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Autore: Subutai Khan    06/07/2018    0 recensioni
Kyouko Kirigiri ha un incidente. Un piccolo, innocuo incidente. Qualcun altro assieme a lei ne pagherà le conseguenze.
[Questa storia partecipa alla Four Seasons Challenge, indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di EFP. Prende spunto da Ghost, quella stupidatella romantica]
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kyouko Kirigiri, Makoto Naegi, Yasuhiro Hagakure
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia attuale situazione è a dir poco assurda.
Devo aver fatto arrabbiare qualche kami dispettoso, perché non me la so spiegare altrimenti.
“Hagakure”.
Sono appoggiata al muro, a braccia conserte, nella camera del suddetto Hagakure.
Da quattro giorni il mio unico contatto col mondo.
“Hagakure”.
E lui fa finta di niente, l’infingardo. Se ne sta seduto alla sua scrivania, rollandosi una canna e fischiettando. Ma quello è il suo fischiettare nervoso, tipico delle situazioni in cui è a disagio ma cerca di mascherarlo maldestramente. Sia chiaro che solo i polli, i sassi e coloro dotati del suo stesso astronomico QI riescono a cascarci.
“So che mi senti. Guardami”.
Non lo fa. Insiste imperterrito nel fischiare un motivetto insensato, forse un jingle di qualche pubblicità. Senza degnarmi di uno sguardo.
Qualcuno di arguto potrebbe chiedersi un paio di cosette. In primis chi sono, e in secundis perché perdo il mio tempo con questo decerebrato.
Alla prima sono in grado di rispondere: il mio nome è Kyouko Kirigiri, piacere.
Alla seconda… in realtà sono in grado di rispondere anche a questa, ma devo ancora realmente abituarmi all’idea.
Sono in camera di Hagakure e mi incaponisco nel cercare di comunicare con lui perché…
Perché…
Cavolo, non credevo avrei avuto tutti questi problemi a distanza di qualche giorno dal fattaccio.
È che... capitemi, è una situazione tutta nuova per me. E che cozza contro le mie più intime, radicate convinzioni.
D’altronde quale Super Detective seria crede ai fantasmi?
Io no di certo.
Almeno non prima di… morire.
Santo cielo, non credevo che avrei mai potuto pensare una frase del genere. O per essere più precisi, credevo che se fossi stata nella condizione di dirlo… non lo sarei stata. Suonerò confusionaria, quindi cercherò di spiegarmi: ho sempre pensato che dopo la morte ci fosse il nulla. Il corpo smette di funzionare e l’anima… non so entrare nei dettagli filosofici, ma pensavo che si dissolvesse in un miliardo di lucette o qualcosa del genere.
Ma perché mi trovo nella disgraziata situazione di poter riflettere sulla vita, la morte e tutto quanto come parte in causa?
Dannazione, la mia reputazione farà un volo a picco come neanche quelli che fai buttandoti a peso morto dalla cima dell’Himalaya.
È successo, come ho detto, quattro giorni fa.
Quella mattina mi ero svegliata di ottimo umore. Non so quale magia si fosse impossessata di me, anche se col senno di poi tenderei a chiamarla sfiga, ma che ci crediate o meno ho spalancato la finestra della mia camera alla Kibougamine sorridendo radiosa al mondo.
La mia doccia giornaliera l’ho condotta cantando.
Io, Kyouko Kirigiri. Cantavo. Sotto la doccia.
Non vi starò a spiegare perché è l’apice della ridicolaggine.
Vorrei poter proseguire dicendo che dopo sono andata a dar da mangiare agli uccellini, ho cancellato la fame e la guerra e le pestilenze dall’intero globo, ho vinto tutti i premi Nobel disponibili (compreso quello per la fisica, materia nella quale sono notoriamente una schiappa col botto) e mi sono laureata sei volte… ma mentirei.
La mia giornata e la mia vita si sono concluse in quella doccia.



Sì, hai indovinato furbastro.
La più classica, stereotipata, patetica caduta.
CRACK.
Calotta cranica contro lo spigolo del gradino e ti saluto Kyouko.
All’inizio non mi ero accorta di nulla. Mi sono rialzata, persino convinta di avere la testa dolorante, e sono andata avanti come se nulla fosse.
L’epifania mi ha colpita in faccia quando, fatti tre passi, mi sono improvvisamente trovata vestita di tutto punto. Avendo appena finito di lavarmi da capo a piedi, e dovendo prendere in mano anche solo le mutande, la cosa non mi quadrava.
Nel cercare di capirci qualcosa mi sono voltata più e più volte, finché l’occhio non mi è caduto… sì beh, insomma, ci siamo capiti. Pure questo mi è successo, non riuscire a pronunciare la parola cadavere. Col mestiere che faccio. Facevo.
Lì ho realizzato.
Ed è partita una scarica di parolacce, imprecazioni sbarazzine e bestemmie da far impallidire Oowada nei suoi momenti migliori. Il che la dice davvero molto lunga sul mio stato psicologico di quegli attimi.
