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Autore: Qwerty from Wilde    09/07/2018    1 recensioni
[Post-Epilogo; storia appartenente alla serie True Route Ending. Contiene spoiler pesanti]
[ShuAke & Ren alle prese con relazioni familiari]
Ren aveva immaginato la giornata ideale per riprendere la sua vita a Matsuzaki: avrebbe mostrato a Morgana i dintorni, sarebbero andati a mangiare sashimi dall’anziano Kimura giù al porto e dopo pranzo avrebbero preso il bus per la parte nuova della città, fino ad arrivare alla modernissima palestra del centro. Ren non è mai stato un vero sportivo, ma desiderava iscriversi perché sembrava un buon modo per ricominciare e per giustificare l’acquisto di un abbondante vassoio di sakuramochi, il vero orgoglio di Matsuzaki.
Era un programma semplice ed allettante quello che aveva abbozzato nella sua testa, ma l’istinto paterno di Masa Amamiya si era risvegliato – in ritardo – decidendo che quella era una giornata perfetta per andare a pesca col figlio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Futaba Sakura, Goro Akechi, Ren Amamiya/Akira Kurusu, Sojiro Sakura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'True Route Ending'
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Dear Family - prima parte

La mia avventura con la serie True Route Ending continua con questa mini-long che darà spazio ai confidant di Sojiro e Futaba. Essendo molto lunga ho voluto evitare di pubblicare una oneshot di circa 60 pagine, pubblicando parte di quello che avevo pronto.
Consigli e critiche sono sempre ben accetti, infatti metterò mano – quando potrò – ad Arcano Maggiore n°11, perché mi son resa conto di averla scritta con molta fretta per poterla pubblicare per il compleanno di Goro. Spero che questa storia non presenti gli stessi problemi del suo “precedente capitolo” e risulti molto più fruibile, Lumen Noctis è stata così gentile a darmi una sua opinione di prima lettura, ma il betaggio è stato fatto da me e spero bene.
Altre note introduttive: ricordo che è parte di una serie ambientata post-epilogo gioco, non leggete se non avete finito di giocare perché ci sono spoiler belli pesanti (soprattutto da digerire).
Spoiler a parte in questa nuova storia entreremo un po’ a contatto con i genitori di Ren e nei flashback ho voluto inserirne uno dal punto di vista di Goro, è un rischio, ma volevo sperimentare.
Il nuovo capitolo di questa mini-long cercherà di arrivare al più presto e, spero, sia il capitolo conclusivo. I feedback possono essere un ottimo incoraggiamento. 
  









20 marzo 2017.




Gli Amamiya vivono nella parte più antica di Matsuzaki, protetti da due promontori e dalle spiacevoli conseguenze del turismo di massa. C’è verde intorno alla loro casa dall’architettura moderna, si vede l'oceano e si può intravedere anche la ferrovia, è una bella zona con un vicinato che ricorda vagamente Yongen e non dispiace a Morgana. L’estetica del luogo rimanda a realtà e ad attività tradizionali, con casa e bottega, ma la modernizzazione ha salvato ben poco e cambiato molto; non si respirano gli stessi odori che era possibile sentire a Yongen, gradualmente la prossimità tra gli edifici è cambiata, ci sono sempre più abitazioni moderne come quella degli Amamiya e le strade si sono snodate fino a trovare spazi più ampi, ma non è decisamente una realtà urbana e poliedrica come quella di Tokyo. Per trovare una realtà con una vitalità maggiore, bisogna prendere un bus ed andare nella zona centrale di Matsuzaki, quella ben frequentata da turisti e ospitante franchise di tendenza come il Big Bang Burger, aperto da pochi anni nella zona del porto.
 
Ren aveva immaginato la giornata ideale per riprendere la sua vita a Matsuzaki: avrebbe mostrato a Morgana i dintorni, sarebbero andati a mangiare sashimi dall’anziano Kimura giù al porto e dopo pranzo avrebbero preso il bus per la parte nuova della città, fino ad arrivare alla modernissima palestra del centro. Ren non è mai stato un vero sportivo, ma desiderava iscriversi perché sembrava un buon modo per ricominciare e per giustificare l’acquisto di un abbondante vassoio di sakuramochi, il vero orgoglio di Matsuzaki.
Era un programma semplice ed allettante quello che aveva abbozzato nella sua testa, ma l’istinto paterno di Masa Amamiya si era risvegliato –  in ritardo –  decidendo che quella era una giornata perfetta per andare a pesca col figlio.
Ren avrebbe volentieri declinato l’invito, se non fosse stato per l’intervento di sua madre che aveva messo tra i due uomini di casa i cestini per il bento. Le vecchie abitudini non morivano mai ed era in certi comportamenti che radicava il problema con i suoi genitori: loro decidevano per lui, loro sapevano sempre cos’era meglio per lui, loro si interessavano relativamente ai suoi bisogni e – sempre loro – sapevano se Ren fosse nel giusto o nel torto. Come avevano dimostrato l’anno prima, Ren era per loro tendenzialmente sempre in errore.
Morgana ha finalmente realizzato perché Ren sia così introverso e accomodante, e se ne dispiace, anche se non è dispiaciuto dalla prospettiva di seguire Ren e suo padre in una giornata di pesca. 

