Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    07/07/2018    0 recensioni
Prosegue la saga de "Le cronache dei draghi e dei re", cominciata con "L'apprendista di fuoco". Il sistema è ormai sovvertito: la pace che per secoli era perdurata, adesso è stata interrotta da una serie di trame, guerre e rivolgimenti che hanno persino portato al ritorno di un'antichissima dinastia. Ma i fratelli del re appena deposto sono ancora tutti in circolazione, per quanto sparsi su tre continenti. Spetta dunque al nuovo sovrano Targaryen gestire questa complessa situazione, che diviene ancora più ingarbugliata pensando alle misteriose e oscure energie che all'est e all'ovest risorgono sotto forma di vita e fiamme. Esiste forse qualcosa che i Sette maghi del passato più ancestrale, col tempo decaduti e divenuti schiavi, nascondono a tutti i partecipanti - nessuno escluso - di questo ennesimo e disastroso gioco del trono?
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: Non-con, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 18

PASSIONI E CONFLITTI

 

 

 

La strategia di Hana della Casa Lannister era cambiata. Per un po’ di tempo – qualche giorno, o al massimo qualche settimana – aveva riflettuto sul come muoversi in quelle circostanze cambiate così impetuosamente in così poco tempo. Ogni cosa era stata stravolta. Eppure lei aveva studiato il modo per adeguarsi mantenendo però dritta la barra: non c’era riuscita. Un figlio era una cosa sulla quale non si poteva trascendere. Il punto era chiaro: bisognava proteggere il nascituro a ogni costo e solo da lì si poteva partire. Questo significava, allo stato delle cose (con tutti i parenti disseminati in giro per il mondo e tutti gli amici imprigionati da qualche parte), assecondare il re. Se poi fosse accaduto qualcosa in grado di mettere in discussione l’egemonia di Gabryaerys, allora e solo allora Hana avrebbe potuto rischiare una contromossa, ma la rivolta da lei di certo non poteva partire. In quel momento era una prigioniera inerme, e da prigioniera inerme non aveva che da comportarsi. Tutto ciò implicava un chiaro rischio: affezionarsi al suo futuro marito. Gabryaerys era l’uomo che aveva ordito un complotto per rovesciare la sua famiglia, ed era l’uomo che aveva ordinato la morte di suo fratello Axelion, morte alla quale aveva assistito e che il suo demone delle ombre aveva eseguito: il traditore maledetto Braff che Hana mai e poi mai avrebbe perdonato. Ma il re era un uomo strano; uno che sicuramente, dietro a tutta questa sua spocchia e desiderio di rivalsa e di potere, nascondeva in realtà un’anima assai fragile: di questo ormai la Lady di Lannister, futura regina, era ormai certa. Gabryaerys era incerto, confuso e pauroso. Pauroso di cosa – essendo circondato serenamente da una congrega di mostri che parevano essergli non solo fedelissimi ma perfino amici – Hana non avrebbe saputo determinarlo. Eppure era un uomo debole e stanco, anche se molto giovane, che ormai una sera sì e una no l’andava a trovare nel suo letto. Peraltro nella maggior parte dei casi non avevano neanche più rapporti fisici. Siccome si vedevano spesso, capitavano anche quelli, ma Hana aveva tratto la seguente conclusione: Gabryaerys da lei voleva un figlio e nient’altro, e un figlio aveva avuto. Dunque, qualsiasi fossero i suoi altri istinti – se davvero ne aveva – di sicuro non era nel talamo di Hana che preferiva sfogarli.

Per tutte queste ragioni la situazione era assai delicata: Hana voleva dimostrarsi devota, fedele: voleva fare in modo che mai e poi mia Gabryaerys pensasse male di lei e che anzi pensasse che lei ormai avesse scelto la strada della più cieca adesione al volere di quello che era il padre di suo figlio. Ma farlo significava continuare ad assecondarlo, fare la moglie, il che inevitabilmente comportava una vicinanza al re che portava come conseguenza una frequentazione, e chissà a quali inaspettati approdi una frequentazione a lungo termine poteva arrivare a portare. Solo il fatto che prima provasse esclusivamente disgusto, mentre invece ora provava compassione per il re Targaryen, la faceva insieme impaurire e venire i brividi. Gabryaerys… aveva un suo fascino, con quell’aria da goffo mostro maledetto che si portava appresso nei momenti in cui non era uno strano tipo incappucciato che si affacciava da un balcone per gridare la sua boria a una folla costretta ad amarlo. Hana si chiedeva se qualcuno l’avesse mai amato: aveva detto di essere figlio di Daenerys Targaryen. Quella Daenerys, la regina delle più antiche e meravigliose storie millenarie. Ma il “re Naharis” – come lo chiamavano le malelingue – era poco più che un ragazzo! E anche questa strana contraddizione in termini determinava un certo fascino. Purtroppo.

