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Autore: Camila Serpents    05/07/2018    0 recensioni
ATTENZIONE: Questa è una FF su Gaara e Mihoko, un personaggio ideato da me in tutte le sue più piccole caratteristiche fisiche e comportamentali, come anche tutte le tecniche che possiede.
DALLA STORIA:
Era una ragazza sola al mondo, l’aveva vista strabiliarsi per un particolare così effimero, nei suoi grandi occhi neri aveva visto una luce che prima d’ora mai aveva intravisto. Si stupì per quell’incredibile senso di protezione che aveva provato poche ore prima quando l’aveva trovata in mezzo alla sabbia. La verità era che si riconosceva in lei, desiderava ardentemente che avesse un appiglio, qualcuno su cui contare.
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Gli occhi azzurri di lui rimasero ancora per qualche secondo a guardare quelli neri di lei, che dopo quella piccola carezza stavano cercando una via di fuga, nonostante quel piccolo gioco la divertisse molto. Sentì per pochi secondi mancare la presa della sabbia, che fu sostituita immediatamente da quella delle braccia di Gaara.
- Me la pagherai paraculo della Sabbia. – Gli sussurrò a qualche centimetro dalla faccia, dandogli un piccolo pugno sul petto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sabaku no Gaara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 La principessa della Sabbia - Hourglass 

 
Una voce rovinò la sua camminata indifferente fra gli altri: quella di Nagisa Matsumoto. – Ciao sfigata. – Si mosse i capelli con le mani, portandoli dietro le spalle. – Fai proprio schifo stamattina. – Rise di gusto, mentre in sottofondo il suo gruppetto di oche idiote aggiungeva altri commenti poco carini.
Chiuse l’armadietto, poi con fare disinvolto si avviò verso la propria classe. – Io farò pure schifo stamattina, ma tu fai schifo tutti i giorni. – Un mezzo sorriso le invase il volto. Sapeva quanto le sarebbero costate quelle parole; altre botte, altre denigrazioni, altri lividi e altre scuse da dover dare al rientro in casa-famiglia. Un silenzio avvolse tutte le persone che aveva attorno. All’improvviso si sentì tirare per i capelli, cercò di liberarsi dalla presa ma era in netta minoranza, come al solito.
Quello che vide nello specchio non le piacque per niente, sapeva che tanto nulla sarebbe mai cambiato, ma soprattutto, che lei non sarebbe mai stata in grado di ribellarsi a tutte quelle persone che le facevano del male, nonostante rispondesse a tutti gli attacchi che riceveva quotidianamente.
Fra tutti gli sguardi giurò di non volerne più incrociare neanche uno.
Al suo ritorno in aula, i suoi compagni di classe, compreso il suo professore la guardarono sommessamente, quasi a non volerle rivolgere la parola per non recarle altre difficoltà. Tutti sapevano della triste fine che avevano fatto i suoi genitori qualche anno fa, quando lei aveva solo sedici anni: morti in un terribile incidente stradale, un uomo devastato dall’alcol aveva rovinato per sempre la sua vita, uccidendo i suoi genitori mentre tornavano a casa dopo aver festeggiato il loro anniversario di matrimonio.
Oggi aveva diciotto anni, ed era rimasta in comunità perché non sapeva dove andare. Triste, sola e senza un soldo in tasca. L’avevano aiutata tanto, sia gli educatori che gli assistenti sociali, le avevano fornito un supporto inimmaginabile, solo che certe ferite non si rimarginano in così poco tempo, forse neanche dopo una vita intera.
Il fischiettio provocato dallo strusciare delle sedie sul pavimento annunciò la fine di quella giornata scolastica, mentre prendeva la sua roba, fece a mente il conto dei bei regali che oggi portava via con sé: un labbro leggermente gonfio, qualche graffio e uno zigomo livido. Lasciava invece con affetto qualche ciocca di capelli e un altro pezzetto della sua dignità sul pavimento freddo e asettico del corridoio della scuola.
Lo sguardo serio e indagatore della sua tutor la fissava sospetta mentre lei si accingeva ad accendersi la sua sigaretta. – È stato ancora quel branco di ragazzette incipriate e senza cuore? – Asserì la donna in gonna e giacchetta grigia con le rifiniture rosa cipria. – Mihoko per favore rispondimi. – Finalmente la ragazza la degnò di uno sguardo, occhi dentro gli occhi.
Il fumo le uscì lentamente dalla bocca con le labbra leggermente socchiuse, mentre ancora sosteneva lo sguardo della donna di fronte a lei. – Mi domando spesso alle volte, come sarebbe stato se i miei genitori fossero rimasti in quel paesino sperduto fra le Alpi italiane... –
Il volto della sua tutor si incupì, rattristata da quella malinconia così percettibile, fitta come nebbia. – Non so darti una risposta, prevedere le possibili alternative non è per niente semplice o attendibile ma sai, io posso dirti solo una cosa: il tuo nome, Mihoko, significa ‘bellezza da proteggere’. – La ragazza la guardò impassibile, come se già sapesse la storia del suo nome. – Proteggiti. – Proferì seriamente la donna dandole le spalle. Chiuse la porta della piccola stanzetta e andò via.
 