Masa Amamiya sa essere un buon intrattenitore, racconta cose interessanti dei Paesi in cui ha lavorato, ma quando si tratta di concentrare l’attenzione nella dimensione domestica è l’uomo in poltrona che sfoglia il giornale, o colui fa eco al telegiornale. Tutta la vitalità è della madre di Ren, Izuko: lei è la donna d’azione, lei l’anima della casa, lo spirito della cucina e dei dibattici socio-politici durante l’ora di cena.
La madre che mette ansia a Ren è una donna che mentre fa il bucato tiene il cordless con una spalla litigando con i suoi colleghi, mantenendo 
la messa in piega perfetta e sempre con un occhio alla situazione circostante. Quante volte, mentre lavorava sul bancone della cucina, controllava da lontano i compiti di matematica di Ren facendo per lui le equazioni senza calcolatrice?
L’aver pianto tra le braccia di sua madre quella mattina preoccupava Ren proprio per la natura della donna: lei probabilmente ha fatto le sue assunzioni, forzato suo padre a portarlo a pesca, e nella loro assenza sta probabilmente telefonando a una qualche amica psicologa per prendere appuntamento.

Ren vorrebbe condividere con Morgana le sue preoccupazioni, ma suo padre è lì con loro mentre prepara la postazione al vecchio molo in cui Ren era solito andare da bambino con suo nonno.

“Venivo qui con il nonno – il padre di mio padre – fino ai dieci anni. È il nonno che mi ha insegnato a pescare, una volta abbiamo pescato un’alalunga di trentacinque chili. Eravamo su una barca da pesca con un pescatore, Kimura-san, e poi abbiamo fatto un pranzo che ha coinvolto tutto il vicinato. La mamma era ai fornelli: aveva tostato la pelle e fatto il sashimi con il resto, tagliandolo con i negi e mettendo come condimenti zenzero e aglio grattugiato. Il pesce restante invece l’aveva affumicato, ma condito nello stesso modo, con l’aggiunta di peperoncino e accompagnato da una salsa agrodolce”.
Il ricordo è ancora vivido nel palato di Ren, conserva quella ricetta da molto tempo, ma mai ha avuto occasione di replicarla. Ha stuzzicato il palato di Morgana con quel racconto – dovrebbe dispiacersene – perché lo guarda trasognante, leccandosi i baffi, tanto da far ridere Ren con una naturalezza che attira l’attenzione di suo padre.

“Stai parlando con il gatto?”.

“Morgana non è propriamente un gatto, te l’ho detto” ma a Morgana non piace quel propriamente e Ren si corregge: “non vuole essere trattato da gatto, si sente offeso”.

“Quindi è un maschio?” suo padre sembra aver ignorato il resto.

“È un maschio e capisce perfettamente il linguaggio umano” sospira, accarezzando la testa del suo amico peloso, prima di imitare il padre che sta montando la canna di pesca. A Tokyo ha avuto raramente occasione di pescare, ma farlo in uno stagno artificiale a Ichigaya non era esattamente il massimo, e farlo in compagnia di Ryuji era tutto fuorché rilassante. Ha avuto modo però di andare una volta solo con Morgana, tornando con un bel bottino.

Suo padre apre la cassetta di esche e lenze, Morgana osserva l’espressione buffa di Ren mentre sceglie l’amo e attacca l’esca. Gli ha visto quell’espressione diverse volte, concentrata ed un po’ corrucciata – con le sopracciglia che sembrano incontrarsi mentre le guance si gonfiano – è un'espressione adatta al ragazzino che è, più che a Joker. Quella è l’espressione quando studia matematica, quando prepara il caffè, quando cucina qualcosa per la prima volta e – sospira Morgana – è l’espressione di quando preparava gli oggetti per le infiltrazioni nei Palazzi.
Ren lancia la lenza lontano e con il mulinello regola la distanza, la sua espressione è concentrata ma ha le labbra schiuse, come se volesse parlare. Morgana si chiede se non stia ripensando all’ultima volta che ha pescato, a Tokyo, ma dopo le lacrime della mattina non vuole chiedere, sono lì per distrarsi.

Anche Masa Amamiya lancia qualche sguardo verso il figlio dopo aver lanciato la sua lenza, ma a differenza di Morgana vorrebbe che Ren parlasse di quello che è successo, di cosa sono stati i Phantom Thieves, vorrebbe parlare di quanto gli dispiaccia di non esser stato in grado di credergli e capire. La sua giustificazione: non voleva che suo figlio crescesse apatico alla vita, comodo di quello che aveva, senza ambizioni, cercando se stesso con le persone e gli espedienti sbagliati; dai suoi occhi di genitore vedeva suo figlio perso, confuso, del tutto in grado di fare qualcosa di stupido. Sospira, sistema la canna e si siede su uno sgabello che ha portato, stavolta fissando gli occhi sulla schiena del figlio che sembra così adulto, diverso dal ragazzino che ha lasciato l’anno prima, sentendo di essere lui lo stupido che non ha saputo come gestire una situazione molto più semplice di quella che si presenta ora.

“Com’era lo Shujin?”

Ren è colto di sorpresa, la domanda gli sembra strana e non sa bene come rispondere per diversi motivi. Fissa la canna e si siede anche lui, ma con lo sguardo fisso all’orizzonte.

“È un edificio più piccolo rispetto alle scuole locali e nessuno rispettava il codice dell’uniforme, neanche la presidentessa del consiglio studentesco”.