Per esempio, quella mattina Gabryaerys l’aveva mandata a chiamare presso il campo fuori dalla città dove il re usurpatore usava praticare i suoi allenamenti alla spada e alla lancia, e lei… una volta l’avrebbe fatto controvoglia, freddamente, cercando di far pesare tutto il suo diniego. Invece stavolta semplicemente si vestì adeguatamente e si fece accompagnare senza un fiato. Lungo il percorso in carrozza, aveva buttato un occhio alle condizioni della città: erano pessime. Roccia del Re non era mai stata uno specchio da quando lei la conosceva e ci viveva, ma certo l’avvicendamento di un nuovo re sul Trono di Spade non dava una sensazione nemmeno vaga di reale cambiamento, il che era tragico; se ti approcci a governare una città, la prima cosa che prendi sono provvedimenti quanto meno propagandistici per dimostrarti superiore al tuo predecessore: tipo pulire le strade, liberarle dall’esercito di accattoni che le occupava, o fare qualcosa per attenuare il puzzo di pesce misto a sterco. Nulla di questo era un vero cambiamento radicale: il vero cambiamento radicale doveva intervenire sulla povertà e la sicurezza, e questi erano problemi che nessuno riusciva mai a risolvere e forse non sarebbero mai stati risolti. Quando si stava apparentemente bene, era perché la città non era sovrappopolata, tutto qua. Erano cose che Hana aveva appreso ben presto, quando le era stata data la possibilità di occuparsi attivamente di politica: suo padre re Lionel voleva fare di lei una sorta di Primo Cavaliere non dichiarato e per questo aveva rispolverato un’antica carica, formalmente praticamente inutile, come l’Altissimo Segretario; era per fare sedere lei al tavolo del Concilio Ristretto, e per nient’altro.

Tutto questo ragionamento sulla città e la politica spinse Hana a riflettere che anche suo figlio un giorno sarebbe stato re, forse. E dunque forse un giorno anche suo figlio avrebbe dovuto affrontare le stesse questioni che al momento si ponevano al re suo futuro consorte, Gabryaerys Naharis. In effetti Hana non considerava la cosa così seriamente dal giorno in cui aveva deciso di rivelare il suo stato di gravidanza a Sua Maestà. Prima o poi se ne sarebbe accorto da solo, dunque Lady Lannister aveva pensato che tanto valeva rendere partecipe il suo real consorte di quella “lieta novella”. Ovviamente quest’ultimo si era quasi fin da subito manifestato entusiasta: certo, cercò di mantenere un controllo regale, non si mise mica a saltare. Ma la baciò più volte, le sorrise, le disse parole affezionate e poi volle portarsela appresso per una intera settimana: agli incontri, alle riunioni, agli allenamenti. Non sempre era stato piacevole: il re continuava ad essere nervoso primariamente per quella questione del duello con Bolton la cui data si avvicinava sempre più drasticamente. Naturalmente non si sfogava certo con la sua promessa né con il nascituro, anzi tendeva a usarli come calmanti: si arrabbiava con altri, poi volgeva il proprio sguardo ad Hana e alla sua pancia sempre più gonfia e si scioglieva in un sorriso liberatorio. Tuttavia, accompagnando il re nell’esercizio delle proprie funzioni, Lady Hana venne anche resa partecipe di alcune importanti informazioni. La prima era che ancora il re non otteneva le aperture che pretendeva da parte del Credo dei Sette, nonostante la solerte attività di mediazione del Lord Gran Maestro Adlai Irwin; l’Alto Septon difatti era restio a scendere a patti con un sovrano che, volente o nolente, aveva acconsentito ad uno sterminio tra la povera gente della città, anche se così facendo sostanzialmente quel re gli aveva fatto un grosso favore. Lord Braff dal canto suo aveva spulciato ogni vicolo e contrada della città alla ricerca del sacerdote Yashua, in merito al quale voci insistenti gli avevano riferito che non fosse morto davvero. E alla fine lo aveva trovato. Braff era stato un po’ confuso, a quanto pareva, nella descrizione di quell’evento, e ancora più confuse arrivarono le informazioni ad Hana, visto che non le arrivarono direttamente dal Maestro delle Spie. Ma a quanto aveva capito, neanche quell’individuo – come d’altro canto i principali collaboratori del suo regale consorte – era del tutto umano. E non aveva manifestato proprio una netta apertura, perché né era nelle condizioni né c’erano le condizioni. Tuttavia Braff aveva detto che Yashua pareva acconsentire almeno all’apertura di una trattativa, il che – visto che fino ad allora il massimo che Gabryaerys aveva fatto era stato sguinzagliargli contro il suo Primo Cavaliere vestito da baronetto e sterminargli i fedeli – era di sicuro qualcosa di estremamente inatteso. Ovviamente però ogni cosa restava confusa, e il fatto che non fosse Braff a dirla rendeva Hana piuttosto scettica. E qui si veniva alla terza ed ultima novità: Braff non riferiva, perché Braff non era lì. Era stato improvvisamente sballato in missione in occidente, perché altre voci – ma pure quelle sempre più insistenti – dicevano che a Castel Granito lo zio di Hana, Constant Lannister, si fosse autoproclamato re, senza alcuna legittimità peraltro a giudizio della giovane regina promessa, visto che l’erede di diritto era suo nipote Napoleon, e se non lui: suo fratello Daniel e se non lui: suo fratello Marcus, dei quali nessuno dei tre lei aveva notizie da moltissimo tempo ma… che fossero tutt’e tre morti, Hana non lo credeva plausibile. E neanche voleva crederci.

