Fuori dalle
capanne della vergogna della storia
Io mi sollevo
In alto, da un passato che ha radici nel dolore
Io mi sollevo
Io sono un oceano nero, agitato ed ampio,
Sgorgando e crescendo io genero nella marea.
Lasciando
dietro notti di terrore e paura
Io mi sollevo
In un nuovo giorno che è meravigliosamente limpido
Io mi sollevo
Portando i doni giunti dai miei antenati,
Io sono il sogno e la speranza dello schiavo.
Io mi sollevo
Io mi sollevo
Io mi sollevo.
Maya Angelou, Still I Rise – da “And Still I Rise”
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Tutto è cambiato adesso.
Il tempo cambia ogni cosa. Cambia il tipo di persona che sei stato. Lo
stesso fanno le persone che incontri e i sentimenti che quegli incontri fanno
germogliare, creando rapporti di amicizia e stima e affetto che definiranno
l’adulto che diventerai crescendo.
Rey si guarda attorno, per un attimo è disorientata.
Le grezze pareti del Millennium Falcon. Metallo freddo che nella
penombra riluce come piombo fuso e assomiglia a lava vulcanica. Se socchiude
gli occhi riesce quasi a vedere vecchie incisioni frastagliare la lamina ad
intervalli regolari. Ricordi passati di una vecchia vita.
Sì, tutto è cambiato adesso. Nulla lo è. E’ un macabro gioco di equilibri.
*
Rey.
Se stai leggendo significa due cose. O che sei tornata o che io ho
ascoltato i suggerimenti di un vecchio amico e ti ho seguita.
Per me è arrivato il momento di affrontare gli spettri del passato e i
demoni che tormentano la mia coscienza.
Ho deciso di spolverare quel poco che resta del mio onore e di combattere.
Per questo, ti ringrazio. A te devo questa scelta e da te deriva il
coraggio che l’ha determinata.
Avevo perso me stesso nella paura di ciò che sarebbe potuto accadere se non
fossi stato abbastanza saggio, abbastanza buono. Per anni ho vissuto in quella
paura. Per anni non ho provato altro che pentimento e la vergogna di ciò che
avevo fatto, di ciò che ero stato ad un passo dal diventare.
Avevo smarrito la strada perché ero accecato dalla gloria e da grandezze
passate, dalla storia in cui gli altri avevano trasformato la mia intera
vita.
Un mito, una leggenda, un eroe. Come può un uomo sopravvivere al peso della
fama, di ciò che un nome comporta? Per anni io non ho potuto.
Ho vissuto all’ombra di ciò che ci si aspettava da me, ciò che rappresentavo.
L’illusione dell’impossibile che diventa reale e si concretizza e la meraviglia
e il timore reverenziale che lo accompagnano. Non l’uomo, ma l’ultimo jedi,
l’ultimo erede di una stirpe estinta.
Non commettere i miei errori, Rey. Sii te stessa, fedele ai tuoi principi.
Fidati del tuo istinto e non lasciarti trasportare dal sentimento. Può essere
un alleato prezioso, ma anche il tuo più grande nemico. I sentimenti sono come
onde di una marea che, a lungo andare, ti travolgerebbe.
Vivi. Combatti. Ascolta. Traccia il cammino che vuoi per te stessa e non
quello che altri vorrebbero per te.
Sii fiera e libera e tenace e forte. Sii speranza e pace e luce e
ristabilisci l’equilibrio che io ho contribuito a spezzare. Sii l’esempio che
io ho smesso da anni di essere.
Questo è il fardello che ti lascio. Questa è la mia eredità.
Ascolta le parole di un vecchio stanco e se puoi, perdona gli errori dello
sciocco che è stato.
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And still I rise.
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La storia, ciò che raccontano di lui… è tutto vero, aveva detto Han.
Ora Rey riesce a vedere l’enormità di quell’errore, può misurarne la portata. Deglutisce, sperando di cancellare il sapore amaro che le ha invaso la bocca, ma quello rimane, inalterato nonostante il suo blando tentativo di attenuarlo.
