.

- Certo che no. Sapevo che saresti tornata. – In realtà aveva le guance bagnate.

 

 
- Ogni città qualche guaio ha... ma qui è là c’è serenità... ma non a Nottingham!

Marian batté le palpebre, sorpresa dai raggi del sole. I suoi stivali scricchiolarono, calpestando la neve.

- Com’è triste subir questa tirannia e non poter volare via... – La voce del menestrello si interruppe di botto, con un singhiozzo strozzato. Poi riprese, ma quando lo fece era molto più alta. – FORSE UN PO’ DI GIOIA TORNERA’! ANCHE A NOTTINGHAM!

Subito Marian udì i passi di corsa. Piccolo John scivolò, finendo gambe all’aria. Due compagni lo presero per le braccia e lo tirarono su.

- Che succede, Cantagallo?

- Mamma?

Marian fissò il bambino di quattro o cinque anni che veniva trotterellando verso di lei. Dapprima pensò, terrorizzata, che fosse successo qualcosa a Roland e che anche lui si trovasse nel posto migliore. Aveva semplicemente seguito la luce, le voci che la chiamavano... ma Robin le aveva assicurato che Roland era al sicuro con le fate.

- Marian, sei tu?

- Mamma!

Marian sollevò il suo bambino e lui le mise le braccia intorno al collo.

Robin fissava la moglie, incredulo. E questa volta era davvero sicuro che fosse Marian. Non era un trucco, non sembrava un incantesimo messo in atto per ingannarlo.

- Robin...? Sono... Dove diavolo sono?

- A Storybrooke, milady. – intervenne John, poiché Robin non riusciva ad emettere nemmeno un suono. – Siete voi, vero? Questa volta... siete voi.

Sono viva?

Guardò la bambina di Zelena addormentata tra le braccia di Robin e le facce sconvolte degli altri uomini. Persino Cantagallo la guardava con occhi che erano diventati enormi.

Non era il posto migliore. Era il mondo dei vivi.

Era tornata.

- Non capisco. Ero nell’Oltretomba. Credevo di essere passata oltre...

Poi tutto intorno a lei si fermò di colpo.

Tutti erano improvvisamente immobili. Robin, sua figlia, con le manine tese verso il volto del padre, John e l’Allegra Brigata dietro di lui, Cantagallo seduto su una roccia, a piedi scalzi e con la bocca spalancata. Persino Roland era come congelato, con un grande sorriso stampato sul volto e gli occhi marroni che brillavano.

Marian sentiva ancora il vento tra i capelli, ma i rami degli alberi non si muovevano.

- Bentornata tra i vivi, milady. – disse un ragazzo, passando in mezzo a due uomini di Robin.

- Cos’hai fatto? – gli domandò, indietreggiando di un paio di passi e stringendo di più a sé Roland. – Chi sei?

- Sono solo un messaggero. Non abbiate paura.

Quando fu abbastanza vicino, Marian si accorse che non era affatto un ragazzo. Lo sembrava, ma le sue iridi erano dorate ed erano quelle di un uomo immensamente vecchio. Era a petto nudo ed indossava un elmo e un paio di calzari, da ognuno dei quali spuntavano un paio d’ali.

- Il mio nome è Ermes. E voi siete qui per volere di mio padre, Zeus. Non so se sua moglie ne è contenta, ma quello non importa, ora. – Il Messaggero degli Dei sorrideva, furbescamente. – Mio padre vi ringrazia. È per questo che siete tornata.

Confusa, Marian scosse il capo. – Ringrazia... per cosa?

- Il medaglione che avete dato ad Emma Swan ha distrutto Cerbero. Quel cagnaccio infernale è morto. Ed è un bene. – Ermes si levò in volo davanti a lei e volteggiò a mezz’aria. Incrociò le braccia al petto. – Ade e Cerbero. Due in un colpo solo. Erano millenni che non ci divertivamo tanto. Siete stata molto coraggiosa. Anche quando eravate in quel labirinto. Avete meritato una seconda chance.

Il Labirinto. Il Minotauro. La sua lunghissima permanenza in quel posto aveva assunto i connotati di un sogno. Come se fosse accaduto a qualcun altro.

- Ed Emma?

- Sta bene. È con la sua famiglia e con la donna che ama. – Le ali sbatterono ed Ermes salì un po’ più in alto. – Andate, adesso. Tornate dalla vostra famiglia. Dove meritate di stare.

 

***

 

 
Granny non si era risparmiata.

Si era data da fare in cucina perché tutti potessero mangiare in abbondanza e non si era fermata un attimo. Nonostante tutto, non sembrava affatto stanca. Ma ognuno aveva comunque portato qualcosa. C’era chi aveva optato per le torte salate e chi per delle varietà di affettati e formaggi. Chi aveva portato dolci e chi del prosciutto affumicato.