Ovviamente la notizia che un ennesimo re fosse sorto su di una roccaforte a non moltissima distanza da Roccia del Re indeboliva ulteriormente la figura del re seduto sul Trono di Spade, Gabryaerys Naharis Targaryen. E Braff era corso a “risolvere” l’annosa questione. Non certo risolvere da subito con una chiacchierata, Hana sapeva benissimo come andavano questo genere di cose… ma tastare il terreno: informarsi sulle ragioni che avevano spinto Constant a fare una scelta simile e quali fossero i suoi punti di forza e di debolezza. E, già che c’era, Lord Alex avrebbe sicuramente studiato pure le ragioni di una simile scelta non tanto del vecchio zio di Hana, quanto dei suoi accoliti, delle loro forze e debolezze e… della loro possibilità di essere persuasi. Era bellissimo il mestiere di Braff, Hana lo invidiava. Per un certo periodo, aveva avuto il modo di esercitarlo almeno in parte e l’aveva trovata l’occupazione più interessante della sua vita. Poi naturalmente era venuta la guerra, e la morte di Axelion, e il tradimento di Braff, e Gabryaerys e… tutto il resto.

Persa nei suoi pensieri, Lady Hana Lannister si accorse a un certo punto che la carrozza la stava portando un po’ troppo distante rispetto a dove si sarebbe aspettata: quello non era più il luogo di addestramento del re suo marito, che lei conosceva bene. Si ritrovò in una sorta di collina ricoperta di fiori, il che era già di per sé un fenomeno naturale alquanto curioso: ad Hana risultava che tutto attorno a Roccia del Re il terreno fosse o completamente brullo o coltivato a cereali e patate. Si fece perfino scappare un «Ma che...?», ma non poté dire altro; il re le venne incontro fin da subito.

Era splendido. Apparentemente più alto e più vigoroso del solito, forse perché la giornata era particolarmente radiosa, e la luce solare colorava i suoi capelli (normalmente di un biondo scuro) di una sorta di strano ramato sovrannaturale. Certo, era pur sempre un colore che non aveva nulla a che vedere con quello che la tradizione attribuiva ai veri Targaryen: i famosi capelli bianco-argentati di quella che Gabryaerys sosteneva essere la sua madre naturale, e che ormai erano estinti da secoli. Però comunque c'era qualcosa che Hana avrebbe definito “regale” in quella figura. Molto più di quanto non ce ne fosse stato nelle figure di re Lionel e di Axelion, che certo non erano brutti, però neanche sostenevano di essere dei Targaryen. Neanche i capelli dei Lannister d'altro canto erano più da secoli gli stessi che la tradizione gli attribuiva: né Hana infatti, né alcuno dei suoi fratelli aveva i capelli biondo-dorato, non li aveva avuti Lionel, e lo zio Pylgrim, attuale reggente di Castel Granito, era addirittura chiamato “Leone Nero” proprio perché aveva i capelli scuri.

Prestandoci maggiore attenzione, Hana si rese conto che quello che le sembrava un fenomeno ambiguo ma naturale era in realtà artificiale. Quella vasta macchia di fiori che ricopriva la collina non era composta da fiori radicati ai loro gambi e alle radici. Erano stati raccolti chissà dove e poggiati sulla valle. Alcuni erano particolarmente appariscenti e curiosi: tanto che Hana non era sicura di averli già visti nella vita. E poi l'odore: c'era un meraviglioso profumo dolce ma non eccessivo che, respirandolo, faceva pensare a un posto simile al paradiso: la futura regina consorte non pensava di saperlo esprimere in altro modo.

«Mia diletta» esordì il re.