Ora, a distanza di circa novantasei ore, mi sento di poter dire di essere già più in pace con la cosa. Averla accettata del tutto è un altro paio di maniche, ma sinceramente non credo di correre il rischio di crisi psicotiche. Anche perché non potrei spaccare niente e ci rimarrei male. Sapete, la notoria corporeità dei fantasmi.
Tornando al momento del fattaccio.
La parte brutta è che ci hanno messo un sacco di tempo ad accorgersi della mia assenza. Per non so quale congiunzione astrale negativa, sembrava che in classe nessuno ci avesse fatto caso. In preda al furor mortis ci sono finita per caso, ovviamente attraversando le pareti nel farlo (perché rinunciare ai clichè, dico io), e solo dopo un’oretta mi sono resa conto che non un cane si faceva una domanda che fosse una.
Non un “Ma Kirigiri-san? È malata?”.
Non un “Accidenti, sono preoccupato”.
Non un “Che fine ha fatto?”.
Niente.
Per fortuna, e si fa per dire, la cecità generalizzata è stata infranta da un urlo disumano. Guardando l’orologio ho visto che erano le nove e un quarto, orario in cui usualmente gli inservienti cominciano a pulire le stanze degli alunni.
Deh, siamo la Kibougamine. Da questo lato la nostra accademia assomiglia più a un albergo a cinque stelle che a una scuola.
Siamo qui perché vogliono il meglio del meglio del meglio, signore, magari anche con lode. E come tali veniamo trattati.
Qualcuno doveva avermi trovata.
Naturalmente ogni singolo allievo si è riversato in corridoio, incuriosito. Qualche buontempone ha ipotizzato ci fosse una tigre in libertà. O un leone. O un rinoceronte.
Ovviamente non si è fatta parola di un corpo senza vita in una doccia. Sarebbe stato troppo oltre.
Un po’ per noia e un po’ perché obbligata dalla contingenza, ho deciso di seguirli mentre risalivano alla fonte dell’urlo. Trovandola nella povera signora Nishikawa che, proprio al nostro sopraggiungere, schizzava fuori dalla porta di camera mia strepitando e piangendo.
Mi è dispiaciuto davvero tanto vederla così a pezzi. Mi creda, non era mia intenzione darle un simile colpo. Ne avrei fatto volentieri a meno.
Ma prima di giungere al clou di questa tragedia, un breve intermezzo: mentre correvano come dei forsennati, con me subito dietro, per una distrazione ho preso dentro la spalla di Hagakure. O meglio, gli avrei preso dentro se avessi avuto un corpo di carne e ossa.
Naturalmente gli sono passata attraverso. Dio se odio i clichè.
E perché questo intermezzo? Oh, nulla di serio. Solo il semplice, innocuo, trascurabile fatto che lui, l’idiota per definizione, l’ultra ripetente, quello che ancora crede che gli alieni gli abbiano portato via il panino… lui ha avuto una reazione. Ha guardato nella mia direzione, anche se solo di sfuggita, quasi a rimproverarmi per avergli sbucciato la fragile pelle.
Se n’era accorto.
Lì per lì non ci ho badato troppo, ma la mia mente da detective ha registrato il dettaglio, l’ha confezionato in una bella busta e l’ha infilato nel primo cassetto che gli è venuto sottomano. “Così non mi scappi”.
Il fatto è che ero troppo emotivamente presa da quanto stava accadendo. Praticamente l’intera scuola si stava riversando nel luogo in cui ero morta da poco. E, giusto per gradire, il mio corpo era nudo come un verme. Cioè, capisco che ormai non dovrebbe più interessarmi ma…
Come, scusa? Non sono parole e pensieri da me? Senti ciccio, sono un fantasma. Cosa vuoi che me ne freghi di cosa è e cosa non è da me? Ho tutta la libertà del mondo ora. Pertanto, dovessi sembrarti out of character, sappi che probabilmente è voluto.
Il momento della scoperta è stato un dramma. Purtroppo, per una serie di sfortunati eventi che manco in Lemony Snicket, alcuni fra i miei compagni sono stati i primi a entrare nel mio bagno. Fra me e me mi è venuto un breve attacco di rabbia, ma ora posso dire che si è trattato semplicemente di un momento di sbadataggine: ancora pensavo come se fossi stata viva, e il sapere che c’era gente che mi entrava impunemente in bagno me le ha fatte girare. Ingenuo da parte mia, lo ammetto.
Naturalmente, per non farsi mancare nulla, in avanscoperta ci sono andati Naegi e Fujisaki. Due dei più teneri cuori di panna non solo della 78, ma dell’intera scuola.
Lascio alla vostra immaginazione come hanno reagito.
È stato il delirio. Kyouko Kirigiri, Super Detective, DSC 910, trovata morta nel bagno di camera sua nei dormitori della Kibougamine dopo che ha battuto la testa uscendo dalla doccia. Una storia degna di qualche teatro di rakugo, anche se non richiede particolare bravura nell’esposizione perché fa ridere già di suo.
