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Autore: effe_95    07/07/2018    0 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
63.Frazione di secondo, Proprio nessuno e Quanta strada.


Giugno

Alla fine di quella serata, quando Giasone si ritrovò bagnato dalla testa ai piedi di birra, pensò di esserselo meritato. E fu probabilmente l’unica volta nella vita.
Erano passati un paio di giorni da quando la scuola era finita.
Rivedersi all’Olimpo per una delle ultime serate prima degli esami, prima dell’inizio delle settimane infernali di ripasso, di stesura di tesine dell’ultimo minuto e di crisi di nervi preannunciate, era sembrato d’obbligo e doveroso per tutti.
Il locale era bello e suggestivo.
Quella sera però, sembrava essere più ammaliante del solito.
Giasone era contento di trovarsi lì con tutti gli altri, per lui, che era il migliore amico di Ivan, non sarebbe stata l’ultima volta.
Ma poteva essere una delle ultime con i suoi compagni di classe.
Quello era uno dei motivi per qui quella sera ce l’aveva avuta con Muriel fin dal principio.
Fin da prima che si presentasse al locale nonostante lui le avesse espressamente chiesto di non venire, perché non avrebbe potuto dedicarle attenzione, perché voleva passare quelle ore con i suoi amici senza doversi preoccupare di cosa combinava lei.
Muriel era venuta ugualmente; per di più, bella come non lo era mai stata.
Si era tagliata recentemente i capelli in un taglio maschile che le stava di incanto.
Doveva aver arricciato il ciuffo perché le cadeva sugli occhi espressivi e truccati con grazia, solamente una semplice mollettina a forma di coccinella lo teneva su accanto all’orecchio.
Aveva messo sia la matita che l’eyeliner, rendendo i suoi occhi ancora più affilati e verdi, le ciglia lunghe e voluminose, il viso era pulito, acceso, le labbra a cuore macchiate di rosso.
Non indossava tacchi o scarpe scomode, ma sotto quel vestito a tubino nero, con il corsetto ricamato di pizzo elaborato, anche quel paio di Converse nere sembravano fatte di cristallo.
Era bella, alta, magra, con le gambe slanciate e la pelle scura.
E le si vedeva il tatuaggio poco sotto l’ascella, e i piccoli seni erano troppo evidenti …
L’indisposizione che Giasone aveva provato nei suoi confronti sembrò crescere a dismisura.
Era arrabbiato, e quindi non pensò minimamente a quello che fece quella sera.
Non pensò ai limiti da non superare, non pensò a quello che avrebbe potuto rompere.
Pensò solamente di volerla ferire.
Stava parlando animatamente con Ivan, Enea e Gabriele dell’ultima partita di calcio che aveva giocato quando la vide nell’anticamera del locale.
Si sporgeva sulla punta dei piedi cercandolo nella sala, mentre il povero ragazzo addetto ai cappotti e agli oggetti personali tentava inutilmente di farsi consegnare la borsa.
Giasone l’avrebbe trovata una scena piuttosto divertente se un moto di stizza improvvisa non l’avesse colto all’altezza dello stomaco, avrebbe trovato divertente il modo in cui Muriel faceva esasperare quel poveretto mostrando la sua vera natura di maschiaccio incallito.
Ma Giasone era arrabbiato, e non aveva mai avuto un carattere adeguato a quel difetto.
Niente che potesse mitigarlo.
Si tirò in piedi di colpo, zittendo immediatamente Ivan e Gabriele, ancora intenti a parlare ad alta voce, ridendo esageratamente per ogni sciocchezza che si stavano dicendo.
<< Che succede Gias? >> Il suo migliore amico gli aveva posto quella domanda afferrandolo per la maglietta, lo conosceva abbastanza bene da sapere che stava fumando di rabbia.
<< Vado a prendere quella cretina >>.
La replica di Giasone assomigliò più al ringhio rabbioso di un cane.
Ivan e Gabriele spostarono lo sguardo nella sua stessa direzione, e videro Muriel intenta in un colloquio un po’ troppo amichevole con il ragazzo nell’ingresso.
Quella visione, non doveva aver contribuito nemmeno un po’ a migliorare l’umore del biondo, che appoggiò rumorosamente il suo bicchiere di birra sul tavolino, lasciando cadere qualche gocciolina sulla superficie di vetro, e si incamminò con passo brusco.
Quando Muriel lo vide, il viso affilato e bello le si aprì in un sorriso luminoso.
Giasone avrebbe dovuto notare già da molto tempo che quel genere di sorriso, quel sorriso che le faceva venire le fossette sulle guance spigolose e le ingrandiva gli occhi, era solamente suo. Era sempre stato solamente suo e di nessun’altro.
Ma come qualsiasi cosa a cui si fa l’abitudine, Giasone non l’aveva mai davvero notato.
Afferrò Muriel malamente per un braccio e la tirò via dallo sconosciuto, che se la filò.
<< Che ci fai qui?! >> Le ringhiò contro con aria scontrosa.
Il sorriso sulle labbra di Muriel si incrinò leggermente, ma non sparì del tutto.
Fece spallucce e si aggrappò al suo braccio con forza, l’espressione divertita da maschiaccio e la solita aria da piattola fastidiosa, pronta a tormentarlo con un sermone lunghissimo di sciocchezze che, tutto sommato, in un’altra occasione Giasone sarebbe stato a sentire.
Lamentandosi ogni tanto, sbuffando.
Ma con lei non si era mai arrabbiato come quella sera.
<< Andiamo Gias, mi annoiavo! >> E non si rese nemmeno conto di aver scelto le parole peggiori da poter pronunciare in quel momento. Le aveva scelte con l’innocenza della sua esuberanza, e non riuscì a capire la reazione di Giasone o il gesto che seguì.
Non riuscì davvero a capire la violenza con cui le afferrò il polso e la strattonò in avanti.
