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Autore: NPC_Stories    09/07/2018    8 recensioni
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L'amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.

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[Jolly Adventures, capitolo L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3)]
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Quando Johel ha portato il suo strano amico (all'epoca vivo e vegeto) a conoscere la sua famiglia, inizialmente non è andata molto bene.
Questa non è la storia di come è cominciata, ma è la storia di come la più improbabile delle creature è diventata un Ruathar, aiutando un elfo che era stato rapito e preso prigioniero. È una storia di gesta eroiche, manipolazioni a fin di bene, gente morta e sensi di colpa, ma anche di amicizia e rapporti familiari, insomma come tutte le loro storie.
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Warning: più avanti si parla di tortura, sesso e violenza non descrittivi; si sconsiglia la lettura ad un pubblico troppo giovane.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1287 DR: La loro approvazione

L'elfo dei boschi procedeva tranquillo e a testa alta, sul suo volto aleggiava un'espressione di gioia appena contenuta. Stava tornando a casa dopo più di un anno di vagabondaggio e avventure e non vedeva l'ora di rivedere la sua famiglia e il suo clan.
Il suo compagno dalla pelle scura non era altrettanto entusiasta, ma lo seguiva di buon grado. Johel era suo amico, e la cosa era già straordinaria di per sé; in realtà al momento era il suo unico amico, quindi se voleva tornare dal suo clan il minimo che il drow potesse fare era accompagnarlo senza lamentarsi.
Nel tardo pomeriggio finalmente raggiunsero le propaggini settentrionali della foresta di Sarenestar. In quella zona il terreno era già collinare, come in tutto il bosco che s'innalzava dolcemente fino alle pendici delle Montagne del Cammino. L'elfo nero si diresse con passo sicuro verso il prato in leggera pendenza dove era solito campeggiare quando Johel tornava nella sua foresta. Era un declivio esposto a nord, mai direttamente colpito dal sole, e d'inverno poteva diventare abbastanza freddo, però la luce diretta del sole dava ancora fastidio ai suoi occhi abituati all'oscurità. Inoltre c'era un ruscello non lontano da lì, un elemento necessario nella scelta di un sito dove accamparsi.
“Sei sicuro di volerti fermare qui, Daren?” Gli domandò l'amico, come faceva ogni volta.
“Certo, è un buon posto dove montare una tenda. Non è lontano dalla foresta, e poi ormai i tuoi compagni sanno che mi fermo sempre qui. Sono più tranquilli se possono tenermi d'occhio.” Rispose il drow, in tono pragmatico.
Johel, l'elfo dei boschi, lo guardò con una punta di tristezza e scosse la testa. “Non riesco mai a capire, dal tuo tono, se sei contrariato o davvero non t'importa. Ma quello che volevo dire, era se non preferiresti entrare nella foresta, questa volta.”
“I tuoi parenti mi sopportano a stento.” La replica giunse con voce stanca, annoiata. Quella conversazione si ripeteva ogni volta che si avvicinavano alla foresta natia di Johel. “Non sono contrariato, è normale, io sono un drow. Quando mi vedono, le madri portano via i bambini e i guerrieri mettono mano alla spada, e non saranno le tue rassicurazioni a far cambiare il loro atteggiamento. Non sono interessato a dimostrare qualcosa, non mi interessa avere la loro fiducia, e non voglio causare scompiglio nel tuo clan.” Chiarì, per l'ennesima volta. “Starò qui, dove sanno che possono tenermi sotto tiro con i loro archi. Non mi hanno mai dato incomodo.”
Questo è l'accordo che ho con tuo padre. Pensò, ma non lo disse ad alta voce. Johel non sapeva nulla di quel particolare compromesso.

Erano passate circa due decadi da quando, per la prima volta, Johel lo aveva portato nella foresta di Sarenestar. All'epoca, l'idea era quella di presentare il suo improbabile amico alla sua famiglia e al suo clan.
Prevedibilmente, la cosa non era andata molto bene. I parenti di Johel sapevano che aveva incontrato un avventuriero con cui aveva stretto amicizia una quindicina di anni prima e che da allora spesso avevano viaggiato insieme, ma non sapevano che fosse un drow. Gli elfi di Superficie erano fieramente ostili verso la razza dei loro oscuri cugini, e non senza motivo. C'era un fiume di sangue a separare le due razze elfiche, versato nel corso di millenni di guerre, massacri e crudeli sortite, spesso da parte dei malvagi drow. Per di più, Johel e Daren si erano conosciuti in una circostanza infausta, quando il gruppo con cui l'elfo viaggiava era appena stato attaccato e sterminato da una banda di briganti umani. Nella foresta di Sarenestar nessun elfo credeva davvero che il drow fosse estraneo a quella disgrazia. Nessuno tranne due di loro: Johel, che era presente ed era stato l'unico sopravvissuto, e Raerlan, un ranger dal carattere solare che per qualche motivo credeva alla loro versione.
Daren era rimasto due giorni nella foresta di Sarenestar “ospite” del clan Arnavel, costantemente tenuto d'occhio da guardiani nervosi e pronti ad imbracciare l'arco, nonostante il drow fosse stato disarmato al suo arrivo. La loro prudenza non era fuori luogo e Daren non si era certo offeso: un drow veramente malintenzionato avrebbe potuto trovare il modo di rubare la spada a uno di loro e fare almeno qualche danno prima di cadere sotto le frecce, ed era giusto e lusinghiero che ne fossero consapevoli. Aveva cercato di mantenere un atteggiamento innocuo e non aggressivo, ma loro si aspettavano che lui cercasse di ingannarli quindi qualsiasi gesto di buona volontà sarebbe stato interpretato come una parte dell'inganno.
Alla fine il padre di Johel, che era il capo dei guerrieri del clan, lo aveva preso da parte e con tutta calma gli aveva proposto un accordo: “Puoi accamparti al limitare della foresta, dove possiamo vedere i tuoi movimenti.” Gli aveva proposto, con l'aria di fargli una concessione quando in realtà si trattava di una misura che andava a tutto vantaggio degli elfi. “E non muoverò obiezioni se continuerai a viaggiare insieme a mio figlio. Ma se provi a mettere piede nella foresta ti farò crivellare di frecce. E se mio figlio dovesse morire mentre è con te, ti riterrò personalmente responsabile e ti troverò, ovunque tu sia. Hai capito bene le mie condizioni?”
Daren ricordava questa cosa con un po' di fastidio. L'anziano elfo non gli aveva chiesto se voleva accettare quelle condizioni, ma solo se le aveva capite. Non era un'offerta, era un ordine. Ma lui aveva bisogno dell'amicizia di Johel, per motivi pragmatici oltre che sentimentali, quindi aveva assentito. E da allora, quel patto era sempre stato rispettato.
 
