Serie TV > JAG
Segui la storia  |       
Autore: piccina    12/07/2018    1 recensioni
Volendole bene, era contento di vederla felice insieme ad Harm, ma ogni volta che si incontravano, non poteva impedirsi di provare una punta di rimpianto per quello che avrebbe potuto essere fra di loro e non era stato.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Washington
 
Dopo più di tre anni, le porte dell’ascensore si aprirono davanti a lui sugli uffici del JAG.
Fra gli sguardi stupefatti dei suoi amici e colleghi di un tempo, passò veloce, salutando con un cenno... ci sarebbe stato tempo dopo e si diresse verso l’ufficio di Mac.
M: “Ciao Marinaio, sei arrivato puntuale, per una volta”
Si abbracciarono. Felici di rivedersi.
Harm la guardò, nella sua pinguedine da maternità ormai avanzata e non sentì dolore.
Non più. Solo tenerezza e affetto.
M: “Vai Harm, l’Ammiraglio ti aspetta. Buona fortuna”
Poco dopo.
H: ”E’ fatta, Mac! Fra un mese sarò di nuovo dei vostri. Torno al Jag”
M: “Lo sapevo che l’Ammiraglio ti avrebbe aiutato. Vedi di ritornare in palla e di
scrollarti via la ruggine, che quando rientrerò dalla maternità voglio tornare a fare coppia con te. In questi anni sono diventata ancora più brava!”
H: “Modesta come sempre, Colonnello eh? Tranquilla che mi sono tenuto allenato... Il migliore sarò di nuovo io” scherzarono. “Adesso devo andare, mi aspetta un incontro più importante di quello con l’Ammiraglio” salutò una Mac incuriosita e prese la porta.
Appena uscito dall’edificio chiamò Jennifer: “Ciao Jen, sono riuscito a prendere il volo prima. Sono già a Washington. Ti passo a prendere in ufficio?”
J: “Wow, è proprio vero che non resisti lontano da me” lo provocò. “Fra mezz’ora avrò finito, giusto il tempo che ti serve per arrivare. Ti aspetto. Sono contenta. Mi sei mancato Harm”
H: “Anche tu. Adesso ti lascio, sto scendendo in metropolitana e cadrà la linea”
Appena lo vide gli corse incontro e lui la prese al volo. Gli era mancata veramente!
J: “Dove andiamo? Cosa ti va di fare nella tua vecchia città?”
H: “Dove vuoi, basta che sia un posto tranquillo, dove possa abbracciarti in santa
pace”
J: “Quand’è così, conosco il posto che fa per te. Andiamo!”
H: “Dove?”
J: “A casa mia” gli disse ridendo, mentre lo trascinava verso la macchina.
Nel tragitto si fermarono a prendere una pizza d’asporto.
La mangiarono fredda. Molto fredda.
H: “Jen, se ti dicessi che torno a vivere qui?”
J: “Che razza di burla ti stai inventando, Rabb?”
H: “Non sto scherzando. Ho chiesto di essere reintegrato al JAG. Dal mese prossimo ritornerò a fare l’avvocato”
J: “E’ per lei?” facendosi scura in volto.
H: “No. E’ per te, Jennifer”
Poi continuò, ormai un fiume senza argini: “mi chiedevo se devo cercarmi una casa
piccolina, da scapolo o sia meglio una un po’ più grande che vada bene almeno per
due?”
J: “Harm, mi stai chiedendo di venire a vivere con te?”
H: “No. Ti sto chiedendo di sposarmi, amore mio” quasi non ci credeva neppure lui.
L’aveva detto ed era vero. Amava quella rossa irlandese, un po’ folle e voleva sposarla.
Lei rimase senza fiato, non se lo sarebbe mai aspettato. Non adesso.
J: “Oh mio Dio. E poi sarei io quella pazza e imprevedibile? Comunque Si. Ti sposo, eccome se ti sposo” e iniziò a tempestarlo di baci.
Poi facendo delle strane voci, improvvisò: “Ti presento Harm, il mio fidanzato. Suona bene.
Ti presento Harm, mio marito. Raccogli la lingua e asciuga le bave, che è mio. Suona ancora meglio”.
Rise e l’abbracciò forte.
Di nuovo innamorato e corrisposto. Era guarito.
Una volta a letto, Jen gli disse: “Harm, ti amo anch’io. Con tutte queste emozioni, forse non te l’ho detto”
H: “L’avevo immaginato, Jen” rispose ridendo e stringendola a sè.
Si sposarono in maggio.
Quando passarono sotto il tradizionale arco di spade, lo sguardo d’amore che Harm rivolse a Jennifer fu immortalato in una foto che faceva ora, bella mostra, in salotto.