“Non è esattamente questo che volevo sapere”.

“Ah, ecco… Kawakami-sensei, la responsabile della mia classe, era simpatica e sempre molto disponibile” e Morgana ride come solo un gatto può ridere e un umano qualsiasi non può capire.

“Ren” lo richiama il padre “non mi riferivo alla tua insegnante o alle uniformi. I tuoi compagni, le attività che svolgevi, gli amici… e quella vicenda con cui è iniziato tutto”.

Come Ren immaginava, suo padre vuole sapere dei Phantom Thieves, ma non riesce ad essere diretto. Il suo metodo è sempre stato farlo parlare iniziando con argomenti neutri, ma stavolta Ren è cresciuto e non crede sia più il caso di parlarsi in quel modo. “Se vuoi sapere dei Phantom Thieves puoi chiedermelo direttamente”.

“Ne vuoi parlare?”.

Ren scuote la testa. “No, ma non perché è un brutto ricordo, ma perché c’è un brutto ricordo. Ed io non credo capiresti o mi crederesti”.

“Ci sto provando!” fa con una leggera nota alterata. “Quello che ha detto il tuo avvocato, Nijima-san, riguardo il Metaverse, il rubare cuori, Shido… è tutto chiaro, su carta. Ma non riesco a capirlo, sono un uomo di scienza dopotutto”.

“Non credere che io riesca a spiegarmi tutto quello che è successo: è difficile razionalizzare che una app compaia sul tuo cellulare ed essa ti apra le porte per la dimensione inconscia della nostra realtà. Come non riesco a spiegarmi il fatto di aver combattuto contro un Dio sul cielo di Shibuya. Tu sei un medico, no? Non credi in Dio e non posso spiegarti la sua esistenza” è nervoso, stressa le dita, cerca di farle scrocchiare, le distende, poi le stringe in un pugno. Anche la voce vibra con lo stesso nervosismo e una punta di sprezzo per quell’adulto che… “so che mi giudichi. Che mi stai giudicando, perché non puoi capire. Avrai forse la soluzione dell’allucinazione collettiva o chissà cosa, ma non ho voglia di combattere per dimostrare qualcosa che vorrei dimenticare per il suo epilogo”.

“Ren, io-” si gratta la nuca e sospira. “Non ho mai pensato che tu fossi un bugiardo, ma credo che prima di andare a Tokyo fossi confuso su te stesso. Per questo, sia io che tua madre, abbiamo pensato avessi fatto davvero ciò di cui eri stato accusato. Siamo stati insensibili e prima ancora molto severi nei tuoi confronti, ma credimi: non abbiamo mai pensato tu fossi un bugiardo”.

“Se non ero un bugiardo per voi, perché non mi avete creduto?”.

“Te l’ho detto: ti vedevamo confuso. Sai, anche io alla tua età ero parecchio confuso, è una cosa normale nell’adolescenza. E come me lo erano molti amici ed alcuni, senza rendersi conto, facevano cose molto stupide. Altri, accidentalmente, senza realmente voler commettere atti criminosi, si sono trovati nei guai”.

“E credevi io potessi essere come loro?” la risposta è un cenno affermativo con la testa, al quale Ren non sa come reagire. Potrebbe sentirsi rassicurato, porre fine al suo malumore e perdonare, voltare pagina, ma sarebbe troppo facile e quello che prova è complicato, annodato problematicamente ad una serie d’impliciti.
È facile ricorrere alla carta della confusione: tutti gli adolescenti lo sono e fanno sbagli importanti, ma questo dovrebbe giustificare forse il rifiuto da parte dei genitori?
Sojiro aveva detto lui che un amico dei suoi genitori gli aveva parlato della situazione di Ren e si era offerto di ospitarlo; andando più a fondo alla questione, Ren aveva scoperto che Sojiro conosceva suo padre perché aveva curato Futaba qualche anno prima. Credeva potesse perdere la ragazzina a seguito di febbre altissima, problemi intestinali, emicrania e allucinazioni… un cliente del Leblanc aveva fatto il nome di Masa Amamiya – che quell’anno lavorava a Tokyo – ed era riuscito a salvarla. Sojiro voleva ripagare un debito, ma non aveva saputo trovare una spiegazione e parole rassicuranti alla volontà dei suoi genitori di non parlare al figlio e non scrivergli neanche un messaggio.
Sua madre gli aveva mandato un messaggio solo il giorno del suo compleanno, il giorno in cui Akechi era morto. Non aveva trovato le forze per rispondere, per dire nulla, esattamente come in quel momento: c’erano troppi impliciti perché sorridesse e dicesse che era tutto a posto, perché ancora non capiva il loro averlo voluto mettere da parte e che il metodo della sofferenza emotiva fosse un’occasione di crescita.

“Ren, posso capire come ti senti”.