* * *
 Lo spazio verde attorno alla casa-famiglia era immenso, un grande giardino con una piccola ma fitta boscaglia che le ricordava quando da bambina andava in vacanza dai nonni in montagna. Adorava quell’aria fresca che respirando le entrava nei polmoni, facendola sentire parte di quell’immensa vastità, il verde dei prati, delle foglie e delle chiome degli alberi, tutto così variegato e così unico.
Da sempre sentiva dentro di sé qualcosa di forte, ogni qualvolta si ritrovava a stretto contatto con la natura, sentiva una strana energia muoversi dentro il suo corpo, concentrarsi nelle mani ma senza poi realmente concretizzarsi in qualcosa di visibile.
Quel bosco era sì piccolo, ma l’affascinava. Aleggiava nell’aria un alone di mistero, come se stesse nascondendo chissà quale segreto. Amava passeggiare fra quegli alberi alti, con gli occhi, seguiva tutto il tronco fino a che non incontrava la chioma con i rami che si ergevano sempre più in alto, quasi a voler toccare il cielo.
Fra l’erba un luccichio colpì i suoi occhi, come un pezzo di vetro contro la luce del sole. Curiosa seguì quello scintillio, chinandosi per vedere meglio se fosse lì attorno. Arrivò fino alla base di un grande albero, quello dove lei aveva creato un piccolo altare in ricordo dei suoi genitori. Quando vide quell’incavo nel tronco per la prima volta, subito incominciò a portare giorno dopo giorno qualcosa per decorarlo, dalle pietre a dei fiori freschi, qualche composizione con ramoscelli e foglie, alcuni sassi particolari che poi decorava con pittura o scalfiva con gli strumenti che trovava nel laboratorio di arte all’interno della comunità. Era venuto su molto bene, attorno all’apertura aveva infilato dei fiori di vari colori, spighe, piume, nastrini e tutto ciò che poteva sembrarle coerente con lo spirito di quell’angolo di bosco di cui aveva deciso di impossessarsi. – Sarà stata una di queste pietre a riflettere la luce, dovevo capirlo subito. – Questo pensiero la divertì alquanto, disegnandole sul viso un sorriso beffardo. – Certo che alle volte sono proprio una stu…- Un vortice bianco con lamine verdi l’avvolse all’improvviso, lasciando nel punto in cui era, solo quel mazzo di fiori che aveva raccolto passeggiando.
 