Fra gli invitati c’erano anche Clay e Mac, con i due figli, George e Rose di pochi mesi.
La ritrovata serenità aveva permesso ad Harm di perdonare Clay per quello che un tempo aveva considerato oltraggio e ignobile furto.
Quando Mac tornò al lavoro ricominciarono a fare coppia fissa.
I primi tempi, la cosa rendeva tesa e inquieta Jennifer, ma il dolce, sereno e consapevole comportamento di Harm, ebbe la meglio sui suoi fantasmi.
Decisamente era lei la sua donna, il suo amore. Sua moglie.
I pezzi della sua vita si erano ricomposti, in un nuovo mosaico, come non avrebbe mai immaginato qualche anno prima.
Era bello tornare a casa da Jennifer, amarla, ridere, litigare, fare progetti e sogni.
Era bello avere di nuovo l’amicizia di Mac. Come un tempo, come prima del loro amore.
Come prima che un’esplosione travolgesse le loro vite.
Gli sarebbe piaciuto frequentare Mac anche fuori dall’ufficio, ma non credeva giusto imporlo a sua moglie.
Mac, dal canto suo, avvertiva una certa diffidenza da parte di Jennifer, mai avrebbe potuto immaginare che fosse paura e gelosia.
Non se lo spiegava, ma questo la frenava nel coinvolgere i Rabb nella vita della sua famiglia.
Pensava spesso che fosse un peccato, ma non stava a lei giudicare la moglie di Harm che, d’altra parte, lo rendeva felice e appagato. Era evidente.
Tanto bastava perché, in fondo, Jennifer le andasse a genio.
Fu Jennifer che stupì Harm, un giorno: “e se sabato sera invitassimo a cena i Webb?”
H: “Ne sarei felice, Jen. Sai perchè? Perchè vuol dire che mia moglie non ha più paura. Non avrebbe mai dovuto averne” lo sguardo di amore che le rivolse la commosse. Non aveva più paura.
Fu la prima di molte altre cene.
Jennifer,  conoscendo  meglio Mac,  capì  perché  Harm ne fosse  stato così follemente innamorato e poi così dolorosamente devastato.
Comprese anche come, adesso, potesse esserle amico. Non fu più gelosa della confidenza e del legame che c’era fra loro.
Divennero amiche.
Fu Mac, quella che le stette più vicina quando, i primi mesi di vita, Ashley sofferente
per le coliche, non li fece chiudere occhio 24 ore su 24.
Harm, almeno di giorno, poteva andare a riposarsi in ufficio, come diceva lui. Scherzando, ma non troppo.
C’erano state giornate, in cui era così stravolta che le sembrò quasi di poter capire quelle madri che, in un raptus di follia, mettono i figli in lavatrice.
In uno di quei momenti, era una domenica mattina, arrivò come un fulmine Mac.
Si erano sentite al telefono e aveva riconosciuto la voce di una mamma sull’orlo di una crisi di nervi.
Disse ad Harm di vestirsi e di scendere che sotto c’era Clay con i bambini che lo aspettavano. Dovevano sparire almeno fino all’ora di cena.
Prese in mano la situazione. Da vero Colonnello dei marine.
M: “Adesso la allatti, poi ti fai una doccia veloce e fili a letto. Ad Ashley ci penso io. Per le prossime 4 ore fai finta che non ci sia, che non esista.”
J: “Ma no, come faccio ... e se non si calma?...”
M: “Vorrà dire che piangerà un po’ con la zia Sarah ... mentre la mamma si riposa e dorme, che ne ha BISOGNO. Dai Jen, dammi retta. Ad Ashley non serve a niente una mamma isterica che non si regge più in piedi, fidati. Parlo per esperienza.”
Mentre Jennifer era sotto la doccia, preparò la bambina e uscirono.
M: “Dormi, che Ashley ed io andiamo a comprare il pranzo”
Neanche due minuti dopo Jennifer stava già dormendo, praticamente svenuta.
Al loro rientro pranzarono velocemente. Allattò la piccola e andò di nuovo a dormire.
Quando alla sera Harm tornò a casa, trovò un’altra Jennifer. Sembrava di nuovo un essere umano.
Non fu l’unico blitz di quel tipo fino a quando la situazione non si normalizzò.
Ancora adesso, che Ashley aveva quasi tre anni, Jennifer non poteva smettere di esserle infinitamente grata per quelle ore di sonno regalate.  
 