Regina era arrivata con una teglia di lasagne e polpettine di carne. Ed era arrivata tenendo Emma per mano. Nessuno aveva fatto domande, sebbene le facce sorprese non fossero mancate.

Henry era corso incontro alle sue madri, abbracciandole e prendendo in consegna la teglia.

- Dove hai trovato il tempo di preparare le lasagne? – aveva chiesto David, ammirandole.

- La magia serve anche a questo. – rispose Regina.

Henry ovviamente si servì subito e aiutò a distribuire le porzioni. I nani si abbuffarono, sorseggiando birra da grossi boccali e incitando almeno una decina di brindisi.

E tutti vollero parlare con Emma. Lei li ricevette, accettando le strette di mano, le pacche sulle spalle e gli abbracci. La cosa iniziò ben presto a darle sui nervi, ma non voleva essere scortese. Non capitava tutti i giorni che qualcuno tornasse in vita senza conseguenze.

Apparentemente senza conseguenze. Non si era dimenticata ciò che le aveva detto Ade.

“Euridice non era più la stessa.”

“L’ambrosia le aveva permesso di andarsene, ma questo posto... l’aveva corrotta.”

Non si sentiva corrotta. Si sentiva un po’ confusa, spossata ed era sicura che molte delle cose che aveva visto nell’Oltretomba l’avrebbero seguita a lungo. Ma non percepiva nulla di sbagliato.

Decise di chiudere la mente a quei pensieri e chiese a sua madre di passarle il piccolo Neal.

 

 
- Mi chiedevo se non volessi un po’ delle mie lasagne? – domandò Regina alla sorella, che sedeva in un angolo, da sola, con gli occhi fissi sulla strada fuori dalla finestra.

- Non ho fame.

- Magari cambierai idea assaggiandole.  

Zelena si voltò, trafiggendola con uno sguardo di fuoco. Fissò il piatto che le aveva messo davanti, come se le stesse offrendo delle mele avvelenate.

Ma Regina sapeva benissimo che non era furiosa con lei. - Lo risolveremo, Zelena. Troveremo una soluzione.

- Ah, sì? E come? Sfiderai Era a duello? - la sbeffeggiò Zelena. – Stare troppo vicina agli Azzurri non ti fa bene. Inizi a parlare come la tua peggior nemica.

- Non è più la mia nemica.

- Ma almeno un passo avanti lo hai fatto. Con la Salvatrice, intendo. Pensavo sarebbe trascorsa un’altra mezza eternità prima che vedessi quello che avevi sotto al naso. – Parlava a raffica, ma almeno, pur essendo furibonda, aveva afferrato la forchetta e attaccato le lasagne.

Regina sorrise, osservando Emma con Neal in braccio. Il bambino si stava divertendo a torturare l’orecchio sinistro di Henry.

- Ho parlato con Robin. Domani potrai vedere la bambina. – disse Regina, sedendosi davanti alla sorella.

Zelena mangiò un altro pezzo di lasagna. A giudicare dall’espressione era molto soddisfatta. Tuttavia, rimase sul chi va là.

- Parlo sul serio. Potrai vederla quando vorrai.

- Ma che pensiero gentile... e perché hai fatto questo... per me?

- Perché so che grazie a lei puoi essere migliore. – Regina rispose senza esitazioni. – Quando eravamo nell’Oltretomba hai fatto la cosa giusta. Hai pensato prima di tutto a tua figlia. Amavi Ade, ma l’hai eliminato. So quanto deve essere dura per te.

- È molto più dura sapere che dovrò prendere il suo posto! – gridò, guadagnandosi qualche occhiata infastidita da parte dei vicini di tavolo.

Regina allungò una mano, quasi a voler stringere la sua, ma poi capì che Zelena non avrebbe gradito e quindi la ritrasse. – Ti prometto che cercherò una soluzione. Immagino che non sia facile per te credermi, ma... lo farò.

 

 
Lily entrò accompagnata da sua madre. Malefica si diresse al bancone, dove Granny l’attendeva, guardandola di sottecchi, come se si aspettasse un incendio nel suo locale da un momento all’altro.

- Pensavo non saresti più venuta. – disse Emma, offrendole una Heineken. 

- Sai che non sono una persona puntuale. – le rispose, prendendo la bottiglia. – Ma perché avrei dovuto perdermi una festa?

Emma l’attirò a sé per abbracciarla. Lily ne fu sconcertata lì per lì e ci mise qualche istante a ricambiare la stretta.

- Che cosa fai?

- Scusami. – disse Emma. – L’idea era quella di... ringraziarti.