“Onestamente? No, non ne hai idea” ma non vuole calcare la mano, fare l’adolescente offeso e far pesare la situazione presente, perché questo avrebbe complicherebbe ulteriormente il casino che ha in testa. “Posso provare a capirlo, ma non lo capisco e al momento non voglio mettere il broncio e farvi credere che siete dei pessimi genitori. Avrei voluto sapere che non ero solo, che il mio trasferimento a Tokyo non fosse una sorta di doppia punizione che includeva il vostro silenzio. Ero arrabbiato, deluso, ma se non lo fossi stato non avrei potuto salvare un amico, non avrei avuto modo di confrontarmi con Kamoshida e creare a seguito i Phantom Thieves” fa una risata amara e si tocca una ciocca di capelli che gli ricade sulla fronte. Ann più volte gli ha detto che con un cerchietto è particolarmente carino e pensa che senza la sua rabbia non avrebbe conosciuto Ann, non avrebbe tanti ricordi di amici che ora gli scaldano il cuore.
Morgana, al suo fianco, approva con un miagolio.
“Per motivi distorti quel dolore mi è servito e le scelte che ho fatto mi hanno dato qualcosa che voglio custodire gelosamente. Non è tutto a posto, non posso fare finta di nulla, ma magari con il tempo potremmo capirci, non credi?”.

Masa è fiero di suo figlio: ora riesce a vedere un Ren adulto, un Ren brillante che conosce se stesso e sa come andare avanti. È fiero della persona che ha al fianco e del suo modo di parlare, ma se lo dicesse ad alta voce – in quel momento – suonerebbe come un complimento circostanziale, affatto sincero. Non ha bisogno di quello ora. “Credo tu abbia ragione”.

C’è qualche secondo di silenzio, poi Ren ridacchia in modo diverso, di buonumore. “Ohoh, qualcuno mi sta dando ragione”.

“Può essere un buon inizio, non credi?”.

“Può darsi”.

“Se continuate a parlare però non prenderete alcun pesce” fa Morgana preoccupato, facendo ridere ancora Ren. “Non preoccuparti, lascia fare agli esperti, ok?” e gli accarezza la testa.

“Parli ancora con il gatto?”.

“Sai un buon inizio quale sarebbe? Credere che Morgana non è un semplice gatto e parli. Credimi, è la cosa meno assurda di tutto quello che ho vissuto nell’ultimo anno”.



*



30 ottobre 2016.




“È per Ann-dono? È per lei, vero? Ren!”.

Morgana inizia a farsi le unghie sui suoi pantaloni per ottenere una risposta che Ren non sembra volergli dare, troppo concentrato ai fornelli: è la prima volta che si cimenta nel preparare un bento e non si è svegliato alle 5.00 per vedere il suo piano fallire. Non è mai stato mattiniero, ma è in piedi da prima che la sua sveglia felina potesse saltargli sullo stomaco.
I nigiri sono stati una preparazione semplice, ma poi è venuto il resto: ha pensato ad un risotto con il pesce persico – uno dei pesci pescati il giorno prima con Morgana – ed ha guardato su internet la ricetta; non sembrava difficile, come non lo sembrava in un primo momento tostare il
risotto con un trito di carote, cipolle e sedano, finché non ha dovuto inserire in momenti differenti il pesce in cottura, per far sì che i pezzi di polpa non perdessero la loro particolare tenerezza. Controllare il risotto per venti minuti, in contemporanea alla necessità di preparare l’anguilla per i suoi spiedini, si è rivelato più impegnativo della passata giornata di pesca.
Quando Sojiro ha aperto il Leblanc e l’ha trovato così indaffarato ai fornelli è rimasto sorpreso, si è chiesto se Ren non avesse sempre voluto preparato il bento, ma Ren ha tagliato corto: non è per me, allarmando Morgana.

“L’autunno è una brutta stagione per innamorarsi” sospira Sojiro dopo quasi mezz’ora che è lì, una tazzina di caffé alla mano, testimone di miagolii incessanti e di un Ren comico da quanto è agitato nel dimenarsi ai fornelli, tanto da non sentire le parole del boss.

“Non può essere Ann-dono, vero? Ren? Ren!!! È Makoto? O Haru? Non credo Futaba, ma non è Ann-dono, dimmi che non è lei!”.

“No Morgana, no, non è nessuna di loro!” alza la voce come non è solito fare, guadagnandosi un’occhiataccia da Sojiro, intento a finire il suo caffè. “S-scusa, non volevo alzare la voce” fa prima all’uomo e poi a Morgana che sembra rassicurato dalla precedente risposta.

“Gli spiedini di anguilla marinati sono una buona idea, avresti dovuto però contare che la marinatura ti avrebbe preso un’ora” fa Sojiro senza voler mettere il naso, ma criticandolo per le preparazioni future. Per il suo bene e quello dei suoi affari, ovviamente.

“Sembrava più facile gestire i tempi, fortuna che mi sono svegliato alle 5”. Il riso è stato messo nel cestino del bento, ora non deve far altro che girare gli spiedini in un tegame che ha precedentemente riempito con l’olio portato ad ebollizione, il piano B di chi non ha una griglia.

“Dall’odore non sembra male ma, nel caso non sia un granché da mangiare, sarà mia premura dirgli che ti sei svegliato alle 5 e hai preso possesso della mia cucina per quel bento”.

“Eh?” lo guarda confuso Ren, aspettando che Sojiro si spieghi di nuovo, cosa che non fa perché si avvicina al lavello per lavare la tazzina da cui ha bevuto.

“Tra cinque minuti aprirò, vedi di esser pronto. Non devono cuocere più di un paio di minuti”.

