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Autore: Roscoe24    05/07/2018    3 recensioni
"Nessun Cacciatore resta mai a guardare quando un compagno è in difficoltà, men che meno se si tratta del proprio parabatai. Per questo, Alec Lightwood adesso si trova a terra, con una ferita all’addome, e cerca di sputare ordini ai suoi compagni, combattendo con la fuoriuscita di sangue che gli imbratta la maglietta e che sente salire su per la gola. Un’emorragia interna, che un’iratze non riesce a contenere."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clary Fairchild, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Caro Lettore,
Supponiamo che un gruppo di Shadowhunters si imbatta in una Seelie particolarmente ostica, incattivita dal malcontento generato dai nuovi regimi ai vertici dell’Istituto di New York e da quelle che lei reputa le ingiustizie degli Accordi nei confronti dei Nascosti. E supponiamo che la suddetta Seelie, armata di spada, abbia preso in ostaggio un Cacciatore del gruppo precedentemente citato e che tenga la lama puntata alla gola del malcapitato, cosa dovrebbe fare il parabatai del suddetto ostaggio? Stare a guardare mentre una creatura fuori controllo rischia di sgozzare suo fratello?
La risposta è semplice, addirittura ovvia: no. Nessun Cacciatore resta mai a guardare quando un compagno è in difficoltà, men che meno se si tratta del proprio parabatai. Per questo, Alec Lightwood adesso si trova a terra, con una ferita all’addome, e cerca di sputare ordini ai suoi compagni, combattendo con la fuoriuscita di sangue che gli imbratta la maglietta e che sente salire su per la gola. Un’emorragia interna, che un’iratze non riesce a contenere.
Ma partiamo da principio, ti va?


Tutto cominciò un tardo pomeriggio. Nell’aria dell’Istituto di New York aleggiava il solito clima teso da quando Imogen Herondale aveva preso il comando e aveva cominciato a diffondere la notizia che ogni Nascosto avrebbe avuto un chip di rintracciamento impiantato dietro il collo, in modo che il Clave avrebbe potuto tenere d’occhio ogni loro mossa. C’erano fazioni di Shadowhunters che erano d’accordo con l’Inquisitrice, altre no. Alec Lightwood faceva parte del secondo gruppo. Riteneva fortemente che un comportamento simile avrebbe portato un regresso, anzi che un progresso. Gli Accordi avrebbero dovuto servire a garantire il quieto vivere, un’alleanza pacifica tra Shadowhunters e Nascosti, favorendo così lo sviluppo di un modo tranquillo di convivere e, perché no, una possibilità di ricevere aiuto nel caso in cui ondate di demoni incontrollabili avessero attaccato. O nel caso in cui Valentine Morgenstern e la sua malvagia progenie, Jonathan, avessero deciso di manifestarsi di nuovo, minacciando la distruzione di chiunque non avesse sangue angelico nelle vene.
Alec aveva fiducia nell’Istituto e nei membri della sua specie, nell’Angelo e nelle rune che Raziel aveva donato ai suoi figli, ma era anche convinto che gli aiuti, in guerra, non sono mai troppi. Di conseguenza, riteneva che fosse oltremodo controproducente impiantare un chip nel collo dei Nascosti, come se si volesse fare una sorta di censimento sovrannaturale con tutte le caratteristiche di una discriminazione di specie.
Il ragazzo sospirò, fissando il rapporto dell’ultima missione a cui aveva partecipato: un normalissimo giro di ronda, finito con l’incontro di un demone minore che Jace aveva fatto fuori con un solo colpo di lama.
Jace, pensò l’arciere. Ultimamente non era molto in sé. La scoperta di essere un Herondale lo aveva turbato parecchio e aveva fatto sì che le sue convinzioni venissero influenzate dalla sua parentela con l’Inquisitrice. Infatti, nonostante non fosse completamente d’accordo con la donna riguardo la sua nuova politica, aveva comunque accettato di impiantare il chip nel collo di Maia Roberts, una licantropa, convincendosi di aver fatto la cosa giusta perché aveva ricevuto un ordine. Alec gli aveva fatto notare che non aveva mai rispettato un ordine diretto in tutta la sua vita, quindi perché doveva cominciare a farlo adesso, quando era palese che fosse uno di quei casi in cui non rispettare un ordine era la cosa giusta da fare? Jace aveva semplicemente serrato la mascella e aveva detto che quella donna è mia nonna, non posso deludere l’unico parente che ho.
“Quindi noi non siamo niente per te?” Alec non era riuscito a trattenersi. Forse era stato meschino da parte sua porre una domanda del genere, ma quella risposta l’aveva ferito, più di quanto uno Shadowhunter dovrebbe ammettere. Jace era suo fratello, il suo parabatai. Erano cresciuti insieme, fianco a fianco e avevano combattuto ogni battaglia, senza mai smettere di coprirsi le spalle. Non condividevano lo stesso sangue, era vero, ma lui lo riteneva suo fratello al pari di Izzy o Max.
“Quella donna è la madre di mio padre. Non puoi capire. Tu hai i genitori.”
“Anche tu li hai. I miei genitori sono i tuoi genitori.”
“Smettila, Alec! Si tratta della
mia famiglia! Se non vuoi cercare di capirmi, sono problemi tuoi.” Jace aveva gridato e la sua voce era rimbombata per tutta la sala degli allenamenti. Alec aveva appoggiato il suo bastone da kendo a terra e aveva fissato i suoi occhi in quelli del parabatai.
“Sai che ti dico? Hai ragione. Non sono affari miei, dopo tutto sono solo la persona con cui sei cresciuto, ma sembra non sia rilevante per te. Divertiti a fare il burattino!” Si era allontanato senza nemmeno aspettare una risposta e ora che ci pensava, seduto nella sua stanza spoglia e minimale, mentre fissava quel foglio su cui avrebbe dovuto finire di scrivere il suo rapporto, ci stava più male di quanto avrebbe ammesso. Lui e Jace discutevano spesso, causa anche il fatto che avessero due caratteri completamente diversi, ma trovavano sempre il modo per chiarirsi. Questa volta, invece, sembrava che si fosse creato uno squarcio tra di loro che impediva ad entrambi di raggiungere l’altro.
Un insistente bussare alla porta interruppe i suoi pensieri e non ebbe bisogno di chiedere chi fosse per capire che dall’altro lato della porta si trovava il suo parabatai. Jace aveva un modo insistente di bussare, come se pretendesse che gli venisse aperto subito e gli scocciasse aspettare. Alec andò ad aprire.
“Dobbiamo uscire. Mettiti la divisa.”
“Ho già la divisa.” Ribatté secco, facendo eco al tono ruvido usato dal biondo.
“Buon per te. Prendi l’arco. Tra cinque minuti all’ingresso.”
“Da quando ti hanno messo a capo della nostra squadra?”
Jace lo fissò severo, lo stesso sguardo di sufficienza che riservava ai suoi avversari in battaglia e che non riusciva a celare la sua superbia. Alec provò una sorta di rabbia per essere il destinatario di quello sguardo.
“Da quando l’ha deciso l’Inquisitrice. Vieni o vuoi stare a fissarmi in cagnesco finché non me ne vado?”
Alec sostenne quell’occhiata e si chiuse la porta alle spalle. “Il mondo non ruota intorno a te, Jace. Smetterò di fissarti appena ne sarà necessario, quindi alla fine di questa conversazione.” Il ragazzo si allontanò dal suo parabatai e si incamminò verso l’armeria, dove prese arco e frecce, prima di uscire dall’Istituto e incontrarsi con il resto della squadra.