Lily batté le palpebre, sorpresa. – Ringraziarmi per cosa? Non sono stata io a combattere contro un enorme cane infernale o ad accompagnarti... nelle profondità dell’Averno.

- No, ma tu... hai deciso di provarci. Tu hai deciso di... venire a prendermi, anche se sembrava una follia.

- Perché era giusto. Ti eri sacrificata per distruggere l’oscurità e invece lui... aveva vanificato tutto. Ma a chi la voglio raccontare, sarei venuta a prenderti comunque. Quella faccenda ha solo accelerato i tempi.

Emma sorrise.

- Dov’è, a proposito? Tremotino. Non è stato invitato?

- Credo che abbia ben altro a cui pensare. – Emma osservò Henry mentre mangiava il secondo piatto di lasagne con Neal sulle ginocchia. Mary Margaret aveva appoggiato la testa sulla spalla di David. Killian non era venuto, ma non si aspettava che lo facesse. Suo padre le aveva detto che era sulla sua nave. Sapeva che avrebbe dovuto parlare ancora con lui. Nell’Oltretomba non aveva davvero avuto modo di dirgli ogni cosa. 

Era tutto... di nuovo normale. Magari questa volta sarebbe durata. O magari no. Ma era comunque una bella sensazione.

- Vorrei quel contatto di Boston di cui mi parlavi. – le disse Lily.

- Quindi vuoi farlo? Vuoi cercare la figlia di Murphy?

- Penso proprio che lo farò, sì. Non ho idea di che cosa le dirò, ma... sento che devo.

Emma glielo diede. – L’importante è che tu non ti metta nei guai. Non so se potrò raggiungerti quando avrai superato il confine.

- Me la caverò. Non fare come mia madre.

- Tua madre, a volte, ha ragione. Sa che cosa hai intenzione di fare almeno?

- Non ancora. – Lily mise in tasca il biglietto con il nome e il numero del contatto. – C’è anche un’altra cosa...

- Cioè?

- Vuoi ancora... vuoi ancora farlo? Sai, quello che mi hai detto nell’Oltretomba, sul fatto che dovremmo spezzare l’incantesimo che ci lega... – Lily lo disse usando un tono guardingo. Forse avrebbe dovuto aspettare che le cose si calmassero un po’ prima di parlargliene. Ci aveva riflettuto a lungo, ricordandosi delle parole di Merlino, ma anche di quanto le era costato portarsi dietro il potenziale oscuro di qualcun altro. - Perché io non credo che sia una buona idea.

Emma sorrise e le strinse una mano. – Ero preoccupata. Credevo sarebbe stato meglio per te.

- Merlino diceva la verità. Possiamo separarci, ma questo... questa cosa... ormai è parte di noi. E lo sarà sempre.

 

 
Regina alzò la testa ed ammirò l’Aurora Boreale che veleggiava nel cielo scuro.

Non faceva più così freddo. L’inverno causato dal rapimento di Zelena stava svanendo, eppure quel fenomeno sembrava ancora al massimo della potenza, si rifiutava di cedere. Una strana, ipnotizzante magia.

- È qualcosa che dovremmo tenerci, secondo te? – domandò Emma, avvicinandosi.

- Non lo so. Non ho mai visto nulla di simile. – ammise Regina. Gli occhi della Salvatrice sembravano intenti a risucchiare i colori dell’Aurora. Le iridi furono verdi e poi azzurre e poi più tendenti al blu. Regina si lasciò scivolare tra le dita l’unica ciocca bianca di Emma.

- Sai, aveva ragione mia madre. Sul lieto fine, intendo.

- Ah, sì?

- Ricordi quando ci disse che il lieto fine non è sempre quello che ci aspettiamo?

Regina roteò gli occhi. – Come dimenticare. Se potesse guadagnare soldi ogni volta che fa questo genere di discorsi, sarebbe la donna più ricca del reame.

- Però ha ragione.

- Ho ancora qualche difficoltà ad ammetterlo, ma... sì.

Regina si sporse per baciarla ed Emma dischiuse le labbra, assaporando quel contatto. Era una cosa naturale, come se lo avessero sempre fatto.

Il bacio si intensificò quasi subito ed Emma si ritrovò a seguire la cicatrice di Regina con la punta della lingua.

Una nube scura le avvolse, cancellando il cielo e i colori dell’Aurora Boreale, e quando si dissolse erano a casa di Regina.

- A nessuno farà piacere sapere che abbiamo abbandonato la festa. – disse Emma. Però sorrideva. Strusciò il viso contro la mano di Regina, chiudendo gli occhi. Sfiorò il palmo con le labbra e poi depositò dei piccoli baci sulle vene del polso.

