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Autore: DeatEaten    10/07/2018    1 recensioni
4 Luglio 1976, Midlands.
"Forse era solo Cokeworth, che ti entrava fin dentro le ossa e corrompeva tutto."
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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    Atom Heart Mother

 

     Camminava per le vie di Cokeworth, i capelli neri che a causa del vento gli danzavano scomposti attorno al volto magro e pallido e le mani affondate nelle tasche di un giaccone logoro e troppo grande per lui. Non si era mai sentito a suo agio con quei vestiti, vestiti Babbani, soprattutto dal momento che glieli aveva passati quasi tutti suo padre. Alcuni anche sua madre. Trattenne un brivido di disgusto al pensiero.
     Quel pomeriggio la cittadina era anche più silenziosa del solito. Forse perché era Luglio, e la gente aveva colto la prima occasione per scappare da quel posto freddo e schifoso. Lui, invece, avrebbe dovuto aspettare per ben tre settimane prima di potersene andare, Avery era stato chiaro, prima suo padre avrebbe dovuto sistemare certe... "faccende".
     Si guardò attorno: era arrivato davanti alla tabaccheria di Mill Road. Avrebbe voluto entrare a comprare un pacchetto di sigarette, visto che le sue le aveva finite giorni prima ed era stanco di rischiare la vita rubando quelle del padre, ma non aveva soldi. E poi, quello era uno dei pochi negozi in cui non lo avevano ancora beccato a rubare e cacciato fuori a calci, quindi avrebbe fatto meglio a tenerselo buono.
     Una volta, quando era più piccolo, avrebbe potuto facilmente giocare con i negozianti la carta della compassione, soprattutto se questi erano donne; ora che aveva sedici anni nessuno provava più pena per lui, anzi, sembrava aver iniziato ad incutere perfino una certa dose di disgusto e paura, cosa che era sia pessima che buona allo stesso tempo: pessima perché nessuno gli allungava più sigarette da sotto il bancone; buona perché la compassione gli aveva sempre fatto rivoltare lo stomaco e, poi, aveva scoperto di adorare il fatto che la gente avesse cominciato in qualche modo a temerlo: la paura è un sentimento così dolce da vedere negli altri, quando non hai fatto altro, per anni, che provarlo per primo tu stesso.
     Sta di fatto che, comunque, si sarebbe acceso volentieri una sigaretta, se ne avesse avuta una.
     «Fanculo» mormorò a denti stretti, dando un calcio ad una pietra sul bordo del marciapiede. Se fosse stato più cauto nel nascondere i pochi spiccioli che aveva messo da parte, forse Tobias non sarebbe riuscito a "sequestrarglieli" per buttarli via in alcool vecchio e scadente. Ma tanto, di quello si era già vendicato. Un giorno, e contava che questo giorno sarebbe arrivato presto, sarebbe riuscito a vendicarsi di tutto il resto.
     Continuò a camminare risalendo Mill Road. Il vento aveva cominciato a farsi più forte e il cielo si stava rapidamente annuvolando - presto avrebbe cominciato a piovere. Non gli piaceva la pioggia, non faceva che rendere più forte l'odore acre e vomitevole che arrivava fino a casa sua dal fiume e che aveva imparato ad odiare fin da piccolissimo. Respirò a pieni polmoni l'aria fresca di quella parte di Cokeworth così felicemente lontana da Spinner's End, che tante volte era stata teatro dei suoi pomeriggi passati a far niente, a girovagare e perder tempo, tanto che la gente del posto aveva cominciato a chiedersi se, finalmente, il vecchio Piton si fosse deciso ad ammazzare la moglie e a suicidarsi, lasciando il bambino da solo.
     Una goccia d'acqua lo colpì sul volto e, prima ancora che potesse indirizzare un'altra imprecazione al cielo, iniziò a piovere forte. Ma non era importante, non in quel momento comunque, era arrivato dove voleva arrivare. Alzò lo sguardo per osservare la villetta disgustosamente familiare.