Gente che gridava, gente che invocava i kami, gente che fissava il soffitto o il pavimento con sguardo vitreo. Anche gente che se ne fregava, ma non mi piace considerarla.
E i miei compagni, salvo un paio di eccezioni, che hanno aperto i rubinetti delle lacrime e non sembravano intenzionati a chiuderli tanto presto. La vostra indifferenza me la sono segnata, Ludenberg e Togami.
Brava Kyouko, complimenti. Ti è bastato svegliarti convinta che il mondo fosse un posto magnifico, cantare sotto la doccia, distrarti due secondi e questo è il risultato.
Non voglio neanche cominciare a parlare di quando il preside, a quanto pare avvisato di tutto quel trambusto, ha fatto il suo trionfale ingresso in scena. Ho desiderato che qualcuno, possibilmente Oogami o Ikusaba che in queste cose ci sanno fare, ponesse fine alla sua vita lì in quel momento. Vederlo quasi letteralmente disintegrarsi di fronte ai miei occhi è stata una scena a cui non augurerei di assistere neanche al mio peggior nemico.
Quel giorno l’intera accademia ha cessato di funzionare. Era la prima volta che qualcuno moriva dentro le sue mura, sebbene solo per uno stupidissimo incidente. Lezioni sospese, lutto nazionale, visite dell’imperatore e tutto il resto dei provvedimenti che si possono prendere in una situazione del genere.
...devo ancora decidere se sono contenta o meno di questo sviluppo. Pare infatti che il trapasso abbia abbattuto qualsiasi diga avessi fra cervello e bocca, lasciando traboccare tutto il sarcasmo che c’è sempre stato ma che prima, vuoi per etica lavorativa e vuoi per evitarmi problemi, tenevo ben ancorato. Adesso fluisce libero e incontrastato, e appunto non so decidere se sia un bene o meno.
“Almeno apri la finestra. Sai che mio padre non vuole si fumi dentro, men che meno quella roba”.
Veniamo al mio attuale problema, che ha un nome e cognome e che in questo preciso momento si sta avviando alla finestra per spalancarla. Non ho mai capito la politica di papà nei confronti degli svaghi ricreativi: li ha sempre tollerati, basta che non siano palesi. Vuoi fumare/bere/drogarti/fare sesso selvaggio? Va bene, assicurati solo che io non lo veda. Bizzarro.
A questo riesco finalmente a ottenere la sua attenzione. Si volta verso di me, due secondi dopo esserci acceso il cannone, e dice: “Kirigicchi, ti prego, finiscila di perseguitarmi!”.
Mi nasce un sorriso sbruffone nel rispondergli: “Pensi davvero che sia soddisfatta di tutto questo? Da quattro giorni sei il mio unico dannato punto di contatto col mondo. Fidati che mi sarei cercata un’opzione più efficace se ci fosse stata, ma non c’è. Ho inseguito tutta la classe, e non solo loro, e ho cercato di farmi notare in ogni modo possibile e immaginabile. Niente, zero, nada. Non uno di loro ha percepito nulla. Tu invece mi vedi e mi senti. Chiediti perché ti sto sempre alle costole”.
Ridi e scherza con la storia del 30%, il suo titolo se lo merita. Poi resta un deficiente totale, ma non posso pretendere troppo. Cara grazia che c’è e ho ancora un ponte coi vivi.
“Sì, ma sono quattro giorni che mi asfissi! Sin da davanti camera tua, quando abbiamo… sì insomma, hai capito!”.
“Che ti devo dire? Hai mostrato di avermi notata, non ti avrei lasciato andare facilmente”.
“Maledetto me…”.
“Darti la zappa sui piedi è una cosa che ti riesce benissimo, Hagakure. E ora ti tocca smezzarti il fantasma”.
“Mi sottovaluti, Kirigicchi”.
“No, non credo pro… eh?”.
Inconcepibile.
Ha preso a ignorarmi. Ho completamente, totalmente, assolutamente smesso di esistere persino ai suoi occhi. Si è messo alla finestra, fumandosi bello beato il suo tesoro di THC.
Se potessi gli darei un calcio sugli stinchi. O nei coglioni.
Oh già, dimenticavo. Oltre al sarcasmo si è affacciata prepotente la tendenza al linguaggio scurrile.
Capirai, sono morta. Cosa vuoi che me ne fotta.
Questa… questa cosa è… offensiva.
Come si permette, questo maleducato sacco di merda, di voltarmi le spalle in questa maniera? Soprattutto non dopo che mi ha dato il contentino di rivolgermi la parola per circa dieci secondi.
Lo capisci o no che sei l’unico mio punto di contatto con voialtri, deficiente?
Non ti permetto di comportarti così.
Al che mi viene in mente un’idea geniale. Perfida ma geniale.
Qualcuno potrebbe stupirsi di quanto sta per apprendere, ma dovete sapere che ho un debole per Ghost. Sì, quel filmucolo sentimentale. Colpa di Fukawa, me l’ha fatto conoscere lei nonostante le mie reiterate proteste.