Era una cosa che Giasone faceva spesso, afferrarla per i polsi, per le spalle, strattonarla …
Ma l’aveva sempre fatto con quell’aria imbronciata che nascondeva dell’affetto malcelato; l’aveva fatto quando voleva averla più vicina lamentandosi della sua esuberanza, l’aveva fatto per stringerla tra le braccia con la scusa di tenerla ferma, l’aveva fatto anche per prenderla per mano, correndo sui marciapiedi e gridandole dietro che era una ritardataria cronica …
La violenza che sentì nel dolore che le attraversò il polso era qualcosa di totalmente inedito.
Muriel tentò inutilmente di guardare Giasone negli occhi, ma prima che potesse riuscirci si ritrovò scagliata con forza contro uno dei divanetti, dove cadde scompostamente.
L’impatto le fece male al fondoschiena, sbilanciandola a destra, rivolse un’occhiataccia al proprio fidanzato, che nel frattempo si era messo a sedere a debita distanza da lei, e avrebbe anche protestato a gran voce se non fosse stato per gli altri.
Tre paia di occhi la osservavano con altrettante espressioni diverse sul viso.
Muriel riuscì a ricambiare solamente lo sguardo sconcertato e mortificato di Ivan, ed ignorò di proposito quello incuriosito di Gabriele e quello estremamente indifferente di Enea.
Conosceva i compagni di classe di Giasone, ma l’unico con cui avesse stretto un rapporto d’amicizia era senza ombra di dubbio Ivan, e non le faceva assolutamente piacere trovarsi in quella situazione di tensione.
Era tutta colpa di Giasone e delle sue brutte maniere, che la facevano sentire sbagliata.
<< Vuoi da bere, Muriel? >> Le chiese gentilmente Ivan in un vano tentativo di farla sentire a suo agio, la ragazza rivolse un’occhiata veloce a Giasone, ancora ostinato a non fissarla.
<< No, grazie >> Replicò aprendo il viso in un sorriso forzato che, tuttavia, aveva ancora qualche traccia di reale allegria e spensieratezza, caratteristiche indelebili della sua indole.
Stava cominciando a pentirsi di essere andata all’Olimpo nonostante Giasone le avesse espressamente chiesto di non farlo, aveva pensato che lui avrebbe potuto lamentarsi come suo solito, strapazzarla un po’ … tutta quella rabbia repressa non se l’era aspettata.
E ne stava avendo tremendamente paura, in un modo del tutto sconosciuto.
Non avevano mai litigato sul serio, Muriel si era spesso ritrovata a fantasticare su come sarebbe stato urlarsi contro fino a perdere la voce, spintonarsi e piangere lacrime amare.
Quella sera trovò davvero stupida e infantile quella curiosità.
<< Hai delle gambe lunghissime >> Se ne uscì ad un certo punto Gabriele, bevendo un sorso di birra e ammiccando nella sua direzione; qualsiasi altra ragazza sarebbe arrossita a quel commento, o quanto meno l’avrebbe trovato strano e fuori luogo, Muriel sorrise.
<< Gioco a basket! Ala forte e asso della squadra >> Commentò con aria fiera, accavallando le gambe in una posa fiera e compiaciuta di se stessa, i ragazzi ridacchiarono divertiti.
Giasone smise di nascondersi dietro la birra e le rivolse un’occhiata che rasentava il disgusto.
<< È un piccolo prodigio! >> Le andò incontro Ivan, nel disperato tentativo di cominciare una conversazione che potesse durare per un po’ e sciogliere la tensione << Sono andato a vedere quasi tutte le partite in cui ha giocato. Nell’ultima ha segnato da sola venticinque punti e tre li ha fatti con un alley oop! >> Continuò Ivan con un certo entusiasmo.
<< Forte >> Si limitò a replicare Gabriele, tornando a bere la sua birra.
<< Il basket mi fa schifo >> Sbottò invece Enea, lo sguardo disinteressato.
Cadde il silenzio.
Muriel se ne accorse solamente in quel momento e pensò di essere stata egoista.
Quando era entrata nel locale, la prima cosa che aveva notato era stato proprio il tavolo dove se ne stava seduto Giasone, perché i ragazzi che vi erano raccolti attorno scherzavo e ridevano e facevano talmente chiasso da sovrastare la musica.
Con la sua entrata in scena aveva spezzato quell’allegria e li aveva messi tutti in difficoltà, imponendo la sua presenza non necessaria, rovinando la serata che Giasone aveva programmato con loro.
L’aveva capito in ritardo forse, ma almeno l’aveva capito.
Si guardò per alcuni secondi la punta dei piedi pensando a quello che doveva fare, rivolse poi un’altra occhiata veloce a Giasone, ma ancora una volta lui sorseggiava la sua birra con lo sguardo ostinatamente puntato sul tavolo, in silenzio.
<< Devo andare in bagno >> Annunciò con finta allegria, tirandosi in piedi poco dopo.
Le sembrava un buon piano quello di rinchiudersi in bagno per un po’, ritornare fingendo un malore improvviso e tornarsene a casa con un taxi, ci sarebbe voluto poco tempo e Giasone non avrebbe perso una delle ultime serate passate con i suoi compagni di classe per colpa della sua insensibilità e della sua incapacità di provare empatia con gli altri.
Giasone si rese conto, molto più tardi, che avrebbe dovuto capirlo in quel momento che qualcosa non andava, avrebbe dovuto capirlo in quel momento che Muriel stava macchinando qualcosa per tirarsi fuori dal pasticcio in cui si era cacciata.
Avrebbe dovuto capirlo, ma l’unica cosa che provò quando la vide allontanarsi verso il bagno fu solamente un incredibile sollievo, e il desiderio che ci restasse per un po’.
<< Le avevo detto di non venire! >> Brontolò alla volta degli altri seduti al tavolo.
Gabriele appoggiò la lattina di birra finalmente vuota sul tavolino e si lasciò scappare un rutto piuttosto rumoroso e prolungato.
<< Lo trattenevo da minuti! >> Annunciò soddisfatto, incrociando le braccia al petto.
<< Potresti anche trattarla con più gentilezza comunque! >> Lo punzecchiò immediatamente Ivan, tirandogli un calcio sulla caviglia senza troppi complimenti.