Era stata una chiamata di controllo. I radar avevano percepito una presenza demoniaca vicino a Central Park. Doveva essere qualcosa di semplice: un singolo demone contro quattro Shadowhunters richiede pochissimo tempo e un ridicolo dispendio di energie, ma le cose andarono diversamente. Arrivati in prossimità dell’indirizzo ricevuto dai monitor, presto avevano capito che non si trattava di un demone. Una Seelie aveva cominciato a praticare magia nera per riuscire ad aprire un varco collegato direttamente con Edom, dove uno squadrone di demoni era pronto per entrare nella dimensione terrestre. Quel tipo di energia aveva mandato l’impulso ai radar dell’Istituto e aveva attirato il gruppo in quella zona, dove avevano trovato la fata  al centro di uno spiazzo, la cui erba era bruciata, lasciando spazio solo alla terra, e in cui il fuoco mandava l’odore acre dello zolfo, mentre mucchi di cenere si alzavano nell’aria, andando ad uniformarsi con il fumo, che oscurava l’aria intorno al parco, rendendola poco respirabile.
“Ci mancava anche una pazza, adesso.” Disse Jace, estraendo la spada angelica, che cominciò a brillare non appena venne in contatto con l’energia demoniaca che aleggiava in quel posto. Alec osservò la Seelie: i suoi lunghi capelli biondi si sciupavano sempre di più, diventando sempre più simili a paglia grigia e secca a mano a mano che il suo incantesimo aumentava di intensità, come se le stesse succhiando sempre più energia ed essa passasse attraverso il suo cuoio capelluto. I suoi occhi erano rivolti verso l’alto, in un modo così violento che sembrava si sarebbero rigirati nella scatola cranica da un momento all’altro. Le sue labbra, di un cianotico blu malsano, continuavano a muoversi pronunciando un incantesimo in una lingua sconosciuta. Non era latino. Era sicuramente qualcosa di più antico e decisamente più pericoloso. Alec ne ebbe la conferma quando la pelle putrescente della ragazza, fattasi di un verde pallido, cominciò a scavarsi sulle guance, aderendo sempre di più alle sue ossa. Quel tipo di magia la stava prosciugando, togliendole la linfa vitale e persino la bellezza ultraterrena che caratterizzava quelli della sua specie. Sarebbe morta nel giro di qualche istante e, una volta completato il suo sacrificio, lo squarcio si sarebbe definitivamente aperto e l’orda di demoni in attesa avrebbe invaso le strade di New York. Chissà quanti erano in attesa, chissà quante vittime avrebbero fatto, chissà se i Cacciatori sarebbero riusciti a contenere il panico dei Mondani.
“Dobbiamo fermarla.”
“Sei perspicace, vedo.”
Alec si voltò verso destra, lanciando un’occhiata truce a Jace. Fece per rispondergli a tono, ma Izzy intervenne ancora prima che potesse aprire bocca.
“Ragazzi.” Li ammonì – nel suo sguardo, l’espressione tipica di chi non ammette di essere contraddetto. “O la fate finita e vi comportate da adulti, o ve ne andate e qui ci pensiamo io e Clary.”
I due ragazzi si guardarono e fecero un cenno d’assenso con il capo. Avrebbero affrontato i loro problemi personali una volta risolto quello enorme che si trovava a qualche metro da loro e che rischiava di liberare una quantità ignota di demoni, mettendo in pericolo l’intera città.
“Va bene. Andiamo avanti noi.” Parlò Jace. “Tu e Clary ci seguite subito dopo.”
“Ho la frusta, Jace, potrei-”
“Subito. Dopo.” Scandì il biondo, interrompendola bruscamente. Izzy si ammutolì, ma lo guardò risentita. Sapeva anche lei che la lite che stava avvenendo tra i suoi fratelli non avrebbe portato a niente di buono, soprattutto perché entrambi erano particolarmente intrattabili. Jace, soprattutto, stava vivendo un periodo pieno di confusione in cui si sentiva addosso più pressione del solito – il che lo portava ad essere scontroso anche con lei, una cosa che non era mai successa.
“Vedete di non combinare casini. E non mettetevi nei guai.”
Jace le fece un cenno d’assenso e si incamminò verso la Seelie.
“Non capisco perché parli al plurale. È lui quello che combina casini.” Disse Alec, seguendo a ruota il parabatai e lasciandosi alle spalle Izzy e Clary.
“Ti ho sentito!” Esclamò il biondo, non appena si trovarono da soli.
“Era quello lo scopo.” Alec si affiancò a Jace. L’incantesimo della Seelie aveva peggiorato le cose. Il fuoco stava aumentando di intensità, provocando del fumo sempre più nero e denso. Se avessero aspettato ancora, la visibilità si sarebbe ridotta notevolmente, insieme alle loro possibilità di intervento. 
“Dobbia-” Alec non finì la frase. Fece appena in tempo a vedere Jace gettarsi nella coltre di fumo e sparire all’interno di essa. “Dannazione.” Imprecò a mezza voce, seguendolo immediatamente. Jace era un combattente eccezionale, ma sembrava che, nonostante gli anni passati sui campi di battaglia, non avesse ancora capito che l’impulsività, la maggior parte delle volte, provoca più danni di quanti ne possa evitare.
“Jace, per l’Angelo, dovevi aspettarmi!” gridò Alec, circondato dal fumo. Sentì la cenere entrargli nella gola, impedendogli di respirare correttamente. “JACE!” urlò maggiormente, per farsi sentire, mentre con lo stilo attivava la runa della Vista che si trovava sul suo avambraccio – almeno sarebbe riuscito a distinguere meglio i dettagli di ciò che lo circondavano. Sperò solo che Izzy e Clary non si inoltrassero in quell’inferno, altrimenti avrebbe dovuto preoccuparsi anche per loro. Non appena sentì gli effetti della runa attivata su di sé, cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di indizi riguardo una possibile direzione da seguire per riuscire a raggiungere Jace, ma prima che potesse fare anche un solo passo, il fumo intorno a lui si aprì, svanendo, mentre il fuoco calava di intensità. I casi erano due: o l’incantesimo era stato completato, oppure, vista la mancanza di demoni, era stato interrotto. Alec era più propenso verso la seconda ipotesi e ne ebbe conferma quando, in assenza totale di fumo, i suoi occhi catturarono la figura di Jace al centro dello spiazzo che fino a qualche istante prima era in fiamme. Il suo parabatai era disarmato e tenuto in ostaggio dalla Seelie, che gli puntava una lama alla gola con una forza che contrastava nettamente con il suo aspetto fisico, tutto pelle e ossa. Le sue iridi giallognole si erano allargate così tanto che avevano cancellato la sclera e le sue pupille nere svettavano in mezzo a quel colore acceso, fissando Alec, che aveva estratto l’arco e incoccato una freccia – la cui punta brillò di luce angelica, segno che sebbene il fumo fosse cessato, l’aria era ancora impregnata di energia demoniaca.
“Lo rivuoi, non è vero?” La voce rauca della ragazza arrivò fastidiosa alle orecchie del Cacciatore, come il suono spiacevole che produce una forchetta contro un piatto. La Seelie si passò la lingua sopra alle labbra e Alec notò che era viola e si stava ingrossando. Non sapeva come potesse essere possibile, ma la Seelie si stava trasformando in un demone. Si chiese se la lenta metamorfosi della Nascosta, non le permettesse di trarre forza dall’energia demoniaca stessa. Non era mai successo, ma nemmeno guardare una Seelie che si trasforma in un demone era mai successo, quindi a questo punto non si sentiva di escludere nessuna ipotesi.
“Esatto. Liberalo e non ti ucciderò.” L’arciere evitò di guardare il suo parabatai. Sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe riuscito più a dominare la paura di perderlo, o di vedere la lama che tagliava la sua gola, facendo fuoriuscire sangue a fiotti, segnando la fine della sua vita. Non c’è cosa più dolorosa che perdere il proprio parabatai, dicono. Alec era fermamente convinto che perdere il proprio parabatai per una propria distrazione fosse decisamente peggio. Dominò la sua paura, relegandola in un angolo remoto del proprio corpo, e si avvicinò alla creatura, lentamente e tenendo ancora la freccia incoccata. La fronte della Seelie era sotto tiro e ad Alec sarebbe bastato un unico, rapido gesto per ucciderla. Se solo non avesse rischiato di far ammazzare anche Jace, in questo processo, non avrebbe esitato un attimo a scoccare la freccia. I Seelie erano veloci e nel minuscolo lasso di tempo che avrebbe impiegato la freccia a partire dal suo arco e raggiungere il cranio della creatura, quest’ultima avrebbe potuto benissimo recidere la gola di Jace.
“Io ucciderò lui, se non smetti di avvicinarti.” Sibilò la Seelie.
Alec si fermò sul posto. “Se lo liberi adesso, non ti farò del male.”
La creatura emise una risata gutturale, che suonò come se all’interno della sua gola ci fossero dei ciottoli danzanti. “Pensi che sia stupida, Cacciatore?” Sputò quel nome come se fosse un insulto. “Se dovessi
lasciarlo, mi conficcheresti quella freccia in fronte. E non posso permetterlo.”
Alec decise ancora di non guardare Jace, mentre abbassava l’arco. Si sentì improvvisamente vulnerabile, ma ancora di più gli sembrò di esporre maggiormente Jace al pericolo. Si dominò di nuovo, cercando di mantenere un freddo distacco e una razionalità gelida, come gli avevano sempre insegnato fin da bambino. Sopprimere le emozioni. È questo che fanno i migliori Shadowhunter. “Perché?”
La Seelie osservò Alec abbassare l’arco e sorrise maligna, i suoi denti erano appuntiti ed anneriti. “Perché voglio mandare un messaggio. A voi, alla vostra razza che si crede meglio dei Nascosti. Credete di essere superiori a noi, di poter avere dei diritti su di noi e le nostre vite. Be’, non è così.”
“Hai ragione. Non abbiamo diritti su di voi.” Alec fece un passo avanti, in modo impercettibile. “Ma perché i demoni?”
“Perché l’unica cosa che capite è la perdita  della vostra gente. Se qualcuno di voi muore tentando di combattere un attacco demoniaco considerevole, allora farete un passo indietro. Capirete che ciò che state facendo, con questo censimento, è sbagliato.
Alec era riuscito ad avvicinarsi di più, mentre la Seelie parlava. Solo a quel punto si concesse un’occhiata a Jace. Aveva uno zigomo gonfio, ma stava bene e questo era tutto quello che contava. Adesso, il loro litigio gli sembrava così stupido. Vide il suo parabatai fare un cenno di diniego con la testa, ma Alec lo ignorò. Non era il momento adatto per farsi consigliare di stare indietro e non mettersi in pericolo.
“Lo so anch’io che questo censimento è sbagliato…”
“Comodo dirlo, quando qualcuno punta una spada alla gola di un tuo simile.”
Alec cercò di non prestare attenzione a quella provocazione. Calma e razionalità. Gli serviva solo quello. “…Ma anche uccidere un innocente è sbagliato.”
Innocente?” Lo schernì la Seelie, la sua voce accusatoria risultò quasi appiccicosa, come se la sua cavità orale si stesse riempiendo di muco. “Jace Herondale è tutto fuor che innocente.” Appoggiò con più forza la lama sul collo del ragazzo, una goccia di sangue scese dalla sua pelle e Alec temette che se quella creatura avesse pigiato ancora avrebbe reciso la carotide.
“La chiamata non era casuale, allora. Volevi lui?”
“Solo lui. Ha attivato la Spada dell’Anima per ucciderci. Deve pagare per la sua crudeltà. E in questo modo sua nonna capirà che deve fermare questa persecuzione.”
