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Autore: _Maeve_    04/07/2018    1 recensioni
[Raccolta]
Magna Mater: la feconda Madre Natura che abbraccia la totalità del reale, l'embrionale, "particolaristica" natura che è paesaggio/personaggio del mio Meridione, e per finire l'orrifica Madre Cibele, la latina (solo d'adozione) Magna Mater propriamente detta, il cui culto, legato alla Terra e alla maternità primigenia, si colorò sin dall'origine di sfumature fosche, torbide,irrazionali. Sono queste le tre anime di questa poesia, spesso immersa nella campagna, nelle sue diverse declinazioni e nei suoi echi antropici. E' un habitat che mi è molto caro, per tutto ciò che in esso c'è e c'è stato, e che unisce a memorie “genetiche” ormai irrecuperabili la segreta speranza di una continuità ideale, poetica e vera insieme.
Prendetelo, al di là di sicuri echi letterari, come un progetto autobiografico, una sorta di umile memoir in allestimento, o un affresco composto da più narrazioni e più tonalità.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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festa

Festa d'Estate


Il crepuscolo dell'eucalipto sta lì a verdeggiare nel buio
e dai finestrini scossi il profumo violento della savana
si sprigiona dalla spianata – non dorme mai.
Il borgo fa finta: finge le sue luminarie a ridosso degli architravi,
erra emergendo dalle viscere ascose della campagna come Atlantide,
sbaglia, inganna, giacché lui non è lì.
Ma sta nelle pietre. Sussurrano sulfuree quelle che mettono
alle case dei vecchi, con le loro facciate chiuse, le ringhiere disossate
(un tempo ci andava a giocare qualche bambino), le corti vacanti;
serpeggia nel reticolo di quelle vie pregno di storia estranea,
fino al castello, trionfo superbo della muratura.
Oh, di giorno si ritufferà nel Mediterraneo, nella caligine
da massacro, per ricordarmi quanto non sono in grado,
farà agguati dietro gli angoli torridi, di quelli che strozzano le spose in Agosto -
sempre, sempre arrivare il tramonto!e il bel manto
di un solo solitario nella vallata del cielo, che affusoli le dune
e la fatal quiete, e le parole; e riesca a non dire più niente,
fuorché pace.





Note
Poesia di più complessa gestazione della precedente, che era già bell'e pronta da prima che la trascrivessi (e no, non scrivo tutto a mano, per niente), e che risente di due indubbi fattori: 1) scrivere una raccolta senza un vero sviluppo narrativo - com'era quella di due Estati fa - che non annoi con insulse propaggini di sensazioni, e non perda mordente, non è semplice; 2) la poesia viene sempre diversa da come uno se la immaginava, a prescindere dagli schemi, e riesce sempre nel dire/non dire qualcosa di estraneo, fuori dal nostro controllo. Avevo infatti raccolto molte frasi gettate qua e là prima di descrivere questa esperienza (in effetti lo è), questa psiconarrazione un po' allucinata - ma mi auguro non troppo - , e ringrazio un amico per avermi 'prestato' l'immagine della casa della sua infanzia. Il resto è venuto da sè, in questa sera neanche troppo celatamente foscoliana (ma lo è diventata di sua sponte, giuro) che stavolta si oppone alla purezza del giorno, troppo accecante, troppo ossessivo, e si limita a respirare se stessa, sempre ammettendo che ci riesca, sempre sospesa al di fuori della storia che è estranea. Insomma, vi ho già detto fin troppo. Un ordine c'è, e non mi è sembrata neanche tanto simmetricamente (o anteticamente) distante da Giardino, al mattino. Unica nota veramente utile: fingere, errare, sbagliare, immaginateli in un climax di comune matrice etimologica sotto il segno del latino fallere, che è appunto sbagliare, (e quindi errare nel senso di divergere dalla retta via) , ma anche tradire, ingannare (Falsus è colui che dice e si comporta falsamente, e quindi inganna).
Ringrazio tutti quelli che leggono, comprese due gentili colleghe della cui presenza sono ben conscia. A presto. 
   
 
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