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Autore: Giuls_BluRose    03/07/2018    1 recensioni
Raccolta di sette brevi flashback |
Si passò le mani tra i capelli e sospirò pesantemente, sentendo le lacrime scendere sulle sue guance dolorose come fiumi di lava: piangeva per la frustrazione, piangeva stringendo così tanto i pugni da farsi male ai palmi delle mani.
Improvvisamente, come un soffio di vento, sentì una mano posarsi sulle sue spalle e un soffio vicino al suo collo: spaventata si voltò di scatto, ma dietro di lei non c'era assolutamente nulla.
Si strinse ancora di più alla parete, controllando che non arrivasse nessuno nel bagno; chiuse gli occhi per calmarsi e proprio in quel momento la finestra si spalancò a causa di una forte folata di vento e Videl potette quasi giurare di sentire una voce insieme al vento.
“Ci sono io con te, non ti lascio andare, non avere paura.”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gohan, Videl | Coppie: Gohan/Videl
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Insieme, per sempre


 


 

“Complimenti signora, è una bellissima femminuccia!”
Le parole del medico furono coperte da un lungo pianto di una nuova vita, le luci della sala parto erano bianche e ben decise, così come le pareti e quasi tutti gli arredi.
La signora Satan era distesa su un lettino al centro della stanza, proprio sotto un grande lampadario; stava riposando dopo le quasi venti ore di travaglio, la fronte era imperlata di sudore freddo.
“Sei stata bravissima.”
La voce calda e rassicurante di suo marito le arrivò dritto nelle orecchie, mentre la mano dell'uomo si stringeva a quella della moglie.
Il parto era stato lungo, ma per fortuna senza alcuna complicanza e la piccola Videl sembrava godere di ottima salute, cosa che stava dimostrando anche con il fragoroso pianto che sembrava possederla in quel momento.
“Ecco a lei.”
Una volta pulita e vestita con una tutina gialla, la neonata fu portata tra le braccia della madre, che la strinse immediatamente al seno mentre un tenero sorriso solcava le sue labbra.
“La mia bambina...”
I due genitori si persero immediatamente nelle iridi color cielo di Videl, brillanti e decise, ereditate forse dal bisnonno materno.
“Sarà una bimba forte, i suoi occhi sembrano parlarci.”
Satan sorrise alle parole della moglie, così pura da credere a ciò che emanavano quei due occhietti appena aperti. Amava sua moglie, amava come la sua parte infantile non la avesse mai abbandonata, anche dopo tutto quello che aveva dovuto passare da giovane.
“Forte come te.”
Baciò i capelli della donna, mentre le sue mani vagavano in cerca di quelle della figlia, che nel frattempo stava smettendo lentamente di piangere, forse al contatto del calore materno.
Cullata dai battiti del cuore della madre Videl non ci mise molto ad addormentarsi: quello era soltanto l'inizio della sua vita, i primi istanti di mille esperienze e il primo pianto che presto si sarebbe unito a centinaia di altri.


Quella era iniziata come una mattinata normale, ma Satan e sua moglie non si sarebbero mai aspettati che avrebbe preso proprio quella svolta.
Videl, come tutte le mattine, era stata portata al nido e l' avevano lasciata tranquilla che giocava con un altro bambino.
Erano tornati a casa per sistemarla, dato che man mano che la bimba cresceva quest'ultima diventata sempre più inagibile; stavano riordinando la stanza della piccola quando il cellulare della donna squillò.
Lei rispose senza fare tanto caso al numero sullo schermo, riconobbe solo successivamente la voce della maestra Jenna.
“Signora Satan?”
“Mi dica.”
La voce della maestra, seppur con una certa calma, celava una punta di preoccupazione, cosa che non riassicurò minimamente la donna.
“Credo che Videl non stia tanto bene, ha smesso di giocare ed è venuta a rifugiarsi in lacrime tra le mie braccia; scotta, credo abbia la febbre.”
Una volta chiusa la chiamata partì insieme a Satan per andare a riprendere la figlia e, una volta arrivati, si accorsero subito che c'era qualcosa che non andava: la bambina di soli due anni era appena cosciente e aveva iniziato a parlare, quel poco che riusciva, in maniera scomposta e senza collegamento logico tra le frasi.
La sistemarono immediatamente in auto e si misero in marcia per raggiungere il loro pediatra: la donna teneva sollevata la testa della figlia, carezzando i capelli color corvino, le sue lacrime le straziavano il cuore, ma sapeva che non ci sarebbe voluto ancora molto prima di arrivare.
Satan cercava di fare il più in fretta possibile, dando di tanto in tanto uno sguardo indietro dallo specchietto per controllare le condizioni della figlia.
Durante il breve tragitto che li divideva dall'ospedale l'attenzione dei due genitori fu catturata da una frase di Videl che li fece rimanere a bocca aperta.
“Mamma, sento un uomo piangere nella mia testa: mi sta dicendo che non devo abbandonarlo, che non può vivere senza di me...”
I due si guardarono senza capire, ma videro la piccola crollare in un sonno profondo.