* * *
 
Gli occhi celesti si aprirono di scatto, dando vita ad un’espressione turbata sul viso di Gaara. Percepiva del chakra vicino a sé, cosa che prima, non aveva captato.
Quando andava ad allenarsi, aveva la premura di controllare di essere sempre solo, non voleva essere interrotto prima della fine dei suoi allenamenti. L’enorme quantità di sabbia che aveva fatto espandere per la sua tecnica gli aveva segnalato d’improvviso che c’era qualcuno nei paraggi, qualcuno però che giaceva immobile poco distante da lui.
Camminò per qualche metro prima di incontrarla; era in mezzo alla sabbia, pareva dormisse. La prima cosa che saltò ai suoi occhi fu la mancanza di un copri fronte, simbolo quindi che non la riconosceva come ninja, ma di conseguenza, non sapeva neanche a che villaggio appartenesse.
Prima di fare qualsiasi cosa si curò di controllare se avesse qualche arma a vista, ma il suo vestiario era primo di tasche, indossava solo dei pantaloni neri strappati sulle ginocchia parecchio aderenti, una maglioncino rosa e una grande sciarpa nera.
Ordinò alla sabbia di ritirarsi all’interno della giara che indossava sulle spalle, sicuro del fatto che si sarebbe svegliata da lì a poco: con un gesto della mano, segnalò a qualche granello di sabbia di strusciarle fra i vestiti, provocandole un lieve solletico. Dovette aspettare davvero poco prima che la ragazza incominciò a mugolare qualche parola. – Dove sono? – proferì con voce sopita, non avendo ancora ben capito che di fronte a lei c’era un ragazzo.
Gaara le donò un piccolo sorriso, poi con delicatezza le prese le mani intente a strofinarsi gli occhi. – Stai attenta sono piene di sabbia, potresti portartela negli occhi e non è una bella sensazione. – Asserì con tono tranquillo.
I due si guardarono per alcuni secondi, lei si mise a sedere girandosi prima da una parte e poi dall’altra cercando di capire da sola dove era andata a finire, senza curarsi per un momento, del ragazzo dai capelli rossi accovacciato davanti a lei. – Sono caduta nel deserto del Sahara? – Domandò interrogativa. – Eppure, tu non mi sembri un beduino. – Fissò Gaara scrutandolo dall’alto verso il basso. Niente vestiti larghi, niente pelle abbronzata, niente cammelli. L’idea che aveva non corrispondeva a chi si trovava davanti.
- Nessun deserto e nessun beduino, sono Sabaku No Gaara del Villaggio della Sabbia. – Le porse una mano per farla alzare. – Tu chi sei? – La sabbia si era quasi del tutto diradata, sotto lo sguardo sorpreso della ragazza, che era ancora più confusa di prima.
- Io mi chiamo Mihoko, abito a Tokyo, ma i miei genitori sono italiani, infatti non ho gli occhi a mandorla. -  Disse indicandosi il viso, leggermente in imbarazzo.
Gaara cercò di capire dove fosse Tokyo, che significasse che i suoi genitori erano italiani e soprattutto, perché quelli che abitano a Tokyo avessero dovuto avere gli occhi a mandorla. Shikamaru era del Villaggio della Foglia e li aveva anche lui in quel modo. Fece spallucce e decise di approfondire l’argomento più avanti, data la strana situazione. – Ascolta, io sto tornando a casa, non vorrei sembrare malizioso ma ti suggerirei di venire con me, da qui è difficile tornare indietro se non sai la strada, una volta arrivati al villaggio sceglierai tu che fare. – Incrociò le braccia sul petto, aspettando una risposta.
- Non ho molta intenzione di rimanere qui per la verità. – Sorrise dolcemente, cercando di nascondere l’ansia e la paura che le stavano invadendo il cervello. Non aveva molte possibilità, rifletté sul fatto che era stata molto fortunata nell’incontrare qualcuno che al momento non le avesse ancora voluto fare del male. Le sembrava una persona apparentemente tranquilla, e le aveva concesso un briciolo di fiducia, vista la situazione completamente assurda in cui si era trovata.
- Attenta a dove metti i piedi Miho. – Gaara si fermò per un attimo, mostrandole con un dito uno scorpione che stava attraversando davanti a loro, diretto probabilmente nella sua tana sotto qualche pietra. – Ma che hai? – Disse dopo aver notato l’espressione di terrore negli occhi di lei. – Guarda che non ti fa nulla. – Disse sorridendo.
Mihoko seguì l’aracnide fino a che non scomparve dalla sua vista. – Ho i brividi. – Proferì seria, fissando il ragazzo esterrefatta.
- Menomale che non sei un ninja. – La voce di Gaara risultò ironica alle orecchie della ragazza che visibilmente non apprezzò il commento.
- Spero per te che tu non faccia il comico nel tuo Villaggio. – Ribatté velenosa, lasciandosi però scappare un piccolo sorriso.
Gaara non risposte, ma la guardò divertito. Stava cercando di capire da dove venisse e che cosa ci faceva lì; non era del suo mondo, ma aveva un’energia ed un chakra impressionanti. Era sicuro al cento per certo che lei era ignara di tutto ciò. Voleva andare più a fondo nella questione, sperando che lei glielo concedesse.
Una grande mura rocciosa comparve davanti ai loro occhi, si estendeva per alcuni chilometri fino a formare un enorme cerchio. Da lì a qualche minuto Gaara avrebbe avuto la sua risposta.
 
   
 
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