“Sono passati quasi vent'anni, non posso credere che la mia famiglia ancora non si fidi di te.” Si lamentò l'elfo dei boschi, riportandolo al presente.
Daren mosse una mano con noncuranza, come a dirgli di lasciar perdere. “Non essere contrariato, si preoccupano per te. Un drow può pianificare un inganno anche per decenni, o per secoli. In questa faccenda, sei tu ad essere folle, non loro ad essere paranoici.”
Johel lo guardò con aria indignata. “Io mi fido di te.” Annunciò con estrema convinzione.
“Sì. Per questo ho detto che sei folle. Non si capiva dal contesto?” Insisté il drow. “Forse non sono ancora molto fluente nella tua lingua.”
“Non ancora, già, ma comunque avevo capito. Ah, sai cosa? Mio padre non vuole che t'insegni. Dice che se imparerai a parlare correttamente come uno di noi, un giorno fra molti decenni potrai farti passare per elfo di Superficie con qualche travestimento magico, e in quel modo potresti infiltrarti in una comunità elfica e compiere qualche turpitudine.”
Lo disse come se fosse uno scenario pazzesco e inverosimile. Il drow gli rispose solo con uno sguardo vacuo e per nulla sorpreso.
Calò un silenzio pesante.
“Non... non intendi negarlo?” Domandò alla fine Johel.
“A che pro?” Daren scrollò le spalle. “È vero che potrei farlo. Così come potrei ucciderti nel sonno. Così come tu potresti uccidere me nel sonno. Abbiamo scelto di fidarci l'uno dell'altro perché crediamo che nessuno dei due sceglierà di fare queste cose. Non perché non ne siamo capaci. Ora potrei prometterti che non farò mai del male ad un elfo, ma quanto valgono le parole? O ti fidi di me, o non ti fidi.”
“Mi fido.” Ripeté Johel, con la stessa convinzione. “E vorrei riuscire un giorno a convincere anche la mia famiglia che meriti fiducia.”
“Non crederanno alle tue parole così come non credono alle mie, l'unica cosa che posso fare è continuare a comportarmi in modo corretto. Ora, o mi dai una mano a montare la tenda, oppure te ne vai e mi lasci lavorare in pace.”
Il giovane elfo dal passo veloce e leggero si era già dileguato prima che il drow finisse di parlare. Come sempre, quando c'era da lavorare Johel era bravissimo a scansare il pericolo.
Vai a casa, pensò Daren con un sorriso mesto, saranno tutti felici di vederti. Vivo.

Daren non lo sapeva, ma le sue azioni stavano davvero cominciando a cambiare l'atteggiamento degli elfi del clan Arnavel nei suoi confronti. I primi anni, quando si accampava su quella collinetta, una piccola squadra scelta di ranger si appostava sempre sugli ultimi alberi della foresta alle sue spalle. I loro archi erano sempre pronti a colpire se necessario, tutti gli elfi tenevano fra le dita una freccia, o perfino due, pronti ad incoccare al minimo segno di minaccia. Adesso, dopo vent'anni di quella routine fatta di visite occasionali, appostamenti e notti insonni a controllare un campeggiatore tranquillo, il contingente di elfi che lo teneva d'occhio si era ridotto a tre soli ranger, e spesso i loro archi erano ancora agganciati alla schiena. Tranne quando il padre di Johel si trovava fra loro, in quel caso mostravano la prontezza e l'attenzione dei primi tempi.
Ogni tanto Raerlan andava a trovarlo per scambiarsi racconti di avventure (anche se era stato più volte scoraggiato dagli altri ranger), e queste brevi visite rompevano la monotonia e la noia di quei giorni di campeggio. Più spesso, Daren rimaneva da solo e allora leggeva qualcosa, rammendava i suoi abiti e la tenda, faceva l'inventario dell'equipaggiamento o lavava i vestiti nel ruscello, ma non aveva mai osato allenarsi con le armi. Non voleva fare nulla di potenzialmente minaccioso.


   
 
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