Giasone imprecò in greco antico e rivolse all’amico di sempre un’occhiataccia.
<< Quella? Comincio a domandarmi perché le sto ancora dietro! >>.
Giasone sentì immediatamente di star esagerando mentre pronunciava quelle parole, lo sentì nel momento stesso in cui lasciarono le sue labbra, lo sentì nello sguardo che gli altri gli rivolsero, ognuno velato di una reazione diversa dall’altra.
<< Ohi Gias, calmati >> Lo rimproverò Ivan, nella voce una punta di irritazione.
Giasone però non era mai stato bravo a frenarsi, soprattutto quando perdeva le staffe.
Probabilmente, alla fine di quella serata avrebbe imparato a togliersi quel vizio.
<< Perché dovrei calmarmi? È insopportabile, non fa mai quello che le dico! >>.
<< Ehi amico, ma sei sicuro che ti piaccia? >> Giasone alzò gli occhi al cielo con aria teatrale alla domanda di Enea, vide Ivan al suo fianco spalancare la bocca come se volesse frenarlo dal dire qualsiasi cosa gli passasse per la testa in quel momento, per poi fermarsi.
Giasone non diede peso a quel piccolo particolare, ancora una volta si lasciò domare dalla rabbia, ma in un’altra occasione avrebbe trovato strano un simile comportamento.
<< Piacermi? Non lo so >> Ammise ad alta voce, sporgendosi in avanti verso il compagno di classe << Muriel è bella, è davvero bella. Ma stare con lei è sempre stata una scommessa per me >> Si guardò le mani, poi stiracchiò le braccia come un gatto un po’ annoiato, come se la conversazione non lo toccasse dal vivo << Mi sono detto di provarci. Di vedere se poteva andare … non posso garantirti che domani non mi sarò stufato di lei e l’avrò fatta finita >> Aveva appena finito di parlare quando sentì qualcosa di gelido colargli tra i capelli e bagnargli tutta la maglietta, rimase talmente attonito da impiegarci parecchi secondi per rendersi conto di cosa fosse davvero successo.
Qualcuno gli aveva rovesciato della birra addosso, di proposito.
Si girò di scatto, il tempo necessario per vedere Muriel piegare la lattina che stringeva nella mano destra con forza bruta e gettargliela in faccia senza troppi complimenti, senza nemmeno preoccuparsi di poterlo ferire o di lasciargli qualche tipo di escoriazione.
<< Muriel … >> Mormorò completamente incredulo, mentre osservava la fidanzata scuotere la mano bagnata di birra e fissarla con un’aria del tutto scocciata sul viso.
<< Mi sono anche fatta male per questo cretino … >> La sentì poi mugugnare, infastidita.
Giasone sentì tutta la rabbia che aveva provato fino a quel momento scoppiare come una bolla di sapone, si rese conto di come si era comportato e di quello che aveva detto.
E si accorse di avere esagerato, di essersi lasciato andare nuovamente, di avere un pessimo carattere e di essere spaventato. Si, quella era la cosa più strana, aveva paura da morire.
<< Muriel ascolta, io - >>.
<< Voglio che cancelli il mio numero di cellulare >> Lo interruppe bruscamente lei, anche se le parole di Giasone erano state talmente deboli che sarebbe bastato parlare con un tono di voce normale per sovrastarle totalmente << Cancella qualsiasi cosa abbia a che fare con me. Il torneo è quasi finito, quindi suppongo di poter saltare gli allenamenti, giusto? In questo modo dovrebbe risultare più facile per entrambi >> Muriel sembrava totalmente un’altra persona mentre pronunciava quelle parole, era dura, cattiva quasi, parlava con la stessa professionalità di una segretaria che dettava l’agenda al suo capo.
Era arrabbiata, e nemmeno Giasone l’aveva mai vista in quello stato.
Dire che l’aveva fatta grossa sarebbe stato poco, aveva fatto un macello e adesso aveva paura.
Aveva paura di non sapere come recuperare, perché aveva come la sensazione che Muriel … aveva come la sensazione che lei lo stesse lasciando.
E perché il cuore gli ballava in quel modo ostinato e spiacevole nel petto al solo pensarlo?
Non aveva detto che era tutta una scommessa? No … non lo era mai stata davvero.
Giasone era solamente arrabbiato, non le aveva mai pensate davvero quelle cose.
Poteva essere cominciato tutto come una prova, per capire cosa fossero quei sentimenti, per vedere se potesse davvero andare oltre quello che aveva sempre pensato di se stesso …
Ma non era quella la conclusione a cui era giunto in quei mesi, Muriel doveva saperlo.
<< Più facile che cosa? Che - che stai dicendo? >> Balbettò alzandosi in piedi.
<< Che la sto finendo qui >> Sbottò Muriel fissandolo con occhi freddi di dolore e rabbia.
Non aggiunse altro, non sprecò altre parole inutili, tutto quello che aveva sentito per lei era sufficiente per non andare oltre, per non fidarsi più, per lasciarlo indietro.
Giasone non ebbe nemmeno la prontezza di reagire quando la vide allontanarsi, rimase fermo in piedi come uno stupido, incredulo, con le mani bagnate di birra strette a pugno.
<< Te l’avevo detto di smetterla >> Mormorò Ivan al suo fianco, funereo.
Giasone registrò la voce dell’amico con estrema lentezza, poi la realizzazione lo colse all’improvviso, completamente di sorpresa, quasi avesse voluto pugnalarlo a tradimento.
<< Tu l’avevi vista, vero? >> Sbottò in direzione di Ivan, gli occhi allucinati << Perché cazzo non mi hai - >> Continuò alzando la voce, immediatamente stroncata da Ivan.
<< Perché non ascolti mai! Perché sei talmente stronzo da non sapere quando fermarti! >>.
Preso da un impeto di rabbia Giasone afferrò Ivan per la collottola della maglietta, e non sentì nemmeno le proteste di Enea e Gabriele che lo invitavano a calmarsi, non le sentì perché si rese conto immediatamente di sembrare ridicolo in quel momento.