JAG
 
Era colpevole. Loro lo sapevano, ma non avevano potuto provarlo.
L’aveva istigata lui al suicidio e adesso usciva dall’aula da uomo libero.
H: “Che schifo Mac. Con un marito al Congresso, non so proprio come tu possa continuare a fare questo dannato lavoro. In questo momento, se potessi, mollerei
tutto”
M: “Eh si bravo, così mi toccherebbe fare la moglie del senatore a tempo pieno. Già mi pesa dover fare public relation part-time. Per fortuna Clay, che mi conosce, mi chiede solo lo stretto indispensabile. Dai Harm, coraggio. Non è il primo colpevole che vediamo assolto. Ce l’abbiamo messa tutta, ma le accuse di plagio sono quasi impossibili da dimostrare. Me ne vado a casa, anche se è presto. Sono stanca e questo processo ci ha impegnato così tanto che ho un po’ trascurato i bambini; anche il marito, se è per quello, ma lui è maggiorenne e vaccinato, sopporta meglio. Faresti bene a fare come me.”
H: “Hai ragione. Adesso chiamo Jen, le dico che passo io a prendere Ashley e poi porto a cena fuori le mie donne. Ci vediamo domani, salutami Clay e i nanetti”
Mentre stava mettendo in moto l’auto ebbe di nuovo quella strana sensazione di sperdimento. Era qualche giorno che le succedeva. “Sarà meglio che vada a farmi vedere” pensò.
La scheggia non le aveva mai dato problemi in tutti quegli anni e a parte i controlli annuali, tendeva a dimenticarsene.
Non poteva saperlo, ma improvvisa e inopportuna, la memoria stava tornando.
Non potevano essere sogni ad occhi aperti. Non era quello che desiderava. Assolutamente no.
Allora cos’erano queste immagini di lei e Harm, in situazioni che definire compromettenti era un eufemismo, che le venivano in mente, così a tradimento, da qualche giorno?
Immagini così vivide e nitide, da sembrare quasi ricordi, più che sogni.
Le stava dando di volta il cervello?
Poi, così come erano arrivate, queste strane visioni sparirono e Mac non ci pensò più.
Sarà stato lo stress, si disse.
Qualche mese dopo era in ufficio e fu travolta da un’emozione, furiosa e devastante.
La memoria era tornata.
Tutta. Completamente. Meravigliosamente tremenda.
Iniziò a sudare, tremare e piangere, incapace di muoversi e parlare.
Fu così che la trovò Harm, che la cercava per proporle un caffè.
H: “Mac, cos’hai? Cosa succede?”
Lei singhiozzava e respirava a fatica, bianca come un cencio.
H: “Mac, Mac!” La prese per un braccio e la scrollò. Questo l’aiutò a riprendersi un pochino.
M: “Tu... Io... noi. Mio Dio Harm...!?!” Balbettò e ricominciò a singhiozzare.
Harm non capiva. La prese sotto braccio: “è meglio se usciamo a prendere un po’ di aria” le disse, accompagnandola, preoccupato, verso l’uscita.
Si sedettero su una panchina in giardino. Finalmente le parole di Mac divennero più comprensibili.
M: “Io e te Harm, io e te siamo... eravamo sposati? Mio Dio sto impazzendo... eppure mi sembra vero, mi ricordo la chiesa, l’Ammiraglio che mi accompagna e c’eri tu ad aspettarmi all’altare. Casa nostra, il tuo ordine maniacale, i miei fossili.... aiuto, aiutami Harm, sto impazzendo.” Le mancò di nuovo il fiato.
Harm capì.
Il momento che anni prima aveva invano, ardentemente aspettato, era arrivato.
Adesso, quando non serviva più a nessuno. Adesso che rischiava di essere una catastrofe nella loro vita, nella vita di quelli che amavano e dai quali erano amati.
Mancò il fiato pure a lui.
Si riprese, la strinse a se:  “non stai impazzendo Sarah.... è tutto vero, ma stai calma”. Le raccontò tutto.
Piansero insieme, abbracciati.
Piansero la vita che non avevano avuto, piansero per il dolore che Harm aveva sopportato. Piansero un amore volato via con le schegge di una bomba.
Senza che se ne rendessero conto, le loro labbra si fecero vicine. Si baciarono. Con quel bacio diedero addio, definitivamente, a quello che era stato il loro amore.
Nessuno dei due mise in dubbio il nuovo legame, le rispettive famiglie, la loro vita com’era adesso.
Non rientrarono in ufficio.
Passarono il pomeriggio insieme e quando furono sufficientemente calmi, tornarono a casa.
 
Ognuno a casa sua
 
Una serata normale, i figli appena messi a letto. Sarah sembrava un po’ imbambolata.
W: “Stai bene Sarah? Tutto ok?”
M: “Perchè?”
W: “Mi sembri stanca, anzi stravolta” le disse sfiorandole, dolce, il viso.
Lo prese per mano: “andiamo un attimo in sala?”.
Clay la seguì con aria interrogativa.
Sua moglie era strana quella sera.
Gli si sedette in braccio, come faceva spesso quando era un po’ in crisi.... appoggiò la testa sulla spalla del marito e sospirò, quasi a farsi coraggio e a trovare le parole per incominciare.
M: “Stamattina  in  ufficio  mi  è  successa una cosa. Bella e tremenda nello stesso
tempo. E’ per quello che sono un po’ strana stasera. Mi ha scombussolata.”
W: “Cosa ti è successo, Mac? Mi stai facendo preoccupare...”
M: “Tranquillo, sto bene. Solo che questa mattina, mentre ero in ufficio, mi sono tornati alla mente dei ricordi...”  lo sguardo di Clay si fece serio, i muscoli del viso si contrassero. Incominciava a sospettare, un brivido di paura lo attraversò. La sua vita stava per andare in frantumi?
Prima che lei continuasse, la anticipò:  “Di te e di Harm? Della vostra vita? Di quando eravate sposati?”
In un sussurro: “si...”
W: “Lui lo sa?”.
Di nuovo un si.
Il volto si irrigidì in una maschera di dolore.
Si controllò e abbracciandola forte le disse: “Lo sapevo. Lo sapevo che prima o poi
sarebbe successo. I primi  mesi  dopo  l’incidente  speravo, per te, che la  memoria
ritornasse, ma il tempo passava, tu stavi bene così, ci amavamo ed era arrivato George... ho iniziato a pregare che non ti ricordassi mai più di quale era la tua vita prima. Gli anni passavano e mi sono illuso..., ma in fondo al cuore ho sempre temuto che questo giorno sarebbe arrivato.” Si guardarono lungamente negli occhi. Lei non si scioglieva dall’abbraccio.
Poi Clay riprese: “Non ti preoccupare Sarah, faremo quello che vorrai tu. Ti aiuterò. Cerchiamo solo di non far soffrire troppo i bambini.”
Dava per scontato che se ne sarebbe andata... e le stava dicendo che l’avrebbe aiutata.
Un’ondata di amore, di tenerezza, di gratitudine si impadronì di lei, per quell’uomo.
Per suo marito.
M: “Di cosa parli, Clay? Cosa stai dicendo?” Lo accarezzò lieve poi si alzò e lo invitò a seguirla.
Piano aprì la porta della camera dove stavano dormendo i bambini.
M: “Li vedi? Voi siete la mia vita. Questo è il mio posto. Con loro e con te. Non vorrei essere da nessuna altra parte e con nessun altro. Hai capito? Hai capito, amore mio?”
W: “Sarah, Sarah, Sarah....” l’abbracciò come un disperato, come un naufrago.
Come chi vede finire un brutto sogno. Definitivamente.
Il loro matrimonio ne uscì rafforzato, se mai ce ne fosse stato bisogno.
 