La porta dei bagni della scuola si chiuse violentemente e la serratura si mosse in pochi secondi.
Il petto di Videl si abbassava e si alzava velocemente, il cuore che sembrava di dovergli esplodere dal petto da un momento all'altro.
Era iniziata da poco la giornata scolastica e già un gruppo di bulli l' aveva presa di mira: quella volta era riuscita a scappare e si era rifugiata all'interno dei bagni, senza la minima intenzione di uscirne prima del termine della seconda ora. Avrebbe tanto voluto rispondere a tono a quelle provocazioni, ma si era già messa nei guai più volte e non voleva peggiorare la situazione
Una volta sicura di essere da sola si lasciò cadere a terra, con la schiena contro la parete laterale del piccolo cunicolo: erano anni, fin dalle elementari, che i ragazzi prendevano di mira senza alcun apparente motivo.
Strana, diversa, ridicola: questi erano solo i più gentili dei nomignoli che le erano stati attribuiti, solo perchè era più forte rispetto alle altre ragazze, o perchè indossava abiti che altre non avrebbero mai messo.
“Hanno solo paura della diversità.”
Questo era quello che continuava a ripetersi mattina dopo mattina, prima di entrare in quella scuola fredda e dimenticata dal mondo.
Spesso, però, non era sufficiente un supporto personale e, come quella volta, si trovava da sola a piangere nei bagni della scuola. Non piangeva però per paura o debolezza, piangeva perchè sapeva di non meritarsi tutto quell'odio gratuito, sapeva che tutto quello era solo perchè la società in cui viveva non era in grado ancora di comprendere quello che le arti marziali significavano per lei, anche se era una ragazza. Cosa ci si può aspettare, in fondo, da una cittadina dimenticata anche da Dio?
Si passò le mani tra i capelli e sospirò pesantemente, sentendo le lacrime scendere sulle sue guance dolorose come fiumi di lava: piangeva per la frustrazione, piangeva stringendo così tanto i pugni da farsi male ai palmi delle mani.
Improvvisamente, come un soffio di vento, sentì una mano posarsi sulle sue spalle e un soffio vicino al suo collo: spaventata si voltò di scatto, ma dietro di lei non c'era assolutamente nulla.
Si strinse ancora di più alla parete, controllando che non arrivasse nessuno nel bagno; chiuse gli occhi per calmarsi e proprio in quel momento la finestra si spalancò a causa di una forte folata di vento e Videl potette quasi giurare di sentire una voce insieme al vento.
Ci sono io con te, non ti lascio andare, non avere paura.


Nella stanza da letto le luci erano soffuse e le tende lasciavano intravedere parte della luce lunare.
Videl sorrise vedendo quei riflessi provenire dalla finestra e si strinse maggiormente tra le braccia di Gohan.
“Ti amo.”
Quelle due parole uscirono spontaneamente dalle sue labbra, cosa che fece intenerire il ragazzo dai capelli corvini.
“Anche io, tantissimo.”
La giornata era stata intensa, preparare quella proposta di matrimonio aveva richiesto alcuni giorni e la preoccupazione che alla fine Videl avrebbe potuto rifiutare era stata alta fino all'ultimo momento; tutto però era andato secondo i piani e alla fine la ragazza aveva accettato di diventare sua moglie.
Lei, adesso, non smetteva di guardare il suo dito, dove indossava quell'anello, tanto semplice quanto prezioso e non poteva fare a meno di sorridere.
“Vedo che ti piace.”
Gohan la strinse maggiormente a sé, mentre le labbra si posavano sulla pelle di alabastro della sua fidanzata: l'anello era stato un altro punto dolente, aveva paura di prenderne uno sbagliato o che non le piacesse, ma per fortuna aveva fatto la scelta giusta.
Tutti avrebbero detto che erano troppo giovani, che avrebbero potuto aspettare ancora, che avevano tutta la vita ancora davanti a loro, ma per loro due quello sembrava davvero il momento giusto. Erano stati distanti per troppo tempo, sia a causa della distanza fisica, sia a causa della loro ultima separazione, non volevano aspettare ancora. Le litigate erano state frequenti nell'ultimo periodo e non volevano che esse distruggessero la loro relazione
Sapevano bene che la distanza fisica sarebbe rimasta ancora qualche mese: giusto il tempo però che Gohan avesse finito l'università, poi si sarebbe trasferito pure lui definitivamente a Satan City e il loro sogno sarebbe finalmente iniziato.
“Videl, non ti lascerò mai, te lo prometto. Resto qua con te, non me ne vado.”
Il corvino la baciò sulle labbra, per poi posare la testa al petto di lei e chiudere gli occhi, crollando tra le braccia di Morfeo, finalmente felice.
Quella stessa notte, però, avrebbe potuto giurare che le stesse parole che gli aveva detto Gohan prima di dormire l' avessero “perseguitata” in sogno, come in un lontano sussurro disperato, forse dette da un uomo che piangeva.