“Non aveva nessuna intenzione di fare del male ai Nascosti.”
“Li ha uccisi!” Il grido della Seelie echeggiò come lo stridio di una sirena impazzita. “Pensi che possa essere perdonato?”
“Vuoi che provi le stesse cose che avete provato voi, giusto? Il vostro stesso dolore.”
“Sì. Voglio vendetta.”
Alec deglutì, un rivolo di sudore freddo gli percorse la spina dorsale. “Allora prendi me.” Disse e i movimenti agitati di Jace attirarono involontariamente la sua attenzione. Nonostante si fosse promesso di non guardare il suo parabatai, il modo in cui Jace si agitava adesso, bloccato dalla presa della Seelie, attirò inevitabilmente il suo sguardo. Gli occhi bicromatici del ragazzo erano spalancati e lo fissavano colmi di panico. “Alec, no!”
La Seelie strinse la presa sul suo collo – rischiando di tagliarlo e farlo annegare nel suo stesso sangue – per ridurlo al silenzio, poi fece passare i suoi occhi annacquati da uno all’altro. Un sorriso appuntito aprì il suo viso decomposto. “Capisco. Siete parabatai. Volete dare la vita l’uno per l’altro e bla, bla, bla. Siete patetici.” Spostò la lama dalla gola alla guancia di Jace, tagliandolo dall’alto verso il basso, facendo emettere al ragazzo un gemito soffocato. Poi  tornò a guardare Alec. “Ma hai ragione. Se voglio farlo soffrire, devo ucciderti.”
Successe tutto ad una velocità incredibile, quasi come se il tempo avesse accelerato la sua corsa e si fosse reso ulteriormente inarrestabile. La Seelie lanciò da una parte Jace e Alec provò ad estrarre il suo arco, ma un lampo di elettro entrò nel suo campo visivo, seguito subito dopo dalla voce di Izzy che urlava un insulto alla creatura, mentre le bloccava il collo con la frusta. Ce l’avevano fatta, pensò per una frazione di secondo Alec. Izzy aveva immobilizzato la Seelie e Jace era salvo. Non aveva tenuto conto che nel tentativo di estrarre il suo arco, alzando il braccio per afferrarlo dietro la sua schiena, aveva lasciato il suo addome privo di difese e la Seelie, con la tipica velocità che caratterizza la sua specie, aveva usato quel minuscolo lasso di tempo per infilzarlo con la stessa lama che poco prima stava puntando contro Jace. Alec se ne rese conto solo dalle grida di Isabelle, seguite dall’espressione terrorizzata di Clary. E dal fatto che, improvvisamente, un dolore acuto, quasi vivo, cominciò a pulsargli dentro, facendo bruciare la sua pelle come se si trovasse nel bel mezzo di un fuoco. I contorni tutto intorno a lui si fecero sfuocati e le sue gambe, all’improvviso, sembrava non fossero più in grado di reggere il suo peso. Cadde a terra senza riuscire a opporsi alla gravità.
“Alec!” sentì Jace esclamare e in un secondo, il viso preoccupato del parabatai comparve nel suo campo visivo. “Alec, Dio, no!” gli portò le mani sull’addome, dove dalla ferita lasciata dalla spada fuoriusciva sangue a fiotti, imbrattando la divisa. Le mani del ragazzo si colorarono del sangue del parabatai nel tentativo di frenare almeno un po’ l’emorragia. Non aveva mai odiato l’odore ferroso del sangue come in quel momento. Si sentì in colpa per essere stato tanto avventato: per colpa sua, Alec stava morendo. 
Il Cacciatore tossì e il sapore metallico del sangue gli riempì la bocca. Jace si voltò verso Izzy, che teneva ancora la Seelie in trappola. “Sputa sangue.”
La mora e Clary si avvicinarono repentinamente. Isabelle osservò – senza lasciare la presa sulla Seelie – la ferita del fratello. Era brutta. Davvero, molto, molto brutta. Dallo strappo della divisa, Isabelle riusciva a vedere la pelle del fratello e un brivido di panico le percorse la colonna vertebrale quando notò che i tessuti epiteliali si stavano facendo neri.
“Necrosi.” Affermò, cercando di mantenere la voce ferma e di guardare Alec come un qualsiasi altro paziente e non come suo fratello. Era difficile, ma doveva riuscirci. Se si fosse fatta prendere dal panico non sarebbe stata di nessun aiuto. E l’ultima cosa di cui Alec aveva bisogno era che lei non riuscisse a gestire questa situazione. Guardò Clary e senza che aggiungesse altro, la rossa afferrò la frusta al posto suo e continuò a tenere la Seelie, mentre Izzy si chinava al fianco del fratello. Spostò le mani di Jace, che le lasciò spazio per intervenire, e strappò il tessuto della parte superiore della divisa di Alec. La sua pelle chiara, tracciata di rune, presentava un taglio profondo a livello dell’addome, i cui lembi erano arrossati – da essi partiva la necrosi, diffondendosi come un fulmine nero, che uccide ogni cosa che trova. Era troppo veloce, inarrestabile. “La lama era sicuramente avvelenata.” Sentenziò. “Sta avendo un’emorragia interna, vista la profondità del taglio e del…” lanciò un’occhiata al viso pallido del fratello. Scacciò dalla mente il fatto che quel colore le avesse fatto venire in mente mortifero. “…sangue che esce dalla sua bocca. Dobbiamo intervenire.”
Jace estrasse immediatamente lo stilo e cercò l’iratze sul corpo di Alec, ma Izzy gli mise una mano sul polso per fermarlo. Lui la guardò risentito, chiedendole silenziosamente una spiegazione.
“Un’iratze non basta, Jace. Il veleno, oltre ad uccidere i suoi tessuti, fa in modo che la ferita non si cicatrizzi. Una runa non serve a niente in questo caso. Ci serve qualcosa di più potente.”
Un lampo di rabbia attraversò il viso del Cacciatore. I suoi bei lineamenti vennero trasformati dall’ira, accendendolo di una luce terrificante e spaventosa. Si alzò di scatto e si avvicinò alla Seelie. Afferrò la parte della frusta che stava vicino alla sua gola e cominciò a stringere, come se fosse un cappio. L’avrebbe decapitata con le sue stesse mani se fosse stato necessario. “Sei stata tu a fargli questo.” ringhiò, tenendo gli occhi fissi sulla creatura. “Dicci come salvarlo.”
La Seelie sorrise maligna. “No. Morirà. E tu soffrirai. Tutti voi soffrirete.”
Jace le diede una testata in pieno naso e cominciò a tirare maggiormente la frusta, fino a che non vide gli occhi della creatura venarsi di sangue, segno che i capillari stavano scoppiando uno ad uno. L’avrebbe uccisa e avrebbe pure provato piacere nel farlo. Nessuno faceva del male alla sua famiglia e non ne pagava le conseguenze.
La sua famiglia. Lui e Alec avevano litigato per questo e adesso sembrava tutto sciocco, tutto superfluo. Alec aveva avuto ragione sin da principio: erano loro la sua famiglia. Lo sarebbero sempre stati.
“Jace,” rantolò Alec. “Jace!” alzò la voce per quanto ci riuscisse e solo allora attirò l’attenzione del parabatai.
Jace si voltò verso di lui, non mollando la presa sulla Seelie. “Faccio in fretta e poi…”
“No. Smetti immediatamente di strangolarla.”
Nonostante la debolezza nella sua voce, essa risultò estremamente autoritaria. Un tono che spinse Jace ad obbedire senza pensarci troppo. Mollò la presa sulla creatura. Lanciò un’occhiata a Clary, poco distante da lui, che ancora teneva l’estremità della frusta, senza fare del male alla Seelie. La ragazza annuì, come a consigliargli di stare a sentire Alec.
“Subirà un processo.” Tossì il maggiore dei Lightwood, facendo fuoriuscire altro sangue. “Il nostro compito è portarla davanti al Clave, non farci giustizia da soli.” Respirò a fatica, tirando tre corti respiri, come se stesse annaspando, come se i suoi polmoni si stessero atrofizzando. Fissò i suoi occhi, resi opachi dalla perdita copiosa di sangue, sul proprio parabatai. “Altrimenti saremmo esattamente come ci ha descritti. E dobbiamo dimostrare che si sbaglia. Intesi?”
Jace fece un cenno d’assenso con il capo.
“Bene. Adesso andate.” Rantolò in un sussurro rauco, chiudendo gli occhi. Si sentiva debole e stanco. Voleva dormire, solo dormire. In questo modo tutto sarebbe finito. Avrebbe smesso di sentir bruciare i propri organi interni, avendo l’impressione che si stessero lentamente sciogliendo, e avrebbe potuto lasciarsi andare ad un sonno profondo e lenitivo.
“Alec, no!” Qualcuno gli scosse le spalle e lui fu costretto a riaprire gli occhi. Incontrò quelli neri di Isabelle. “Devi stare sveglio.”
“La dovete portare all’Istituto.”
“No.” La voce di Isabelle tremò, i suoi occhi si riempirono di lacrime che non riuscì a trattenere. Alec provò un doloroso rimorso per essere la causa di quel pianto. La sua coraggiosa sorellina non piangeva mai.
“Iz, ascolta,” allungò una mano per sfiorarle il viso. “Va tutto bene, ok? Non fa male.” Mentì. “Siamo nati per questo, giusto?”
“Non mi interessa per cosa siamo nati! Tu vieni con me. Ti porto all’Istituto.”
“No.” La voce di Clary attirò l’attenzione di tutti. Jace e Izzy la guardarono e nessuno dei due riuscì a celare uno stupore accusatorio per quell’affermazione. “Voi portate la Seelie all’Istituto. Spiegherete cosa è successo. Io sto con Alec, lo porto da qualcuno in grado di curarlo.” Passò la frusta di nuovo ad Izzy, che la afferrò quasi d’istinto.
Isabelle e Jace guardarono Alec, che accennò ad un assenso con il capo. “Andate. Starò bene, avete sentito?”
I due si guardarono a loro volta, riluttanti a lasciare il campo di battaglia. Non volevano abbandonare Alec.
“Andate, forza!”
Jace ed Isabelle si allontanarono dallo spiazzo controvoglia, la preoccupazione trasformava i visi di entrambi in due maschere cupe e angosciate. Alec li guardò farsi sempre più piccoli, fino a che non sparirono dal suo campo visivo. Erano salvi, era questo tutto quello che contava. Adesso poteva lasciarsi andare. Chiuse gli occhi. Intorno a lui riuscì a percepire l’odore forte dell’erba bruciata, mischiato a quello secco della terra. Il fumo ormai era completamente diradato, ma c’era ancora un lieve sentore acre nell’aria che andava a mescolarsi con gli odori circostanti. Alec si concentrò sulla sensazione dura del terreno sotto di sé. Era strano che, nonostante fosse stato impregnato di energia demoniaca fino a qualche istante prima, avesse già perso tutto il calore infernale e fosse così freddo. Non era spiacevole, comunque. Il gelo partiva dal terreno e gli entrava nelle ossa, dandogli l’impressione di spegnere il fuoco che, invece, stava facendo bruciare i suoi organi interni. O forse era lui che stava diventando sempre più freddo, a causa della mancanza di sangue. Non lo sapeva. Sapeva solo che adesso sentiva il bisogno di dormire. Ma ancora, un nuovo scossone lo costrinse a riaprire gli occhi. Perché nessuno voleva farlo riposare?
“Alec!”
“Devi-” Una serie di colpi di tosse lo costrinse a zittirsi e a non finire il comando che avrebbe dato alla ragazza, ordinandole di seguire Jace ed Izzy e lasciarlo al suo destino. Non gli piaceva che fosse così esposta. Dopotutto, non sapevano se qualche nuovo pericolo sarebbe spuntato da chissà dove.
Clary vide il sangue uscire dalla sua bocca, in una quantità decisamente preoccupante, farsi nero. “Non c’è più tempo!”
La rossa attivò la runa della Forza che aveva su una spalla e poi cominciò a tracciare dei segni in aria con lo stilo. Alec non aveva lucidità a sufficienza per capire cosa stesse succedendo. L’ultima cosa che vide fu un grosso lampo di luce arancione e poi il buio.
Non seppe se avesse perso i sensi o se fosse finito nell’abisso della morte.