     Ci erano voluti giorni perché si decidesse ad andare dagli Evans, ma alla fine era riuscito a mandare a fanculo tutte le remore che il suo cervello si era posto. Rimaneva il fatto che non aveva alcuna voglia di rivedere la sua cazzo di faccia, non dopo quello che era successo tra loro. La odiava, la odiava con tutto il cuore e, se avesse potuto, gliel'avrebbe urlato volentieri in faccia. Le avrebbe sputato addosso tutti gli insulti di cui era capace, sì, anche quello, allora sarebbe stato meglio con sé stesso, le avrebbe ricordato che non gli fregava un emerito cazzo se lei se n'era andata, perché lei non era niente, niente, per lui, meno di uno sputo. Anzi, ora che non l'aveva più tra i piedi, con i suoi stupidi avvertimenti e le sue stupide e fottute accuse nei confronti suoi e dei suoi amici, i suoi veri amici, stava molto meglio. Avrebbe potuto, finalmente, volare alto, diventare chiunque avesse voluto diventare, senza sentirsi gli occhi di Lily Evans pieni di disapprovazione continuamente piantati sulla nuca.
     Si fece avanti e sbirciò dentro alla finestra che, sapeva, dava sul salotto. Ed eccoli là a chiacchierare e ridere seduti sul divano, tutti insieme, l'archetipo di famiglia perfetta, almeno una volta che non si era guardato troppo in profondità.
     C'era stato un tempo, che adesso gli pareva lontanissimo, in cui era stato geloso dell'apparente perfezione degli Evans. Guardava il Signor Evans tornare a casa dal lavoro e, prima ancora di togliersi il giaccone, dare un bacio alla moglie e alle figlie. Osservava la Signora Evans che, ogni giorno, preparava amorevolmente la merenda per loro dopo che avevano finito di giocare. Ringraziava, imbarazzato, quando lo invitavano a pranzare con loro e lui rifiutava. Erano sempre stati così gentili con lui.
     Eppure nel concreto non avevano mai fatto un cazzo. Non si erano mai interessati veramente a lui e alla sua situazione familiare, non si erano mai preoccupati d'indagare se quello che si diceva a Cokeworth sui Piton di Spinner's End fosse vero, anche quando si presentava a casa loro con un occhio gonfio e nero, o con un labbro rotto, o zoppicando malamente. Ora che ci ripensava, gli facevano venire la nausea.
     Ma in fin dei conti era normale, erano degli schifosi Babbani, e da loro non si sarebbe potuto aspettare niente di meglio.
     Guardava il Signor Evans tornare a casa dal lavoro così tardi che, lo sapeva, solo un idiota avrebbe potuto credere alla sue idiozie sugli straordinari. Osservava la Signora Evans che, quando pensava di non essere vista, sgattaiolava in cucina e recuperava le sue bottiglie di Sherry nascoste, guarda caso, proprio dietro a dei barattoli che nessuno toccava mai. Lily e Petunia neanche si parlavano, se potevano evitarlo.
     Forse era solo Cokeworth, che ti entrava fin dentro le ossa e corrompeva tutto.
     Si riparò sotto la tettoia davanti alla porta principale. Era completamente fradicio, e quando sarebbe tornato a casa Tobias l'avrebbe ammazzato, perché quello era il suo vecchio giaccone e quelli i suoi jeans, e doveva far in modo che durassero perché lui non avrebbe mai, mai, sprecato denaro per permettere a uno schifoso come lui di comprarsi qualcosa di decente.
     «Fanculo» soffiò di nuovo, e sputò per terra.
     Bussò. Le risate cessarono improvvisamente. Si ritrovò a sperare con tutto il cuore che ad aprirgli, se gli avessero aperto, fosse il Cavallo solo per avere qualche attimo in cui sfogare un po' della sua amarezza anche su di lei. Era sempre stata un ottimo pungiball, la vecchia e cara Petunia.
     Sfortunatamente, ad aprirgli fu la Signora Evans.
     «Severus» lo salutò questa, il tono di voce a metà fra il sorpreso e l'imbarazzato. Evidentemente non si aspettava di vederlo, e molto probabilmente neanche voleva vederlo. Doveva sembrare uno schifo, con i capelli e i vestiti bagnati. Non si premurò di salutare di rimando.
     «Devo chiedere una cosa a sua figlia» disse semplicemente, senza neanche specificare quale delle due. Lei, comunque, non glielo chiese.
     Lo fissò invece per qualche istante, e a lui parve di notare che si stava mordendo l'interno guancia, la mano stretta sul pomello della porta.
     «Lo so che è in casa. L'ho vista» aggiunse, indicando pigramente con un pollice la finestra che dava sul salotto. «Le assicuro che voglio solo parlarle, Signora Evans, ci vorranno pochi minuti. Che c'è, non si fida più di me?» Arricciò gli angoli della bocca all'insù. Data l’occhiata che lei gli riservò, fu sicuro che la risposta sarebbe stata un deciso “no”.