«Vostra Maestà» salutò Hana con la consona cortesia: erano pur sempre all'aperto, e non precisamente soli (c'erano i cocchieri, la scorta, una parte della servitù). Gabryaerys continuò: «Ti piace?» e con il braccio indicò la distesa ricoperta di fiori dai mille colori. In effetti era bellissima; glielo disse. Dopodiché il re le chiese di accompagnarlo lungo una camminata per quel giardino appositamente creato. La fece parlare di cose personali: della sua famiglia prima, poi delle sue idee sulla famiglia e poi sulle sue opinioni in merito ai bambini. Hana neanche lo sapeva, ma si riscoprì particolarmente desiderosa di avere il piccolo. Le cose stavano cambiando in fretta, troppo in fretta, e questo la confondeva e la spaventava. Il re la consolò, la abbracciò, la baciò. Poi, giunti sotto un bellissimo ciliegio fiorito – con grande sorpresa della Lady di Lannister – decise di inginocchiarsi e... le chiese ufficialmente di sposarla. Solo in quel momento Hana fece i conti e si accorse di una situazione che forse per qualcuno di più lucido, per qualcuno di non direttamente coinvolto, sarebbe stata perfino banale. I fiori disseminati per un intero pezzo del contado esterno alla cinta muraria della città. La presenza di bambini in lontananza che giocavano, saltavano. Il re, la sua bellezza, i suoi modi, i suoi argomenti. Quel re aveva fatto qualcosa che non molti in quel mondo barbaro e inquinato per troppi aspetti dalla politica usavano fare: aveva deciso di ricorrere al gesto romantico, e... l'aveva sorpresa. La sua stessa commozione, la sorprese. E la sorprese la commozione di lui. Si sarebbe detto che si trattasse veramente di due innamorati, e non di un Targaryen e una Lannister che si univano per ragioni politiche. Stava accadendo tutto troppo velocemente e Hana non sapeva se avrebbe mai potuto amare quell'individuo, non sapeva neanche se avrebbe potuto semplicemente affezionarglisi. Ma sapeva che lui era il re e probabilmente in quel momento l'uomo più potente del continente occidentale, forse l'uomo più potente del mondo. Infine Hana della Casa Lannister sapeva che portava suo figlio in grembo. Concluse dunque che non poteva non accettare, e di conseguenza lo fece. Si godette con serenità il resto della giornata insieme al suo reale futuro consorte. E così anche il resto delle settimane a venire.

 

 

 

Re Constant Lannister si trovava ancora presso Castel Granito. Aveva considerato di inseguire i suoi nipoti Marcus e Mirietta in quella loro folle traversata verso l'ipotetico continente all'occidente. Non ne aveva parlato direttamente con loro: erano stati per troppo breve tempo ospiti (prigionieri) nell'antica roccaforte dei Lannister, però Constant sapeva delle intenzioni probabili di Marcus e Mirietta; il Leone Nero e altri attendenti gliel'avevano raccontato. La folle caccia di uomini e risorse verso un nuovo, del tutto ipotetico, continente: tanto affascinante quanto inverosimile. Poi aveva considerato di accettare un ritiro temporaneo nell'Essos: dove altre carte si stavano nel frattempo mescolando, carte che avevano perfino portato i Lord dell'Oriente ad organizzarsi in una storica riunione presso la ridente e antica città di Braavos, sede della Casa Goldsmith. Tuttavia il re Lannister aveva infine deciso di attendere. Lo aveva fatto perché probabilmente, in cuor suo, nessuna delle due ipotesi era poi così entusiasmante: l'occidente aveva il fascino dell'ignoto, ma anche tutti i suoi limiti; l'oriente era un covo di serpi, lo era da sempre, e Constant sapeva già che gli avrebbe riportato pessimi ricordi del suo passato. Ma Constant aveva anche atteso, perché un illustre ospite aveva deciso di chiedergli un incontro, un ospite inaspettato e che sollevava nel re non poche curiosità, specie di questi tempi. E quella mattina il suo ospite era arrivato: si trattava niente meno di Lord Braff, il Maestro dei Sussurri.

C'era stato un appassionato, anche se rapido, scambio di missive già da quando il traditore era partito da Roccia del Re. Braff non intendeva entrare nella tana del leone senza garanzie. L'ultima volta che si era visto con Constant, infatti, era finito prigioniero presso le celle di Lord Barron a Lungotavolo. Dopodiché, chissà come, era successo che era riuscito ad evadere, Lord Barron era morto e il di lui figlio Gino si era trasferito ad Altogiardino come Lord Protettore dell'Altopiano, andando a sostituirsi alla millenaria famiglia dei Tyrell. Molte cose erano dunque cambiate, ma non era cambiata la posizione di avversari che Constant e Braff mantenevano fra loro. E non era cambiato il fatto che su parecchie di tutte quelle storie il Maestro delle Spie della Corona doveva ancora chiarire diversi punti, o almeno era questo che Constant avrebbe preteso.