E l’ho sempre trovato adorabile.
E sganasciante.
Specie quando Patrick Swayze si mette a cantare in piena notte per tenere sveglia Whoopi Goldberg.
Quella scena è il non plus ultra della ridarella.
E quindi, avendo davanti ai miei occhi il mio personale equivalente della signora Goldberg, oltre che fesso supremo…
“Sono Enrico VIII il re Enrico VIII chi più re di me! Voglio impalmar una vedova sconsolata che sette volte s'è già sposata! Ogni marito è Enrico Enrico! Non vuole William o Sam per signor! Son il suo ottavo Enrico! Enrico VIII chi più re di me, Enrico VIII il re dei re!”.
Mi metto a cantare a squarciagola.
Lui non fa un plissè.
Ma io ho tempo da perdere. Non ho casi da seguire, compagni antipatici da evitare, padri illusi che vogliono a tutti i costi ricucire un rapporto sepolto sotto la marea del tempo.
Vorrei far presente che non sono esattamente un usignolo, anzi. Per questo ho sempre tenuto la mia invidiabilissima prodezza canora al guinzaglio. Avrei speso un capitale in apparecchi uditivi per l’intera scuola.
Vado avanti per un po’, con la seconda strofa tale e quale alla prima e con la terza tale e quale alla seconda. Si limita a fumare, placido e disperso nel nulla cosmico del suo cranio.
Poi, finalmente, dà un segno di vita. Ma non quello che speravo.
Si gira verso di me…
...e comincia a cantare anche lui.
Non. Ci. Voglio. Credere.
La sua idiozia non solo lo scherma dal mio giustificato assalto sonoro, ma gli permette persino di passare al contrattacco.
Bof. Vediamo chi si stanca prima.






La risposta è io. Il che è paradossale, me ne rendo conto.
“Oh, ma davvero Kirigicchi? Getti la spugna alla cinquantaseiesima strofa, che è tale e quale alla cinquantacinquesima? Che delusione” commenta divertito, con gli ultimi spasmi della quarta canna che gli stanno per bruciare le dita.
“Attento, cretino. La tua mano sta per avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con qualcosa di focoso”.
“Yauch! Grazie per avermi avvertito!”. E provvede a spegnerla, evitandosi un paio di falangi abbrustolite.
Uhm. Incontro ravvicinato del terzo tipo…
Ciò mi dà un’idea. Sì, un’altra. Questa però esito a chiamarla geniale, specie alla luce di com’è finita la sua sorella maggiore.
“Va bene” dico assumendo un tono greve “Non volevo arrivare a tanto ma mi ci costringi. Quanto sta per accadere è solo ed esclusivamente colpa tua, Hagakure. Al contrario mio, tu avrai tutta la vita per pentirtene”.
L’aria da profeta dell’apocalisse che mi sono cucita addosso con sapienza suscita la reazione sperata: comincia palesemente a cagarsi in mano. Gli prendono a battere i denti, si stringe le gambe e più in generale è il ritratto del puro terrore.
“C-C-C-Cosa… di c-c-cosa stai parlando?”.
“Della mia arma segreta”.
“Arma s-segreta?”.
“Arma segreta. Vedi Hagakucchi, il passare dall’altro lato della barricata mi ha concesso certi… vantaggi”.
“Che t-tipo di v-vantaggi?”.
“Sovrannaturali”.
Esatto. Il caro, vecchio, mai troppo abusato spauracchio dell’occulto.
Per convincere un riottoso Super Veggente a darmi retta. Rendetevi conto del parossismo.
Però oh, non ci posso far nulla. Se hai a che fare con ‘sto rasta del cazzo che si rifiuta di fare il bravo bambino, basta fargli annusare odore di Flying Spaghetti Monster che tutt’ad un tratto diventa accondiscendente come un cagnolino ben addestrato.
“Non… n-non starai m-mica dicendo… dicendo c-che…”.
“Ci puoi giurare che lo sto facendo. Se continui a incaponirti nel non darmi retta, sono ufficialmente obbligata a schioccare le dita e a farti trovare una testa di chupacabra nel letto mentre dormi. E sarebbe il meno”.
“I-Il meno?”.
“Tu non vuoi che ti organizzi un rave party di arquiliani da Vega in camera. Non lo vuoi. Sono dei gran casinisti, grazie al fatto che hanno sei braccia e tre proboscidi, col brutto vizio di prendersi a botte quando sono ubriachi. E non sanno dire di no a un rave. Il sangue arancione degli arquiliani, poi, non lo scrosti dai mobili neanche con l’acido solforico. Senza contare la loro propensione a scopare come ricci ovunque…”.
Allora. Ho creato nome, aspetto fisico, carattere e abitudini di riproduzione di una razza aliena. Così, al volo. In maniera rapida, precisa e priva di tentennamenti.