- Non se ne accorgeranno. Non subito, almeno. – Si chinò, seguendo la linea della mascella con le labbra. Poi le baciò il lobo e la pelle dietro all’orecchio. Nel frattempo le dita di Emma armeggiarono con i bottoni della sua camicia. – E poi credi che me ne importi qualcosa ora?

- Oh, sono sicura di no.

Regina la baciò ancora e prese la sua mano, conducendola sul proprio petto, nell’incavo caldo fra i seni. Emma l’attirò contro di sé, baciandole il collo.

Si spogliarono lentamente e Regina non ebbe alcuna esitazione quando scivolò sul letto, portandola con sé. Le sembrò che i loro corpi si incastrassero perfettamente, che la sua pelle non aspettasse altro che quel contatto. Lasciò che i capelli biondi della Salvatrice scivolassero sul suo viso. Le strinse le spalle, aggrappandovisi con forza, affondando leggermente le unghie nella pelle chiara di lei e avvinghiandole il bacino con le gambe.

Emma sollevò un po’ la testa per guardarla negli occhi. Nella penombra della stanza i suoi sembravano molto più verdi.

- Sei bellissima. – sussurrò Emma, con la voce spezzata.

 

***

 

 
Storybrooke. Una settimana dopo.

 

L’auto si fermò proprio a pochi metri dal confine della città e la parte anteriore del veicolo rigettò un bel po’ di fumo.

Lily mise in folle e provò a riaccendere il motore, incitandolo come se stesse parlando con un essere in grado di comprendere la sua lingua.

Nessun segno di vita, a parte un debole colpo di tosse.

Lily scese, sbattendo la portiera e colpendola con un calcio. Le dita dei piedi lanciarono un grido di dolore e lei si ritrovò a saltellare in cerchio, ripassando ogni imprecazione mai inventata e combinandolo in un unico capolavoro di volgarità. Ma tanto non c’era nessuno nei dintorni. Solo la strada. Gli alberi. Il cartello verde con la scritta LEAVING STORYBROOKE.

- Sei sicura che la macchina reggerà? Il confine di Storybrooke non è... molto stabile. – le aveva detto Emma, prima che Lily salisse in macchina. Nella tasca della giacca aveva la foto della figlia di Murphy. Il contatto di Emma era stato molto utile.

Doveva immaginarlo che sarebbe successo qualcosa che le avrebbe impedito di lasciare la città. E la macchina non era nuova. Ma sperava che l’avrebbe condotta fino a Boston.

- Problemi?

Lily si voltò, in tempo per vedere un tizio in sella ad una vecchia motocicletta fermarsi accanto al catorcio fumante.

Lo riconobbe. Era August. L’aveva visto al Granny’s più di una volta e sapeva che era amico di Emma.

Pinocchio.

- Molti. – rispose Lily, stizzita.

August slacciò il casco e scese. Si permise di dare un’occhiata all’auto, sollevando il cofano e agitando le mani per scacciare il fumo. – Direi che è andata. C’è poco da fare.

- Non è quello che avrei voluto sentire.

- Mi dispiace. Dov’eri diretta? – Si tolse un attimo il casco, rivelando i capelli corti e scuri. Il suo sorriso era gentile, molto amichevole. Indossava una vecchia giacca di pelle, i jeans sbiaditi e un paio di stivali da cowboy. Probabilmente anche lui stava lasciando la città perché c’erano un paio di borse agganciate alla motocicletta.

- A Boston.

- Boston... – ripeté lui. Abbassò il cofano, sfregandosi le mani. – Posso portare una persona in più. La mia motocicletta è in ottima forma.

- Non ti ha mandato Emma, vero?

Il sorriso di August si allargò, quasi si fosse aspettato quella domanda. – Credo che Emma sappia che te la puoi cavare da sola, Lilith.

- Come sai il mio nome, quindi?

- Ormai lo sanno tutti. Sei andata all’Inferno e hai portato con te tutta la famiglia di Emma. E siete tornati.

Lily fissò la motocicletta ferma accanto all’auto. Sapeva benissimo che in un modo o nell’altro doveva lasciare la città se voleva davvero trovare la figlia di Murphy.

Trovare la figlia di Lucignolo facendosi dare un passaggio da Pinocchio.

- Sono contento di vedere che sorridi. È un buon segno. – osservò August. – Non farò la stessa offerta una seconda volta.

Sopra di loro l’Aurora Boreale brillava ancora. Sembrava si stesse riducendo lentamente, ma ancora resisteva, come se una strana magia la tenesse ancorata al cielo. Una volta superato il confine, sarebbe sparita.

- D’accordo. – disse Lily. – Andiamo. 


   
 
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