Ren annuisce ultimando la cottura, sotto lo sguardo di Morgana che ancora si interroga: ha fatto caso alle parole del boss, gli ha dato un peso, ma non può – e non vuole – credere che l’intrepido coraggio di Ren lo spinga a tanto.
“Ho visto delle carote a forma di stelle o sbaglio?” alla domanda di Morgana, Ren risponde con un sorriso, invitandolo ad entrare nella borsa; poi chiude il cestino del bento, coordinando così il suo esser pronto all’apertura del Leblanc. Sojiro è sulla porta, ad esporre il cartellone con il menù mentre Ren sta per correre verso la stazione.

“Aspetta!”.

“Qualcosa non va Sojiro-san?”.

Come al solito l’uomo risparmia le parole per i fatti. Gli si avvicina e gli sistema i capelli prima di lasciarsi a un sospiro che nasconde un velato rimprovero: “non solo le ragazze apprezzano che i ragazzi abbiano i capelli in ordine”.

“Oh”. Oh.

Dalla borsa Morgana mormora: “per favore, dimmi che almeno è Ryuji”.



...




Goro Akechi decide di isolarsi sul tetto della sua scuola per aprire quello che è probabilmente un pacco bomba.
Amamiya – in qualità di leader dei Phantom Thieves avrebbe tutte le ragioni per recapitargliene uno dopo quello che è successo il 26 ottobre ed è chiaro che Crow non sia il benvenuto in squadra. C’è chi finge di tollerarlo – come Nijima – e chi non si fa problemi ad esplicitare la propria insofferenza – come Sakamoto. Ci sono anche membri come Futaba-chan che si lasciano entusiasmare dalle novità, dai cambi di scena e ignorano la tensione presente, trovando molto più interessante parlare di anime, aggiornare il gruppo sulle sue letture manga e fare references di Star Wars che – a quanto pare – solo lui coglie ed apprezza, anzi, ama.
Amare qualcosa come Star Wars è facile, ma amare un cestino del pranzo fatto appositamente per lui è difficile.
Quella mattina Amamiya si è avvicinato quasi cinguettante quando gli ha offerto quel bento, gli ha promesso di non aver messo nulla di piccante, si è giustificato dicendo che il giorno prima aveva pescato molto pesce e che poteva considerarlo un regalo di benvenuto nel team, anche se non aveva mai preparato nulla per nessuno prima di allora.

“Voglio sapere se apprezzi la mia cucina: hai un palato raffinato, sei perfetto per giudicare. Potresti parlarne sul tuo blog! Magari Sojiro si convincerebbe a lasciarmi più spesso ai fornelli”.
“Non dovresti allora chiedere a lui di giudicarti?”.
“È troppo severo e gli piace sminuire il mio lavoro, non sa essere oggettivo”.
“Non ci credo”.
“Qual è il problema? Per caso ci sono altre 4, 5, 10 ragazze – solo nella tua classe – che lottano per farti mangiare i loro bento?”.
“Ti stai mettendo in competizione con delle ragazze per caso? Ma no, è solo che nessuno me ne ha mai preparato uno e… è strano”
“Oh. Quindi avrei l’onore di essere il tuo primo?”.
“Prego?”.
“Akechi prendi quel bento o non farà che piagnucolare per giorni sul tuo rifiuto! E – per la cronaca – è tutto pesce sottratto a me!”.
“Se lo dici tu Morgana, devo proprio accettare”.


…e proprio perché Morgana ha insistito gli sembra ancor più sospetto.

Lo apre con gesti lenti ed accurati ed è sorpreso di trovarsi davanti vero cibo, dal profumo invitante.
‘Deve esser avvelenato’ ma il suo stomaco brontola ed è stato conquistato, non gli rimane che lottare contro la ragione.
Forse è ancora più sorpreso di non aver trovato creazioni con coniglietti, polipetti e disegnini strani con smiles, ci sono solo carote tagliate a forma di stelline, le trova carine, gli sembrano un inganno.
C’è un sorriso sul suo volto – diverso da quelli che mostra in tv – e non lo sa, non può vedersi e non vorrebbe; vorrebbe però mangiare quel pranzo, il riso e gli spiedini – anguilla? – gli sembrano oltremodo invitanti, ma forse è per l’ordine e il bel contrasto di colori.
Prende il cellulare e scatta una foto, come ad imprimere quell’immagine, perché mai nessuno ha fatto un bento per lui e… perché dovrebbe averlo fatto Ren Amamiya? Le sue abilità deduttive non sono sufficienti, perché non capisce il modo di agire di Amamiya: è forse così che si è fatto tanti amici? Ma non ha mai preparato un pranzo al sacco per qualcun altro.
Sulle guance è pizzicato da un po’ di colore.
Ripensa alle varie case che l’hanno ospitato nei periodi d’affido, gentilezze che risultavano disgustose quando tornava alla realtà della casa-famiglia e doveva mangiare del cibo che non sapeva di niente e al nulla si era abituato il suo palato. Andare per locali e far credere di avere una passione per la gastronomia è l’unico modo di socializzare che ha portato dei frutti, anche se poi del cibo gli importa ben poco, di sapori non ne capisce molto.
Indugia con la bacchetta e poi decide di essere coraggioso ed assaggiare: il riso in bocca ha un sapore nuovo, diverso e buono. Non ha mai mangiato un piatto così, con così tanti sapori distinti ed in armonia, così le bacchette si muovono velocemente… due, tre, poi quattro bocconi. Ren Amamiya ha preparato qualcosa di buono per lui.
Assaggia anche uno spiedino, non sa definire bene il sapore, ma dà la stessa tenera sensazione nella bocca, è tutto il contrario di insipido, è speciale e un po’ gli fa bruciare gli occhi.