Mi viene da chiedermi perché ho perso il mio tempo a leccare cadaveri e impelagarmi in schifezze assortite quando avrei potuto fare la bella vita in un loft a Odaiba come scrittrice di bestseller sci-fi. Poi ok, se tanto mi dà tanto sarei magari finita lo stesso alla Kibougamine e sarei comunque morta in quella maniera ridicola, ma…
No, non è il momento per i se e per i ma. È il momento di prendere ‘sto babbeo per i testicoli e strizzarglieli tanto forte da impedirgli di avere figli per il resto dell’eternità. Così magari la smette di andare in giro a dire che lui e Naegi-kun avranno prole dalla stessa ragazza.
Quando vengono citati gli usi sessuali degli arquiliani, il sopracitato babbeo cede del tutto. Si butta in ginocchio, le mani unite in una vana preghiera, scongiurandomi di non trasformare camera sua in un Nicofarre intergalattico.
“Allora farai quel che ti chiedo?”.
“Tutto! Tutto quello che vuoi! Ma ti prego, non chiamare i tuoi amici di Vega per distruggermi la stanza! Te lo chiedo prostrandomi!”.
Mission accomplished, Solid Kyouko Plissken.
L’eccessiva teatralità del suo modo di fare mi porta ad addolcirmi e a fargli cenno di alzarsi. Va bene, sono stata io a tirar fuori il metodo scorretto. Lo so. Ma che vi devo dire. Evidentemente, seppur etereo, ho ancora un cuore.
Lo aiuterei anche, potessi.
“Hagakure, guarda che non ti sto chiedendo la luna. Vorrei solo che mi tenessi presente, tutto qua. Davvero, non pretendo nulla oltre a quello. Non credevo che sarei mai giunta a dire una cosa del genere, ma… ho veramente bisogno di te”.
“E… e per cosa?” chiede, una volta di nuovo in piedi. Non più spaventato come dopo aver visto un vampiro che beve pomodoro, bensì… incuriosito.
Il che da una parte mi maldispone assai, perché ho sempre trovato quella sua particolare faccia insopportabile. Ma dall’altra mi rendo conto che me lo devo tenere buono, e mi sa che mi tocca ingoiare.
...no pervertito, non in quel senso.
“Te lo devo spiegare di nuovo? Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara, prima”.
“Non hai tutti i torti quando mi definisci cretino, sai. Temo di aver bisogno di un ripasso”.
“Ma sei serio? Sei vero? Come cavolo sei sopravvissuto in questi ultimi venti e rotti anni?”.
“Sono ventidue, non venti e rotti. Come ti permetti di dirmi che sono rotto?” squittisce, offesissimo.
Sento che mi sta venendo un’emicrania. Non voglio dargli la soddisfazione di vedere che il suo essere incredibilmente stupido ha effetto su di me, quindi cerco con tutta la mia forza di volontà di glissare sul nascente mal di testa (fra l’altro, ma come stracazzo fa un fantasma ad avere mal di testa? Sono per caso diventata la barzelletta del circondario?).
Un sospiro. Un incitamento mentale a perseverare.
“Lasciamo perdere la tua età” riesco a dire in tono neutro, gli occhi chiusi e due dita sul ponte del naso “Quel che conta è che mi servi”.
“Ok, ma per cosa? Non tenermi sulle spine, Kirigicchi!”.
Te le ficcherei puoi immaginarti dove, quelle spine.
“Per poter parlare con qualcuno di voi che non sia tu se mi dovesse servire, maledetto imbecille! È solo la terza volta che mi tocca ripeterlo! Porca di quella vacca imputridita, c’è un limite all’essere dei minorati mentali!” mi lascio sfuggire, leggerissimamente in preda a una crisi isterica senza precedenti nel mio curriculum. Le braccia all’aria, la voce più alta del normale di tre o quattro decibel e la faccia probabilmente violacea lo convincono ad ammutolirsi e a non tirar fuori una delle sue proverbiali obiezioni, oltre a fargli fare un paio di passi indietro per lo spavento.
No Kyouko, non così. Non lasciarti andare troppo. Viva morta o X, resti sempre una Kirigiri. Noi non siamo come quei pagliacci che vanno in giro a sventolare il coltello a serramanico urlando “Ammazzo questo e ammazzo quest’altro!”. Non scendere a tale preistorico, buzzurresco livello.
Un altro sospiro, stavolta palese e oserei dire teatrale.
Ricordati gli esercizi di training autogeno. Come, credevate che non avessi bisogno da viva? Poveri illusi. Provate voi a stare a contatto per la maggior parte della giornata con una diva bionda funestata dalla gastrite, una giocatrice d’azzardo che parla e si atteggia come una contessa ungherese del 1800, un bulletto di periferia dalla parolaccia facile e dal pugno ancora più facile e un nutrito capannello di altri personaggi pittoreschi. Voglio proprio vedere quante volte dovete sostituire il fegato prima di andare a letto.
Da capo. Da capo.
“Scusa, ho esagerato”. E il dover essere io a chiedergli scusa… no, hai detto di no. Non farlo.
“No, hai ragione” conferma lui, mano sui dread e sguardo stranamente affranto “Non sono proprio la lama più affilata della collezione Samurai, capisco perché ti arrabbi”.