Mentre stringe convulsamente la lettera che Luke ha lasciato per lei e che Chewie ha trovato nella piccola costruzione di pietra su Ahch-To che per anni è stata la casa-prigione di Luke Skywalker – dell’uomo, non della leggenda, non dello jedi – Rey solleva la testa. Con un piccolo sussulto che è lesta a nascondere, incrocia gli occhi straziati di Ben Solo nel viso segnato di Leia Organa. Ora che quel parallelismo è evidente, ignorare la somiglianza è pressoché impossibile.
Non sa come iniziare. Sa solo che deve dire qualcosa, deve trovare parole adeguate al tumulto che le alberga in petto. Però non sa cosa dire, perciò dice il primo pensiero che le ha attraversato la mente. L’ologramma di una mappa stellare incompleta e un pilota ingrigito dal tempo, ma sprezzante dell’universo e dei suoi abitanti. “Han aveva ragione.”
“A che proposito?” domanda Leia e nel modo in cui ha formulato la domanda c’è la sagacia che l’ha resa ciò che è, che le ha permesso di preservare integro il suo spirito nonostante tutto quello che le si è abbattuto addosso nel corso di decenni.
“Quello che dicono di lui. Le storie su di voi.” Rey ricorda. E’ tutto vero, Han aveva detto, ma allo stesso tempo sembrava voler dire che non lo fosse nemmeno un po’. “Han aveva ragione. E’ tutto sbagliato.”
“Non tutto. Non quello che conta.” Leia si sporge per afferrare la sua mano. La sua presa è ferma e il gesto ha qualcosa di imperioso che rivela al contempo tracce di vulnerabilità. “Non importano i motivi che un tempo hanno spinto un ragazzo e un contrabbandiere ad allearsi per la missione di salvataggio di una principessa. La storia dimentica le motivazioni, ma non le azioni. L’impulsività e la fortuna diventano atti impavidi e il resto eroismo. Anni di solitudine, paura e rimorso scavano in profondità nell’animo di una persona. Così è stato per Luke. Così e stato per me e perfino per te. Guardo i tuoi occhi e rivedo la stessa voglia di avventure che colmava Luke la prima volta che lo vidi. Lo ritrovo nel tuo sorriso, nel tuo senso del dovere, nella tua sete di giustizia.”
Avrei voluto conoscerlo per com’era da giovane, pensa Rey. Prima del disastro, prima che i fallimenti intaccassero la corazza della sua determinazione. Ma quel pensiero è ingiusto, non è forse vero? Lei l’ha conosciuto per com’era davvero. Scorbutico, stravagante, brutalmente franco, con tutti i pregi e difetti del caso. Rey chiude gli occhi e finalmente le due immagini di Luke non si sovrappongono od ostacolano a vicenda. Piuttosto si combinano tra loro, amalgamandosi alla perfezione. Un ossimoro, il bilanciamento di ciò che è luce e oscurità e di ciò che si trova a metà strada.
“Come posso dimenticare?” domanda e odia quanto la sua voce suoni implorante.
“Non puoi,” Leia risponde, seria e composta, a dispetto dell’ovvia fatica e della tristezza che Rey riesce a percepire irradiarsi dalla sua figura ferita. “Quello che puoi fare è cercare di tenere a mente ogni giorno le promesse fatte a te stessa.”
“Credevo di fare la cosa giusta,” ammette in un bisbiglio spezzato. “Credevo di poterlo salvare. Invece mi sbagliavo.”
“Cos’è che non riesci a perdonare? L’errore o la delusione scaturita da quell’errore?”
“Entrambi. Sono stata così stupida. Mi sono lasciata ingannare.”
“Sì, Ben sa essere molto persuasivo quando vuole. Non mi riesce difficile ammettere che non sia qualcosa che ha ereditato da Han.” Leia le strizza un occhio e a Rey scappa una risata incredula, malgrado il nodo alla gola.
Quando Leia inclina la testa su un lato e la scruta con un lungo sguardo indagatore, lei non si ritrae. Sente qualcosa di caldo sfiorare i bordi della sua coscienza. Rassicurante. Materno. “Perché sei così sconvolta?”
Rey sa di non poterle mentire, ma sa che l’unica alternativa è inaccettabile. Come può ammettere quello che prova?
Perche per un istante, in quella sala, ho creduto di non essere sola nell’universo. Avevo trovato la metà che mi completava e la tristezza era un ricordo lontano.