Ivan aveva ragione, dopotutto.  Aveva sempre avuto ragione.
<< Dannazione! >> Imprecò Giasone a denti stretti lasciando andare la presa, le mani formicolanti per la stretta troppo ferrea << Che vuol dire che la finisce qui? Quella cretina … io non sono nemmeno d’accordo! Maledizione Muriel … >>.
La voce gli si incrinò pericolosamente sulle due ultime parole, si portò una mano a pugno sulla fronte e respirò profondamente, se l’era meritata, Ivan aveva ragione.
Aveva meritato tutto quello che era successo quella sera, ma l’aveva capito.
Aveva finalmente capito tutto quello che provava.
<< Cazzo! >> Imprecò a voce alta, e prima che potesse realizzarlo si ritrovò per strada.
Credeva di averci impiegato troppo quando finalmente la trovò, aveva il fiatone per la fatica e per il batticuore violento, era ancora bagnato di birra e probabilmente puzzava di alcool misto a sudore in quell’afosa notte di inizio Giugno.
Muriel stava per aprire la portiera di un taxi, aveva il braccio sinistro stretto al petto, la borsa penzoloni nel vuoto, avvolta attorno all’avambraccio come ad una maniglia e il viso bagnato di lacrime di rabbia e frustrazione, di dolore e tradimento.
Giasone le andò incontro a passo spedito, mandò malamente via il tassista, le afferrò una mano e prima che Muriel potesse anche solo realizzare che cosa stesse succedendo, se la strinse al petto con una naturalezza che si era concesso con lei solamente nei momenti di limite assoluto. Quei momenti in cui se non avesse superato quella linea sapeva che sarebbe stato come fare un passo indietro troppo grande.
Gli arrivò immediatamente una gomitata piuttosto dolorosa allo stomaco.
Muriel gliela rifilò con violenza e senza un briciolo di controllo nella forza che ci mise, Giasone capì da quel semplice gesto che non si trattava dei soliti modi scherzosi con cui soleva liberarsi di lui quando la infastidiva.
Quella volta Muriel era arrabbiata davvero e stava tentando di liberarsi di lui con tutte le sue forze, probabilmente perché l’idea di essere toccata da una persona che aveva creduto provasse quanto meno qualcosa per lei doveva disgustarla profondamente.
Nonostante quelle premesse, Giasone non si arrese e la tenne ferma finché il taxi che aveva chiamato la ragazza non se ne andò, lasciandoli soli sulla strada deserta illuminata dai lampioni e sporadicamente vivacizzata dal passaggio di un automobile.
<< E mollami maledizione! >> Sbottò Muriel ad un certo punto di quella lotta furiosa, per poi afferrargli malamente una mano e mordergliela con violenza assoluta.
Giasone gridò lasciando andare immediatamente la presa e si portò l’arto al petto, osservando solamente per una frazione di secondo le piccole mezzelune che i denti di Muriel gli avevano lasciato inciso sulla pallida pelle.
Lei lo fissò scocciata per un solo istante, poi gli voltò le spalle e prese a camminare.
Giasone le fu dietro immediatamente, la mano ancora stretta al petto.
<< Ti accompagno a casa! Aspetta! >> Muriel continuò a camminare imperterrita, ignorandolo completamente << Aspetta! >> Continuò lui affannandosi dietro di lei, tentò di afferrarle il braccio un paio di volte, ma lei lo scansò brutalmente << Non lasciarmi! >> Le gridò dietro ad un certo punto, completamente disperato << Andiamo! Non puoi lasciarmi! Non esiste proprio! >> Muriel interruppe la sua fuga furiosa e si girò a guardarlo di scatto, completamente fuori di se, rabbiosa, lasciando perfino che lui le afferrasse il polso, semplicemente perché voleva vedere dove sarebbe arrivato con le parole, le scuse che avrebbe usato << Andiamo! Hai fatto tutta quella fatica per farmi innamorare di te! >>.
<< Perché? Sei mai stato innamorato di me? >> Lo aggredì lei immediatamente << Dalle parole che hai pronunciato poco fa mi è sembrato l’esatto contrario >>.
Giasone non rispose, frustrato, si passò la mano libera tra i capelli ancora appiccicosi di birra, completamente scombinati sebbene li avesse tagliati di fresco solo pochi giorni prima.
<< Ero arrabbiato Muriel! Non mi so controllare quando->>.
<< Non usare la rabbia come scusa per qualcosa che pensavi veramente! >>
Lo ammonì Muriel senza quasi nemmeno dargli il tempo di finire la frase, liberò il polso dalla stretta con più gentilezza di quanto avesse fatto prima, mostrando in quelle parole una maturità che Giasone non aveva mai visto in lei, non prima di quella sera.
La prima volta che litigavano seriamente, la prima volta che pronunciavano parole che avrebbero potuto essere troppo pericolose se non calibrate con la giusta dose.
La prima volta che si rendevano conto di quanto fosse difficile e impegnativo amarsi, quello che avevano intrapreso insieme quasi con spensieratezza, per provarci.
Muriel gli stava mostrando il lato maturo di se proprio quella sera, sbattendogli in faccia la verità più semplice e assoluta: che c’erano ancora troppe cose che non sapeva di lei, troppe cose che invece avrebbe voluto scoprire con tutto se stesso, ancora e ancora.
La verità che per lei non era mai stata una prova di niente, probabilmente non lo era mai stato dal primo momento, fin da quando gli si era seduta vicino su quel pullman sgangherato, rovinando i suoi piani di una lettura serena e tranquilla.
In realtà, era proprio da quella sera che le cose per loro sarebbero cominciare per davvero.
<< La rabbia non dovrebbe mai essere usata come una giustificazione, Giasone >>.
Terminò lei, mormorando quelle ultime parole, perché doveva aver perso, da qualche parte mentre si guardavano negli occhi e realizzavano tutte quelle cose, la rabbia che la animava.