Di nuovo mi lascio prendere da uno strano moto di tenerezza. Con Hagakure è sempre stato così: prima mi mandava in bestia, con la differenza che non lo esternavo, poi riusciva a far rientrare l’incidente con una frase o una faccia pentita. E per questo non gli ho mai portato il rancore che in certe occasioni si era anche meritato.
“Cerca di venirmi incontro. Sono un fantasma, dannazione! Non è facile per me”.
“Oh, chiaro. Va bene tutto, ma fin lì…”.
BRAM.
Uh?
La porta della camera si spalanca. Dimenticavo che il padrone di casa ha il brutto vizio di non chiudere mai.
“Hagakure-kun, sono venuto per… con chi stavi parlando?”.
Nomachesulserio?
Sulla soglia rimane impalato Makoto Naegi.
Cala il gelo, sulle teste di tutti e tre. Facciamo due e mezzo.
“Parlare da solo… è troppo persino per te…”.
Makoto, vedi che per una volta non è colpa sua.
Il mio veggente preferito guarda me, guarda lui, guarda me e guarda lui. Evidente che non sappia che pesci pigliare. La cosa, indovina indovinello, non mi stupisce.
Ehi, cosa stai facendo? Perché ti schiarisci la voce in quel modo inquietante?
Il mio quinto senso e mezzo di detective ha preso a suonare come fanno quei simpatici antifurto delle automobili che ti tengono sveglio tutta la notte.
“Naegicchi” gli si rivolge in tono solenne “ecco, c’è una cosa che devo dirti…”.
Oh, non oserai.
Non gli devi dire di me. Non devi. Non così.
Che poi in realtà è il motivo per cui sono quattro giorni che lo tampino, quindi anche solo il volerglielo impedire mi farà passare per incoerente.
Ma non così.
Gli intimo esplicitamente che non si deve azzardare.
“Tanto prima o poi dovrò farlo, no?” mi risponde.
E non è che possa dargli torto.
“Ancora? Io non ho detto nulla, Hagakure-kun…”.
“Naegi, non stavo parlando da solo”. Lo dice con una serietà per lui inaudita. Lo si capisce anche solo dalla mancanza di quell’irritantissimo -icchi.
“Come no? Siamo solo noi due qui”.
“Ti sbagli”.
“Prego?” fa il Fortunello, comprensibilmente scioccato da quanto ha appena sentito. Il suo sguardo da cervo che sta per essere investito, con quegli occhioni a dir poco sgranati, mi ha sempre scaldato il cuore. E non gliel’ho mai detto.
...sai che forse non è una così pessima idea, Hagakure?
“Hai visto che mi sono girato un paio di volte, giusto? Beh, mi stavo rivolgendo a…”.
La pausa drammatica? Da un simile elemento? Fatemi uscire da questa commedia dell’assurdo, per piacere.
Scuoto la testa in un no, a ripetizione.
“...a Kirigiri”.
Non passa neanche mezzo secondo che a Naegi si riempiono gli occhi di lacrime e gli si avventa addosso, dandogli un secco pugno sullo sterno: “NON DEVI NEANCHE SCHERZARE SU UNA TRAGEDIA DEL GENERE!”.
“Ouch! E chi scherza? Lei è qui” gli risponde, cercando di toglierselo di dosso.
Rimango immobile a fissarli, con Naegi che continua a cercare di farlo rinsavire (adorabile ingenuo) e Hagakure che non desiste.
Non sta delirando. Mi rendo conto che è dura crederlo, Makoto, ma è così.
“Per l’ennesima volta” sbotta poi Rastaman quand’è più libero “Non ti sto prendendo in giro, Naegicchi! Kyouko Kirigiri è qui, con me e te, in questa stanza. Ovviamente è un po’ troppo trasparente, ma c’è. Sono l’unico che può vederla e sentirla”.
“Tu… tu r-racconti… solo b-balle” balbetta l’altro mentre si affanna ad asciugarsi le lacrime.
“Stai parlando della cosa del panino? Ok, lo ammetto, era una cazzata. Quel panino me l’ha mangiato un randagio e, per non fare una figura barbina da mentecatto, mi sono inventato quella storia. Ma Naegi” si interrompe un attimo per afferrargli le spalle e costringerlo a guardarlo in faccia “adesso devi credermi. Non sto mentendo. È la verità”.
“C-Come p-posso crederti?… K-K-Kirigiri-san… è m… morta…”.
“Kirigicchi, una mano?” si gira verso di me, come al solito mendicando qualcuno che lo cavi dagli impicci.
Quanta fatica mi fai fare, Hagakucchi.
Mi metto nella classicissima Posa Kirigiri che Pensa™, alla ricerca di un dettaglio che possa convincere il testone.
Muovendo un dito della destra sotto al mento, acquisto un’inusuale consapevolezza delle mie mani.
Mani…



Ok, ci sono.
“Preparati, Hagakure” dichiaro fiera “perché questo è uno spettacolo riservato solo a te”.