Perché mi manca. Anche se so che è sbagliato. Mi manca il suono della sua voce, la linea dura della sua bocca che si addolciva mentre mi parlava. Voltarsi su un fianco, nel cuore della notte e ascoltare il lento, ritmico respiro di un’ombra accanto a sé e la meravigliosa sensazione di calore che quella scoperta serve ad accendere. Le mancano le loro conversazioni. Le mancano i loro litigi. Le mancano i giorni in cui non sapeva ancora come fosse avere il cuore spezzato.
Rey non piange, ma c’è una parte di lei che lo sta facendo. In silenzio, in segreto. Raggomitolata su se stessa nel ventre di un AT-AT, mentre il crepuscolo scolora in una limpida notte stallata e il calore del giorno abbraccia il freddo delle tenebre. Il vento mugghia e copre il suono dei suoi singhiozzi. Lacrime di impotenza, di fame, di abbandono.
Le mani di Leia le accarezzano le guance e c’è qualcosa di così naturale nel gesto, così giusto nonostante la stranezza e la sorpresa che scaturiscono da esso. E' la prima volta che qualcuno la consola, che qualcuno la tocca in quel modo. Non per ferire o manipolare o come una forma di pagamento.
Rey riapre gli occhi e nel riflesso degli occhi umidi del Generale non ritrova frammenti del tormento di Kylo Ren, ma il riverbero di un dolore antico quanto la vita stessa, più antico dell’universo. E' un dolore crudele e buono, qualcosa che è anche amore, profondo quanto i pozzi minerari e le cavità di Jakku, che procedono per centinaia di miglia e arrivano al cuore stesso del pianeta.
“So di chiederti l’impossibile,” sta dicendo Leia e le sue carezze sono un modo per dire mi dispiace e cerca di capire, “ma se lo faccio è perché so che possiedi la capacità di sopportarlo.”
Ora le chiederà di un essere un anelito di speranza, l’emblema di tutto ciò che il Primo Ordine non è riuscito a guastare e per cui la Resistenza combatte, il baluardo che difenderà le ceneri da cui la Resistenza rinascerà…
“Non voglio i tuoi poteri,” lei la corregge con calma, come se le avesse letto la mente. “Voglio te, Rey. Ho bisogno di un alleato, qualcuno di cui possa fidarmi completamente e senza riserve. Tu, Poe Dameron, Finn, Rose Tico. Voi siete il futuro. Quello che ti chiedo è di aiutarmi a proteggerlo. Puoi farlo?”
Un futuro. Una parola astratta e priva di significato se non di angoscianti ritorsioni, un miraggio nel deserto. Non ha mai rappresentato molto per lei. Il futuro erano una trafila di giorni tutti uguali, trascorsi a guardare l’orizzonte in trepidante attesa. Un fiore da osservare, in attesa di essere colto con qualcuno, ma ora… ora può esserlo davvero. Qualcosa.
Rey solleva il mento e l’aria di approvazione e orgoglio di Leia le scalda il cuore. “Posso e lo farò.”
E' già sulla porta, pronta ad uscire per tornare ad allenarsi, quando la voce di Leia la raggiunge.
“Su una cosa hai torto.” Ha una mano poggiata sul petto, in corrispondenza del cuore. Nella penombra della stanza appare molto vecchia. Il pallore che neppure il trucco sapiente riesce a mascherare e il tremore che le ha attraversato le dita poco prima, mentre le asciugava le guance. Schiacciata dal peso di troppe responsabilità, dal peso ancora maggiore dell’essere l’unica sopravvissuta.
Ogni tempo ha la sua storia. Ogni storia ha il suo tempo. Quello di Leia Organa sembra avvicinarsi al suo capolinea. Il cipiglio spigliato con cui le parla la spinge a pensare che quando quel momento arriverà, lei andrà via combattendo.
“Anche se hai fallito in quello che ti eri prefissa, non significa che tu abbia fallito su tutti i fronti. Non sei riuscita a salvare Ben Solo perché non puoi salvare chi non vuole essere salvato. Eppure mi hai restituito Luke e prima di lui hai riportato da me Han. Di questo ti sarò grata per sempre.”