È qualcosa di temporaneo, come Ren Amamiya.

Ricorda uno degli episodi di bullismo subito dai ragazzi più grandi alla casa-famiglia: ‘lo sai che i cani mangiano la cacca dei loro simili? Sei un bastardo come il cane di Soma-san, no? Mangiala anche tu, su’ la testa sbattuta a terra, le risa volgari e gli occhi umidi di chi non sa come scappare da quella situazione e guarda con orrore un bastone che tiene in alto uno sterco. ‘Non è diverso dalla merda che mangiamo ogni giorno. Almeno tu, ogni tanto, vai a farti un giro in qualche famigliola che cucina per te’. Come se quei giri fossero mai stati piacevoli. Erano più dolorosi dell’esser picchiati e placcati a terra da energumeni sudaticci, volgari e stupidi.
Ricorda anche che quell’episodio non fu particolarmente drammatico rispetto ad altre volte, perché era intervenuta Mika-san. Non ripensa da tanto a lei, alla sua voce bassa che si scontrava con quel linguaggio da malavitosa, sempre pronta a dispensare piccole crudeltà. Lei era una degli orfani che aveva trascorso più tempo nella grande casa-famiglia, e quel giorno era intervenuta contro i bulli perché erano più piccoli di lei, una quindicenne senza speranza ma che un po’ tutti temevano, quanto sognavano. Aveva un seno generoso, un profilo morbido e sempre curato con capelli scuri di media lunghezza, mossi, che profumavano sempre di fiori. Al Goro dodicenne non interessava nel modo in cui avrebbe dovuto e forse per questo lei lo proteggeva – o così pensava, fino a quel giorno.
“Lo fanno perché sono invidiosi di te, lo sai? È pur vero però che tu sei carino… faccia acqua e sapone… forse sono frustrati perché vorrebbero gli facessi un pompino”.
Goro annuiva, come annuiva sempre a ciò che Mika-san diceva: parlando come una ragazza di strada non aveva la minima idea delle tante cose di cui discorreva. La seguiva perché lei lo prendeva per mano e lo trascinava via, quasi sempre al sicuro, talvolta in infermeria.
“La dottoressa oggi non c’è, magari le rubo la divisa, che dici?”.
“N-no, non puoi derubarla!”.
“Sarebbe solo un prestito, moccioso”.
“Comunque sto bene, non ho bisogno di andare in infermeria”
, ma Mika-san non ascoltava mai e non le importava nulla di mettere gli altri a disagio, per cui lo aveva portato lì e chiuso anche la porta, prima della sua fantastica idea: “ho deciso: oggi farai una cosa da adulto!” e si era seduta su uno dei lettini, iniziando a spogliarsi. “Ti farò assaggiare una cosa buona”, ma lui non voleva, non gli piaceva mai seguire le idee di Mika-san e non voleva vedere quella che era quasi una sorella – certamente non si sangue – comportarsi in quel modo.
“Smettila con questi scherzi, dov’è la chiave?”.
“Ta-dan!”
Goro aveva guardato verso di lei e quella era stata la prima volta che aveva visto una ragazza vestita di sole mutandine e reggiseno. Aveva leccato la chiave e poi accarezzato il cotone degli slip con essa, suggestiva, prima di farla sparire all’interno. “Ah, è fredda” aveva gemuto a gambe divaricate, mentre Goro era lontano, immobile e tentava di non guardarla, aspettando che si stancasse di giocare.
“Ce l’ho bagnata, sai? Un assaggio glielo devi”. Si chiedeva come poteva dire certe cose. Non lo sapeva – e non la capiva – ma restava stoico.
“Non dirmi che ti piace il cazzo”.
“Mika-san, per favore, andiamo via. Finiremo nei guai se ci trovano qui, se ti trovano svestita così”.
Lei aveva riso perché Goro era troppo puro per quel mondo e non era giusto. Così si era stesa iniziando a toccarsi fingendo di cercare la chiave e facendone un uso improprio, recitando la parte che sperava intrigasse l’altro.
“Goro, ahh… Goro! Goro!! Ah, ah, ahhh… sì Goro, sì” e lui era incredulo, in imbarazzo, ma non come Mika avrebbe voluto.
“Smettila, Mika-san!” si era fatto avanti, credendo di sembrare più risoluto e rispettabile. La verità era che nessuno lo aveva mai davvero rispettato.
“Goro! Goro!”.
“Smettila!”
.
Mika aveva alzato una gamba e messo il piede contro il petto di lui che la guardava confuso a quel punto.“Facciamo un patto: apro la porta se tu mi lecchi il piede”.
“Cosa?”.
“Sono puliti”.