“Sbrigati papà, farò tardi per prendere l'aereo!”
Pan correva da una parte all'altra della casa, cercando le ultime cose per la partenza. Videl, come al solito, stava aspettando alla porta da venti minuti buoni, ma quella volta Gohan era in un estremo ritardo, anche lui in frenesia per la casa per prendere ciò che gli serviva. La donna era scocciata nel vedere la figlia, che aveva anche il coraggio di brontolare, e il marito che non riuscivano mai ad essere in orario.
“Se perdi l'aereo dai la colpa a papà eh.”
La sua voce era dura, ma cercava di coprire una leggera risata.
La ragazza, una volta preso tutto, raggiunse la madre alla porta, seguita dalle sue valige: aveva finalmente finito il liceo e quello era il giorno previsto per la partenza per il College.
“Gohan, datti una mossa o le paghi tu il secondo volo!”
Dopo pochi minuti finalmente anche l'altro genitore era pronto e, senza perdere ulteriore tempo, scesero di casa ed entrarono in auto, destinazione aeroporto di Satan City.
“Pan lo sai, per qualunque cosa non esitare a chiamare, noi saremo sempre qua per te.”
La ragazza annuì, sapendo bene che i suoi genitori si preoccupavano sempre troppo per qualsiasi cosa, ma ormai aveva imparato a conoscerli bene dopo quasi diciannove anni.
“Ci sarà pure zia Valese a salutarmi?”
Gohan annuì, sapendo che la donna era già là ad aspettarli: durante la sua vita Valese era stata un punto fisso per Pan e aveva fatto tantissimo per lei, si volevano bene in maniera quasi morbosa e la distanza avrebbe fatto male a tutte e due.
“Ehi?”
Sentendosi chiamare i due si girarono, facendo così sorridere la ragazza.
“Siete sempre così schifosamente in sincronia, fatevi curare da uno bravo!”
Nel frattempo erano arrivati a destinazione e l'auto si era fermata, si avvicinava così l'inesorabile ora dei saluti.
“Vi voglio bene, vi voglio un bene dell'anima.”
Pan si morse le labbra, consapevole che forse non sarebbe riuscita a controllare le lacrime; Videl strinse forte la mano a suo marito, sentendo così come un brivido lungo la schiena, come se qualcosa le stesse dicendo di aver gia vissuto in passato quel momento.
“Ci saremo sempre qua per te piccola, qualunque cosa accada qua avrai sempre una casa in cui tornare.”


 


Videl odiava gli ospedali, li aveva sempre odiati: le ricordavano la morte di sua madre, la malattia del padre e altri ricordi che non voleva avere nella mente. Mai avrebbe voluto quel giorno trovarsi in quella spoglia sala d'attena, mai avrebbe voluto sua figlia e suo marito stretti a lei aspettando un resoconto che sembrava non arrivare mai. Era stata casualmente a fare una visita e quei valori del sangue alterati avevano preoccupato così tanto il medico da farle fare delle analisi più approfondite, così adesso si trovavano lì, con l'ansia che scorreva loro nelle vene.Inutile dire che tra i tre c'era un silenzio assordante, un silenzio pieno di paura e speranza, un silenzio che celava in sé fiumi e fiumi di parole.Come una molla carica Videl scattò in pieni non appena vide il medico uscire dallo studio e dirigersi verso di lei: aveva le mani tra i capelli che iniziavano ad avere accenni di bianco e continuava a mordersi le labbra, senza sapere che cosa si sarebbe potuta aspettare.
“Dottore..”
Il volto del medico era severo, teso e quasi inespressivo, cosa che preoccupò ulteriormente i tre.
“Signora Son, credo che sia inutile girarci tanto intorno: il valore dei globuli bianchi, come sa, è superiore di gran lunga alla media e, dalle analisi effettuate, sono sinceramente dispiaciuto di dirle che le abbiamo riscontrato un tumore maligno al fegato, ancora in stadio prematuro per fortuna.”
La donna non sentì neppure il medico che continuava a parlare, il mondo sotto di lei sembrò sbriciolarsi e aveva l'impressione che tutto si stesse lentamente tingendo di nero. Sentì la stretta presa della figlia accanto a lei, mentre poteva scorgere la figura di Gohan seduto sulla sedia, con il volto perso nel vuoto.
“Mamma...”
La donna tremava, sentiva la bocca secca e le gambe che le stavano per cedere da un momento all'altro; lei non era pronta, così come i suoi genitori, a quello che stava per essere detto.
“Questo tipo di tumore al fegato è ancora in stato di studio, non esiste una cura certa...”
Quelle parole furono strazianti per tutti, ma mentre Videl cercava di non crollare, cercava per quanto possibile di rimanere lucida, Gohan non resse lo stress e si lasciò cadere a terra, con la schiena contro il muro dietro di lui.
Per Videl fu quasi come sentire un doppio urlo logorante: il primo fu quello di suo marito, che riuscì solo a scoppiare in lacrime e chiudersi quasi completamente in se stesso; il secondo, invece, fu quello che da anni poteva giurare di sentire tutte le notti nel sonno, un uomo che piangeva disperato e la sensazione di una mano invisibile che si stringeva alla sua.