Vide dei lampi blu e un paio di occhi gialli. Improvvisamente si agitò, nel suo stato di semi-incoscienza, e il suo cuore cominciò a battere frenetico per lo spavento. Provò a muoversi, ma qualcosa glielo impedì. Era immobile e non poteva difendersi dagli attacchi della Seelie. Un’onda di panico strisciò subdola attraverso le sue membra, ma poi una parte del suo cervello gli fece notare che quegli occhi gialli erano diversi da quelli della creatura che l’aveva infilzato. Erano più brillanti, più luminosi, il giallo sembrava più oro ed erano caratterizzati da una sfumatura verde smeraldo… e la pupilla era verticale – come quella dei gatti. Erano due occhi familiari, erano…
“Bellissimi.” Biascicò, prima di ricadere completamente nell’oscurità della totale incoscienza.


Alec si svegliò lentamente. La testa gli pulsava e gli doleva tutto il corpo. Aprì lentamente gli occhi e quando non riconobbe la stanza dove si trovava, l’istinto fu quello di mettersi a sedere e cercare l’arco sulla schiena – ma un capogiro vertiginoso lo costrinse a ributtare la testa sopra al cuscino più morbido che avesse mai usato e trattenere i conati di vomito che il giramento di testa gli aveva provocato.
“Niente movimenti bruschi, Cacciatore, o il mio lavoro sarà stato vano.” Parlò una voce vellutata al suo fianco e Alec, mentre si voltava lentamente verso la direzione di provenienza di quel suono tanto piacevole, non poté fare a meno di pensare a come fosse diverso il suo modo di pronunciare la parola Cacciatore rispetto a quello aspro usato dalla Seelie. Non che dovesse farsi trascinare da smancerie simili, ma quel tono così dolce gli attorcigliò le budella malandate.
Il suo sguardo si posò sull’uomo seduto su una poltrona dall’aspetto imperiale situata vicino al letto e il suo cuore perse un battito. Non vedeva Magnus Bane da mesi, ormai, e quando mise totalmente a fuoco la sua figura, lo reputò ancora più bello dell’ultima volta che l’aveva visto, truccato di tutto punto e con una camicia di seta arancione sbottonata fino a metà, che mostrava in parte il suo petto glabro e definito, ornato di un numero di collane che Alec non seppe quantificare. Sentì le guance accaldarsi, quando gli occhi dello Stregone si agganciarono ai suoi, avendo l’impressione che riuscisse quasi a leggergli la mente. Con Magnus era sempre stato così e la cosa attirava tanto quanto spaventava Alec.
“Sei stato tu?” gli domandò accennando al suo corpo celato dalla coperta del letto. Alec sentiva la stretta delle garze e delle bende all’altezza del suo addome.
Lo Stregone accavallò le gambe, fasciate in un paio di aderenti pantaloni neri, e annuì. “Biscottino ti ha portato qui con una runa portale e mi ha fatto un resoconto velocissimo del vostro scontro con la Seelie. Poi mi ha quasi pregato di salvarti.”
Alec rifletté sulle parole di Magnus. I lampi di luce arancione che aveva visto prima di cadere nell’incoscienza avevano senso, adesso: era il portale di Clary. “Devo ringraziarla, appena la vedo. E devo ringraziare te. Sarei morto, se non avessi accettato di salvarmi.”
Magnus sorrise e si alzò dalla propria poltrona per avvicinarsi al capezzale del Cacciatore. “Non mi sarei mai perdonato, se non fossi riuscito a farlo.” Con un gesto che stupì entrambi, passò una mano anellata tra i capelli disordinati di Alec – ma sebbene non si vedessero da mesi, e le cose tra di loro non fossero andate esattamente come si aspettavano, nessuno dei due provò imbarazzo per quel gesto. Anzi, Alec si trovò persino a chiudere gli occhi, come se la mano di Magnus che lo accarezzava fosse la medicina appropriata a far calmare i dolori che ancora divoravano il suo corpo malandato. Magnus gli aveva sempre fatto quell’effetto. Riusciva sempre a calmarlo, a farlo sentire in pace con se stesso. Si erano incontrati per caso, durante uno degli attacchi dei seguaci di Valentine contro gli Stregoni. Magnus e Alec si erano trovati a combattere insieme e poi si erano presentati. Alec ancora ricorda come il suo cervello avesse smesso di funzionare correttamente davanti alla bellezza del viso di Magnus.
Ma non poteva funzionare. Non potevano andare oltre. Perché nessuno sapeva dell’omosessualità di Alec, esclusi Jace, Clary ed Izzy, e perché nel giro di qualche settimana avrebbe dovuto sposarsi con Lydia Branwell – un matrimonio combinato dai suoi genitori per fare in modo che l’Istituto avesse una leadership forte. Maryse Lightwood era ancora a capo dell’Istituto, all’epoca, ed era convinta che una volta che Alec avesse preso il suo posto, un’alleanza con una Branwell avrebbe portato solo cose buone. E Alec era d’accordo con quel piano. Gli sembrava un modo giusto per risollevare il nome della sua famiglia, dopo aver scoperto la loro appartenenza al Circolo, e gli sembrava un buon modo per non far venire mai a galla la verità, consapevole di quanto fossero ristrette le vedute del Clave riguardo certi argomenti. Ma poi aveva incontrato Magnus e tutto era cambiato. Si era fatta spazio in lui una vocina che gli sussurrava che aveva diritto alla felicità come chiunque altro, che aveva diritto a innamorarsi come tutti gli altri. Non importava cosa potesse pensare il Clave, era Alec l’unico in grado di manovrare la propria vita. Così avevano iniziato a vedersi di nascosto, nel loft di Magnus. Per lo più parlavano, nel suo salotto. Passavano ore a parlare, seduti vicini senza toccarsi mai. Si sfioravano ogni tanto e Alec aveva l’impressione che i tocchi di Magnus non fossero così casuali come voleva farli apparire, ma andava bene così. Erano stati quelli a dargli la forza, poi, di uscire allo scoperto. Le sensazioni inarrestabili che provava ogni volta che entrava accidentalmente in contatto con Magnus – le loro ginocchia che si toccavano, le dita delle loro mani che si sfioravano, i baci sulla guancia che Magnus gli lasciava di tanto in tanto a mo’ di saluto – gli avevano fatto capire che non era pronto a rinunciare alla possibilità di costruire qualcosa con lui per passare invece una vita sicuramente infelice con Lydia. Così, un giorno, si era fatto coraggio e aveva parlato con la ragazza, che era stata comprensiva e dolce, e poi aveva apertamente fatto coming-out con i suoi genitori, dicendo che non voleva più sposarsi perché non era ciò che lo rendeva felice. Sua madre gli aveva tenuto il muso per settimane intere, non rivolgendogli parola che non fosse un ordine diretto per una missione. Ma Alec era fiducioso. Era sicuro che prima o poi la donna avrebbe capito che lui era lo stesso di prima, solo che adesso era tutto alla luce del sole: Alec Lightwood era gay e aveva una cotta gigantesca per Magnus Bane. Per questo era andato nel suo loft, il giorno dopo l’annullamento del matrimonio, con una scusa ridicola – tipo di rinforzare le difese dell’Istituto nonostante non ce ne fosse bisogno – per chiedergli di uscire ufficialmente insieme. Un appuntamento vero, fuori, senza più nascondersi. Di certo, non era preparato a vedere Magnus che si baciava con Camille, la sua malefica ex, la vampira che era stata a capo del Clan di New York, prima che Raphael Santiago prendesse il suo posto. Inutile dire che la delusione era stata così dolorosa che aveva fatto finta di niente. Non aveva fatto parola sull’annullamento del matrimonio, ne sulla sua idea di voler uscire insieme. Sicuramente Alec era stato così ingenuo da aver frainteso tutti i segnali dello Stregone e si era illuso che uno come lui potesse ricambiare l’interesse di uno come Alec. Perciò si era semplicemente schiarito la gola, attirando l’attenzione della coppia, e aveva informato Magnus che l’Istituto aveva bisogno dei suoi servigi per un rafforzamento delle difese e che i dettagli dell’operazione avrebbe dovuto discuterli con suo padre.
Quella era stata l’ultima volta che si erano visti. Erano cambiate così tante cose, pensò il Cacciatore, ma non il modo che aveva il suo cuore di reagire alla vista di Magnus.
“I tuoi amici sono venuti tutti i giorni.” Ruppe il silenzio lo Stregone, estraniando così anche Alec dai suoi pensieri.
“Tutti i giorni?” domandò stupito. “Da quanto sono qui?”
“Tre giorni. Uno dei quali l’ho speso per curarti ed espellere tutto il veleno. Ero preoccupato di essere intervenuto troppo tardi, ma sei forte, Alexander, e il tuo corpo ha respinto l’avvelenamento il tempo necessario per rendere utile il mio intervento.”
Alec guardò l’uomo al suo fianco. Solo allora notò l’ombra di stanchezza nei suoi bei lineamenti e le occhiaie sotto i suoi occhi celate dal trucco, impercettibili per chiunque, ma non per Alec che conosceva i dettagli di quel viso a memoria. “Non hai recuperato le energie ancora, non è vero?”
“Sto bene.” Lo rassicurò lo Stregone, accennando un sorriso. “Dobbiamo pensare a te, adesso. Hai fame?”
Alec annuì, ma continuò a guardare preoccupato i lineamenti di Magnus. L’uomo si accorse di quell’occhiata. “Alexander. Sto bene. Recupererò le mie forze, lo sai.”
“Se ti dessi le mie lo faresti più in fretta.”
Magnus si stupì ancora una volta dell’altruismo di quel ragazzo. Era stata una delle prime cose che l’aveva colpito di lui e che gli aveva fatto capire quanto fosse speciale, diverso da tutti gli Shadowhunters che aveva conosciuto nella sua lunghissima esistenza. Si stava riprendendo da un intervento in cui aveva rischiato la vita e si preoccupava anzi delle condizioni di Magnus.
“Le energie che hai servono a te, Alexander. Ci riprenderemo lentamente insieme, d’accordo?”
Alec tenne i suoi occhi fissi in quelli di Magnus ancora un po’, prima di annuire.
“Bene. Vado a prepararti qualcosa.” Si chinò su di lui, lasciandogli un bacio sulla fronte. Fu un contatto più lungo del necessario e Alec, con una punta di speranza, si chiese se Magnus non lo facesse perché sentisse il bisogno di un contatto con lui, tanto quanto Alec desiderava averlo con lo Stregone. Solo quando le labbra di Magnus lasciarono la sua pelle, e Alec sentì un vuoto all’altezza del cuore, decise di agire per evitare che il passato si ripetesse. L’aveva già perso una volta perché non si erano parlati – e lui solo qualche giorno prima era quasi morto, non voleva rischiare di non averlo di nuovo con sé solo perché la prima volta non era andata come si aspettava. Gli afferrò un polso non appena Magnus fece per allontanarsi dal letto.
“Stavo per chiederti di uscire.”  
Gli occhi dello Stregone – che con il glamour erano di un caldo color ambra – lo guardarono confusi.
“Quando sono venuto da te, l’ultima volta che ci siamo visti.” Chiarì Alec. “L’Istituto non aveva bisogno di protezioni. Era una scusa. Ero lì per chiederti di uscire, ma ti ho visto con Camille e allora mi sono tirato indietro.”
Magnus si avvicinò di nuovo a lui e si sedette sul letto. Il materasso si piegò sotto il suo peso e Alec si spostò leggermente per fargli più spazio. La sua mano scivolò dal polso alla mano dello Stregone, il quale fece intrecciare le loro dita. Gli occhi di Magnus erano fissi su quell’insieme e sorrise. “Sospettavo fosse una scusa, sai? Almeno, me ne sono accorto quando le barriere erano intatte. Ti ho cercato, quel giorno, per spiegarti che ciò a cui avevi assistito non significava niente, ma mi avevano detto che eri fuori in missione. Camille aveva fiutato l’odore del tuo sangue e mi ha baciato giusto in tempo perché tu vedessi. L’ha fatto di proposito, per vendicarsi del fatto che lei volesse tornare insieme a me e io no. Volevo te, Alexander, e lei non l’ha accettato.”
Alec cercò di non concentrarsi sul fatto che Magnus avesse usato il passato. Volevo non voglio. Ma decise che non sarebbe saltato a conclusioni troppo affrettate. “Perché non mi hai cercato di nuovo?”
“Pensavo ti fossi sposato, alla fine. Non… non sapevo se fossi pronto a dire la verità, quindi ho supposto avessi optato per il matrimonio. Non volevo farti pressioni, cercandoti.”
Alec strinse la presa sulla mano di Magnus. “Ho annullato il matrimonio il giorno prima di venire da te. Mi rendevi felice, Magnus, e non volevo rinunciare a quella sensazione.”
Lo Stregone alzò le loro mani intrecciate e sfiorò delicatamente le nocche di Alec con le labbra. “Allora chiedimelo adesso.”
Il respiro di Alec accelerò e il suo corpo rispose con una serie di dolori acuti, muscolari e interni. Ma non gli interessava. Il suo cuore galoppò e sebbene provasse una punta di agitazione, si fece coraggio e parlò.
“Esci con me.” Non uscì esattamente come una domanda, ma Alec non era bravo in queste cose. Era totalmente negato con le parole e con le proposte. Si  preparò per ricevere un’espressione scettica da parte dell’uomo di fronte a lui per la richiesta alquanto spartana appena ricevuta,  invece Magnus gli regalò un sorriso e gli baciò di nuovo le nocche. “Mi piacerebbe moltissimo, Alexander.”
Il cuore di Alec per poco non esplose di felicità. Il Cacciatore si mise a sedere, lentamente, per essere in grado di guardare bene Magnus negli occhi, per averlo vicino abbastanza da riuscire a fare la cosa che avrebbe voluto fare sin dalla prima volta che l’aveva visto: baciarlo. E lo fece, aggrappandosi ai bordi della sua camicia per tirarlo a sé e appoggiando le labbra sulle sue, facendo scontrare le loro bocche in modo irruento e disordinato, con fare inesperto e impacciato, ma con tutta l’intensità e il sentimento che albergavano nel suo cuore. Magnus rispose a quel bacio in un modo del tutto diverso, con più calma, come se volesse assaporare Alec e conoscesse esattamente il modo giusto per farlo pienamente, ma con la stessa intensità. Alec sentì il suo stomaco sfarfallare. Stava ricevendo il suo primo bacio ed era meglio di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
“Mi vuoi ancora, quindi?” Gli tremò la voce, a quella domanda. Il giovane non sapeva se quell’effetto fosse dovuto al fiato corto a causa del bacio o al timore di essere stato troppo indiscreto.
Magnus tenne la fronte appoggiata alla sua. “Che vuoi dire?”
“Prima.” Spiegò Alec, allontanandosi quel tanto da riuscire a guardarlo negli occhi. “Hai detto volevo te. Al passato.”
Lo Stregone sorrise e gli passò una mano sulla guancia, accarezzandogli lo zigomo con tenerezza. “Voglio te. Ti vorrò sempre, Alexander.”