Muriel non avrebbe voluto finirla lì, non avrebbe voluto farlo mai.
Sentiva sincerità nelle sue parole, sentiva che era spaventato, che era vero, ma non le bastava, dopo quello che aveva sentito non le bastava più così poco.
Avevano fatto passi in avanti troppo grandi quella sera per accontentarsi.
Se Giasone non avesse fatto quel passo oltre, se Giasone non avesse allungato la mano per prendere tutte le sue paure, le paure che aveva seppellito così bene sotto la sua spensieratezza, la sua allegria e la sua così palese ed evidente ingenuità, allora …
Allora … allora Muriel non si sarebbe guardata più indietro, non l’avrebbe fatto.
 Avrebbe lasciato andare il suo primo amore di spalle con un “addio” sussurrato di schiena.
Giasone non tentò di afferrarla ancora una volta, sembrava lontano, basito.
La perse solamente per una frazione di secondo, spaesato e tramortito, e quando sollevò gli occhi lei era già avanti di parecchi metri, lontana.
Giasone non seppe spiegarsi perché le gambe avessero deciso di bloccarsi proprio in quel momento, perché le sentisse pesanti come macigni, inutili come non le aveva mai pensate.
<< Ma dove vai? >> Si ritrovò a mormorare, Muriel sempre più lontana << Ehi Muriel, ma dov’è che vai senza di me? >> La voce trovò un po’ più di forza, di colore, seguendo il flusso della disperazione che gli stava montando nel petto come un’onda << No, ehi, ehi, guarda che ti amo …. Guarda che ti amo, scema! >> Esplose all’improvviso, violenta << Ho avuto paura! Ho avuto fottutamente paura. É così sbagliato? >>.
Successe tutto all’improvviso, talmente all’improvviso che Giasone ci mise un po’ per realizzare di aver davvero visto Muriel gettare la borsa a terra, girarsi di scatto verso di lui e correre come una disperata nella sua direzione, per poi saltargli addosso come un koala.
Giasone era talmente incredulo che non protestò nemmeno quando lei gli afferrò il viso per baciarlo dappertutto, bagnandolo contemporaneamente di lacrime che, in quel disastro, avrebbero potuto benissimo essere anche le sue, confondersi anche sul suo viso.
Trovò un po’ di pace per se stesso solamente quando realizzò di averlo detto.
Di aver detto finalmente quello che provava, di aver fatto la cosa più spaventosa.
<< Mi ami davvero? >> Le domandò lei, la voce lamentosa da bambina che lui adorava.
<< Cazzo Muriel, ho avuto come la sensazione che mi stessero strappando il cuore dal petto a mani nude mentre te ne andavi … cazzo, mi hai spaventato … dannazione … >>.
Si guardarono negli occhi, i visi bagnati di lacrime e di sudore, di birra.
Le labbra dolci e salate, i capelli scomposti, sembravano aver combattuto una guerra.
<< Non dire quelle cose mai più, non farmi così male mai più >> Mormorò lei, gli occhi grandi che lo fissavano con ancora dei residui di dolore sul fondo, ancora feriti di fresco.
<< Non ho motivo di dire cose che non penso … la rabbia non dovrebbe mai essere usata come una giustificazione, giusto?  Mi dispiace >>.
Mormorò lui di rimando, la voce imbronciata.
Muriel ridacchiò cautamente, non la sua risata sguaiata e infantile, ma trattenuta.
<< Ehi, dimmi che mi ami anche tu >> La incalzò Giasone.
<< Ti amo anche io >>.
E mentre la baciava tenendola in braccio come un koala, dimentico dei suoi amici all’Olimpo, di tutte le storie che aveva messo su per stare da solo con loro, incoerente con se stesso come non lo era mai stato prima, Giasone pensò che ne avessero fatta di strada da quel tiepido giorno di Ottobre, quando si erano parlati per la prima volta su quel pullman vecchio e sgangherato, il catorcio che per cinque anni l’aveva portato in  giro.
Di strada da fare ne avevano ancora tantissima, ma arrivare a quel punto …
Arriva a quel punto era stata la vittoria più grande che Giasone avesse mai raggiunto.
Si rese conto che forse, se avesse avuto una giratempo in un altro universo magico, se gli avessero dato la possibilità di tornare indietro a quel giorno e cambiare le cose, lui avrebbe lasciato tutto esattamente come era stato: inaspettato, sconcertante, fastidioso e stupendo.
Proprio come Muriel.
 
Miki aveva scelto di uscire dal locale solamente per prendere un po’ d’aria fresca.
Se avesse potuto immaginare quello che sarebbe successo, o la persona che avrebbe incontrato seduta sul marciapiede, con una sigaretta mezza consumata tra le mani curate, probabilmente non sarebbe uscita. 
Non sarebbe uscita perché, se avesse avuto la consapevolezza, probabilmente non avrebbe mai trovato il coraggio di farlo spontaneamente, o anche solo di provare a creare l’occasione che qualcuno le regalò quella sera, l’ultima all’Olimpo.
Sembrava uno strano scherzo del destino che le fosse concessa quell’opportunità proprio alla fine di tutto, alla fine di quella che avrebbe dovuto essere la sua vita scolastica, lì dove tutto era cominciato inaspettatamente anni prima.
La sorpresa non era stata trovare Sonia seduta sul marciapiede con la sigaretta quasi finita tra le dita, la vera sorpresa era stata quella di imbattersi proprio in lei tra tutte le persone, di trovare la strada deserta, di incrociare lo sguardo con lei e di non avere dunque la minima possibilità di far finta di nulla e andarsene senza salutare, o scambiare qualche parola.
<< Davvero ironico, eh? >>.
Miki era talmente sorpresa da tutte quelle coincidenze che la domanda di Sonia le arrivò a scoppio ritardato, lasciandola basita per alcuni secondi in cui rimase ferma a fissarla fumare.
Sonia continuò a fumare silenziosamente in quei secondi di silenzio, fissando tranquillamente la strada deserta, sotto il lampione che le incorniciava la testa come una corona dorata. Doveva aver pensato la stessa cosa.