Sognare è ricordare.
Una sala del trono. L’odore della morte ad impregnare l’aria. Una pioggia
di scintille e fuoco. E lui, in cui sembra confluire tutto il caos. Lui, che
sembra raccogliere luci e ombre. Lui. L’amarezza di Ben Solo che
scompare nella dannazione di Kylo Ren.
Rey sente il dolore incendiarle ogni nervo del corpo, l’eco della tortura
di Snoke.
Sulla scia di quel dolore, la voce di lui.
Ogni notte lei rivive quella scena, osservandola come spettatore esterno e
al contempo rivivendola daccapo.
Ogni notte lei resiste alla tentazione di afferrare la mano che lui le
porge, accettare la promessa che lui assicura.
Ogni notte lei rifiuta e la difficoltà del suo rifiuto si imprime più
profondamente dentro di lei.
Ogni notte. Ogni notte.
E se solo… Comincia una notte il primo sussurro. Non è cattivo,
tantomeno crudele. Suona vero e perciò è tanto più difficile fingere di non
prestargli ascolto.
Se solo lui fosse diverso, il sussurro
dice una notte.
Se solo io fossi diversa, finisce una
seconda.
Se entrambi non fossimo chi siamo.
Ma chi sono io?
Chi sono io.
*
Nel silenzio che improvvisamente la circonda, Rey continua a spogliarsi. Si
è appena tolta gli stivali. E' stanca, dopo una giornata estenuante in cui si è
divisa tra una sessione di allenamento con Finn e una interminabile riunione
militare. E' stanca come non è stata mai neppure su Jakku, dove oziare avrebbe
significato morte certa. E' una stanchezza simile a una sensazione di
sfinimento, allo stato di prostrazione procurato dalla
disidratazione.
Lui è alle sue spalle. La osserva dalla penombra e Rey sente la forza e la
prestanza che si propagano da lui, come se volessero avvolgerla in un abbraccio
violento. Sembra soddisfatto e rilassato e la sua energia, quando a lei sembra
di esserne totalmente priva, rischia di stordirla come un profumo troppo
pungente.
“Avrei dovuto baciarti quel giorno.”
Non ha la forza di irrigidirsi. Fingendo noncuranza quando l’unico
desiderio sarebbe quello di voltarsi per controllare l’onestà sul suo viso
pallido e angolare, lei continua a srotolare le bende prima da un braccio e poi
dall’altro. “Non te lo avrei permesso.”
“Permettimi di dubitarne.”
Rey sbuffa.
Lui non sembra farci caso. “Mi guardavi come nessuno mi aveva mai guardato
prima,” continua con voce trasognata, assorta nell’analisi dell’immagine che
sta rievocando. “Come si guardano le stelle cadenti. Come qualcosa di
impossibilmente bello, incredibilmente caro, il cui ricordo vorresti tenere per
sempre con te, al sicuro nella tua memoria.”
Rey si morde il labbro inferiore. Vorrebbe urlare e piangere. Alla fine,
non cede né alla rabbia né alla disperazione. Lascia cadere le bende sul letto
con un gesto risoluto e si volta. “Lo sei stato, in quel momento. Quando mi hai
permesso di vedere dietro la maschera che indossi.”
Lui fa un passo in avanti, ma qualcosa nella sua espressione lo trattiene
dall’avvicinarsi oltre. “Rey,” dice e non aggiunge altro.
E' la prima volta che la chiama per nome e lei si abbraccia istintivamente
il petto, chiudendo gli occhi per trattenere l’improvviso calore che sente
dietro le palpebre, che le preme contro le ciglia. “Sei il mio nemico. Noi
siamo nemici. Cosa vuoi da me? Cosa puoi volere ancora?”
E' Kylo Ren ad allungare la mano e a poggiarla sul suo braccio nudo, ma è
Ben Solo a risponderle, insicurezza e fragilità e il suo bisogno di essere
riconosciuto, accettato, amato. “Te.”
“Mi chiedi l’unica cosa che non posso darti.”
“Ti chiedo l’unica cosa degna di valore in questa discarica.”
Perché è tutto così difficile?
“Mi odi?”