Le guance del Cacciatore si imporporarono e lo Stregone ne baciò una, sentendo il calore arrivare anche alle proprie labbra. C’era una tenera innocenza, in Alec. Qualcosa che contribuiva a renderlo irresistibile e che conferiva al suo aspetto austero e rigido, una morbidezza che si rispecchiava solo nel suo cuore buono. Alexander Lightwood non era solo un bel faccino, questo Magnus Bane lo sapeva. Era un Cacciatore coraggioso, un ragazzo altruista, leale nei confronti delle persone che amava e disposto a tutto pur di proteggerle. Alexander era un piccolo tesoro, anche se non se ne rendeva conto.
“Ti piace il sushi?”
Alec accarezzò il palmo della mano di Magnus con il pollice. “Non lo so. Non l’ho mai mangiato.”
“Dobbiamo rimediare, allora. Appena avrai recuperato le forze, andremo in Giappone a mangiare il sushi. E il tonno grasso.”
Alec accartocciò la faccia in un’espressione dubbiosa che fece sorridere Magnus. “Tonno grasso? Non è un po’ offensivo?”
“Pensi che tonno obeso sia meglio?” ridacchiò lo Stregone, contagiando anche l’altro.  Alexander sorrise in un modo così luminoso che avrebbe potuto far sembrare il sole una scialba lampadina. Le volte che aveva visto quell’espressione sul suo viso potevano contarsi sulle dita di una mano, ma Magnus credeva che il ragazzo dovesse farlo più spesso. Diventava ancora più bello, quando rideva.
Magnus si sporse verso di lui e appoggiò le labbra su quelle di Alec per fare proprio quel sorriso, ripromettendosi che si sarebbe sempre impegnato per fare in modo che ce ne sarebbero stati altri, per ripagarlo di quello che gli aveva appena rubato.
“No, comunque. Nemmeno tonno obeso suona bene.” Alec slittò dall’altra parte del letto, sotto lo sguardo confuso di un Sommo Stregone preso alla sprovvista. Solo quando Alec indicò con gli occhi il posto che si era appena fatto vuoto al suo fianco, Magnus realizzò cosa gli stava chiedendo – così si tolse la scarpe, scostò la coperta e si sdraiò vicino a lui, incurante del fatto che fosse vestito di tutto punto.  
“Potrebbero cominciare a dire tonno curvy per evitare di attentare alla sua sensibilità.”
Alec rise, ma fu costretto immediatamente a smettere a causa del dolore all’addome. Una smorfia di sofferenza attraversò il suo viso e Magnus alzò istintivamente una mano per appoggiarla sopra la pancia coperta di bende del ragazzo. “No, Magnus.” Disse il Cacciatore, afferrando la mano dell’altro nella sua. “Basta magia. Devi riprenderti.”
Lo Stregone lasciò la mano sotto a quella di Alec. “Per questo mi hai fatto spazio?”
“Anche, sì. E perché volevo averti vicino.” Aggiunse in un sussurro, le guance che si colorarono di nuovo.
“Mi piace quest’idea. Con ogni probabilità rischio di essere accusato dal Clave per sequestro di Nephilim a scopi personali, ma ne vale la pena.”
Alec ridacchiò con cautela, per non sentire di nuovo dolore. “Non penso esista un crimine simile, ma nel caso, sarò felice di prendere le tue difese.”
“Mi fa piacere, fiorellino.” Gli baciò una guancia e Alec lo guardò con le sopracciglia aggrottate e una ruga in mezzo ad esse che esprimeva un certo disappunto.
“Non chiamarmi in quel modo.”
Magnus si sistemò in costa, tenendo sempre la mano ferma in quella di Alec e portando quella libera sotto al cuscino. “Perché, temi che venga sminuita la tua dura corazza da soldato?”
“No, semplicemente… i nomignoli mi mettono a disagio.”
“Va bene, fiorellino, non lo farò più.”
Alec alzò gli occhi al cielo. “L’hai appena rifatto.”
“E lo rifarò. Diventerà una mia missione personale farti capire che le manifestazioni d’affetto non sono una malattia mortale che dovete debellare.”
“Facile dirlo, se non hai passato gli ultimi vent’anni a sentirti dire che le emozioni vanno soppresse.”
Magnus tornò serio, rispecchiando il suo umore in quello che aveva appena attraversato il viso di Alec. Si chiese se quell’espressione, fattasi improvvisamente cupa, non derivasse anche dalla convinzione che avevano i Nephilim secondo cui l’omosessualità è inaccettabile.
“Non c’è niente di sbagliato nelle emozioni. Fanno parte di noi, dopotutto. Tendiamo spesso a dimenticarci che siamo anche umani, dando importanza solo all’altra metà del nostro sangue. Angelico o demoniaco che sia.”
Alec alzò gli occhi su Magnus. Non aveva mai realizzato fino a quel momento che fosse metà demone. O meglio, lo sapeva – di certo non era stupido – ma non aveva mai dato importanza a quella parte di Magnus che derivava dall’Inferno. Semplicemente perché non gli interessava. Alec guardava Magnus e altro non vedeva che una persona meravigliosa, qualcuno che era sempre disposto ad aiutare gli altri, qualcuno che tendeva a sacrificarsi sempre se significava aiutare gli amici. Vedeva un uomo  carismatico, sicuro di sé, in grado di andare oltre le apparenze e i pregiudizi; un uomo onesto, qualcuno di paziente che era riuscito, con i suoi modi schietti e senza remora alcuna, a sfondare tutte le difese di Alec, abbattendole e riuscendo a raggiungere il suo cuore. E Alec, non si sa come e non si sa perché, era stato abbastanza fortunato da essere arrivato a sua volta al cuore di qualcuno di tanto speciale.
“Mi dispiace.” Disse, quindi. “Non volevo essere burbero.”
Magnus accennò un sorriso, alzando un angolo della bocca. “Non importa.”
“Non sono… non sono bravo in queste cose. Le emozioni a volte mi terrorizzano, non so gestirle.”
“Imparerai a farlo. Impareremo a farlo. È tutto così nuovo anche per me.”
Alec pensò di aver capito male. “Che intendi dire?”
Magnus sospirò e gli baciò la fronte. “Intendo dire che nemmeno tutti i secoli di esperienza che ho alle spalle sono in grado di prepararmi ad Alexander Lightwood.” Fece una pausa e Alec trattenne il respiro, non sapendo come interpretare quel discorso e contemporaneamente volendo lasciare a Magnus il tempo di aggiungere altro, se avesse voluto. “Il fatto è che ho chiuso il mio cuore per più di cento anni, consapevole che in quel modo avrei evitato di soffrire, ma poi sei arrivato tu. Hai sbloccato qualcosa in me, Alexander. Qualcosa che mi spaventa, ma di cui non posso fare a meno. Non voglio perderti.”
Alec sentì il cuore accelerare frenetico. Incapace di domare la sua corsa, sapeva che l’unica cosa che gli rimaneva da fare era lasciarlo battere all’impazzata. Non poté fare a meno, però, di pensare che forse Magnus si stesse riferendo al fatto che fosse immortale, mentre Alec no. Lo scorrere del tempo è inarrestabile e un giorno l’inevitabile morte di Alec avrebbe colpito entrambi, lasciando Magnus con una manciata di ricordi e un cuore dolorante. Lo stesso cuore che aveva riaperto per lui, per permettergli di entrarvi solo per poi cominciare a sanguinare di nuovo quando tra una manciata di decenni, la vita di Alec sarebbe inevitabilmente finita. Il Cacciatore decise di accantonare quel triste pensiero e di tenerlo per sé, senza condividerlo con Magnus. Una parte di lui sapeva che lo Stregone stava pensando alla stessa cosa e parlarne adesso sarebbe stato solo doloroso. E Alec non voleva far soffrire Magnus.
“Non vado da nessuna parte.” Strinse la presa sulla sua mano e  si avvicinò allo Stregone per dargli un bacio. Fu un contatto di labbra delicato, ma che ebbe la forza di allontanare tutte le preoccupazioni dai cuori di entrambi. Il futuro è imprevedibile, lo sapevano bene, e di certo nessuno dei due aveva la possibilità di predirlo o di combatterlo. Sapevano che ciò che contava era quello che avevano adesso – il loro presente, la loro seconda possibilità di costruire qualcosa di bello insieme. E non volevano rinunciarci.
Rimasero in silenzio, quando si separarono. Era una sensazione confortevole per Alec stare con qualcuno con cui i silenzi non diventavano imbarazzanti. Sorrise, grato di poter riavere Magnus con sé.
“Cosa hai fatto in questi mesi?” gli domandò, sentendo l’atmosfera intorno a loro farsi più leggera.
“Lavorato, incontrato clienti, evocato demoni. Non sai i Mondani con la Vista che richieste assurde riescono a fare!”
“Dimmene una.”
“Vediamo… l’ultima volta che ho evocato un demone, era uno di quelli che riescono a mutare le loro sembianze. Serviva ad una Mondana per partecipare al matrimonio della sorella dove, guarda caso, il testimone dello sposo era il suo ex. Voleva farlo ingelosire presentandosi con un uomo più bello di lui.”
Alec accennò una risata. “Sì, è strano.”
“E tu?”
“Vuoi sapere se ho evocato un demone mutaforma per far finta che fosse il mio ragazzo?”
Magnus gli diede uno schiaffetto giocoso sulla spalla e Alec rise cautamente.
“Ho fatto le solite cose.” Continuò allora il Cacciatore. “Uscire in missione, uccidere demoni. Uscire in missione, uccidere demoni. E via così quasi tutti i giorni.” Fece una pausa, ripensando alla routine dei mesi passati e poi, inevitabilmente, ripensò al litigio con il suo parabatai. “E ho litigato con Jace.”
“Lo so. Mi dispiace, Alexander.”
“Te l’ha detto lui?”
“In realtà, l’hai detto tu mentre eri in uno stato di semi-incoscienza.”
Alec arrossì violentemente. Lo sprazzo di un ricordo gli riportò alla memoria un determinato commento fatto a determinati occhi, che lui credeva di aver solo pensato, ma forse… “Ho detto altro?” chiese cautamente.
“A dire la verità, sì. Hai detto Bellissimi, ma non so a cosa potessi riferirti.”
Alec si domandò se non fosse il caso di lasciar cadere l’argomento e fingere di non ricordare. Ma poi pensò che si era ripromesso di imparare a gestire certe situazioni e le persone normali fanno i complimenti alle persone che frequentano, approfittando di quelle piccole occasioni per mostrare apprezzamento. In più, Magnus l’aveva sempre apprezzato esplicitamente, quindi forse doveva farlo anche lui.
“Ai tuoi occhi.”
“I miei occhi?”
“Sì. I tuoi veri occhi.”
Magnus deglutì. Nessuno, nessuno, aveva mai definito belli i suoi occhi. Anzi, non erano mai nemmeno stati visti come tali, ma erano sempre stati visti come il suo Marchio, la testimonianza fisica della sua natura demoniaca, la prova schiacciante del fatto che chiunque avesse ragione a definirlo mostro. Aveva provato vergogna per i suoi occhi per secoli, prima di imparare a farsi scivolare tutti i commenti cattivi e pungenti addosso, ma non significava che non fossero comunque dolorosi. Aveva solo smesso di darci importanza, ma le parole feriscono comunque. Per questo aveva cominciato a nasconderli con il glamour. Per evitare di sentirsi piovere addosso cattiverie gratuite.
“Mi prendi in giro?” Non voleva essere brusco, ma secoli di esperienza inevitabilmente induriscono le persone e Magnus aveva centinaia e centinaia di anni alle spalle che testimoniavano il motivo per cui aveva dovuto rendere la sua pelle più dura di quanto fosse necessario.
Il suo tono causò un’espressione affranta sul viso di Alec. “No, perché dovrei prenderti in giro?”
“Perché tutti hanno sempre usato parole diverse per descriverli.”
“Be’ si sbagliavano, tutti quanti. Sono bellissimi. Tu sei bellissimo.”
Magnus lo guardò con stupore, meravigliandosi ancora una volta di quanto fosse diverso Alexander rispetto a tutti i Nephilim che aveva conosciuto e capendo che, forse, quel sentimento che provava nei suoi confronti – che nonostante i mesi separati non si era affievolito nemmeno un po’ – era sicuramente più forte di una semplice infatuazione. Magnus si stava innamorando. E la cosa non capitava da secoli. Era fiducioso, riguardo ad Alec. [ ] Forse quella volta sarebbe stata diversa; forse quell’amore sarebbe stato diverso. Così gli sembrava, e doveva per forza significare qualcosa. Forse quella volta le cose sarebbero andate come Magnus avrebbe voluto. Forse Alexander Lightwood non gli avrebbe spezzato il cuore. [1]
Si avvicinò a lui, riducendo la poca distanza che c’era tra di loro. Fece cautamente passare un braccio intorno all’addome di Alec, mentre appoggiava la testa alla sua spalla. Sentì il Nephilim appoggiare la guancia al suo capo. “Non devi mai nasconderti con me, Magnus.” Gli sussurrò, un suono basso e quasi impercettibile, un’affermazione udita dallo Stregone solo grazie alla loro vicinanza. “Se vuoi tenerli privi di glamour, fallo.” Alec azzardò a lasciargli un bacio sui capelli. Erano morbidi e profumavano di legno di sandalo. Gli era mancato tanto quel profumo, così tipico di Magnus e della sua intera persona. Persino la sua pelle caramellata aveva quell’odore, che andava a mischiarsi con quello di incenso e zucchero bruciato della sua magia.
Magnus rimase in silenzio per un po’ e Alec temette di aver esagerato, ma poi lo sentì muoversi. Usò il braccio libero per sollevarsi su un gomito e quando Alec, dal cuscino, alzò solo lo sguardo su di lui, venne ricambiato da un paio di occhi luminosi, di quel verde dorato brillante, simile a delle stelle, e dalla pupilla verticale, così caratteristica e simile a quella dei felini. Ad Alec mancò il respiro. Erano ancora più belli, ora che li osservava completamente cosciente.
“Non mi nasconderò mai con te.”
Alec accennò un sorriso impacciato, un leggero rossore andò a colorare le sue guance. Allungò una mano per accarezzare il viso di Magnus e questi sporse il capo verso il palmo del Cacciatore. Si fidava. Non solo di quello che sarebbero potuti diventare – un noi a tutti gli effetti – ma si fidava di lui, tanto da permettergli di guardarlo veramente, esattamente per quello che era. E stranamente sotto lo sguardo meravigliato di Alec, Magnus non si sentì vulnerabile, bensì, per la prima volta dopo secoli, si sentì amato.
“Grazie.” Sussurrò Alec e Magnus si chinò su di lui per dargli un bacio, un altro ancora della lunga serie che si sarebbero scambiati. Lo Stregone era sicuro che non ne avrebbe mai avuto abbastanza del sapore dolce del Cacciatore sulle sue labbra. Si baciarono per un bel po’, trasformando quell’iniziale sfioramento di labbra in una serie di baci veri che fecero accelerare il respiro di Alec, incurante dei dolori acuti che ciò gli provocava. Non gli interessava granché, visto che l’unica cosa che sembrava contare adesso erano le mani di Magnus che lo accarezzavano con delicatezza e la sua bocca che giocava con la sua, in uno scambio di baci morbidi e premurosi.