<< Cos’è che trovi ironico? >> Domandò Miki facendo un passo avanti, si mise seduta, contando con lo sguardo i centimetri che avrebbero messo una giusta distanza tra lei e il passato << Che non ci sia nessuno per aiutarci a fingere di non esserci incontrate … oppure che sia successo proprio nel posto esatto in cui ci siamo conosciute anni fa? >>.
Quando Miki lasciò andare quella domanda, lo fece con la voce serena, con una tranquillità che temeva di non potere avere in una situazione come quella.
Al suo fianco Sonia sorrise sommessamente, sollevando le labbra tinte di rosso vermiglio in quel ghigno fatale che aveva catturato l’attenzione di tanti uomini, e aveva dato l’impressione che oltre i baci che potevano regalare non ci fosse un’anima.
<< Dopotutto, la vita ha davvero un senso dell’umorismo che fa schifo! >>
Si limitò a replicare, gettando la cicca della sigaretta nel canale di scolo; la punta ancora  accesa di rosso dava l’impressione di una minuscola stella cadente appena precipitata sul suolo, pronta a morire lentamente senza aver esaudito il desiderio di nessuno.
Non parlarono per un po’, mentre la brezza leggera della sera passava tra loro come una carezza gentile; dovevano essere entrambe perse nel passato.
Era successo la prima sera trascorsa all’Olimpo.
Avevano entrambe quattordici anni, il mondo sembrava così grande, così lontano, i nuovi compagni di classe erano degli sconosciuti, i ragazzi dell’ultimo anno dei giganti e i professori troppo severi …
Miki aveva deciso di andare all’Olimpo solamente perché era stato Aleksej ad insistere, era il periodo in cui si stava lentamente innamorando di lui, senza tuttavia riuscire ad accettarlo.
A distanza di tanti anni, quando le cose tra lei e Sonia si erano fatte esasperanti, aveva sempre pensato a quel giorno come qualcosa di nefasto, il momento in cui aveva preso una delle decisioni peggiori della sua vita.
Aveva pensato, ripetendolo mille volte a se stessa nelle notti di pianto nascosta sotto le coperte del suo letto, che se non avesse accettato l’invito insistente di Aleksej la sua vita sarebbe stata sicuramente più tranquilla, nessuno l’avrebbe tradita o pugnalata alle spalle, si sarebbe risparmiata tantissima sofferenza.
 A diciotto anni compiuti, ad un passo dalla conclusione, ad un passo dal lasciarsi alle spalle quel mondo che le aveva fatto tremendamente paura, ad un passo dal gettarsi nella vita vera … trovava quei suoi pensieri estremamente stupidi.
Era destino che quella sera di cinque anni prima Aleksej le rovesciasse addosso la sua birra facendola uscire infuriata dal locale, era destino che incontrasse Sonia seduta sotto quello stesso lampione in lacrime, era destino che si fosse seduta accanto a lei.
Era stato destino tutto quello che era accaduto da quel momento in poi.
E se le cose erano finite in quel modo terribile, probabilmente la colpa era di entrambe, ma la colpa non sarebbe mai stata una scusa sufficiente per cancellare i momenti belli.
Tutto sommato, di ricordi belli insieme ne avevano talmente tanti che sarebbe stato semplicissimo riempirvi una parete completamente bianca senza lasciare spazi bianchi.
Miki non sapeva se fosse effettivamente diventata più matura a distanza di anni.
Si erano fatte troppo male, avevano cercato di ferire, di lasciare cicatrici …
Ma tutto sommato era giunto il momento di lasciarsi quelle cose alle spalle per sempre.
Erano state parte della sua vita, e Miki credeva fermamente che non le fossero capitate per una decisione sbagliata presa quando ancora non si era davvero affacciata sul mondo.
Era sicura che, prima o poi, avrebbe finalmente capito perché Sonia era entrata nella sua vita, avrebbe capito perché le cose erano finite in quel modo e perché c’era stata tutta quella sofferenza e tutto quel dolore.
Dopotutto, era sicura che nella vita non si incontrasse mai nessuno per caso.
Ma proprio nessuno.
Probabilmente, si rese conto, era proprio quella consapevolezza che la faceva sentire stranamente tranquilla in quel momento, dove tutto sarebbe finito.
Miki e Sonia erano entrambe convinte, sicure, che dopo quella sera sarebbero potute andare avanti tranquillamente, senza guardarsi indietro per qualche pezzo dimenticato lungo la strada. Sarebbe stato triste, ma terribilmente liberatorio.
<< Tutto sommato, credo che sia giusto così >>.
Le parole di Sonia ruppero quel silenzio durato minuti interi, pesante, nemmeno il brusio soffocato che proveniva dall’interno del locale sarebbe stato in grado di alleggerirlo.
Era stato importante per arrivare a delle conclusioni.
<< Cosa? >> Mormorò Miki tirandosi le ginocchia al petto, serena.
Se fossero stati altri tempi, sarebbe stata in grado di capire Sonia senza bisogno di chiedere nulla, ma di capire quell’amica aveva smesso di farlo tra una cattiveria e l’altra, tra un cambiamento e l’altro.
Erano cambiate entrambe, e non l’avevano fatto insieme.
Era semplice, era giusto, ed era corretto che fossero due estranee arrivate a quel punto.
Sarebbe stato tutto più semplice in quel modo, decisamente più semplice.
<< Che le cose finiscano qui >> Chiarì Sonia con semplicità, diretta << Non credi anche tu che sia arrivato il momento di finirla una volta per tutte? >>.
Si guardarono negli occhi, quelli chiari e tersi come il cielo, puliti e senza traccia di trucco, e quelli verdi come le foreste più profonde, scuri e carichi di matita.
<< Credo proprio di si >> Miki annuì, nessuna reale alterazione nello sguardo sereno.
Entrambe probabilmente lo pensarono in quel momento, lo pensarono, ma come ogni pensiero di quel genere non lo avrebbero mai espresso ad alta voce.