“Non ti odio,” lei risponde atona. “Sono delusa da te.” Per un istante
ricorda la visione che ha avuto su Ahch-To, il senso di appartenenza che ha
provato in quella dimensione onirica di qualcosa che non è accaduto e non
accadrà mai, non nel modo in cui lei pensa perlomeno e si sente così sola che
potrebbe morire per la nostalgia di tutti i se e i ma. “Non
importa. Sopravviverò. Sono abituata alla solitudine.”
“Ti spaventa.”
“Non come prima. Ora è una mia scelta.”
Lo sente trattenere il respiro come se lo avesse colpito fisicamente e lei
percepisce con precisione il dolore inferto da quel colpo come se lo avesse
procurato a se stessa. Quando ricomincia a spogliarsi, lui è già scomparso e
l’aria nella stanza sembra molto più fredda.
“Entrambi abbiamo creduto reale qualcosa che non lo era,” lei dice dopo
essersi svegliata una notte e averlo trovato intento a guardarla dormire. Si è
districata dal garbuglio delle lenzuola, irritata contro di lui e soprattutto
umiliata dal momento di debolezza che nel sonno glielo ha fatto cercare.
"Bugiarda. Non puoi negare il nostro legame.” La rabbia di lui è come una
tempesta di sabbia. Estemporanea e feroce, graffiante. Niente che lei non
sappia maneggiare.
“Non lo nego.” Pensa al momento in cui i loro palmi si sono sfiorati
attraverso i confini di tempo e spazio e poi a quello in cui lui ha preferito
il potere a lei. “Lo rinnego.”
*
*
Sul campo di battaglia si fronteggiano senza esclusione di colpi. La loro è
una danza mortale e seducente. Gravitano attorno come satelliti appartenenti ad
orbite differenti, destinati a vivere vicini, ma separati. Ogni battaglia è
contrassegnata da una nuova cicatrice ed entrambi le indossano con fierezza e
dignità. Entrambi mostrano i marchi che si procurano l’un l’altra, come amanti
clandestini separati da un fato avverso conserverebbero le rispettive lettere
d’amore.
*
Rey è circondata da un chiassoso e policromatico raggruppamento di piloti,
strateghi e meccanici della Resistenza. E' seduta su una panca, stretta tra Poe
Dameron e una ragazza con capelli color sole attorcigliati in due trecce
rotonde ai lati della testa che ricordano dei paraorecchie. Poe sta cercando di
convincerla a partecipare a una gara di bevute mentre di fronte a lei Finn sta
deliziando Rose con la storia del loro primo incontro su Jakku. Rey traduce a
beneficio collettivo le continue intromissioni di BB8 che servono a disfare la
versione assai più romanzata di Finn. Alla quarta interruzione, Finn la batte
sul tempo, rivolgendosi a BB8 con una espressione così oltraggiata che Rey si
ritrova a ridere.
La risata le muore in gola nel momento in cui la vertigine e il ronzio alle
orecchie spodestano il rumore fragoroso dell’allegria e delle voci roboanti
attorno a lei.
Lui la osserva da un angolo. Indossa il mantello e ha fiocchi di neve tra i
capelli arricciati dall’umidità. I suoi occhi riassumono la scena davanti a lui
e poi si fissano su di lei, duri e freddi e malinconici. “Non sei più sola.”
No, non lo sono, lei vorrebbe dire. Non grazie a te.
La connessione muore prima che lei abbia il tempo di ripetere ad alta voce
quello che ha pensato.
*
Se lo uccido, Rey si ritrova a pensare con fredda lucidità durante
una seduta di meditazione. Se anche riuscissi a distruggere l’oscurità che
vive in lui, ci sarebbe pace nella galassia, ma per quanto? Una generazione di
pace per dieci di guerra. Un giorno di pace vale mille giorni di guerra?
Una voce dentro di lei, così simile a quella di Luke, risponde: mille
giorni di guerra valgono un singolo giorno di pace.
“Ho sentito molte storie su quel posto.” Mentre la aiuta a caricare le
provviste sul Falcon, Finn le lancia occhiate oblique che Rey trova più
difficile ignorare ad ogni secondo che passa.
“Le ho sentite anch’io,” dice, sbrigativa.