“Izzy andrà fuori di testa.”

Sussultarono, udendo una terza voce in quella stanza. Si erano abituati così facilmente alla loro solitudine, al loro momento isolati dal resto del mondo e dai problemi che da esso derivavano, che fu uno stupore per entrambi realizzare di non essere più da soli. Si separarono quasi immediatamente, colti alla sprovvista. Magnus si passò il pollice sul labbro inferiore e si voltò verso la fonte di quella voce, irrigidendosi quando notò che si trattava di Jace. Alec si chiese se quella reazione non derivasse dal fatto che tutti sapessero che Jace avesse accettato di impiantare il chip a Maia e adesso temesse fosse lì per lo stesso motivo, o se pensasse che a Jace desse fastidio aver trovato lo Stregone a letto, letteralmente, con il suo parabatai. Dopotutto, Magnus poteva pensare che il ragazzo avesse potuto accettare il fatto che uno Stregone intervenisse per salvare la vita del fratello, ma non potesse accettare che il suddetto Nascosto avesse un ruolo diverso, romantico  – un ruolo che, normalmente, se si tratta di Nephilim, viene ricoperto solo da altri Nephilim.
“Perché non hai bussato?” domandò Alec, prendendo la parola. Magnus si mise seduto, ma non lasciò il letto. Forse, il fatto che Alec non avesse reagito come se stesse facendo qualcosa di proibito, lo aveva tranquillizzato un poco. Il giovane sperò fosse così. Era serio quando diceva che non voleva più nascondersi, che voleva uscire con Magnus allo scoperto. E questo implicava anche essere sinceri davanti alla sua famiglia.
“Oh, ho bussato. Ma nessuno mi rispondeva, così ho usato la chiave di riserva. Se avessi saputo di interrompere qualcosa, sarei rimasto dov’ero.”
“Chiave di riserva?” Prese parola Magnus, rimanendo sempre al fianco di Alec. Il Cacciatore ne fu molto felice.
Jace fece spallucce. “L’ho presa dalla stanza di Alec, appena Clary l’ha portato qui. Fino ad ora non mi è servita perché mi hai sempre aperto tu.”
“Come facevi a sapere che avevo una chiave di riserva?”
Jace guardò il parabatai con un’espressione eloquente, come se la risposta fosse ovvia. “Andiamo. Pensi che sia stupido? No, non rispondere!” Alzò un indice in direzione di Alec. “Fino a qualche mese fa uscivi di notte e tornavi la mattina prestissimo. E di giorno eri tutto un ‘Potremmo consultare Magnus per questo problema’ o ancora ‘Magnus ha contatti con ogni stregone, potremmo chiedergli aiuto. O magari potremmo sentire se ha tempo per fare lui stesso questo incantesimo’...  che altro… ah sì, quella volta che ti sei allenato a torso nudo perché sapevi che sarebbe venuto all’Istituto.”
Alec arrossì violentemente, mentre un piccolo sorriso compiaciuto apparve sul viso di Magnus, al pensiero che il Nephilim avesse agito in quel modo solo per attirare la sua attenzione. Ci era riuscito pienamente, dovette ammettere tra sé e sé, ricordando come i pettorali di Alec l’avessero distratto interamente dalla conversazione che stavano avendo quel giorno.
“Quindi sapevi?”
“Della tua gigantesca cotta per Magnus? Io e Izzy ne eravamo certi al cento per cento.
“Beh, ci avevate visto giusto.” Alec si mise a sedere lentamente, per non acutizzare i dolori muscolari del suo corpo, e guardò Magnus al suo fianco, che a sua volta guardava lui. Era più rilassato adesso che aveva percepito che Jace non provava astio alcuno nei suoi confronti, ma che, anzi, sembrava felice avessero finalmente deciso di provarci seriamente. Si scambiarono un sorriso affettuoso e Jace quasi si sentì un po’ il terzo in comodo. O almeno, l’avrebbe fatto se fosse stato in grado di concepire un’emozione come l’imbarazzo, ma Jace Herondale era totalmente incapace di provare una sensazione simile, così continuò a fissare Magnus e Alec che si guardavano con gli occhi a cuoricino e sorrise, pensando alla sorella e alla faccia che avrebbe fatto quando le avrebbe detto che aveva beccato Alec mentre pomiciava a letto con Magnus. Sicuramente avrebbe cominciato a saltellare, urlando ai quattro venti che lei sapeva che tra quei due c’era un’attrazione palese. Izzy stava alla discrezione quanto Simon stava al silenzio. E Simon parlava continuamente.
“Allora, come stai? Hai ripreso le forze?”
Alec portò la sua attenzione sul parabatai. “Le sto riprendendo. Magnus è un bravo curatore.”
“Spero non curi tutti i pazienti come ha curato te, altrimenti rischio di trovarmi mezzo metro della sua lingua in gola, in caso mi infortunassi.”
Magnus fece una smorfia offesa. “Per cortesia, non insinuare mai più che sarei disposto a baciarti. Preferirei baciare una tarantola.”
Jace aggrottò la fronte, come se le parole di Magnus fossero un’assurdità. “Tutti vorrebbero baciarmi. Dico, mi hai visto?”
Lo Stregone alzò gli occhi al cielo, roteandoli con veemenza. Un’espressione che Jace aveva visto sul viso di Alec milioni di volte e che gli accese un campanellino nel cervello: quei due erano davvero fatti per stare insieme, così simili e diversi allo stesso tempo sicuramente andavano a completarsi l’un l’altro.
“Non ho mai prestato particolare attenzione a te. Avevo altro su cui concentrarmi.” Guardò Alec al suo fianco, che arrossì, ma accennò un sorriso timido.
Jace sbuffò dal naso. “Se avete finito di flirtare, vorrei parlare un attimo con Alec. Posso?”
Sia Magnus che Alec guardarono Jace con stupore: lui non chiedeva mai il permesso di fare niente. In genere faceva ciò che più riteneva opportuno, senza dare resoconti a nessuno.
“Ma certo.” Si schiarì la gola Magnus. “Vado a prepararti da mangiare, d’accordo?”
Alec annuì e chiuse gli occhi quando Magnus, alzandosi dal letto, gli lasciò un bacio sulla fronte. “Grazie.” Sussurrò il più giovane, mentre guardava il Nascosto uscire dalla stanza. Quando la porta si chiuse, Alec portò l’attenzione sul proprio parabatai, che stava spostando il peso del corpo da un piede all’altro.
“Mi sentirai dire una cosa che non dico mai, nella vita: mi dispiace.”
Alec appoggiò la schiena alla testiera del letto. “Non importa.”
“No, importa invece. Da quando ho scoperto di essere un Herondale ho fatto un casino dopo l’altro: il chip a Maia, il litigio con te, il fatto che ti ho quasi ucciso.” Sospirò angosciato all’ultimo pensiero, che portava con sé un dolore ancora fresco. “Tu e Izzy… voi… siete la mia famiglia, Alec. Tutti voi Lightwood lo siete.”
“Siamo tutti Lightwood, ricordi?”
Jace accennò un sorriso. “Già. Izzy potrà anche negarlo, ma ha un cuore tenero. E… ha ragione. Sono un Herondale, di sangue, ma sono anche un Lightwood. E mi sono comportato male con voi, con te, quindi ti chiedo scusa.”
“Scuse accettate. Dispiace anche a me, comunque. Avrei dovuto capirti e invece mi sono solo concentrato sul fatto che avessi chiamato famiglia un’altra persona.”
“Pensavo che avrei dovuto scegliere, capisci? Ma Clary ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere: il concetto di famiglia non ha limiti. Posso avere tutti e due, voi e Imogen.”
“Clary ha ragione. E bisognerebbe darle una medaglia: a quanto pare è l’unica capace di farti ragionare.”
“Ehi!” Esclamò Jace, le sopracciglia che schizzarono verso l’alto. “Se non fossi malandato, ti saresti beccato un pugno.”
Alec rise, ma si fermò quasi immediatamente sentendo ancora dolore – il che gli fece tornare alla mente una cosa: la Seelie aveva usato la stessa lama che l’aveva quasi ucciso per tagliare una guancia di Jace. Osservò il viso del parabatai, ma lo trovò pulito e privo di ferite. “Tu come stai?” chiese, quindi. “La Seelie ha ferito anche te.”
Jace scrollò le spalle, minimizzando il tutto. “Mi ha solo graffiato superficialmente. Un’iratze per me è bastata.” I suoi occhi bicromatici andarono inevitabilmente all’addome di Alec, che adesso sbucava dalle coperte ed era fasciato con delle bende bianche. Il senso di colpa tornò ad investirlo: se solo fosse stato meno avventato, se solo avesse aspettato di elaborare un piano con Alec, adesso suo fratello non sarebbe costretto a letto, dopo aver rischiato la vita. “Subirà un processo.” Aggiunse subito, per non far notare al parabatai il suo cambiamento d’umore.
“La giustizieranno.”
“Beh, ha infranto gli Accordi.”
“Lo so, ma… forse dovrebbe essere presente anche la sua gente. Non simpatizzo particolarmente per la Regina Seelie, ma… se uno dei nostri infrange la legge, è il Clave che decide. Non vedo perché non debba essere lo stesso per i Nascosti.”
“Imogen dice che è compito del Clave perché ha preso in ostaggio me e ha quasi ucciso te. Sono due attentati a due Shadowhunters.”
“E lo capisco. Ma stiamo processando una Seelie. Dovrebbe essere presente anche la Regina. Il Clave dovrebbe decidere insieme a lei.”
Jace si passò una mano tra i biondi capelli, tirandoli indietro. “Vuoi che avvenga l’impossibile, Alec. Ci sono delle tradizioni da rispettare, delle regole.”
“Le tradizioni e le regole possono cambiare. Soprattutto quelle basate sull’ignoranza. Ascolta, se il Clave non avesse ordinato di impiantare quei chip, tutto questo non sarebbe mai successo.” Si toccò l’addome per dare enfasi alle sue parole. “Quando ci sarà il processo?”
“Domani.”
“Allora abbiamo poco tempo.” Alec scostò le coperte e appoggiò lentamente i piedi nudi sul pavimento. Si alzò cautamente e si guardò intorno alla ricerca della sua divisa. Non poteva uscire con i pantaloni di un pigiama e a torso nudo.
“Cosa vuoi fare?” domandò allarmato Jace, mettendosi al suo fianco. Temeva che Alec barcollasse a terra da un momento all’altro: non aveva ancora una bella cera.
“Andare a convincere l’Inquisitrice a far partecipare i Seelie al processo.”
“Alec—”
“Credi sia un’idea sbagliata?” Fissò i suoi occhi cervoni in quelli bicromatici del parabatai con determinazione. “Rispondimi, Jace. Dimmi che mi sbaglio e farò un passo indietro.”
Il biondo osservò il fratello per qualche istante. Sapeva che aveva ragione e sapeva anche che le cose dovevano cambiare, che gli Accordi dovevano cominciare a garantire una convivenza pacifica vantaggiosa per entrambe le parti, quindi anche per i Nascosti. Dovevano cominciare ad essere tutelati tanto quanto lo erano gli Shadowhunters. “Non ti sbagli. Hai ragione e non sarà facile, per niente, ma io sono con te. Lo faremo insieme.”
“Grazie.” Alec annuì con il capo, riconoscente. “Sai dov’è la mia divisa?”
“Nella spazzatura. Era ridotta a brandelli.”
“Dannazione.”
“Vado a prenderne una all’Istituto, poi torno qui e—”
“No. Chiedo a Magnus se ha qualcosa da prestarmi. Dobbiamo fare in fretta.”  Il Cacciatore uscì da quella stanza con Jace alle costole pronto ad agguantarlo se avesse rischiato di cadere. Percorse il corridoio che divideva le camere dal salotto del loft, a sua volta separato dalla cucina da un muretto basso, dal quale sbucava Magnus a mezzo busto, intento a friggere delle uova.
“Magnus.” Lo chiamò e lo Stregone si voltò immediatamente.
“Che ci fai in piedi? Devi riposare.” Spense il fuoco per evitare di bruciare tutto e si avvicinò al Cacciatore.
“Lo so, ma… c’è una cosa che devo fare.” Alec spiegò velocemente le sue intenzioni allo Stregone. L’uomo lo lasciò finire di parlare e poi schioccò le dita, facendo comparire una divisa da Shadowhunter nelle mani di Alec.
“Avevamo detto niente magia, Magnus.” Puntualizzò, protettivo.
“È una cosa importante e voglio aiutarti. Aprirò un portale, arriveremo più velocemente all’Istituto.”
Alec guardò Magnus di fronte a sé, sul suo viso c’era un’espressione determinata che non lasciava spazio alle obiezioni. Sapeva che l’avrebbe seguito ad ogni costo, così Alec decise di non opporsi alla decisione di Magnus.
“D’accordo. Ma poi basta incantesimi.”
Lo Stregone annuì.
Alec accennò alla divisa che ancora aveva tra le mani. “Vado a cambiarmi. Faccio in un attimo.”