Qualche giorno dopo
 
M: “Ciao Jennifer, come stai?”
J: Abbastanza bene, un po’ turbata forse ...”
M: “So che Harm ti ha detto tutto... pensavo... ti va se ci vediamo per un caffè, senza figli e mariti e ne parliamo?”
J: “Solito posto?...”
Quelle due donne, quelle due amiche, unite da uno strano destino, si parlarono apertamente.
Davanti a un tazza di caffè, si confidarono le rispettive paure, imbarazzi, gelosie...
J: “Mi fa effetto, Mac... mi imbarazza sapere che ti ricordi. Che ricordi di essere stata sposata con Harm. Mi ingelosisce che ti ricordi di averlo amato. Mi fa paura, una paura tremenda, che ti ricordi quanto lui ti ha amata... e mi sento in colpa a provare questi sentimenti. Mi sento in colpa con lui e con te, per questo.”
M: “Anche a me imbarazza. Non riesco più a guardare lui e voi nello stesso modo... Anche io mi sento in colpa a non riuscirci. Penso però che sia normale e invitabile, vista la situazione. Penso che sia solo necessario darci il tempo di abituarci. Io amo Clay, con tutto il cuore e senza riserve e Harm ama te.  
Hai detto bene, mi ricordo di averlo amato  e tanto, ma è appunto solo un ricordo.
Gli voglio bene, voglio bene a te e ad Ashley. Vi voglio bene, Jen. Spero che questa non sia la fine... o quella dannata bomba ci avrà ferito di nuovo. Tutti, questa volta.”
J: “Hai ragione, Sarah... anche Harm mi ha detto le stesse cose. Dobbiamo provarci e
ci riusciremo, anche io vi voglio bene. A tutti e 4 voi Webb, piccoli e grandi.” disse,
mentre le stringeva una mano.
Non fu facile, ma ci riuscirono. Rimasero amici.
Anzi, passati i primi momenti, le due donne si divertivano a mettere in imbarazzo Harm, notoriamente riservato, scambiandosi battute e opinioni su di lui, in veste di marito, in sua presenza.
J: “Mac, ma anche quando viveva con te era così noioso con ‘sta mania dell’ordine?”
M: “assolutamente si, salvo poi mollare sempre 24 ore e cappello sul divano quando arrivava a casa...”
J: “E’ vero, è vero ... non è mica cambiato, sai!”
H: “La smettete voi due? Clay, di qualcosa a tua moglie ....!” Mentre andava ad abbracciare la sua di moglie, baciandola per impedirle di continuare a parlare “stai un po’ zitta va, ingegnere!”
Finirono con l’imbastire una sorta di “comune” fuori tempo.
Vacanze insieme e figli che crescevano come fratelli.
L’ascesa politica di Clay non conosceva soste e anche Harm era stato promosso a Capitano di Vascello, tutto lasciava intendere che sarebbe stato lui il nuovo Jag prima o poi. Per far carriera, si sa, nell’esercito bisogna muoversi e cambiare incarico. Harm fu trasferito. Londra. Jennifer e Ashley lo seguirono di li a poco.
Fu dura, ma furono anche occasioni per visitare l’Europa, spesso anche i Webb si univano durante le ferie.
Così passarono altri 2 anni.
Le elezioni di Medio termine si stavano avvicinando e Clay era impegnato più che mai. A casa transitava, più che altro, per cambiare la valigia e ripartire. Stava attraversando in lungo e in largo lo stato, teneva anche 4 comizi al giorno e in città differenti.
Mac si impegnava poco nelle fatiche pre-elettorali e presenziava a fianco del marito il minimo indispensabile, questo era un patto che avevano tacitamente siglato anni prima, ma in cambio, in questi momenti non si lamentava delle sue assenze. Faceva parte del patto anche quello.
Era lui che non ce la faceva più, aveva nostalgia di Mac e dei suoi figli. Al diavolo le elezioni, aveva detto al suo staff, lasciandoli sbigottiti, quando aveva comunicato di
disdire gli impegni per i successivi due giorni.
Era appena saltato sull’ennesimo aereo, ma questa volta destinazione Washington e si sarebbe fermato, almeno un po’!
Sorrideva, mentre immaginava la faccia di Mac quando avrebbe suonato alla porta. Era una sorpresa.
Non arrivò mai a suonare quel campanello. Un pirata lo investì, uccidendolo sul colpo, mentre attraversava la strada. Voleva fare a sua moglie una sorpresa con tutti i crismi e presentarsi con un mazzo di fiori.
Stava tornando dal fioraio. Molto british, molto Webb...
Mentre trasportavano Clay all’ospedale, per certificarne il decesso, a Mac non restò che raccogliere i fiori calpestati e offesi. L’ultimo regalo di suo marito.
Quell’uomo che tanto l’aveva amata, che aveva rinunciato al suo lavoro di spia per lei e per i bambini, per evitare di correre rischi inutili, se n’era andato così, banalmente, a  causa  di  un  balordo  assassino  al  volante  che  non  si  era neanche fermato a
soccorrerlo.
Mac temeva  di  non  riuscire  a  sopravvivere al dolore, ma doveva farlo, lo doveva a
Clay e ai loro figli.
Fece il prefisso internazionale, chiamò Londra e pianse tante lacrime quante non pensava di averne.
Poi iniziò a organizzare la cerimonia funebre. Efficiente e composta, come ci si aspetta dalla moglie di un personaggio pubblico e da un marine, ma il cuore era spezzato.
Harm e Jennifer le stettero molto vicino.
Jen e Ashley si fermarono qualche settimana ancora, quando Harm rientrò a Londra.
Per poco, per fortuna, in capo a sei mesi rientrarono tutti a Washington, dove Harm era stato richiamato in qualità di vice Jag.
Quelli che seguirono furono anni difficili per Mac, specialmente adesso che George stava entrando nell’adolescenza e la mancanza del padre si faceva sentire ancora di più.
Menomale che Harm era, in parte, riuscito a proporsi come figura maschile di riferimento e l’aiutava molto in questo momento di ribellione e sofferenza del figlio.
Da quando era rimasta vedova i rapporti con la famiglia di Harm si erano fatti, se possibile, ancora più stretti.
Mac spesso pensava che non sarebbe riuscita  a superare il dolore e a crescere da sola Rose e George senza l’aiuto, l’appoggio e l’affetto di Jennifer e Harm, anche gli altri amici, Bud ed Harriett si erano fatti in quattro per loro, ma i Rabb erano diventati una nuova, allargata famiglia, per lei e i suoi figli. Zio, zia e cugini, così come lei era la zia Sarah per Ashley.
Mac non era una vedova inconsolabile, usciva, incontrava amici e coltivava interessi, ma non aveva avuto più nessuno, benché Harm e Jennifer cercassero di spronarla, infondo era ancora abbastanza giovane per rifarsi una vita. Lei rispondeva che stava bene così, con i suoi figli, il suo lavoro e il ricordo di Clay. Adesso che il dolore si era, con il tempo, fatto più tenue, i ricordi della loro vita insieme erano diventati una dolce, struggente compagnia. 
M: “E  poi   cosa   voglio, ho  due  bravi  ragazzi, amici  come  voi, nessun   problema
economico, un bel lavoro… ho avuto un matrimonio d’amore, anzi due...” diceva sorridendo, “più di quanto abbia la maggior parte della gente. Va bene così, non mi va proprio di ricominciare” e chiudeva il discorso.
 