Braff dal canto suo aveva veementemente richiesto di accedere in qualsiasi luogo re Constant avesse voluto accoglierlo insieme all'intera sua scorta personale, fatto decisamente insolito per qualcuno che arrivava in missione diplomatica. Eppure non fu possibile farlo arretrare di un passo in merito a tale problema. Una parte dentro Constant avrebbe voluto volentieri far saltare il banco. Una parte dentro di lui avrebbe detto a quel dannato ruffiano di starsene a casa, che la sua presenza a Castel Granito non era gradita e che un giorno il re avrebbe avuto la sua testa. Ma Constant era un uomo illuminato e sapeva che d'istinto era un po' troppo impulsivo, ecco perché aveva avuto la lungimiranza di circondarsi di consiglieri che potessero riportarlo a riflessioni più pacate. Quel confronto con Braff avrebbe potuto essere utile, e il Leone Nero e Sir Bastian insieme lo fecero ben notare questo a re Constant. Ecco perché infine l'incontro stava avvenendo, alle condizioni di Braff.

Per l'incontro venne scelta la Sala Grande del castello, con trono in posizione centrale e pregiati arazzi di porpora ad ogni parete. Si era inoltre optato per la pompa magna: trombettieri, giullari, roba da mangiare in quantità e... l'intero corpo dell'amministrazione del suo momentaneamente piccolo regno, ivi inclusa l'intera guardia armata in gran spolvero. Braff voleva i suoi sicari? Bene: allora Constant lo avrebbe accolto con l'intero corpo dei cavalieri dell'occidente.

Però c'era da ammettere che quelle creature, che già Constant aveva avuto modo di vedere, ammantate delle tipiche bardature della guardia del regno, facevano veramente impressione. Erano più animali che uomini a giudizio del re di Lannister, ma camminavano tutti su due gambe. Qualcuno aveva gli artigli, qualcun alto la coda, qualcuno ancora i denti affilati. Eppure di solito avevano cinque o quattro dita per mano, ecco perchè non erano poi così assurdi con le loro spade alla cinta o i loro archi e dardi alla faretra. Uno spettacolo davvero sconcertante. Eppure, la guardia personale del Lord Maestro delle Spie era perfino peggio. Se Constant poteva dire di aver già visto gli uomini-fiera che da un po' di tempo avevano cominciato a servire l'usurpatore che sedeva sul Trono di Spade, le creature che servivano Braff poteva dire di conoscerle perfino bene, visto che il Maestro dei Sussurri se ne serviva già dai primissimi tempi del suo arrivo alla Capitale, quando i figli di re Lionel erano tutti più bassi di un tavolo da cucina, e il rosso uomo politico aveva cominciato a far da istitutore al più grande della cucciolata: il futuro re Axelion, nipote dello stesso Constant. Anzi, si poteva perfino dire che le guardie di Braff fossero uno dei mezzi mediante i quali il vecchio politico si occupasse dei suoi affari. Inutile negare che parte della forza di Braff risiedeva in quel suo gruppo di sicari professionisti, addestratissimi e silenziosissimi e a lui estremamente devoti. Qualcuno a corte aveva cominciato a chiamarli guerrieri-ombra, ed era così cui di solito anche Constant si riferiva a quegli esseri. Differentemente dalle bestie provenute dall'oriente, i guerrieri-ombra di Braff a un primo acchito sarebbero parsi del tutto umani. E tuttavia in loro c'era qualcosa di profondamente inquietante. Erano quasi tutti alti uguali, quasi tutti biondi e di carnagione chiara, quasi tutti esteticamente piuttosto scialbi. Erano quasi tutti di una fisicità che oscillava tra il tonico-atletico e la vera e propria magrezza, eppure si muovevano con una consapevole e letale sinuosità che li rendeva estremamente rapidi e silenziosi. Che fossero umani, Constant non avrebbe potuto giurarlo, anche se in effetti non li aveva mai visti volare o... lanciare palle di fuoco dal palmo delle mani, come pure Constant stesso era stato addestrato a fare. Tuttavia era anche vero che Constant non aveva mai visto uno dei guerrieri-ombra di Braff mangiare, dormire o andare al gabinetto.

L'ingresso del politico della Capitale fu maestoso e teatrale: gli uomini-belva per primi, gli uomini-ombra tutti in un turbinio di balzi, capriole e strani offuscamenti. E poi Braff, al centro della sala, senza che Constant – dal suo soglio scolpito a forma di leone – neanche si fosse bene accorto di quando e da dove fosse effettivamente entrato. «Mylord di Lannister» s'inchinò il Maestro dei Sussurri, falso e garbato come sempre. Fu Sir Bastian a replicare in nome del re: «Sua Maestà re Constant è un re. Gli appellativi a cui tutti dobbiamo rivolgerci a lui sono dunque “Sua Maestà” o “Vostra grazia”. E con tutti intendo anche voi, mylord»

«Questa è una di quelle fasi della storia in cui ci sono parecchi re» esordì dunque seriamente Lord Braff «Uno qui a Castel Granito, uno a Roccia del Re. Uno a quanto pare da poco giunto presso l'insolito soglio regale di Forte Terrore. E pure il nostro amico e teoricamente alleato Uryon Worchester, mi dicono, di tanto in tanto gradisca tra gli amici di farsi chiamare re. Ma quello che mi chiedo è... se tutti sono re, non è logica conseguenza dire che in realtà non lo è nessuno?»