 

La vita da quel fatidico giorno non era stata più la stessa, era stato difficili andare avanti, ma i giorni erano passati, poi i mesi ed infine gli anni.
Dopo tante difficoltà quasi quindici anni erano scorsi più o meno tranquillamente, con momenti di ricadute e altri di miglioramenti, ma la speranza in casa Son non era mai scomparsa.
Il tumore si era ingrandito con il passare del tempo e alla fine aveva costretto Videl a recarsi in ospedale in condizioni che non promettevano nulla di buono: il volto era denutrito e scavato, la pelle peggiorava visibilmente e il gonfiore si estendeva progressivamente.
Ormai a poco servivano quelle continue flebo che le venivano somministrate continuamente, la donna sentiva che la sua vita stava per finire.
La figlia, ormai donna, aveva preso un periodo di ferie dal lavoro per stare con la madre e Gohan ormai non la lasciava sola neanche per un istante. Lui stesso non era al pieno delle sue condizioni fisiche, ma aveva il terrore che potesse succedere qualcosa a Videl e che lui in quel momento non fosse lì.
Continuava a rimanere al suo capezzale, stringendo la sua mano e non facendo altro che piangere silenziosamente, sapendo che tutto stava per finire.
Tutti i medici gli avevano detto di tornare a casa per la notte o di uscire per farsi una doccia e prendersi qualcosa di meglio da mangiare del cibo della mensa, ma lui continuava a rifiutarsi categoricamente.
Videl diventava più debole ogni minuto che passava e aveva iniziato ad odiarsi perchè Gohan si stava consumando dentro le mura di quell'ospedale; sentiva che la vita le stava scivolando tra le mani, sentiva che quelli erano i suoi ultimi istanti.
Non riusciva più a parlare, teneva a malapena gli occhi aperti, ma sentiva chiaramente la forte presa del marito accanto a sé, sentiva che anche quella notte stava piangendo accanto a lei.
E proprio in quel momento, mentre il suo cuore stava battendo per le ultime volte, riconobbe nel pianto del marito quello che da sempre credeva di sentire nella sua testa, sentì chiaramente quella disperazione nella voce dell'uomo e, proprio quando il respiro corse via dal suo corpo, sentì quell'urlo, ma come se derivasse da due posizioni differenti dello spazio, come se si fondesse con il nulla più assoluto, affievolendosi nel più assoluto ed eterno silenzio. Capì troppo tardi che le preghiere di suo marito, in qualche modo, l'avevano seguita per tutta la sua vita.


 


 

The end


 






Note dell'autrice
Buonasera a tutti!
Oggi sono diventata matura, quindi vorrà dire che ora avrò molto più tempo per scrivere, ye (?)
L'idea mi è venuta da una cosa che aveva letto su internet qualche tempo fa, praticamente che durante gli ultimi minuti di vita il nostreo cervello la ripercorre in maniera perfettamente lucida, creando così il paradosso di non poter sapere se si sta vivendo realmente o in un sogno. Non credo sia fondata su basi scientifiche, ma mi sembrava una teoria molto interessante e così ne ho approfittato.
Per chiarire un po': Videl sta rivivendo la sua vita negli ultimi istanti, ma sente il marito piangere al suo capezzale, captandolo però solo come se fosse nella sua mente.
Sono curiosa di sapere che cosa ne pensate, non so se esserne felice o meno.
Bhe, lascio la parola a voi allora, a presto!

Giulia Pierucci

 

 

   
 
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