Non era quello il punto, non la capiva, non capiva la situazione. Avrebbe ricordato per sempre quel disagio, l’avrebbe ricordato in modo distorto, come uno spazio che si restringeva intorno a lui per non dargli via di fuga. Erano in un’infermeria con venti posti letto, ma era come fosse incastrato, con quel piede troppo vicino, pronto a calpestare la sua dignità.
Era una forma più subdola di ricatto, non così diversa da quella degli energumeni che volevano mangiasse cacca di cane.
“Ehi, Goro, non ti capisco… sono qui, disponibile, e non mi vuoi? Perché fingi di essere qualcosa che non sei, per chi lo fai? Siamo rifiuti, indesiderati, problematici, colpevoli a prescindere. Per questo abbiamo il diritto di divertirci per lo meno, di non essere dei bravi ragazzi, perché il nostro impegno non conta”.
Era rimasto in silenzio a lungo a quel punto, guardando le inferiate oltre la finestra. “…può darsi che sia così, ma non mi comporto in questo modo per nessuno, se non per me stesso. Chi altri ho dopotutto?”.
“Sei solo un bugiardo che vuole fare il bravo bambino”.
“Libera di crederlo”.
“Allora sei frocio!”.
Si era rivestita, offesa, lanciandogli uno sguardo di disapprovazione che Goro non era riuscito a dimenticare nel tempo, come non era riuscito a dimenticare le parole.
A quel tempo non era in grado di capire la disperazione dell’essere desiderati. A quel tempo il suo palato mangiava cibo insapore e le persone intorno a lui volevano che mangiasse escrementi, leccasse piedi o parti intime.
Era da tanto che non ripensava a eventi simili e alla luce di essi quel bento delizioso, dal buon profumo, curato nell’estetica e fatto appositamente per lui, diventa nauseante.
Ha assaggiato un po’ di tutto, ha apprezzato, ma è bastato ricordare perché gli si serrasse lo stomaco. L’immagine di Amamiya sorridente diventa un pugno, oltre che un sottotesto.
Si alza e rientra nell’edificio buttando il contenuto del bento nel cestino. Un rifiuto ai rifiuti.



*



20 marzo 2017.




Sembra incredibile che alle 2 del pomeriggio il sole di marzo si riveli rovente come quello di luglio e costringa gli Amamiya boys (e Morgana) a battere per una ritirata, accontentandosi di quattro lucci sauri – di cui uno già mangiato da Morgana – e una spigola.
In macchina Ren accende subito l’aria condizionata e poi mette mano alla smartphone, dove c’è immortalato il bottino fotografato minuti prima. Cerca la miglior foto, facendo un edit e attirando l’attenzione di suo padre quando entra in macchina e accende il motore. Masa crede di sapere e sorride, Morgana è invece preoccupato, rannicchiato sui sedili posteriori.
- Sarebbe stato bello pescare insieme. Avrei cucinato per te, ancora. Chissà se poi la mia cucina ti era piaciuta veramente…

“A chi mandi le foto del pescato?”.

Colto di sorpresa risponde d’istinto con una nota acuta: “Ryuji”.
Anche Masa Amamiya aveva un Ryuji per giustificare le sue azioni, che lo ospitava a casa, con il quale faceva i compiti che a volte richiedevano il dormire a casa sua. Non era così solo per Masa, per tutti c’era un Ryuji comodo all’uso e per questo l'uomo sorride, pensando di capire e tentando di toccare il mondo di Ren. “Oltre a Ryuji anche l’altra ragazza, quella bionda naturale, sembra essere una tua buona amica. Andate tutti e tre molto d’accordo mi pare, no?” può solo giudicare dalla cena avuta la sera prima con tutti loro, l’uomo non ricorda ancora tutti i nomi, ma il nome di Ann lo ricorda bene: è il tipo di ragazza che si distingue in un gruppo e forse – pensa – è distinta anche nell’intimo di Ren?  

“Ann è una mia buona amica, sì. Amica” sottolinea “…e alla quale non farei mai vedere foto di pesci”.

Masa scoppia a ridere e muove l’auto in direzione di casa. “Le ragazze vanno matte per il pesce”.

“Non tutte. E di certo non amano la pesca”, ma il ricordo di Kawakami che aveva l’hobby di pescare fa da antitesi alle sue stesse parole. Decide di mandare anche a lei quelle foto, improvvisando una ricetta semplice da allegare, che sicuramente colpirà la sua ex docente.

“Magari hai ragione, dopotutto tu conosci ragazze, non donne adulte. Loro apprezzano”.

Kawakami gli risponde impressionata, come se gli avesse mostrato di esser tornato con chissà quanti pesci, magari uno squalo. Gli scappa una risata e svela un po’ di malizia sulle labbra, pronto a crearle un po’ d’imbarazzo: ti piacciono i pesci piccoli? Perché io li preferisco grossi, sono più saporiti. Ma per trovarli devi esplorare acque pericolose. L’emoticon con cui conclude la frase è la chiave di lettura per far capire che non sta parlando di pesci, ma Kawakami lo conosce abbastanza e non ha bisogno di un’emoticon che l’aiuti a capire.

“Non ho proprio dubbi sul fatto che sia Ryuji” fa con una certa ironia Masa. Ha gli occhi puntati sulla strada, ma non è ottuso.

Kawakami Sadayo:
Se stai per dirmi che hai tipo uno squalo nei pantaloni, preoccupati Amamiya: sei al pari di un vecchio pervertito.

Rimpiangerà di non avere più un’insegnante così. Poi alza le spalle e risponde con humor al genitore: “un consiglio padre, fallo per me: non mandare mai alla mamma foto di pesci. Non voglio divorziate” ed invia un’emoticon con una lacrimuccia alla sua maid preferita.

“Ahah e perché no?”.

“Nessuna chiave di lettura andrà in tuo favore”.