«Lord Braff, voi vi rivolgerete...» riprese Sir Bastian, ma Constant lo interruppe. Lui era un uomo pragmatico, e per quel genere di cose non aveva né il tempo né la voglia. Disse il re: «Orsù, Alexis, bando alle ciance. Sappiamo entrambi che non sei venuto qui per disquisire di storie e termini. Siamo entrambi due uomini pratici, anche se io esplicitamente e tu... alla maniera tua»

«Molto bene, Constant. Vengo a portarti una parola del re»

«Constant Lannister» fece ancora Bastian, polemico: in tutte le corti c'era sempre qualcuno che si assumeva quel ruolo, «è il re»

«Del re» smorzò Braff «sul Trono di Spader, allora»

«E qual è questa parola?»

«Ti invita alle sue nozze con tua nipote, Lady Hana della Casa Lannister. E alla conseguente pace che ne scaturirà su tutti Sette Regni»

«Non ci sarà mai una pace finché io sarò in vita. Questo regno merita un sovrano come si deve. Per troppo tempo ne è alla ricerca disperata, e io penso di poterglielo dare»

«Perdonami la battuta, Lord Constant, ma stando alla logica della discendenza dei Lannister – che io non rappresento – non è forse Napoleon Lannister il vostro legittimo re? E, se non lui, non lo è forse Daniel Lannister, e dopo di lui Marcus Lannister?»

«Ogni tempo richiede delle sue priorità, Lord Braff. E io sono la priorità di questo tempo. Ad ogni modo... sicuramente il ragazzino che siede sul soglio che è stato di mio padre non ti ha mandato qui solo per mandarmi inviti provocatori cui di certo non si aspetterà un assenso. Ti ha mandato a negoziare, no? È probabile che io non accetti in nessun caso, ma sono curioso: che cos'è che il re Naharis mi offre?»

«Sua Maestà Gabryaerys della Casa Targaryen non offre altro che la sua amicizia, compendiata dall'invito per te e la tua corte al suo matrimonio. Tuttavia ti invita anche a riflettere su un paio di cose: lui detiene insieme il corpo regolare dell'esercito del regno più una nuova armata particolarmente poderosa proveniente dall'oriente, di cui hai davanti agli occhi un esempio. C'è di più: il re può contare sul saldo appoggio dell'Altopiano e, qualora necessario, anche sugli uomini del nord. Mentre tu, Lord Constant... tu hai Castel Granito».

Constant si era preparato a quel genere di discorso. Certo, sulla carta il discorso di Gabryaerys per bocca di Braff non faceva una grinza. Ma qualche postilla poteva essere annotata: «Quando dici “gli uomini del nord”, Lord Braff, sappiamo entrambi che non intendi i Bolton... i Bolton che sono più vicini a voi di quanto Worchester non sarà mai. E mi risulta che quella dei cavalieri dell'uomo scuoiato sia una delle armate più aggressive, efficienti e forse numerose del continente... io non sono bravo coi conti, ma può essere che la vostra ipotetica vittoria sul “solo” Castel Granito non sia altro che una sorta di autoconvincimento? Ai Targaryen, d'altronde, piace da sempre raccontare di avere draghi anche quando hanno gatti e sorci. Sono... un po' eccessivi»

«Come dicevo prima» fece Braff beffardo «L'esercito degli uomini-belva lo puoi ben vedere in alcuni esemplari qui davanti a te. Se tutto ciò, unitamente alle forze della Capitale e di Altogiardino ti pare poco, allora accetta la sfida e buona fortuna. Debbo dunque riferire a Sua Maestà che il suo invito è rifiutato?»

«Sì, è così che devi dirgli. E aggiungi che quello che Constant Lannister vuole è solo il bene del regno. E il bene del regno è Contant Lannister re»

«La guerra allora è dichiarata. Sarete annichiliti ancor prima che Lord Bolton possa avere notizia della messa in marcia delle truppe del re. E tu questo lo sai, non è vero, Constant? Sai che nei conflitti il fattore tempo è essenziale. E per quanto tu voglia mostrarti sicuro di te, sai benissimo che Bolton non farà mai in tempo a raggiungerti neanche se lo contattassi stasera stessa. Lo hai detto tu: sei un uomo pratico. Allora immagino tu abbia degli assi nella manica perché, stando le cose per come stanno ai miei occhi, Castel Granito è già capitolata in questo momento»

«L'ultimo volta che ci siamo visti, Lord Braff, qualcosa nei tuoi piani non ne è andata per come immaginavi. Sei stato sorpreso, da Lord Barron. E fatto prigioniero. Quello che posso assicurarti è che Castel Granito farà di tutto per sorprenderti di nuovo»

«Mylord dimentichi che dopo Lord Barron è morto. Suo figlio ha lasciato il soglio di Lungotavolo a Jon Barthalo e ora è il più fedele alleato del re con il titolo di protettore dell'Altopiano. E io... mi trovo qui, libero, dinanzi a te»

«A proposito Braff... mi devi una spiegazione. Come è possibile tutto questo? Come è successo che, senza l'ausilio dei tuoi preziosi giovanotti-ombra tu sia riuscito a evadere dalle carceri di Barron e... a ucciderlo?»