Il portale portò i tre esattamente davanti alla porta dell’Istituto di New York. Alec guardò l’imponente facciata e per la prima volta in vita sua ne fu intimorito. Credeva moltissimo in quello che aveva intenzione di fare, ritenendo che fosse un passo importante verso un’evoluzione che non avveniva da secoli, ma davanti a quella facciata così imponente, si sentì improvvisamente piccolo e vulnerabile. I membri del Clave l’avrebbero sbranato vivo, o derunizzato. O magari l’avrebbero ascoltato. Sapeva che c’erano fazioni di Shadowhunters contrarie alla politica del chip. Forse loro avrebbero appoggiato la sua proposta. Fece un lungo, profondo respiro, e con Magnus e Jace al suo fianco, entrò nell’edificio.
Poteva farcela.


La prima ad andargli in contro fu Isabelle. Sua sorella per un pelo non gli saltò letteralmente addosso, quando gli buttò le braccia al collo, stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo. E Isabelle era decisamente forzuta.
“Non sai che bello vederti di nuovo in piedi, fratellone.”
Alec le lasciò un bacio sulla testa. “Sono felice anche io di rivederti, Izzy.”
La ragazza ricacciò le lacrime e sollevò il capo con fierezza, come faceva sempre quando non voleva mostrarsi vulnerabile. La verità era che quei tre giorni appena passati erano stati i peggiori della sua vita. Isabelle poteva accettare di morire in battaglia, era una guerriera dopotutto e le avevano insegnato ad accettare questa possibilità, ma trovava oltremodo inaccettabile il pensiero di perdere i suoi fratelli. Al fianco della ragazza stava Clary, che guardava Alec indecisa se abbracciarlo o mantenersi più su un piano discreto. Alla fine, non si erano mai scambiati un segno d’affetto fisico, quindi non sapeva se fosse il caso di abbracciarlo. Ma Alec la sorprese, sporgendosi verso di lei e circondandole impacciatamente la vita con le braccia. Clary era così minuta a confronto con il metro e novanta di Alec, che quasi venne inglobata da lui, ma non esitò un secondo a ricambiare quell’abbraccio, felice di vedere che l’amico stava bene. “Grazie.” Cominciò il ragazzo. “Se non mi avessi portato da Magnus, non ce l’avrei mai fatta.”
Clary abbozzò un sorriso. “Siete la mia famiglia, Alec. Non potevo accettare di perdere anche te, dopo mia madre.”
Jocelyn era stata uccisa da un demone, durante un attacco all’Istituto. Alec aveva vissuto con il senso di colpa per mesi interi, rimproverandosi che non avrebbe dovuto lasciare che un demone oltrepassasse quelle mura, che un demone lo possedesse e gli facesse commettere uno dei peccati più gravi che un Figlio dell’Angelo potesse commettere. Il demone aveva usato il corpo di Alec per uccidere la madre di Clary. E nonostante lei non l’avesse mai incolpato di niente, se non fosse stato per Magnus, Alec sarebbe uscito di testa al pensiero di aver inferto, indirettamente, un dolore così grande ad una persona a cui si era affezionato più di quanto si sarebbe mai immaginato e a cui voleva bene.  
Nessuno sapeva delle sue fughe nel loft, nessuno sapeva quanto tempo passasse abbracciato a Magnus, mentre lacrime amare e silenziose solcavano il viso di qualcuno che aveva ricevuto un addestramento specifico per gestire certe situazioni. Alec sapeva che i bravi soldati non piangono, ma era più forte di lui. Il senso di colpa lo divorava dall’interno. Magnus non l’aveva mai giudicato. Aveva sempre aperto le sue braccia e gli aveva sempre permesso di tuffarcisi dentro, stringendolo quando sentiva che Alec non riusciva più a trattenere i singhiozzi e accarezzandogli la schiena con rilassanti movimenti circolari di tanto in tanto. Gli era immensamente grato per quello che aveva fatto per lui.
“Come procediamo, allora?” La voce di Jace riportò tutti alla realtà. Il gruppo era fermo all’ingresso dell’Istituto.
“Entriamo nel suo ufficio e le parliamo.”
“Alec, l’Inquisitrice è in riunione nella Sala Comune. Sei sicuro che sia una buona idea?”
“Se ci sono altri membri del Clave, ascolteranno anche loro, Iz.” Alec si massaggiò le tempie, sentendo la testa che cominciava a pulsare di nuovo. La debolezza dovuta al suo mancato recupero totale delle forze cominciava a farsi sentire, ma la accantonò. Si sarebbe riposato quando avrebbe ottenuto dei risultati concreti. “Ascoltate. Se non volete farlo, capisco. I rischi sono alti e—”
“Lo faremo, Alec.” Lo interruppe Jace. “Siamo tutti d’accordo, qui. Se sei sicuro te, lo siamo noi.”
Alec annuì. “Bene, allora. Procediamo.”