“Lo dici per esperienza con Ryuji?”.

“Papà, credimi: alle ragazze non piace gli si parli di pesce, a meno che non le si inviti a mangiare sushi e sashimi”.

“E hai invitato mai una delle tue amiche a mangiare fuori?”.

“Non nei termini che credi tu”.

Gli sarebbe piaciuto invitare a cena fuori Akechi-san. Solo loro due, lume di candela, risparmiandolo da battute patetiche. Un appuntamento in piena regola: sarebbe stato galante, si sarebbe vestito bene, avrebbe ancora giocato con le mani di Akechi e avrebbe fatto fruttare il livello di coraggio guadagnato da sfide al Big Bang Burger e dai lavoretti per Iwai. Con quel coraggio avrebbe detto ad Akechi che lo trovava bello, che gli piaceva trascorrere il tempo con lui, gli avrebbe detto che molto spesso si distraeva nel guardare le sue labbra, che sognava di baciarlo.
Ma tutte le sue qualità non erano servite a un bel niente: non aveva aiutato Akechi, non lo aveva salvato, non avevano un futuro insieme, l’unica cosa che era rimasta a Ren erano rimpianti.

“La sorella di Nijima-san, Makoto-san? Lei è una brava ragazza”.

“Lo è. Ed è anche bella, ho gli occhi. Ma non significa niente: non ci si innamora di tutte le cose belle che si vedono o che sembrano perfette su carta”.

Con il silenzio dell’uomo, Ren sa che sta cercando di psicoanalizzarlo.

“Amore è una parola grossa alla tua età”.

“Può darsi, ma non è prerogativa degli adulti innamorarsi”.

Solo dopo qualche metro di strada percorsa si rende conto di quanto allarmante può essere quello che ha detto. Apre la bocca per chiarire, ma di nuovo non ha parole. Per lo meno suo padre sembra rispettare quel pensiero.

“Quindi Makoto-san non è il tuo tipo”.

Oh, no, si sbaglia. Potrebbe essere perfettamente il suo tipo, se non fosse per la sua condizione. “Papà, smettila di giocare a fare l’investigatore: è da un anno che evito il migliore”. Più di Ren è Morgana che teme che quel nome sia fatto e complichi la situazione, ma la fortuna vuole che Masa Amamiya sia concentrato ad indagare sulle sue conoscenze femminili.

“Non sto conducendo un’indagine, sto cercando di capire un po’ la tua vita: un ragazzo della tua età è del tutto normale abbia delle frequentazioni più che amichevoli o che possa invaghirsi. Sto facendo conversazione, non posso più parlare con te?”.

“Certo che puoi parlare” sospira Ren gettando un’occhiata sul sedile posteriore, dove Morgana segue attento la conversazione. “Ma se devi chiedermi qualcosa cerca di essere almeno diretto, senza giri di parole: ti piace qualche ragazza? No? Fine”.

“Scusa se te lo faccio notare, ma quello è un interrogatorio”.

“Mi sarò abituato a questa linea di conversazione, cosa devo dirti” è ironico, ma anche stanco. Chiude un attimo gli occhi e ripensa al modo che aveva Akechi di fare domande e poi scusarsi, rendendosi conto che il suo modo di parlare era quasi sempre da investigatore, poco da ordinario ragazzo.
 
“Quindi questo Ryuji…”.

“Papà l’hai conosciuto a cena! E prima che tu possa dire qualcosa di vagamente inquietante: no”.

Morgana s’intromette: “una volta l’avrei anche sperato viste le tue infelici scelte, ma ora come ora in effetti la sola idea è disturbante. Scommetto che a un certo punto ti chiamerebbe mamma o ti chiederebbe di indossare un reggiseno” Ren ride, immaginandosi la scena che un secondo dopo gli fa venire la pelle d’oca.
“Yusuke sembra una scelta più che accettabile a questo punto”.

“Scherzi? Mi chiederebbe di posare nudo per lui per sempre. Una volta me l’ha chiesto, in chiesa. Io l’ho preso in giro, lui credeva fossi serio”. A quel punto sa che deve giustificarsi con suo padre che ha un’espressione realmente preoccupata: “papà è tutto a posto, non mi sono mai spogliato nudo in una chiesa, tranquillo. Argomentavo con Morgana del perché Yusuke sarebbe un pessimo partito. E poi è eterosessuale, ma pazzo, questo perché i suoi neuroni sono concentrati solo sull’arte e si dimentica che oltre ad essa c’è una vita, ed anche il suo stomaco”. Avrebbe dovuto cucinare per lui, anche quella volta sarebbe stato più sensato preparare a lui un cestino del pranzo. Morgana ha ragione: ha fatto solo che scelte infelici, perché qualsiasi cosa ha fatto per Goro Akechi non è stata abbastanza, è stata travisata, ha portato alla sua morte.

Suo padre ride, divertito dalla stravaganza dei suoi amici, ride dei toni in cui il figlio ne parla, ma Ren è di nuovo triste – spento – guarda fuori il finestrino, vede l’oceano e lo fotografa, senza una reale ragione. Non edita la foto stavolta, non si sofferma neanche a guardarla nell’urgenza di scrivere: davvero ogni mio gesto è stato inutile con te? Invia. La foto è sfocata, ma che importa? Non c’è nessuno che la visualizzerà e risponderà.

 


   
 
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