Di fronte al suo volto via via sempre più sbigottito, faccio la follia definitiva.
Mi sfilo i guanti.
Tanto l’ho già detto prima, no? Sono morta, cosa vuoi che me ne fotta.
Se tutto va come dovrebbe andare, sarà in grado di vedere le mie adorabili mani martoriate dalle ustioni.
A giudicare dal riscontro visivo sì, funziona. Alla grandissima.
Reputo giusto corredare con una spiegazione vocale: “Descrivigliele. E digli che sono il motivo per cui mi avete sempre vista con i guanti, anche durante le lezioni di nuoto e al mare. Quando lo avrai fatto, provvederò a raccontarvi perché sono così”.
Esegue, ligio al dovere.
Naegi prende a guardare in modo vago nella mia direzione, memore di quando lo faceva lui. Sembra un pochino più convinto, anche se sempre ovviamente fuori di sé.
“Dunque” inizio, dopo l’usuale colpo di tosse finto che anche se sono un fantasma odio i cliché mannaggia al porco “dovete sapere che esercito… ho esercitato la professione sin da molto piccola. Ho cominciato a sei anni, come Mozart. Queste carinerie me le sono procurate alla tenera età di anni otto. Fu un caso fottutamente difficile, comprensivo di inseguimenti in mezzo al traffico, aste del mercato nero… e un cazzo di incendio. Di cui, com’è evidente, porto ancora i segni”. Il mio tono di voce si inasprisce nell’ultima frase, ma lo reputo comprensibile. Giustificabile. Umano.
Riferisce pure questa parte. Riportando anche il paragone con Mozart e le parolacce. Grazie Hagakure, grazie.
“Ma… ma a-allora… sei serio, Hagakure-kun? L-Lei… è…”.
“Lo sono eccome, Naegicchi. O pensi che mi sia inventato tutte queste cose sulle sue mani? Io? Ti paio capace di farlo?”.
E poi, da questo scambio di battute, perdo il senno.
Perché non so cosa mi spinga a fare quel che faccio.
Quel che faccio è avviarmi a grandi passi verso Hagakure… ed entrargli dentro.
Non mi si chieda neanche com’è possibile, che cos’ho fatto, perché l’ho fatto.
Non lo so. Non so una minchia.
So solo che mi sento prudere il naso e mi fa male la caviglia sinistra. Come te la sei procurata ‘sta storta, pirla?
Erano quattro giorni che non provavo fastidi del genere. Mi sembrano un’eternità.
A quanto pare non ci sono state esplosioni di luce o altre manifestazioni esterne, perché Naegi non reagisce in alcun modo alla novità.
Fra l’altro sono stata rapidissima, quindi è capitato nel bel mezzo del loro discorso.
“Io… io non riesco… non riesco a crederci...”.
“Credici, Naegi-kun”.
Cosa?
Quella… era la mia voce.
O santi numi.
Anche lui chiaramente se ne accorge, e a quanto pare era la prova che gli serviva per convincersene del tutto.
C’è silenzio. Io gli sorrido, lui mi guarda con la faccia da ebete. Ma come posso fargliene una colpa?
Poi, finalmente, parla: “K-K-K-K-K-K…”.
“Lo sai il mio nome, Naegi-kun. Non farti bloccare da così poco”.
“...”.
Effettivamente gli sto chiedendo molto. Forse troppo.
Tentenna un attimo. Sembra voglia fare qualcosa, ma non riesce a vincere la sua titubanza/insicurezza/paura/vattelappesca.
Improvvisamente sconfigge l’ostacolo e fa quel che si era, presumo, preposto di fare.
Mi salta al collo. O forse dovrei dire che gli salta al collo? Oh, ‘fanculo. Mi salta al collo.
“KIRIGIRI-SAN!!!”.
“Anch’io sono felice di vederti, Naegi-kun”.
Accarezzagli i capelli, asciugagli le lacrime fresche, datti da fare nel quietarlo.
Ci vogliono dieci, quindici, venti minuti. Magari pure qualcuno in più.
“Questa… tutta questa cosa… è fuori dal mondo” sbraita camminando in tondo per la stanza, una volta recuperata un minimo di compostezza.
“Lo dici a me? Sono sconvolta quanto lo sei tu, specialmente perché non so come sto possedendo Hagakure. Yuck, che brutta immagine”.
“Fa senso, sì. Ma tutta ‘sta faccenda fa senso! Mi stai dicendo che in questi ultimi quattro giorni, da quando sei… sei...”.
Morta. Lo puoi dire, non è una bestemmia”.
“Da quando sei… morta, giri per la scuola come fantasma?”.
“Non proprio. Ho avuto un momento in cui vagavo senza meta, ma è durato poco. Avevo notato subito la particolarità di questa testaccia vuota” dico dandomi tre pugnetti sul cranio, e il piccolo dolore che mi causo è manna della più sopraffina qualità “e la maggior parte del tempo gli sono stata alle calcagna per convincerlo a farmi da tramite per… un’occasione come questa”.