Erano sedute esattamente nello stesso identico posto in cui avevano parlato per la prima volta, la stessa distanza, la stessa postura, lo stesso sguardo, un’anima totalmente diversa.
<< Non ti chiederò scusa per nulla >> Commentò Sonia, decisa.
<< Non accetterei le tue scuse >> Replicò Miki di rimando, decisa a sua volta.
Scoppiarono a ridere contemporaneamente e distolsero lo sguardo, puntandolo sulla strada.
Era così sereno il cielo quella sera, di un blu cobalto, attento come se le stesse ascoltando.
<< A Settembre vado via >> Raccontò Sonia estraendo il pacchetto delle sigarette dalla tasca destra dei jeans << Ho deciso di andare a studiare danza >> Se ne portò una alla bocca e la accese magistralmente, lasciando andare una buona boccata di fumo << Cristiano viene con me, andiamo a vivere insieme >>.
Miki ascoltò quelle parole attentamente; non era una confessione finale quella che le stava facendo Sonia in quel momento, era il suo modo di dirle addio, il suo modo di farle capire che era andata oltre, che aveva trovato la sua felicità.
Che anche una come lei aveva trovato la sua stabilità.
Le stava dicendo che poteva andare davvero per la sua strada con serenità, che non aveva motivo di volgere il pensiero a lei in futuro nemmeno per un istante.
Le stava regalando la libertà, l’unica cosa che potesse ancora concederle.
L’ultimo regalo d’amica che potesse farle.
<< Mi auguro che siate davvero felici >>.
Miki non aggiunse altre parole, non chiese perché Sonia non le avesse mai voluto parlare di Cristiano in tutti quegli anni, non si chiede come sarebbero potute andare le cose se l’amica le avesse detto tutto, se si fosse confidata. Non si chiese se Sonia sarebbe rimasta la stessa se lei avesse potuto aiutarla, non si chiede nemmeno se fosse tutta colpa sua per non essere stata attenta. Quelle erano tutte domande che si era già fatta mille volte.
Domande che non avevano risposte, perché doveva semplicemente andare in quel modo.
Sospirò pesantemente e si tirò in piedi, lisciando la gonna che indossava.
Era finita, e respirare di nuovo faceva incredibilmente bene.
Miki rivolse uno sguardo sereno alla luna, quel capitolo della sua vita si era concluso lasciandosi tantissime cose alle spalle, tanti frammenti, tanto dolore, tante cicatrici.
Se ne apriva un altro, ed era curiosa di scoprire che cosa le avrebbe regalato.
Quanto meno, Sonia le aveva fatto il regalo di poter guardare avanti senza doversi preoccupare del passato.
<< Lo saremo >>.
Miki sorrise e chiuse gli occhi, il vento le accarezzò il viso per consolarla.
Era stata brava, tutto sommato.
E a distanza di quattro anni si alzava finalmente da quel marciapiede su cui era stata seduta per tutto il tempo a costruire un muro talmente solido che nessuno avrebbe potuto abbatterlo.
La persona dall’altra parte era andata via da tempo.
Anche lei, da quel momento in poi, avrebbe potuto girare le spalle con serenità.
 
Beatrice aveva scoperto di amare profondamente il sorriso di Enea.
Era raro, era un evento estremamente prezioso, ma che si verificava sempre più spesso nelle ultime settimane, soprattutto quando erano insieme.
Era quell’aspetto che Beatrice amava di più in assoluto, probabilmente, che quel sorriso fosse esclusivamente per lei, il più delle volte.
Enea aveva sempre indossato quel ghigno malizioso, che faceva girare la testa a tutte le altre ragazza, ma che Beatrice aveva trovato pericoloso fin dal principio.
Aveva sempre avuto paura di quel ghigno, perché rappresentava la parte di Enea di cui non si era fidata, la parte di Enea che l’aveva fatta allontanare, e girare, e sbandare.
Fortunatamente per lei, aveva ritrovato la strada giusta facilmente.
Beatrice era serena, nonostante la partenza di Enea si avvicinasse.
Era serena da quel giorno in cui aveva fatto per la prima volta l’amore con lui, e non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad ammetterlo a se stessa.
Era stato come se tutte le nubi oscure si fossero improvvisamente diradate, lasciando solo il sole più splendente; e quel sole era bello, alto, forte e aveva un sorriso meraviglioso.
Ed era in piedi proprio di fronte a lei in quel momento.
Beatrice lo guardò sorridendo di sottecchi per un po’, osservandolo.
Aveva avuto il cuore pesante per tutta la mattina quando Enea l’aveva contattata proponendole di aiutarlo ad inviare i moduli per l’iscrizione.
Una volta compiuta quell’operazione, non sarebbero più potuti tornare indietro.
Beatrice si era sentita leggermente in colpa per quello strato di tristezza che non era riuscita a scacciare subito via; ma era stato spontaneo, umano.
L’istante successivo era tornata a sorridere, sicura di volerlo appoggiare con tutta se stessa.
Enea era contento, lei era c0ntenta, quello era senza ombra di dubbio la prova più grande che potesse dargli del suo amore, e Beatrice l’avrebbe fatto senza condizioni.
<< Quanto ghiaccio ci vuoi dentro? >>.
La domanda di Enea la colse di sorpresa, strappandola ai suoi pensieri.
Beatrice ebbe giusto il tempo di abbassare lo sguardo sul computer che aveva davanti prima che lui si girasse a guardarla con quegli occhi freddi e taglienti per natura.
<< Tre cubetti vanno bene >> Rispose lei schiarendosi la gola.
Un istante dopo, Enea si girò allungandole sul tavolo un bicchiere pieno di tè fresco.
Quel giorno faceva terribilmente caldo e, nonostante le finestre di tutta la casa fossero spalancate e i ventilatori accesi, si soffocava terribilmente.
<< Grazie >> Commentò lei portandosi la cannuccia alla bocca.
A quel punto, fu il turno di Enea di perdersi ad osservarla.