“Perché vuoi andarci allora?” Finn ha aggrottato le sopracciglia e l’ansia
che lo circonda è percepibile e così rumorosa che Rey non può fare a
meno di lasciar cadere il borsone e abbracciarlo.
“Perché voglio risposte.”
La stretta di Finn le fa capire che finalmente ha trovato la famiglia che
cercava, qualcuno da cui tornare.
*
Laddove Ahch-To era acqua e cielo e uno sputo di terra rocciosa, Dagobah è
foreste sterminate e acquitrini e un fiume d’erba galleggiante.
Con il sudore che le permea la fronte, Rey avanza nel fango che le arriva
alle ginocchia, perlustrando per la centesima volta una sezione che è già
sicura di aver controllato giorni addietro. Dopo la prima settimana, ha smesso
di affidarsi alla mappa. Si muove istintivamente, riconoscendo nei rami rotti
degli arbusti tracce del suo passaggio sul piccolo idroscivolante che ha
costruito non appena ha messo piede sul pianeta.
Cercare non è mai stato il problema. E' il tedio dell’attesa la parte
difficile, l’inattività forzata.
Rey supera un grosso albero da cui pendono liane e felci rampicanti.
Inciampa in una radice sommersa, cadendo all’indietro sulla schiena ed è allora
che lo percepisce. Un disturbo nella Forza. La canopia ondeggia sopra la sua
testa anche se non soffia un alito di vento e l’aria sfrigola di elettricità
statica. Poi, dal punto più estremo del suo campo visivo, come se fosse sempre
stato lì, ma avesse deciso di rendere palese la sua presenza solo nel peggior
momento possibile, una risata gorgogliante annuncia la rivelazione di una
piccola figura ingobbita. La sua pelle ricorda il muschio che cresce sulle
cortecce degli alberi e la saggezza nei suoi occhi antichi è il primo bagliore
di luce in un mondo che non ne conosce nessuna.
Dopo un attimo di stasi, Rey poggia un pugno chiuso contro il palmo della
mano e piega il collo in segno di deferenza. “Maestro Yoda. Mi chiamo Rey-”
“So chi sei,” lui la interrompe con voce arrochita dal disuso. “Perché sei
qui, intuirlo io posso. Scacciare le tentazioni tu vuoi, il richiamo al lato
oscuro.”
Troppo sorpresa, lei non può fare altro che annuire. “Sì.”
“Tu cerchi risposte. Altro desiderare voi non sapete. La prima non sei che
il mio consiglio per lo stesso motivo ha cercato.”
“Luke?”
Yoda sospira, scuotendo la testa con un movimento di scontentezza. “Non fu
Luke Skywalker che qui venne. Ben Solo. Quando l’oscurità il cuore ancora non
gli aveva ghermito.”
Ben? Ma non può essere vero. A meno che – L’intuizione
le fa sgranare gli occhi e un’emozione famelica e affannata le chiude la
bocca dello stomaco. “Ben cercò di allontanarsi da quell’oscurità.”
“Quello che Skywalker vide sbagliato era. I sussurri nell’orecchio molto
addietro cominciati già erano. A ignorarli imparando lui stava.”
“Quando?” lei domanda in fretta. Troppo in fretta, la rimprovera
bonariamente lo sguardo di Yoda.
C’è un velo di tristezza quando le risponde. “Appena un bambino lui era.”
“Un bambino,” lei ripete e dal nulla emergono immagini che non le
appartengono, episodi avvenuti di un’infanzia che non è stata la sua. L’imprudenza
di un padre che lancia in aria un bambino dai capelli scuri per farlo volare e
il dolore dirompente quando lui non riesce a prenderlo in tempo e lo lascia
cadere. La dolcezza di una madre che rimbocca le coperte al figlio e sorda alle
sue proteste, spegne la luce, non sapendo che il mostro sotto al letto esiste
davvero, è un serpente che striscia ogni notte e si accoccola ai piedi del
materasso sibilando menzogne e cattiverie. Alla fine di quel lungo tunnel
c’è la più brutta e terribile di tutte. C’è la figura prona di un ragazzo
che dorme e un uomo che torreggia sopra di lui, gli occhi che scintillano
gialli e minacciosi nella penombra della tenda. Il serpente gli sussurra
all’orecchio le stesse menzogne che ha sussurrato al ragazzo da quando era un
bambino e l’uomo gli crede e cede.