“Oh” è il suo intelligente commento. Poi, forse capendo di non aver brillato in arguzia, comincia a tempestarmi di domande. Mi chiede come si sta dalla mia parte, cosa si prova, se lui e gli altri mi mancano, se questo e se quello.
Alcune sono di una banalità disarmante. Tipo, secondo te posso essere una pasqua? Puoi sul serio pensare che forse i miei compagni… i miei amici non mi manchino?
Però, nuovamente, non è cosa che gli possa davvero rimproverare. Il poveretto è molto poco in possesso delle proprie facoltà, e non è di certo cosa per cui gli si possa muovere un rimprovero. Reagirei nel suo stesso identico modo a ruoli invertiti. E sì Kyouko, lo faresti, non nasconderti dietro il paravento della Super Detective invincibile e troppo figa per farsi prendere dall’ondata emotiva.
Wow. Mi stupisco di me stessa e di ciò che penso.
Quindi mi armo di pazienza e rispondo a ogni sua singola domanda, anche a quelle più stupide e prive di senso. Ha il diritto di sentire ovvietà venire dalla mia bocca.
Esaurito il questionario, fra di noi cala come un muro che ci tiene virtualmente lontani. Non saprei dire il motivo per cui succede, succede e basta.
C’è… tensione, una strana forma di tensione che ci separa.
Nessuno dei due trova niente di adatto da dire.
E più passano i secondi, più mi rendo conto che non mi va per niente bene.
Potrei venire estromessa dal corpo che sto occupando abusivamente da un momento all’altro. Tornerei ad essere concreta come un soffio di vento.
Mi girerebbero i coglioni che non ho come le pale di un elicottero.
No, decido. Non lascio che vada così.
Devo almeno togliermi una soddisfazione prima che torni ad essere impossibile.
Fintanto che ho un respiro, un battito e delle mani di carne. Anche se non miei.
“Naegi-kun. Chiudi gli occhi”.
Ho deciso. Mi butto.
“Eh? Perché?”.
“Fallo e basta”.
“Ma se non mi dici…”.
“Lo vuoi fare o no, cazzo? Probabilmente ho poco tempo, non ti permetto di farmelo sprecare con altre domande idiote”.
Finalmente, dopo quello che pare un secolo, ubbidisce.
Li chiudo anch’io.
Dev’essere un momento magico. Sarà il primo e l’ultimo della mia vita, niente deve disturbarci.
“Ricordati che io sono Kyouko Kirigiri, non Yasuhiro Hagakure”.
“Eh? Perché mi dici questo?”.
Gli rispondo baciandolo.
Sento chiaramente che si agita. Non se lo aspettava, povera anima. E, come se non bastasse, è evidente che il Veggente non si faceva la barba da almeno tre giorni.
Gli avrò riempito la bocca di peli.
Non me ne pento.
Ho sempre avuto questa mezza intenzione, fosse anche solo per conoscere il gusto delle sue labbra.
Non mollo la presa.
Ora sei mio, e lo sarai finché lo vorrò. O finchè il Grande Demone Celeste non mi caccerà a calci da qui.
Mi rendo conto di avergli causato un trauma. Quello che facilmente è il suo primo bacio… lo ha ricevuto da un uomo. Stando alle mie informazioni Makoto Naegi è etero al cento per cento, quindi suppongo non sarà esattamente soddisfatto.
Non mi importa.
Dovevo sfruttare l’occasione. Non so se si ripresenterà mai, era troppo ghiotta per lasciarmela scivolare in mezzo alle dita.
Il suo tremare aumenta d’intensità, man mano che il bacio si fa più profondo e passionale. Finché non cessa del tutto.
Faccio appena in tempo ad afferrarlo prima che caschi per terra.
Svenuto.
Ops. Ho esagerato.
Lo appoggio sul letto.
Non me lo ricordavo così… tenero mentre dorme.
“Sai Naegi-kun, avevo capito che hai un debole per la sottoscritta. C’erano quei momenti in cui ti avvicinavi a me tutto timido e sembrava volessi chiedermi qualcosa. Poi la tua fifa congenita aveva la meglio e te ne andavi borbottando qualche scusa. Volevi chiedermi di uscire, vero? Siamo stati due imbecilli, entrambi. Tu perché non sei mai riuscito a fare quel minuscolo passo, che ti assicuro non ti avrei mangiato nessun arto se ci avessi provato… e io perché non ho mai agito. Proprio come te c’era qualcosa che mi bloccava, che non mi consentiva di buttarmi. Bella coppia di mongoloidi senza spina dorsale. Anche per questo adesso mi sono lasciata andare. Era troppo tardi, e questo credito extra andava usato fino in fondo o mi sarei trascinata questo peso fino alla fine del tempo. O fino a quando esisterò in questa forma intermedia, non presente ma neanche del tutto assente. Cristo, mi sento una tale deficiente…”.
Massì, abbiamo fatto trenta. Facciamo trentuno.
Hagakure non si offenderà se gli bagno le lenzuola. E se lo farà tanto peggio per lui.

   
 
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