«Mylord» fece Braff seriamente stranito «Gino Barron sa che tu hai ucciso suo padre»

«Evidentemente è un po' confuso, il ragazzo»

«Già» chiuse il Mestro delle Spie del re alla Capitale, e un impercettibile ghigno Constant riuscì ad intercettargli all'angolo della bocca. Poi il politico completò: «Può darsi», e a un suo cenno un nugolo di uomini-bestia e guerrieri-ombra cominciarono a gironzolargli attorno come saltimbanchi. Quando finirono, Braff non era più nella sala. Dopodiché quest'ultima venne lasciata anche dalle truppe straniere.

Irritato, Constant lasciò a sua volta il trono che era stato di suo padre praticamente un istante dopo dei suoi avversari. La situazione era chiaramente pessima: Braff aveva ragione su tutta la linea; la Corona aveva tutto l'interesse di soffocare in fretta ogni sacca di resistenza al sud per poi concentrarsi su Bolton. E l'unico fastidio serio che avevano era a Castel Granito. Con i cavalieri dell'Altopiano al loro fianco, gli uomini-bestia e le armate regie non avrebbero sostanzialmente avuto alcun ostacolo dai Lannister, pur considerando re Constant e i suoi poteri. I suoi poteri avrebbero al massimo potuto salvare lui, ma mai i suoi uomini. La partita era davvero già conclusa: tanto valeva dichiararsi sconfitti e salvarsi la pelle, cercando di recuperare magari qualche spazio di manovra per il futuro (un posto al Concilio Ristretto, qualche accordo commerciale). Constant aveva pensato rapidamente a tutto questo sulla strada dalla sala del trono al suo appartamento. Aveva un mal di testa che sentiva come se le tempie gli stessero scoppiando. Si preparò un analgesico dalle sue scorte, mentre Bastian lo raggiungeva alle spalle. Chiese dunque il re al suo servitore: «Ma di questo Gino Barron che cosa sappiamo?»

«Poco, purtroppo» rispose Bastian «Troppo poco. È un ragazzino: come tutti i ragazzini, non ha una lunga storia alle spalle. Solo Lungotavolo e un breve periodo a servizio come attendente presso Lorthan Tyrell»

«È pochissimo davvero» commentò Constant «Senza dubbio non ci sono spiegazioni diverse in merito alla sua presa di Altogiardino: ce l'ha messo Braff. E questo significa che ha avuto tutto il tempo e il modo di irretirlo a dovere. Ci sarà anche scritto “Barron” su quell'esercito, ma è “Lord Braff” che si legge. Quella via è dunque impraticabile: l'attacco da Altogiardino arriverebbe, e arriverebbe con uguale violenza di quello da Roccia del Re. Dannazione!»

«Puoi sempre scappare» la buttò lì il suo consigliere, forse neanche rendendosi conto di quanto grossa la stesse sparando: ma aveva notato lo smarrimento nel suo re e dunque aveva tentato la carta dell'acqua sul fuoco. Proseguì pure: «In questo momento della storia... il ruolo di Castel Granito è chiaramente minoritario. Ma il tuo non lo è, Maestà. Lascia l'occidente»

«Per andar dove» ringhiò Constant, trangugiando il suo intruglio, «Bastian?»

«In oriente, dove sei richiesto. Lì potrai riposare e magari intessere qualche nuova interessante relazione»

«Te l'ho già detto: l'oriente per me è traumatico. Non ci torno dai giorni dei fatti che coinvolsero Ladylynn, e... non voglio andare»

«Allora... non rimane che una rotta, Maestà». Constant si voltò verso il suo consigliere. Il mal di testa gli si stava già miracolosamente affievolendo. Comandò: «Manda qualcuno dei nostri a sorvegliare i generali di mio zio: che non gli venga in testa di trescare con quella piovra di Braff. Dopodiché... predisponi tutto per il mio viaggio».