Il Fato
 
Qualche anno dopo, stroncata da un tumore fulminante, Jennifer se ne andò in tre mesi, a soli 43 anni.
Harm rimase solo. Per la seconda volta. Questa volta non c’era solo lui a cui pensare, c’era anche una bambina che aveva perso la mamma, da un momento all’altro.
Fu il turno di Mac.
Gli stette vicino, asciugò le sue lacrime e poi lo aiutò a organizzarsi fra lavoro e Ashley.
Diventarono interscambiabili.
Nonostante questo Harm non riusciva a conciliare, la sua carriera, gli impegni sempre più gravosi in ufficio e la cura della figlia.
H: “Non posso andare avanti così Mac, sono sempre in dietro su tutto, sul lavoro e con Ashley. Quando non puoi pensarci tu, la vado a prendere sempre più tardi, sono più i sabato che passo a lavorare di quelli che trascorro con lei… e poi la spesa, la casa … non so come farei senza di te, ma non posso comunque andare vanti così, non posso trascurare la mia bambina in questo modo. Credo di dovermi rassegnare, devo tirare i remi in barca sul lavoro, farmi da parte. Chiederò una nuova  assegnazione, a un compito amministrativo, con poche responsabilità che mi permetta di fare orari certi.”
M: “Ma così butterai al vento tutto quello che hai fatto fino ad adesso! Pensi che ad  
Ashley farà bene, avere un papà frustrato e insoddisfatto? Ashley crescerà, andrà al college e tu avrai rinunciato quello per cui hai  faticato tutta la vita…”
H: “Lo so Mac, ma non vedo alternative. Già le manca la mamma… tu sei stata bravissima, con George e Rose quando sei rimasta sola, ma anche tu hai rinunciato, in parte, alla carriera per loro. Credo che adesso sia io a dover fare questa rinuncia. Per Ashley.”
M: “Harm, lo sai che io ho sempre messo i figli davanti al resto, ma per me si tratta di una situazione diversa, anche prima che morisse Clay io avevo scelto di frenare sul lavoro, per dedicarmi maggiormente ai bambini. Non ho accettato più trasferimenti e infatti sono rimasta Colonnello. Tu hai girato mezza Europa, con Jennifer e Ashley e adesso che stai per concretizzare pensi di mollare?”
H: “Certo Mac che dicendo così giri il coltello nella piaga… cosa diamine posso fare, non vedo altra scelta, se non sacrificare mia figlia e questo non lo farò” con voce un po’ alterata.
M:  “Io avrei una mezza idea che forse potrebbe aiutarti a conciliare lavoro e cura di Ashley”
H: “Ovvero?”
M: “Magari mi prenderai per matta, ma… la villa  dove  viviamo  noi è enorme, ci
sarebbe un’ala a vostra disposizione. Ti scaricheresti delle incombenze domestiche, Ashley sarebbe sempre con qualcuno che le vuole bene anche quando tu non ci sei: io, i ragazzi e Carol, la tata di quando George e Rosie erano piccoli, e che mi ha aiutato tanto quando è morto Clay. Per i ragazzi è quasi una seconda mamma e sai quanto anche Ashley le sia affezionata. Noi due potremmo darci una mano molto meglio che continuando a rimbalzare da una casa all’altra con figli recuperati qua e la. Lo sai la casa è enorme, potrai continuare ad avere tutta la tua intimità e indipendenza... che ne dici? A me sembra una buona idea.”
H. “Parli sul serio Mac? Mi sembra una follia, ma …”
M: “Dai Harm, proviamoci… sei sempre in tempo a cambiare idea”
H:  “Mac, sei un tesoro. Come farei senza di te?” le disse abbracciandola e dandole un bacio sulla guancia.
M: “E’ un si?”
H:  “Ne parlo con Ashley e ti dico, ma direi di si… proviamoci. Grazie Mac, grazie veramente.”
Ashley fu d’accordo, lei e Harm si trasferirono a villa Webb.
Mac aveva avuto ragione, la qualità della vita migliorò per tutti, anche e soprattutto
per Ashley che ritrovò, il calore di una famiglia e in Sarah l’appoggio quotidiano e affettuoso di una figura femminile. Harm era più sereno e rilassato, quando arrivava a casa e si dedicava a lei e senza più sensi di colpa. Il rapporto padre figlia ritrovò l’equilibrio che si era rotto con la morte di Jennifer.
I ragazzi, già molto uniti, con la convivenza cementarono un rapporto che non si sarebbe più interrotto, neanche da adulti. Ashley molti anni dopo, diventata scrittrice, in un suo romanzo autobiografico, avrebbe scritto di suo fratello e di sua sorella, George e Rose e delle sue due mamme.
Harm e Ashley disponevano di un appartamento autonomo, ma collegato al resto
della casa.
Quello strano menage funzionava ed erano sempre più le sere che cenavano tutti insieme; subito dopo i ragazzi si dileguavano, Rose e Ashley in camera dell’una o dell’altra a fare e dirsi chissà cosa e George a giocare ai videogiochi o a tenere occupato il telefono in interminabili telefonate con la fidanzatina di turno.
Harm e Mac, rimanevano da soli, a sparecchiare e poi si buttavano sul divano, un po’ di tv, due chiacchiere, a volte lavoravano a qualche caso.
Quando Harm faceva tardi in ufficio, capitava spesso che Mac lo aspettasse per cenare, o almeno per fargli compagnia.
Una routine rassicuramene e molto famigliare.