Jace fu il primo ad entrare nella Sala, dove l’Inquisitrice gli permise di entrare. La donna sembrava quasi ammorbidirsi ogni volta che sentiva il nome del nipote, tanto da accettare che un gruppo di giovani Shadowhunters interrompesse un’importantissima riunione politica. Quando Magnus entrò per ultimo, subito dopo dietro Alec, i membri presenti del Clave trattennero il respiro, come se avessero appena assistito ad un’eresia vivente, e cominciarono a parlottare sottovoce tra di loro, lanciando occhiate in tralice allo Stregone. Magnus si eresse in tutta la sua altezza: che lo guardassero pure, pensò, almeno per una volta nella loro vita, quei bigotti antiquati avrebbero posato gli occhi su qualcosa che non fosse mortalmente noioso. Tuttavia, quando sentì la mano di Alec cercare la sua e il suo corpo reagire a quel gesto rilassandosi immediatamente, si rese conto che, nonostante tutto, si era irrigidito. “Andrà tutto bene. Nessuno dirà niente, o se la vedranno con me.” Gli sussurrò, prima di allontanarsi da lui e dal resto del  gruppo, per mettersi davanti agli amici. Era completamente esposto, di fronte all’Inquisitrice Herondale che lo osservava con i suoi freddi occhi azzurri. Seduti ai lati della donna, disposti a ferro di cavallo ad un tavolo di mogano, c’erano altri membri del Clave, ridotti al silenzio e che altro non aspettavano che l’Inquisitrice prendesse parola.
“Signor Lightwood.” Parlò la Herondale, in tono solenne. “Vedo che si è ripreso.”
“Sì, Signora.”
“E cosa la porta qui?”
“Una richiesta, Inquisitrice.”
La donna alzò un sopracciglio. I suoi tratti austeri resero quel gesto più spigoloso del normale. “Sentiamo.”
“Vorrei che il Clave prendesse in considerazione l’idea di far partecipare la Regina Seelie al processo di domani.”
Imogen lo guardò come se fosse stato un matto in preda ad un delirio verbale. “Se ne vada, signor Lightwood. Non abbiamo tempo da perdere.”
“Perché?”
“Perché glielo sto ordinando. Esca di qui.”
Alec non si fece intimorire. Non era andato lì per arrendersi al primo rifiuto che riceveva. Era dannatamente testardo, come tutta la sua famiglia del resto, e non si sarebbe arreso fino a quando tutte le carte non sarebbero state scoperte.
“No. Intendevo: perché rifiuta l’idea?”
Imogen serrò le labbra, che andarono a formare una linea sottile. Alec sapeva benissimo che lo stava tollerando a lungo solo perché era il parabatai di Jace. “Perché la legge è la legge, per quanto dura possa essere. Dura lex, sed lex. L’ha dimenticato? Quella Seelie ha infranto gli Accordi e il Clave deve punirla.”
Alec fece un passo avanti, esponendosi ancora di più. “Quando uno Shadowhunter infrange la nostra legge, è il Clave che lo punisce. Mi dica perché per i Nascosti dovrebbe essere diverso, mi dica perché noi abbiamo il diritto di processare i nostri secondo le nostre leggi, ma i Nascosti non possono usare le loro leggi per punire la loro gente. Perché dobbiamo continuare ad ergerci a giudici di chiunque?”
“Perché noi siamo i Figli di Raziel, loro no.”
“E questo ci rende migliori? Crede che ci sia un solo Nascosto che abbia scelto di nascere per metà demone? Non credo. Vengono discriminati per un pregiudizio antiquato, per qualcosa che non dipende da loro. Le sembra giusto?”
“Adesso basta!” La voce della donna si alzò, i suoi occhi glaciali si fermarono su Alec. Sembrava Medusa, che con i suoi sguardi freddi pietrificava gli uomini sul posto. “Lei sta disubbidendo ad un ordine diretto, lanciando accuse pesanti, per giunta. Le consiglio di rimanere in silenzio e andarsene. Altrimenti domani avremo due processi, non solo uno.”
Alec la guardò con gli occhi ridotti a due fessure. Gli avevano sempre insegnato a rispettare le autorità, a portare rispetto alle regole e a coloro che ricoprivano cariche politiche importanti. Ma adesso, con la minaccia di Valentine e Jonathan dietro ogni angolo, che erano scomparsi da tempo e potevano attaccare da un momento all’altro, prestare attenzione a quegli insegnamenti gli sembrava ridicolo, inutile.
“Vuole sapere cosa ha detto mia sorella, mentre il mio parabatai estraeva uno stilo per cercare di salvarmi la vita? Un’iratze non basta. Sono vivo solo perché uno Stregone ha accettato di salvarmi. Pensi se anche lui avesse ragionato come voi: sarei morto.” Alec osservò la donna contrarre la mascella, mentre i suoi occhi guardarono fugacemente Magnus, ancora in fondo alla Sala. “E quello stesso Stregone, solo qualche ora fa, mi ha detto una cosa che spesso tendiamo tutti a dimenticare: nelle vene di ognuno di noi scorre sangue umano, ma preferiamo dare importanza all’altra metà di noi – angelica o demoniaca che sia. Creiamo noi stessi delle divergenze, dimenticandoci che la vera minaccia è ancora la fuori e sta elaborando l’Angelo sa solo cosa per tentare di sterminare degli innocenti. È questo che vogliamo? Essere complici di un genocida?” Alec era un fiume di parole inarrestabile. “Lo stesso uomo che le ha portato via Jace e ha fatto esperimenti su di lui quando era ancora nella pancia di sua madre. Vuole davvero continuare con la politica del chip, quando Valentine Morgerstern, un uomo che ha fatto esperimenti anche sui suoi stessi figli, trasformandone uno in un demone, è ancora latitante?”
“Signor Lightwood, lei—”
Alec sentiva già la sentenza definitiva che calava sulla sua testa, come una lama pronta a decapitarlo: insubordinazione; pena da scontare: derunizzazione. Ma non gli importava, voleva arrivare fino in fondo alla questione. Non voleva arrendersi. “La prego, Inquisitrice. Ci pensi. Potremmo creare un’alleanza, una vera alleanza, con i Nascosti. Elimini i chip, permetta ai Nascosti di avere la possibilità di far rispettare le loro leggi. In questo modo, potremmo stare tutti sullo stesso piano e, di conseguenza, ci sarebbe più predisposizione da parte di entrambe le fazioni ad unire le forze contro Valentine.”
L’Inquisitrice lo osservò con un’espressione indecifrabile. Era impossibile, almeno per Alec – che adesso sentiva la respirazione accelerata, come se avesse corso dieci chilometri – capire cosa passasse per la mente della donna. Desiderava con tutto il suo cuore che prendesse in considerazione la sua proposta, ma, come aveva detto Jace, non era una cosa facile. Centinaia di anni di tradizioni non possono esse spazzate via da un ragazzino in sessanta secondi.
Il silenzio della donna preoccupò Alec, ma poi i suoi occhi si posarono su Jace, alle spalle dell’arciere, e lì rimasero per un istante più del necessario.
“Ci sarà una votazione.” Sentenziò, quindi, riportando lo sguardo su Alec. “I suoi modi di fare sono stati irruenti e poco rispettosi, signor Lightwood, ma ha colto un punto che il Clave non può ignorare. Voteremo, è tutto quello che posso offrirle adesso.”
Era un piccolissimo passo avanti – quasi impercettibile, secondo Alec, ma così come Roma non fu costruita in un giorno, il Clave non avrebbe cambiato le sue vedute politiche da un momento all’altro. Alec voleva credere che quel minuscolo progresso fosse solo l’inizio di qualcosa che avrebbe portato il cambiamento vero e proprio. Fiducia, ci voleva coraggio anche per quella. E Alec aveva deciso di essere coraggioso sotto ogni punto di vista.
“Grazie, Inquisitrice.”
Imogen Herondale annuì seccamente. “Adesso, lei e i suoi amici dovete uscire. Tutti quanti. A fine riunione voteremo.”


Ci vollero tre ore per arrivare ad una conclusione. Tre ore nelle quali Alec, Jace, Clary, Izzy e Magnus rimasero davanti alla porta chiusa della Sala Comune in attesa di un verdetto.
L’attesa fu molto snervante. Ogni volta che la porta si apriva, il gruppo sussultava, convinto di ricevere una risposta, quando in realtà, invece, erano solo delle piccole pause tra una discussione e l’altra.
Solo verso sera, la porta si aprì definitivamente per far rientrare il gruppo. Ad Alec venne chiesto di avanzare di nuovo, mettendosi nella stessa posizione di qualche ora prima, esattamente davanti all’Inquisitrice.
“I membri qui presenti del Clave hanno votato, signor Lightwood.” La donna fece una pausa e Alec sentì il proprio cuore fermarsi. “Non è stato facile, ma abbiamo deciso di accogliere la sua proposta.”
Alec si sentì sommergere dall’abbraccio in cui Jace, Clary ed Izzy l’avevano appena inglobato. E lo apprezzò, davvero moltissimo, ma in quel momento l’unica cosa che gli andava di fare era gioire di quella piccola vittoria con l’uomo che l’aveva aiutato a capire, che gli aveva mostrato una prospettiva diversa. Quindi, sciolse gentilmente l’abbraccio collettivo in cui era stato fagocitato e si diresse verso Magnus, che era rimasto in disparte. Quando furono uno di fronte all’altro, lo afferrò con decisione per i lembi della camicia e lo baciò, incurante che quel gesto stesse avvenendo davanti ai membri più rispettabili del Clave.
Quel giorno, Alec Lightwood diede due motivi per far parlare di sé – e se prima avrebbe dato importanza alle voci, a quello che gli altri potessero pensare di lui, adesso era più che convinto che non gli importava un granché di quello che potevano dire alle sue spalle, soprattutto perché Magnus aveva ricambiato il suo bacio, dando prova che ciò che avevano era più solido di qualsiasi pregiudizio.
Alec era sempre il solito, solo che adesso tutto avveniva alla luce del sole.
E solo un pazzo ricaccia la testa sotto la sabbia dopo aver visto la bellezza luminosa della luce.




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[1] Il corso di un amor cortese (e dei primi appuntamenti)Le Cronache di Magnus Bane, Capitolo 10,  Cassandra Clare. Amo immensamente quel racconto, quindi ho voluto inserirne un pezzetto.

Alloooora, non so bene da dove esca questa OS, anche perché all’inizio l’idea che avevo era diversa, ma mentre scrivevo si è sviluppata questa e ho voluto provare. Il lasso temporale è un po’ diverso: c’è un mix della prima e della seconda stagione, gli eventi hanno un differente ordine cronologico, come avrete sicuramente capito, Magnus e Alec non stavano insieme all’inizio, e la trasformazione della Seelie me la sono inventata. Non voglio rovinare i personaggi originali, ma mi serviva una creatura che avesse a che fare con la magia e volevo che fosse diverso da uno Stregone, quindi ho optato per una Seelie. Spero di non aver fatto un casino.
La storia è una Malec -  perché a me questi due mancano già e il pensiero che la serie venga cancellata definitivamente (io spero ancora che #SaveShadowhunters porti a qualcosa di buono) mi induce a scrivere di loro per scacciare un po’ la delusione – ma ho inserito anche un aspetto di Alec che mi ha sempre incuriosita, quella parte di lui che ha convinzioni diverse, rispetto ai dogmi del Clave, e che l’ha spinto a creare il Consiglio con i Nascosti nella serie e che, sempre nel racconto della Clare sopra citato, lo spinge ad essere gentile con Marcy, la lupa mannara che si trasforma nel locale. Spero di non essere sfociata nell’OOC.
Bene, credo di aver parlato anche troppo, quindi vi saluto e vi ringrazio tantissimo per aver aperto la storia ed essere arrivati fino qui! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima! <3

 

   
 
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