 

 

 

Da quando erano successi i fatti del vespro, Brendan non osservava più il tramonto con gli stessi occhi. Prima, la notte era solo il naturale susseguirsi del giorno: un evento che aveva a che fare con la meccanica della natura e con nient'altro. Ma adesso... adesso la notte era il luogo delle paure e degli incubi; di spettri e demoni. Anche se provava a dimenticare, una notte sì e l'altra pure il giovane monaco di Banefort si ritrovava a svegliarsi in preda ai sudori. Quello che stava succedendo in quella città non era chiaramente nella grazia degli Dèi. Doveva esserci un qualche passo del libro dell'apocalisse in cui si parlava di tutti quei mostri che improvvisamente uscivano fuori dalle fondamenta putride della terra per venire a infestare questo mondo: Brendan l'aveva letto. E il Lord Primo Cavaliere di re Gabryaerys era sicuramente uno dei suddetti mostri. Chissà: forse pure il re stesso lo era. E forse pure Yashua, il sacerdote del dio del fuoco sconfitto la notte del vespro, lo era stato. D'altronde le forze del male non risiedono in minor parte un po' dentro tutti? Forse per qualche ragione Brendan meritava di assistere a tutto questo. Forse aveva commesso un grave errore e neanche se ne rendeva conto. O forse qualcuno voleva metterlo alla prova...

Fu con un po' di panico, e con tutta l'intenzione di tornarsene quanto prima nella sua cameretta, che Brendan accettò ed eseguì l'ordine di andare a prendere l'acqua al pozzo. C'erano certe cose che si dovevano fare, e che in particolare un novizio che aveva avuto la fortuna di essere elevato al ruolo di assistente personale dell'Alto Septon, non poteva assolutamente rifiutarsi di fare. Lui doveva solo limitarsi a ringraziare ogni volta che potesse l'Alto Septon e tutti i Sette Dèi, innanzitutto per essere vivo. In secondo luogo per essere a Roccia del Re, e in terzo luogo per essere così utile per così tanta gente. Non tutti i monaci conducevano la vita “sociale” che conduceva lui. Anzi, la maggior parte dei suoi confratelli viveva in uno stato di quasi clausura. Ma quello non era il compito che la vita aveva attribuito a fratello Brendan. E quella sera Brendan aveva da prendere l'acqua al pozzo.

Stava rimuginando su Septa Sharma, e sulla sua sensazione che in realtà proprio nei freddi e acquosi occhi di quella vecchia era come se si potesse rintracciare la vera leadership religiosa di quella città, e non nel paffuto, venale e talvolta sciocco e prevedibile Alto Septon: Brendan ormai lo conosceva e avrebbe saputo dipingerne ogni limite. Sharma invece era enigmatica, parlava per massime e in pochi riuscivano a comprenderla davvero: ma tra questi c'era Sua Sacralità l'Alto Septon, e Sua Sacralità l'Alto Septon alla fine finiva per fare quello che Sharma diceva, questo ormai per Brendan era chiaro come il sole. Il giovane novizio dei Sette stava proprio concludendo questo, quando a un certo punto della sua camminata ebbe la strana sensazione di sentirsi osservato. Gli capitava spesso quando era solo di notte. Meglio: gli capitava spesso quando era solo di notte, da quando erano successi i fatti del vespro e prima la sua prigionia presso il diavolo Yashua. Eppure c'era qualcosa di strano quella sera. Nelle nubi grige e immobili che se ne stavano appollaiate sul cielo. Nell'aria, come leggermente rarefatta. Nel silenzio, il silenzio assoluto di una città normalmente chiassosa.

E a un certo punto, mentre il secondo dei tre secchi che Brendan si era portato appresso dalla chiesa si trovava ancora giù nel pozzo, la ragione di tutto saltò fuori palese e dichiarata, quasi una provocazione rabbiosa nell'inquietante sereno che l'aveva preceduta. Tutta una parte delle nubi nel cielo sopra Brendan si fecero rosse come sangue. Dal nulla, da un luogo che Brendan non riuscì chiaramente a scorgere nonostante la sua totale mancanza di problemi ai riflessi, venne fuori il sacerdote Yashua. Era diverso. Sembrava invecchiato, e parte della pelle era come piena di croste da ustione. Chiazze vuote gli si intervallavano tra i capelli così come tra i peli della barba. Eppure era lui: quell'espressione in parte seria e in parte malvagia Brendan non l'avrebbe più dimenticata. Lo stregone gli disse: «Ne è passato di tempo, giovane novizio»

«La-lasciatemi in pace» balbettò Brendan, dandogli le spalle e lasciando lì i secchi dell'acqua. Yashua gli rispuntò davanti: «Lo sai che non posso. Sono venuto a prenderti»

«Pre-prendermi? I-io non ho nulla da fare con voi. Nulla da dirvi!»

«Io ti auguro di avere molto da dirmi. Su Sua Sacralità e sulla Beata Fede di questa città. E chissà: magari anche sul re e sui suoi servitori. Sulle rivalità e le alleanze. Le passioni e i conflitti che governano questo regno»

«Invece no»

«Devi averne, fratello Brendan. Perché se così non fosse... allora per te l'unica altra alternativa sarebbe... la morte».

   
 
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