     Cosa s’aspettava? Che l’ammazzasse? Che facesse del male al suo candido fiorellino? E perché, poi? Magari perché era il figlio di suo padre, perché credeva che se il vecchio Piton era famoso in città per essere un ubriacone violento, allora anche lui era destinato a diventare così, e infatti l'aveva confermato costringendo Lily a rompere ogni rapporto con lui.
     Se fosse stato veramente così, allora era completamente fuori strada. Per quanto ne sapeva, e cioè parecchio, i Mangiamorte erano molto peggio di Tobias Piton.
     Alla fine, la Signora Evans biascicò tre parole.
     «Vado a chiamartela.»
     Una volta l'avrebbe invitato almeno ad entrare, pensò, mentre si stringeva nel cappotto troppo grande di Tobias e la osservava sparire per il corridoio.
     L'ultima volta che aveva parlato con Lily era stato quando aveva provato a scusarsi con lei: se ci ripensava gli veniva il mal di stomaco. Era stato un tale idiota, un tale zerbino sentimentalista... Avesse potuto tornare indietro, non l'avrebbe mai rifatto, perché lui non le doveva alcuna fottuta scusa. Era lei che avrebbe dovuto gettarsi ai suoi piedi e implorarlo di perdonarla, o così gli avevano ripetuto più volte Mulciber e Rosier, e alla fine aveva cominciato a crederci anche lui. Lui non era uno Snivellus, lui era il cazzo di erede dei Prince. E lei? Lei non era una Sanguemarcio, invece?
     Lily apparve davanti a lui, l'espressione dura e le labbra contratte. Seguì qualche istante di silenzio, in cui i due ragazzi si studiarono attentamente, e Severus cominciò a sentire, di nuovo, l'odio ribollirgli dentro. La detestava, e qualcosa gli diceva che il sentimento era ricambiato. Le dedicò uno dei suoi migliori sorrisi storti, quelli che aveva messo appunto apposta per gente come Potter e Black e fece per aprire bocca, ma lei lo precedette.
     «Pensavo di essere stata chiara» disse incrociando le braccia, forse anche per proteggersi dal vento freddo che entrava in casa, «quando ti ho detto che tra noi era finita. Pensavo avessi capito o che avresti almeno provato - solo provato - a rispettare i miei desideri, magari in ricordo di quel briciolo... sì, quel briciolo di affetto che una volta provavi nei miei confronti, se l'hai mai provato e non era tutta una farsa! Non chiedevo tanto, Severus, eppure non sono neanche passate due settimane dalla fine della scuola e... Oh, ma non lo capisci? Non capisci che non posso più fingere? Che fa male, vedere cosa sei diventato, che mostro stai diventando? Dov'è finito il Severus Piton che conoscevo e a cui volevo bene? Ho cercato di dirmi che era solo una fase, che sarebbe passata presto, che era tutta colpa di quegli schifosi che tu chiami amici tuoi e della pessima influenza che avevano su di te! Ma oramai non posso più esserne sicura, oramai non c'è più nulla che mi dica che tu non sia veramente così.»
     Si fermò. Respirava affannosamente per la foga con cui aveva parlato e le sue guance si erano colorate di uno sgradevole rosso. Severus piegò la testa da un lato, soppesando attentamente ogni sua parola. Il sorriso beffardo gli era sparito dalle labbra e aveva lasciato posto ad uno sguardo accigliato ed irato.
     «Stronzate» sussurrò, mortalmente gelido.
     «Che hai detto?» domandò lei, la bocca socchiusa in un’espressione incredula e offesa.
     «Stronzate» continuò. «Stronzate, stronzate, stronzate. Stronzate inutili e vuote, senza senso, e ripetute, identiche, per la milionesima volta.»
     «Be', scusa tanto se quello che provo non è cambiato, dal mese scorso!»
     «Com'è quel modo di dire? Ah, sì. Chi non cambia mai parere, o è il più grande dei saggi, o è il più sciocco fra gli stolti» sputò. Non aveva neanche lui idea di dove voleva andare a parare, sapeva solo che il suo scopo era ferirla almeno un quarto di quanto lei aveva ferito lui. No. No, lei non l'aveva ferito, lei non era niente per lui. «Anche se, nel tuo caso, dovrebbe cambiare un pochino, non trovi, Evans? Io sostituirei "stolti" con "piccole e schifose troie che non aspettano altro che aprire le loro gambe per il primo che passa".»