Poi improvvisamente Harm incominciò a ricevere telefonate alle quali rispondeva appartandosi.
Non aveva mai fatto così.
Iniziò a fermarsi a cena fuori, qualche volta, anche quando a Mac non risultava che avesse impegni di lavoro. La cosa si ripeteva ormai da qualche settimana, in maniera ricorrente.
Mac non chiedeva nulla, infondo non erano affari suoi, forse aveva incontrato una donna, ed era anche giusto che provasse a rifarsi una vita. Allora perché, perché le
dava così fastidio?
“Sarai mica gelosa, Sarah?” Si disse fra sè e sè, dandosi della scema.
Per il resto Harm era, come sempre, gentile e affettuoso con lei e i ragazzi e molto partecipe alla vita famigliare, se la loro si poteva chiamare così…
M: “Harm, ti hanno cercato dalla scuola di Ashley. Hanno spostato l’orario di consegna delle pagelle dalle 18 di martedì, alle 19 di mercoledì prossimo” gli disse Mac affacciandosi nel suo ufficio.
H: “Porca vacca. Quel giorno ho un appuntamento che non so se riesco a spostare… e poi Mac, menomale che mi viene in mente, mercoledì sera mi fermerò a cena fuori”
M: “Se non riesci a spostare l’appuntamento, immagino. Comunque  non ti preoccupare, se mi firmi la delega passo io a ritirare la pagella. Mi sembra che quest’impegno sia di fondamentale importanza per te” rispose un po’ acida, anche se
non avrebbe voluto.
Harm non colse o finse bene e si limitò a dirle: “Beh, Mac se dici così e puoi andare tu a scuola, ne approfitto e non provo neanche a spostare l’appuntamento”
M: “Perfetto!” con voce stizzita, si girò sui tacchi e se ne andò.
Questa volta Harm notò il tono, ma pensò che Mac fosse solo un po’ nervosa. “Stasera a cena, proverò a parlarle per vedere se c’è qualcosa che non va” e si rimise al lavoro.
Non era nervosa, era gelosa e non l’ammetteva neanche con se stessa. Solo a pensarlo le sembrava di tradire Clay, la sua memoria e il loro amore.
A cena Mac negò che ci fosse qualcosa che le dava fastidio e il discorso finì li.
Mentre erano seduti sul divano, Mac fu percorsa da un brivido di freddo.
H: “Hai freddo Mac?”
M: ”Si ho un po’ freddo, ma non ho voglia di alzarmi a cercare un plaid … sono stanca e pigra questa sera. Aspetterò la pubblicità”
H: “Se mi dici dove cercare ci vado io.”
M: “Grazie, ma non mi ricordo dove l’ho riposto l’estate scorsa … i primi freddi mi colgono sempre impreparata. Comunque non ho tanto freddo”
H: “Le mani sono gelate” disse Harm prendendole fra le sue “finirà che ti prendi un
raffreddore. Almeno vieni qui che ti scaldo” le disse aprendo le braccia poi tirandola a sé. “Meglio?”
Sarah fu turbata da quel gesto e dal calore di Harm che l’avvolgeva … così turbata che non si accorse dello sguardo di Harm e delle sue labbra che passarono lievi e in un soffio, sui suoi capelli.
Non cercò il plaid durante la pubblicità e lui non glielo ricordò.
La mente vagava, a tanti, tanti anni prima. I loro anni.
Prima dell’Iraq, prima dei figli, prima di Clay e Jennifer, amati e partiti per un viaggio che non conosce ritorni, e poi di nuovo il profumo dei capelli di Mac... mai dimenticato.
H: “Hai sempre avuto un buon odore Mac...” in un sussurro appena accennato.
M: “Eh?” la voce di Harm la riscosse da pensieri molto simili a quelli che stava facendo lui, ma lei non poteva immaginarlo.
H: “Niente... il film è finito, andiamo a letto?”
A malavoglia si staccarono. Harm si diresse verso la camera di Rose.
H: “Ash, io vado a dormire. Se vuoi, fermati ancora un quarto d’ora e poi vieni che è tardi. Lo sapete che poi tu e Rose alla mattina non riuscite ad alzarvi, dormiglione come siete” così dicendo le baciò entrambe e augurò buona notte.
Mac quella notte faticò a prendere sonno.
Anche Harm.
Qualche mese dopo, finita la cena, mentre si stavano concedendo un goccio di porto.
H: “Mac, prima che mi dimentichi, questo fine settimana non ci sarò.”
M: “Porti Ash da qualche parte? Andate dai tuoi?”
H: “No, Ash rimane a casa. Ho già chiamato Carol così non pesa su di te. Tornerò domenica nel pomeriggio”
Mac fu colta da raptus e sbottò.
M: “Ma bravo e dove te ne vai di bello?” Ironica “lavori tutta la settimana come un matto e poi il week end molli Ash per andare a spassartela chissà dove e con chi. Già, ma  il  prode  Capitano  di  Vascello deve riposarsi, dalle dure fatiche. Complimenti!”
sSizzita e arrabbiata. “Immagino che tu vada con quella delle telefonate!” Aggiunse.
L’espressione di Harm, stupita e interdetta, fu indimenticabile.
Che a Mac fosse andato di volta il cervello? Che razza di reazione era? Non andava mai via il week end da solo, era la prima volta.
H: “Mac, sei fuori? Cosa stai dicendo?”
M: “Niente, niente. Vai dove vuoi e con chi vuoi, non sono fatti miei. Mi dispiace solo per Ashley” le gote rosse e gli occhi lucidi, contraddicevano vigorosamente le sue affermazioni. Si vergognò.