Beatrice aveva legato i capelli ricci in un codino un po’ scomposto, alto, qualche ciocca ribelle le cadeva sul collo scoperto e sul viso, mentre qualche riccio capriccioso era rimasto incastrato all’interno dell’elastico; indossava una canotta grigia attillata, un paio di shorts e dei sandali bianchi.
Da quando avevano fatto l’amore, Enea non aveva potuto fare a meno di notare che il modo di vestirsi di Beatrice era cambiato.
Non indossava più magliette sformate o jeans troppo larghi, sembrava più sicura di se e del proprio fisico, molto più sicura della sua persona di quanto lo fosse stata precedentemente ed Enea amava quel particolare, amava tutti quei dettagli.
Li amava, perché Beatrice era bellissima.
E li amava, perché era stato lui a farli uscire fuori.
<< Che cosa stai guardando, Enea? >> Gli domandò lei distrattamente, con lo sguardo sempre puntato sul computer e l’espressione di una persona davvero interessata a quello che stava leggendo. Beatrice non avrebbe ammesso mai ad alta voce di non aver letto una sola parola del documento in inglese che aveva davanti agli occhi in quel momento.
<< La cosa più bella che abbia mai visto >> Replicò lui immediatamente.
In un’altra occasione Beatrice gli avrebbe risposto sgarbatamente o l’avrebbe rimproverato senza alcun freno; Enea era solito pronunciare quelle frasi comuni per stuzzicarla un po’.
Lo faceva perché Beatrice detestava quelle cose, e lui amava vederla arrabbiata.
Quel giorno però la voce di Enea aveva una strana intonazione, una cadenza più dolce, inaspettata; la sincerità di chi, per una volta, credeva fermamente in ciò che aveva detto.
Beatrice non si arrabbiò, al contrario, gli occhi le si addolcirono e le labbra si piegarono in un tenero sorriso immediatamente ricambiato dal ragazzo che le stava di fronte.
Anche lei aveva preso a sorridere molto di più negli ultimi tempi.
<< Inviamo questi documenti? >> Gli chiese, allungando le mani sul ripiano dell’isola per toccare con entrambi gli indici delle mani la pelle calda del suo avambraccio.
C’era serenità anche nel tono di voce con cui gli pose quella domanda.
Enea la guardò per un po’, innamorandosi ancora di lei, perdutamente, anche se non gliel’avrebbe detto nemmeno sotto tortura più spietata.
<< Inviamoli >> Acconsentì, facendo il giro dell’isola al centro della cucina per affiancarla.
Si mise seduto accanto a lei sullo sgabello, la schiena curva.
Fu Beatrice ad inviare i moduli per lui, non gli chiese di occuparsene, ma si lasciò guidare con una concentrazione tale da sembrar quasi che stesse avendo a che fare con qualcosa di estremamente importante per il suo futuro, o la sua vita.
Beh, nel suo caso era davvero una metafora azzeccata.
Enea se ne stette buono seduto al suo fianco mentre le dava le istruzioni necessarie.
Ripensò velocemente al primo giorno in cui l’aveva vista in quella classe nuova, gli era sembrata bruttissima con quei capelli crespi, quei jeans sformati e la felpa scolorita.
L’aveva giudicata antipatica solamente con un’occhiata, gli aveva dato l’impressione di avere la puzza sotto il naso, Enea non avrebbe mai potuto immaginare che cosa si nascondesse realmente dietro quegli occhi tempestosi che l’avevano cambiato.
In effetti, ripensandoci, Enea si rese conto che erano stati proprio quegli occhi a chiamarlo a se, un giorno di metà Ottobre, di fronte una bacheca per le prenotazioni …
Quanta strada avevano fatto da quel giorno.
Enea non avrebbe mai potuto immaginare, a distanza di mesi, che quella racchia sarebbe diventata la sua ragione di vita, la cosa più bella della sua vita.
Non avrebbe mai potuto immaginare che l’amore l’avrebbe cambiato così tanto.
<< Inviato! >> Esclamò Beatrice all’improvviso, con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Enea guardò la casella di posta elettronica per qualche secondo.
<< Grazie >>.
Mormorò, e gli sembrò di pronunciare quella parola per la prima volta in vita sua.
Non c’era bisogno di spiegare che cosa significasse, e quanto ci fosse dietro.
Beatrice gli sorrise, avvolgendogli le braccia attorno alle spalle in un gesto intimo che prometteva carezze e passione consumate nelle prossime ore.
Si, ne avevano fatta davvero di strada.
 


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Effe_95
 
Buonasera a tutti!
Si, sono tornata, dopo cinque mesi di nulla assoluto, con la mia faccia tosta.
Non vi starò a dire i miei casini o i miei guai.
Come avevo già detto in un’altra nota finale, questa storia la finirò, dovessi metterci anche tutta la vita u_u Quindi aspettatevi una conclusione, perché arriverà ;)
Nel frattempo, vi lascio con questo capitolo lungo cinque mesi.
Con un Giasone finalmente sicuro dei suoi sentimenti, Miki e Sonia che si dicono addio con serenità, ed Enea e Bea, che, ora posso confermarlo, sono finalmente sereni!
Mi sento un genitore molto soddisfatto xD
Mancano quattro capitoli alla fine della storia, dopo questo.
Non posso garantirvi che il prossimo capitolo arriverà presto, non lo so nemmeno io, ma come ho già scritto, arriverà u_u
Spero che vi sia piaciuto, che il mio stile di scrittura non sia cambiato molto in questo tempo lunghissimo di assenza, che non sia scaduto e che non faccia troppo schifo.
La vita è dura, ma si deve andare avanti con coraggio ;)
Ormai quasi tutte le storie stanno trovando una conclusione, gli esami si avvicinano ( ci sarà da ridere promesso xD) e come piccolo regalo vi anticipo che nel prossimo capitolo avremo un bel confronto tra Enea e Lisando! Così, per farmi perdonare un po’ ;)
Grazie mille come sempre, soprattutto per la pazienza questa volta!
Alla prossima.
 
 
 
 
 
  
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