Rey si risveglia come se si ridestasse da un lungo sonno. Quando parla,
sente sulle labbra il sapore salato delle proprie lacrime. “Perché nessuno ha
fatto niente?” E intanto pensa: Era soltanto un bambino, solo e spaventato
dal buio.
“Vegliare come avremmo dovuto noi non abbiamo.”
“Perché mi hai mostrato tutto questo?” Prova rabbia e tristezza e sopra
ogni cosa compassione.
“Il conflitto in te vedo e capirlo posso.”
“So che quello che provo è sbagliato,” lei dice. Non sembra sbagliato
quando è notte, lei è sola e la vita frenetica della Base rimane fuori dal
confine sicuro dello spazio che le hanno assegnato. Non lo sembra quando nel
sonno lo cerca, o quando lui la tocca e il dolore del tradimento è mitigato da
un piacere assoluto che cancella qualsiasi altra emozione. Rey sente che
potrebbe piangere, come succede ogni volta che pensa alla trappola che è Ben
Solo. “Lo so, ma non posso farne a meno.”
“Sentire sbagliato non è. In subbuglio il tuo cuore è.” Yoda agita la punta
del bastone verso di lei e socchiude gli occhi. Rey ha la sensazione di essere
trapassata da parte a parte. “Vedo compassione e rabbia e tradimento e amore.
Attratta tu sei, ma non dal potere. La strada che hai intrapreso la più
difficile è. Altri prima di te fallito hanno. Anakin Skywalker uno di essi fu.”
Il nome non le è nuovo, eppure è un altro che lei, come milioni nella
galassia, è abituata a sentire. Insieme allo sgomento e all’orrore e al terrore
che lo accompagnano. “Il padre di Leia e Luke?”
“La Forza in modi misteriosi opera, ma le sue vie, per quanto nascoste,
tutti a raggiungere riescono. Tutti e al contempo nessuno. Lui proprio come te
era. Iniziato alla Forza troppo tardi. Ma questa storia da raccontare non è
mia.”
Yoda si è seduto su un sasso e Rey lo osserva prima di seguire il suo
esempio e sedersi a propria volta su un tronco caduto. Si porta le gambe al
petto, abbracciandosi le ginocchia.
“Ancora una domanda tu hai,” Yoda indovina e il suo sorriso serafico ha
qualcosa che le riporta alla mente Luke.
Rey si fissa le mani. Non si è mai sentita così impotente o confusa. Ci
sono così tante persone che dipendono da lei… è così che si sente Leia? Come
può affidarsi ai propri istinti, al proprio giudizio? “Come posso credere che
quello che faccio sia giusto se non capisco?”
Yoda annuisce con un vago mormorio di assenso. “Per credere tu capire vuoi.
Così non è. Per capire tu credere devi. Non il contrario. Temere di seguire le
orme di Ben Solo tu non devi. La forza senza la saggezza sotto il suo stesso
peso crolla e già più saggezza tu hai di molti maestri jedi che preceduto ti
hanno.”
Chi sei tu? Traccia il tuo cammino e scegli il tuo destino.
Chi sono io.
*
La mattina successiva, per la prima volta dopo mesi, Rey si sveglia e
tastandosi le palpebre le trova asciutte.
Io sono Rey. Combatto per la Resistenza. Sarò la persona che sceglierò di
essere d’ora in avanti, giorno dopo giorno.
N/a:
"La forza senza la saggezza crolla sotto il suo
stesso peso" è una locuzione latina di Orazio.
"Credo, per capire" e “Capisco, per credere”
è un’espressione latina introdotta da Sant’Agostino.
Primissimo e molto acerbo tentativo nel fandom.
Scritta il 27 dicembre e pubblicata su Ao3. Finalmente ho deciso di ripescare
la versione in italiano e di pubblicarla anche qui.
Un abbraccio caloroso a tutti i fan di questi due. Giuro che sono la mia nuova
coppia preferita in SW (non quanto Mara Jade e Luke Skywalker e Jyn Erso e
Cassian Andor, ma ci si avvicinano).