     Lily trasalì.
     «Tu... Tu...» balbettò. Ora aveva le braccia distese lungo i fianchi e le mani chiuse a pugno, nervose. «Cosa... Cosa vorresti dire con questo?» Schiumava rabbia e disgusto, e Severus se ne cibò come se non mangiasse da settimane.
     «Niente. Non voglio dire assolutamente niente, oltre al fatto che sono anni che non aspetti altro che farti sbattere qua e là da Potter. O magari da Black. O magari da entrambi insieme, eh, ti piacerebbe, Evans? Questo, finalmente, ti appagherebbe?»
     Lo schiaffo arrivò, e fece meno male di quando avrebbe dovuto.
     «Tu vieni qui...» sussurrò Lily, livida, «e m'insulti, e deliri le tue solite idiozie! Avrei dovuto dire a mamma di sbatterti la porta in faccia! Ecco cosa sei diventato... Proprio non potevi aspettare Settembre, per venire a torturarmi, no!» La sua voce era diventata più acuta e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime e, per quanto lei cercasse di ricacciarle indietro, questo lo fece sentire in qualche modo meglio con sé stesso. «La gelosia ti ucciderà, un giorno, S-Sever-»
     «Non sono geloso!» soffiò lui, la cui voce, per contrasto, era diventata più bassa. «Non sono geloso, e sai perché? Perché non me ne potrebbe fottere meno di una come te, Evans.»
     «E allora perché saresti qui, se non fosse così? Perché saresti venuto a rovinarmi la giornata?»
     Già. Perché era andato? Avrebbe potuto far finta di niente, come aveva fatto con molte altre cose. Eppure no, eppure era davanti alla sua porta, a litigare e a godere delle sue lacrime. Si strinse ancora nel suo giubbotto, e questa volta il fatto che appartenesse a Tobias non gli sfiorò nemmeno la mente.
     «Forse ti parrà un concetto astratto e impossibile da capire, Evans, ma il mio mondo non gira attorno a te. Tu non sei il mio sole, non sei nemmeno la prima cosa a cui penso quando mi alzo, né l'ultima quando vado a letto. Mi dispiace deluderti se pensavi il contrario, ma non è la tua faccia a darmi la forza per sopportare tutta la merda della mia vita. Non è ricordando il suono della tua voce che sorrido perché, ultimamente, ricordare il suono della tua voce mi fa solo venire il mal di testa.» Non c'era pietà nel tono della sua voce. Fece una pausa di qualche secondo, poi continuò. «E ora, mi sembrava di capire che volessi sapere perché il mostro cattivo è venuto a disturbarti fin qui, non è vero, Principessa? Bene. È dall'Agosto scorso che ti ho prestato il mio fottutissimo Atom Heart Mother*. Sono solo venuto a riprendermelo, visto che a te sembra non fregare un cazzo.»
     Silenzio.
     Lily aprì la bocca, ma la richiuse senza aver parlato.
     Fanculo. Fanculo! Ha avuto ciò che si meritava! Sei contento, Severus?
     Sei contento, Severus?
     Severus?

     «Ho cambiato idea, comunque. Non lo voglio più, ne andrò a sgraffignare un altro dal negozio. Oramai quello è andato, visto che ci ha messo sopra le mani una schifosissima Sanguemarcio come te: non voglio che infetti tutte le altre mie cose.»
     Si voltò. Aveva smesso di piovere e neanche se n'era accorto. Avrebbe fatto meglio a tornare a casa, o Tobias l'avrebbe pestato sul serio; cominciò a camminare velocemente, quando la voce di Lily lo constrinse a fermarsi.
     «È Tu-Sai-Chi, vero?» chiese, la voce che aveva riacquistato la sua solita forza. «Il tuo sole, quello a cui pensi prima di andare a letto e quando ti alzi. È Tu-Sai-Chi?»
     Le dava le spalle, e non si girò per guardarla in faccia. Non ce n'era motivo, comunque.
     «Certo.»
     E se ne andò, ficcando di nuovo le mani nel giaccone di Tobias e maledicendosi, ancora una volta, per non essere riuscito a procurarsi delle sigarette.





*Album dei Pink Floyd datato 1970 che amo particolarmente. Mi piace pensare che anche Severus fosse una specie di fan.
   
 
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