Mentre si stava alzando per andarsene e togliere entrambi da una situazione diventata imbarazzante e insostenibile, sentì la mano di Harm sul braccio.
Una presa forte. Decisa. La bloccò. La guardò negli occhi, come non aveva più fatto
da una sera di secoli prima, dalla vigilia di una certa missione.
H: “Adesso ti calmi, ti siedi e mi ascolti. Capito?” Un tono che non ammetteva repliche.
Quasi soggiogata, obbedì.
H: “Quella delle telefonate, come dici tu è un uomo, con i baffi, neanche troppo piacente ed è il mio psicologo! Il Week end romantico che ti sei immaginata è una due giorni di terapia di gruppo. Credi sia una buona idea portarci Ashley? Quando non torno a cena è perché sono turbato dalla seduta e preferisco stare un po’ solo a riordinare le idee, prima di rientrare. E’ una colpa?”
Mac rimase senza parole, a disagio come non mai.
Fu Harm a rompere il silenzio e con voce dolce le chiese: “ti va di sapere perché sono entrato in terapia?”
M: “Certo, se ti fa piacere, ma Harm non sei tenuto a dirmelo. Ti chiedo scusa. Mi sono comportata malissimo. Perdonami” e abbassò gli occhi.
H: “Vieni sediamoci. Ne vuoi ancora un goccio?” le chiese, mentre si versava ancora un po’ di porto. Poi iniziò a spiegarle. “Gli ultimi 3 anni, da quando è morta Jennifer, sono stati durissimi e nessuno lo sa meglio di te. Forse avrei fatto meglio a entrare in terapia allora invece, come al solito, mi sono chiuso e ho cercato di risolvere i miei problemi da solo... è stata dura, ma in qualche modo ne sono uscito. L’idea di trasferirci qui è stata miracolosa per Ash e me. Non ti sarò mai grato a sufficienza. Insomma mi sembrava che la mia vita stesse ricominciando a scorrere su binari giusti. Mi sbagliavo. E’ successa una cosa inaspettata: mi sono innamorato Mac. Di nuovo e non credevo potesse più succedermi.”
Quelle parole furono per Mac un pugno alla bocca dello stomaco, ma cercò di non darlo a vedere.
M: “Cosa c’è di così tremendo nell’esserti innamorato che ti ha spinto a cercare aiuto? Non sei corrisposto Harm?” Le spiaceva per lui o se lo augurava?
H: ”Non so se sono corrisposto, ma non è questo il punto, o meglio non il principale.... mi sono rivolto al dottore perché da un po’ di mesi mi sentivo male, provavo un’agitazione e un senso di inadeguatezza indeterminato, ma che non mi abbandonava mai. Non ne riuscivo a capirne il motivo. Ci sono voluti mesi di terapia per farmi comprendere che stavo così perché ero innamorato e questo mi faceva, mi fa, sentire terribilmente in colpa. In colpa con tutti, con Jennifer, con Ash, con te ...”
M: “In colpa nei miei confronti?”
H: “Si, Mac perché è di te che mi sono innamorato.”
Lo disse così, come a comunicare una condizione ineluttabile, poi continuò “hai sempre detto chiaramente che dopo Clay non hai intenzioni di riprovaci con nessuno. Mi sento come se avessi approfittato di te, della situazione, della tua offerta ad ospitarci a casa tua... in qualche modo poi mi sembra di tradire Jennifer e l’amore che abbiamo vissuto. Ho paura che Ash, se se ne accorgesse, non me lo perdonerebbe. Però ti amo Sarah, non posso impedirmelo. Ho quasi 50 anni e mi turba il tuo profumo, mi incanto a guardarti sparecchiare, mentre sgridi o parli con i tuoi figli, mi viene da dire i nostri figli. 50 anni e come un ragazzino mi sono innamorato. Della mia prima moglie. “Tutto in un fiato, senza guardarla, quindi non si accorse che gli si
era fatta vicina.
Seguì l’istinto. Non la ragione, ma il cuore.
Harm si sentì sfiorare la labbra, poi vide solo il luccichio degli occhi di Mac fissi nei
suoi…
M: “Sono felice Harm e ho una paura tremenda” in un soffio “vieni andiamo in camera mia, qui ci sono troppi figli in giro” gli disse sorridendo.
Parlarono a lungo.
Si raccontarono paure, timori, sensi di colpa, si raccontarono l’amore che, piano senza che se ne accorgessero, era rinato in entrambi.
Quando finalmente si amarono i loro corpi si riconobbero come se non fossero passati quasi 20 anni.
Iniziarono a vivere da amanti clandestini.
Non sapevano se, quando e come dirlo ai figli.
Andarono avanti così circa due anni e forse non si sarebbero mai decisi, ma…
Una sera trovarono tavola apparecchiata e la cena pronta.
Tutti e 3 i ragazzi a casa, George era perfino rientrato prima dal college.
Quasi in coro dissero: “dobbiamo preoccuparci? Cos’è successo?”
G&R&H:  “Niente. Solo farvi una sorpresa e passare una serata tutti insieme come ai
vecchi tempi. Ci siamo anche cimentati ai fornelli. Non fate quella faccia, cambiatevi che è quasi pronto” ridacchiarono.
La cena fu simpatica, i ragazzi avevano fatto un grande lavoro, sembravano di ottimo umore e avevano un’aria birichina.
Harm e Mac erano stupiti e divertiti, si aspettavano di veder uscire il coniglio dal cilindro da un momento all’altro.
Invece di un coniglio trovarono una domanda.
Stampata sulla torta che le tre pesti portarono in tavola, a fine cena:
 
Perché non vi  sposate?
 
Rimasero basiti.
George, Ashley e Rose scoppiarono a ridere, nel vedere l’espressione di Harm e Mac.
R: “Mamma, Harm forse credevate che non ci fossimo accorti che il vostro rapporto negli ultimi anni è cambiato? Improvvisamente la mamma si era rimessa a cantare e a cucinare torte… Harm sembrava ringiovanito e poi tutte quelle cene di lavoro e week end in missione, suvvia non siamo più bambini.” disse, fra le risatine trattenute degli altri due. “Abbiamo aspettato che vi decideste a parlarcene, ma niente. E’ un po’ che ne discutiamo fra di  noi. L’altra sera Ash ed io siamo andati a trovare George al campus e siamo giunti alla conclusione che vi foste attorcigliati su voi stessi, che non vi sareste mai decisi a uscire alla luce del sole. Ci sembrava un peccato, così…”
G:  “E poi a una certa età la vita degli amanti clandestini potrebbe diventare troppo faticosa, eravamo in pensiero per voi” intervenne, impertinente, George.
A quel punto scoppiarono tutti e 5 in una calorosa, liberatoria risata.
H: “Mac, praticamente abbiamo fatto la figura dei fessacchiotti…”
M: “Già disse Mac” ridendo e stringendosi a lui
H: “Quindi a voi non da fastidio?”
G&R: “Ma che fastidio. Noi siamo contenti. Harm, dopo che è morto papà, sei stato tu a farci da padre. C’eri tu nei momenti difficili, nelle delusioni e nella gioia. Ti vogliamo bene e sappiamo che ne vuoi a noi e alla mamma”
A: “Per me è lo stesso. Mac sei stata la mia nuova mamma, senza mai prevaricare il ricordo di mia madre. Quando io e papà siamo rimasti soli ero poco più di una bambina, non so come avrei fatto senza di te. Come potrei non essere contenta per voi due?”
R: “L’idea di sposarvi era una provocazione. Sono fatti vostri decidere come vivere. Ci premeva solo che poteste manifestare liberamente il vostro legame. Temiamo che sia per causa nostra che abbiate tenuto il sentimento segreto. Speriamo di non essere stati invadenti.”
M&H: “Ma che invadenti? Siete dei grandi, meravigliosi figli, che noi abbiamo  sottovalutato, pensandovi ancora piccoli e da difendere.”
H: “Quanto alla provocazione, Colonnello che ne dice di raccoglierla? Mi farebbe l’onore di diventare mia moglie?”
M: “Parli sul serio Harm?”
H: “Mai stato più serio in vita mia. Ti va di risposare questo attempato giovanotto?”
Due settimane dopo, in una piccola cappella, alla presenza dei figli e di pochi amici,
si sposarono.
Dopo la cerimonia, durante il rinfresco Sarah chiese la parola e con voce commossa dedicò ad Harm questa poesia:
 
Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
and be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear,
Though as for the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I--
I took the one less traveled by,
and that has made all the difference. (1)
Poi aggiunse.
M: “Se abbiamo questi meravigliosi figli, se guardandomi indietro vedo una vita a volte difficile e dolorosa, ma sempre piena e ricca di amore, se siamo qui oggi è perché, in un giorno lontano, tu Harm avesti il coraggio di prendere la strada meno trafficata. Di li tutta la differenza è venuta. Grazie amore mio”.
 
(1)  LA STRADA NON PRESA:
Divergevano due strade in un bosco
Ingiallito, e spiacente di non poterle fare
Entrambe essendo un solo, a lungo mi fermai
Una di esse finché potevo scrutando
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.
 
Poi, presi l’altra, che era buona ugualmente
E aveva forse i titoli migliori
Perché era erbosa e poco segnata sembrava;
Benché, in fondo, il passare della gente
Le avesse davvero segnate più o meno lo stesso,
 
Perché nessuna in quella mattina mostrava
Sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno !
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
Dubitavo se mai sarei tornato.
 
Questa storia racconterò con un sospiro
Chissà dove tra molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco, e io…..
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > JAG / Vai alla pagina dell'autore: piccina